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Verso l’uomo planetario

3 – L’uomo Planetario

3.3 Verso l’uomo planetario

L‟assunto cartesiano “Penso dunque sono” dovrebbe essere trasformato in “Partecipo dunque sono”: l‟empatia deve essere posta al centro della storia dell‟uomo;159

essere deve significare essere per l‟altro e attraverso l‟altro.

Occorre credere in un legame universale di scambio che unisca l‟intera umanità, in una parola: Ubuntu. Nell‟etica dell'Africa sub-Sahariana, ubuntu pone l‟accento sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone; è una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro.

L‟espressione, in lingua bantu, si può tradurre con "benevolenza verso il prossimo". Appellandosi all'ubuntu si è soliti dire “Umuntu ngumuntu ngabantu” ovvero "io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo". L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere

coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l'umanità intera.

159 Con le dovute barriere ovviamente: non ci si può far coinvolgere al punto da travolgere il proprio io con i sentimenti dell‟altro, non si deve lasciar sopraffare la psiche; l‟empatia è un atto di equilibrio.

«Io sono quello che sono per quello che tutti siamo» o «Io sono perché noi siamo». Essere è essere per l‟altro.

Deve essere questa la religione dell‟uomo del nostro tempo – e per religione intendo qualsiasi sistema di pensiero o azione condiviso da un gruppo che offre all‟individuo un orientamento (proprio come quella capitalistico-tecnica è la religione vigente dall‟indomani della

rivoluzione industriale).

Cambiare paradigma. Siamo pronti? Può davvero l‟umanità cambiare direzione?

Sono convinta, seguendo le linee guida di Erich Fromm, riportantadole per ricapitolare il lavoro fin qui svolto, che “Il carattere umano può mutare a patto che sussistano le seguenti condizioni:

1- Che si sia consapevoli dello stato di sofferenza in cui versiamo. 2- Che si riconosca l‟origine del nostro malessere.

3- Che si ammette che esiste un modo per superare il malessere stesso.

4- Che si accetti l‟idea che per superare il nostro malessere, si devono far nostre certe norme di vita e mutare il modo di vivere attuale”.160

Siamo sulla giusta via. Si registra già un cambiamento nelle coscienze che non è però sufficiente, è ancora troppo debole. Questo cambiamento si deve tradurre in fine verso cui tende il cammino antropologico:

dobbiamo permettere che l‟uomo planetario venga completamente alla luce.

Le culture si possono riconoscere reciprocamente in nome di una

comune umanità solo quando si scoprono universalmente destinate, col medesimo destino quando mutano le circostanze che mettono alla prova l'istinto di sopravvivenza; porre le basi per una nuova forma di umanità all'altezza della crisi in grado di trasformare le circostanze della

catastrofe in nuove condizioni di crescita.

“Il quadrante dell'evoluzione segna l'ora di un nuovo adattamento della specie al suo ambiente, un adattamento che richiede non già la negazione ma l'oltrepassamento critico di quell'universo tecnologico che l'homo

faber ha creato a sé stesso quale premessa per un balzo in avanti nella

sua evoluzione ma in cui, per il momento, sembra essersi integrato fino alla dissipazione della propria soggettività”.161

La cultura che abbiamo ereditato, come ormai deve apparire chiaro, non risponde alla ragion d'essere dell'uomo sulla terra, non è funzionale alla vita ed il fatto che pensiamo che qualsiasi nostra azione sulla natura sia legittima lo prova.

Se ci sarà ancora vita umana sarà fondata in rottura con la nostra modernità poiché ogni possibilità di sopravvivenza alla crisi della modernità si presuppone che siano superate le condizioni che ne avrebbero provocato la morte.

Occorre una nuova etica, diversa da quella antropocentrica che faceva dell'uomo la misura di tutte le cose, capace solo di illuminare il futuro prossimo dell'universo.

“Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l'economia imprime un impulso incessante, esige un'etica che mediante auto-restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per l'uomo”.162

Occorre un'etica planetaria che deve assumere il compito di far luce

161 Balducci E., La terra del tramonto: Saggio sulla transizione, Firenze, Edizioni Cultura Della Pace, 1992, p. 21

162 Jonas A., Il principio di responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1979, Premessa, p. xxvii.

sull'orizzonte globale a cui si estendono gli effetti delle nostre azioni. Per dirlo con Ernesto De Martino, le "etiche procedono dal modo e dai limiti entro i quali l'ethos si fa consapevole di sé e si esercita nelle morali storiche".163

Agire responsabilmente significa tener conto dell'eredità che le

generazioni passate ci hanno lasciato e alle conseguenze che le nostre azioni avranno su quelle future, significa permettere all‟ethos cosmico di venire alla luce a mostrarci tutte le sue potenzialità, significa prendere coscienza della comunicazione creaturale tra uomo e natura.

L'uomo planetario si ha quando dalla consapevolezza della necessità della transizione nasce un nuovo umanesimo il cui tratto essenziale è la fede nella possibilità della specie di abbandonare l'età dell‟avere come un tempo abbandonò la pratica della schiavitù come legge di natura. "La salvezza storica dell'uomo (...) è nella ragione, intesa come

fondamento di una coscienza etica, proporzionata ai nuovi problemi".164 Ernesto Balducci è convinto che l'homo sapiens si trovi dinnanzi ad un‟ulteriore soglia della sua evoluzione, è già in atto il passaggio. Scrive "ebbene, oggi si sono realizzate le condizioni fisiche di

163 De Martino E., La fine del mondo: contributo all’analisi delle apocalissi culturali, (a cura di C. Gallini), Torino, Einaudi, 1977, p. 71.

un‟ulteriore fase evolutiva, quella della planetarizzazione. Per la prima volta l'uomo si trova attraverso il criterio biologico dell'uccisione e si trova così a diventare totalmente culturale. La nostra (...) è la prima generazione cui è toccato decidere se la terra debba mantenere un pianeta abitabile. Come milioni di anni fa la complessità dello psichismo

animale trovò una più alta unità nella centrazione della conoscenza individuale che avviò il superamento della lotta per la vita e l'esperienza della simpatia e della gratuita apertura reciproca, così la complessità delle culture, stretta dentro i confini di un pianeta divenuto abitazione precaria, dovrà trovare unità in una specie di supercoscienza comune165, non monistica però ma pluralistica. Non è, questa, una fiducia ingenua ispirata all'idealismo etico, è una fiducia basata sul realismo

antropologico, cioè sul fatto che si è avverata la condizione, prevista dallo stesso Darwin, necessaria perché i rapporti di simpatia che oggi stringono tra loro gli uomini delle singole nazioni si estendano, cadute le ultime barriere dell'umanità intera. Le barriere tra le razze, le culture, gli stati sono relitti della fase che ha preceduto e accompagnato

l'ominazione, durante la quale avevano una loro funzione anche le forme di aggressività distruttiva. Il nostro apparato percettivo, e con esso il nostro apparato morale sono stati determinati dalla pressione della

selezione naturale, rimasta funzionante, in forma sublimata, anche durante la fase di civiltà. Potremmo dire che il compito della umanità è oggi l'adeguamento dell'apparato percettivo e morale della condizione reale. La soglia a ciò abbiamo messo piede è quella che separa la fase evolutiva della ominazione da quella, divenuta possibile e necessaria della planetarizzazione".166

Questo passaggio verso l‟uomo planetario è l‟unica alternativa alla catastrofe. Il passaggio, ripetiamolo con altre parole, implica una rottura di continuità che si può dare solo se l‟uomo, facendo convergere gli imperativi della libertà con quelli della necessità oggettiva (ovvero, in estrema sintesi, l‟ubuntu pensiero), si farà per la prima volta nella sua storia, artefice della propria genesi.

Secondo Edgar Morin l‟era planetaria comincia nel 1492 con la scoperta delle Americhe, si conferma sei anni dopo quando Vasco Da Gama trova la via orientale delle Indie e si consolida definitivamente nel 1521

quando Magellano circumnaviga il mondo fornendo la prova

inconfutabile della sua rotondità; l‟era planetaria comincia cioè quando

166 Balducci E., La terra del tramonto: Saggio sulla transizione, Firenze, Edizioni Cultura Della Pace, 1992, pp. 163-164.

si scopre che la terra è un pianeta e le sue singole parti cominciano a comunicare tra di loro. È nato il Pianeta, curiosamente, proprio quando Copernico lo priva del posto privilegiato che aveva al centro

dell‟universo.

Bacilli, virus, animali, cibo e persone cominciano a circolare su scala planetaria. L‟Europa conosce uno sviluppo esagerato e fin da subito importa la sua civiltà; l‟era planetaria comincia e si sviluppa con la violenza, schiavitù e sfruttamento spropositato del nuovo mondo e della vecchia Africa. Questo inizio, Morin, lo definisce “era del ferro

planetaria” e afferma che da questo stadio non ci siamo ancora mossi. Nel XIX si apre una nuova fase dell‟era planetaria con lo sviluppo dell‟imperialismo europeo: il canale di Suez, lo stretto di Panama, la Transiberiana, la Transamerica e l‟Orient Express uniscono

definitivamente i continenti favorendo la circolazione di denaro e di idee. L‟economia diventa mondiale così come le guerre. L‟Europa comincia a sprofondare nell‟abisso aprendo un‟ulteriore fase dell‟era planetaria; si eclissa nelle guerre e vede Russia e Usa contendersi la superiorità mondiale.

Dal 1945, con la bomba di Hiroshima l‟era planetaria è nella fase damoclea: la potenzialità di autodistruzione accompagna il genere umano da quella data. L‟altra minaccia damoclea è data dall‟allarme

ecologico lanciato nel 1970-72 dal Club di Roma: la morte incombe nell‟atmosfera.

Malgrado tutto si assiste alla nascita della coscienza planetaria: la paura della guerra nucleare, il nascere di una coscienza ecologica planetaria, i problemi del terzo mondo cominciano ad essere sentiti come problemi del mondo stesso e la civiltà comincia a diventare globale (nel bene e nel male: omogeneizzazione, degradazione e perdita della diversità contro incontri, nuove diversità, nuove sintesi).

Manca però la coscienza che ci troviamo nell‟età del ferro dell‟era planetaria, nella preistoria dello spirito umano.

Dobbiamo prendere coscienza che il nostro dasein è cosmico. “Il proseguimento (cosciente) dell‟ominazione – ci dice Morin -

comporta una nuova nascita dell‟uomo. La prima nascita fu quella delle origini dell‟ominazione, qualche milione di anni fa; la seconda nascita si verificò con l‟emergere del linguaggio e della cultura, probabilmente a partire dall‟Homo erectus; la terza nascita fu quella dell‟Homo sapiens e della società arcaica; la quarta nascita fu la nascita della storia, che incluse contemporaneamente la nascita dell‟agricoltura,

dell‟allevamento, della città, dello stato. La quinta nascita, possibile ma non ancora probabile sarebbe la nascita dell‟umanità, che ci farebbe uscire dalla preistoria dello spirito umano, che civilizzerebbe la Terra e

che vedrebbe la nascita della società/comunità planetaria degli individui, delle etnie, delle nazioni”.167

L‟ominazione deve proseguire con lo sviluppo delle nostre potenzialità culturali, sociali, etiche, spirituali, psichiche; deve essere uno sviluppo antropologico. Il vero sviluppo umano non ha una dimensione

economicista ma è multidimensionale e pronto sempre a rigenerarsi. Prendere coscienza del mondo in quanto mondo è la necessità

intellettuale e vitale del nostro tempo; è un problema universale. Per cominciare a prendere coscienza, e anche qui mi trovo in pieno accordo con Morin, occorre una riforma del pensiero.

“Il pensiero che compartimenta, taglia, isola, permette agli specialisti e agli esperti di essere molto efficienti nei loro compartimenti e di

cooperare efficacemente in settori di conoscenza non complessi, in particolare in quelli concernenti il funzionamento delle macchine

artificiali, ma la logica alla quale tali persone obbediscono estende sulla società e sulle relazioni umane i vincoli e i meccanismi non umani della macchina artificiale, e la loro visione deterministica, meccanicistica, quantitativa e formalistica ignora, occulta o dissolve tutto ciò che è soggettivo, affettivo, libero, creatore” e aggiunge “le menti parcellizzate e tecno-burocratizzate sono cieche alle interretro-azioni e alla causalità

circolare, e spesso considerano ancora i fenomeni secondo la causalità lineare; percepiscono le realtà viventi e sociali secondo la concezione meccanicistica/deterministica, valida soltanto per le macchine artificiali” e conclude “la mente tecno-burocratica è incapace di percepire e di concepire il globale e il fondamentale, la complessità dei problemi umani”.168

I problemi che ci troviamo ad affrontare non hanno spazio o tempo e le ricerche disciplinari non fanno altro che isolare i problemi gli uni dagli altri. “L‟intelligenza parcellizzata, compartimentata, meccanicistica, disgiuntiva, riduzionistica rompe il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa ciò che è legato,

unidimensionalizza il multidimensionale” e tuona “è un‟intelligenza nello stesso tempo miope, presbite, daltonica, monocola; finisce il più delle volte per essere cieca”169

.

In questo modo, più i problemi diventano planetari, più non vengono colti; questo tipo di intelligenza ci rende incoscienti e irresponsabili ed è foriera di visioni apocalittiche.

Il rapporto che l‟uomo deve instaurare con il pianeta non può più assolutamente essere riduzionistico, riduttivo, disgiuntivo. L‟umanità

168 Ivi, p. 161. 169 Ivi, p. 165.

deve percepirsi come facente parte di un tutto, e non la parte di un tutto, e questo tutto in essa deve rispecchiarsi.

Conclusione

Le certezze dell‟uomo crollano con la nascita del capitalismo: acquista libertà, perde le sicurezze sociali che aveva e mette alla prova quelle individuali.

La megamacchina esige rapidità, uniformità, standardizzazione e quantificazione, funziona in modo astratto, in quanto macchina sociale, e in modo totalitario, privando dell'identità gli ingranaggi della macchina. La società presenta i caratteri della tecnica: freddezza, anonimato, indifferenza. Anonimi, freddi, indifferenti gli individui.

La struttura che viviamo insomma distrugge il libero sviluppo delle facoltà e dei bisogni umani: la ragione diviene strumento di calcolo e dominio, serva della tecnica. Ha portato, in ultima analisi, alla distruzione del significato della vita individuale; l‟individuo diviene massa, cosa, un ricettore passivo. Alienato.

L'uomo percepisce se stesso come un'astrazione, alienato dalla sua reale natura. L'uomo a una dimensione è dominato da poteri e oggetti; alienato dal poter essere sé stesso diventa oggetto di conformità e amministrazione che lo portano ad un‟identificazione immediata con la società industriale.

Manca proprio del senso dell'io. Questo provoca profonda ansia campanello d‟allarme della crisi della presenza.

L‟uomo del nostro tempo vive questa crisi dell‟ethos del trascendimento. È una crisi vissuta sul piano individuale che diventa collettiva nel momento in cui si prende la società tecnico-capitalistica nell‟insieme. È, in ultima analisi, l‟assetto tecnico-capitalistico della società che fa vivere la presenza perennemente con il rischio di non esserci, nel momento in cui gli nega l‟individualità.

Ma c‟è dell‟altro. L‟uomo del nostro tempo non vive solo questo tipo di crisi. Come abbiamo avuto modo di vedere, la società tecnico- capitalistica, scientifica, volta al profitto, ha permesso la produzione e la proliferazione delle armi nucleari e di distruzione di massa. La possibilità che l‟umanità si autodistrugga è già di per sé patologica. Non solo. Il progresso tecnico-industriale, unito al profitto che rende ciechi e irresponsabili, sono causa del degrado della biosfera. Abbiamo visto che i dati forniti dall‟Intergovernmental Panel on Climate Change sui gas serra sono allarmanti, i numeri dei peggiori disastri ambientali – dove tecnica e profitto si uniscono in un abbraccio mortale - stratosferici o non ancora quantificabili.

In questo caso, a differenza della sensazione di perdere se stesso che l‟uomo calato nel sistema tecnico vive, l‟individuo percepisce la crisi come fine del mondo, come fine della storia. Ad essere messo a rischio è l‟intero pianeta, non più la singola presenza o la singola società. La crisi è planetaria in questo caso. Deriva sempre dal sistema tecnico- capitalistico ma investe l‟universo nel suo insieme.

L‟uomo del nostro tempo vive dunque una crisi individuale di fronte al sistema tecnico che fagocita anche gli esseri umani, collettiva, planetaria se si guarda agli effetti delle società tecnico-capitalistiche, ovvero la guerra nucleare e il degrado ambientale, vissuta come vera e propria fine di tutto.

È possibile inserire questi tipi di crisi nel meccanismo crisi- reintegrazione culturale come suggeriva de Martino? Con quale destorificazione istituzionale? È ancora possibile l‟escatologia umanitaria basata sull‟emancipazione dei popoli subalterni che l‟etnologo napoletano indicava?

Credo che sia possibile fare, come ho fatto nel secondo capitolo, un discorso unico per questi differenti tipi di crisi che hanno la medesima matrice, proporre lo stesso meccanismo destorificante.

Quello che ho cercato di suggerire e presentare nell‟ultima parte del lavoro è un necessario e imminente cambiamento antropologico.

Oggi non è più possibile parlare di reintegrazione culturale, alla de Martino, se ad essere a rischio è il mondo nel suo insieme, la possibilità di esserci in quanto genere umano, l‟ammissibilità di un continuo della storia. Serve un cambiamento antropologico.

Entrambe le crisi contemplano, a parer mio, solo questa soluzione - anche quella individuale poiché dalla tecnica non si torna indietro, la spinta è sempre avanti, verso un progresso che pretende di essere illimitato e non si può fermare in alcuna maniera.

Occorre che l‟individuo si renda conto dei rischi del sistema tecnico per muoversi verso l‟uomo planetario. Il passo necessario è l‟evoluzione del genere umano.

È la modernità a cominciare con i presupposti sbagliati. Il programma di questa era annunciato da Cartesio il quale vede l‟uomo padrone della natura. Scrive nel 1637 nel Discorso sul metodo “conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell‟acqua e dell‟aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente come conosciamo le tecniche dei nostri artigiani, noi potremmo servircene nello stesso modo

per tutti gli usi a cui si adattano, rendendoci così quasi signori e possessori della natura”.170

La modernità consegna all‟uomo le chiavi dell‟universo; egli ne è il padrone assoluto e indiscusso e può far tutto ciò che ritiene più consono, come gli pare. La tecnica incrementa questo modo di vedere le cose, gli conferisce tutti i poteri necessari per diventare il padrone del pianeta: la Terra diviene una proprietà, una fonte inesauribile di ricchezze creata proprio per essere utilizzata dall‟uomo.

A partire però dall‟avviso del Club di Roma nel 1972, contenuto nel

Rapporto sui limiti dello sviluppo o Rapporto Meadows, si comincia a

vedere, con dati scientifici alla mano, come le risorse presenti nel pianeta siano soggette ad un progressivo esaurimento in nome del progresso e della crescita economica.

L‟unica via di salvezza è un cambiamento di paradigma, un cambiamento antropologico del genere umano verso l‟uomo planetario. Non basta più la reintegrazione culturale. Occorre un balzo in avanti del genere umano.

Il presente è passato, il passato è futuro e questo, se il cammino rimane lo stesso, non può essere che anteriore. Saremo stati.

L‟umanità deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni, intraprendere un cammino che ci porti alla consapevolezza del risultato delle azioni. Responsabilità deriva dal latino respondere: rispondere e terminazione. Occorre rispondere, dare una risposta alla crisi del trascendimento cui l‟intero pianeta è esposto. Lo dobbiamo all‟universo che ci ospita, alle generazioni future, a noi stessi: virare in direzione opposta al sacrificio di ogni possibile futuro cui stiamo inesorabilmente andando incontro.

Lo sviluppo che non si inscrive nella salvaguardia del pianeta e nel proseguimento cosciente dell‟ominazione è insostenibile, ci suggerisce Morin.

Non si può fare dell‟esistenza universale una posta in gioco.

Come ho cercato di spiegare, l‟umanità per assumere il principio di responsabilità come propria legge universale deve dapprima riconoscere il fallimento della grande promessa di progresso illimitato, quindi prendere coscienza della bugia che vivere bene è possibile solo con un‟espansione economica priva di ostacoli. Realizzare, al contempo, che l‟umanità non è diventata padrona dell‟universo grazie alla tecnica ma un ingranaggio della megamacchina, cosizzata e manipolata. Rendersi conto che da questo sistema deriva la minaccia della fine del tutto. Passare dalla cultura dell‟avere a quella dell‟essere. Permettere