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Il fallimento della Grande Promessa

3 – L’uomo Planetario

3.2 Il principio di responsabilità e la cultura dell’essere contro quella dell’avere

3.2.1 Il fallimento della Grande Promessa

Il primo passo da fare verso questa direzione è riconoscere il fallimento della Grande Promessa di progresso illimitato144 “vale a dire la promessa del dominio sulla natura, di abbondanza di materiale, della massima felicità per il massimo numero di persone e di illimitata libertà personale”145

che sono state fatte a partire dall‟inizio dell‟era industriale. E vi si credeva poiché fin da subito la tecnica, inserita nel processo di produzione, ha reso l‟uomo onnipotente, lo ha sempre di più avvicinato alla deità.

“Il raggiungimento del benessere e delle comodità per tutti avrebbe avuto come risultato, così si credeva, la felicità senza restrizioni per tutti. La trinità costituita da produzione illimitata, assoluta libertà e felicità senza restrizioni, venne così a costituire il nucleo di una nuova religione, quella del Progresso” e più avanti specifica “è, infatti, innegabile che l‟era industriale non sia riuscita ad esaudire la Grande Promessa, e un

144 Abbiamo avuto modo di vedere nel primo paragrafo come l‟idea di sviluppo illimitato produce un degrado ecologico che minaccia la biosfera e l‟umanità nel suo insieme; lo sviluppo, oltre certi limiti, crea molti più problemi di quanti ne risolve.

numero sempre crescente di persone stanno oggi assumendo coscienza di quanto segue:

- La soddisfazione illimitata di tutti i desideri non comporta il vivere

bene, né è la strada per raggiungere la felicità o anche soltanto il

massimo piacere.

- Il sogno di essere padroni assoluti delle nostre esistenze ha avuto fine quando abbiamo cominciato ad aprire gli occhi e a renderci conto che siamo tutti divenuti ingranaggi della macchina

burocratica, e che i nostri pensieri, i nostri gusti sono manipolati dai governi, dall‟industria e dai mezzi di comunicazione di massa controllati dagli uni e dall‟altra. (…)

- Lo spesso progresso tecnico ha avuto come conseguenza il

manifestarsi di pericoli ecologici e di rischi di conflitti nucleari, e sia gli uni che gli altri, agendo isolatamente o insieme, possono metter fine all‟intera civiltà e fors‟anche alla vita tutta quanta”.146

Si comincia oggi a riconoscere che la produzione di quantità crescenti di beni implica l‟utilizzo di quantità maggiori di materie prime ed energia e quindi un impatto più incisivo sugli ecosistemi, che ogni attività produttiva comporta l‟irreversibile degradazione di quantità crescenti di

materia e di energia - contro la seconda legge della termodinamica, secondo cui l‟energia si può trasformare solo in una direzione: dall‟utilizzabile all‟inutilizzabile; l‟entropia è la misura del grado in cui l‟energia si trasforma da disponibile a indisponibile. Si riconosce insomma che il nostro modo di produzione è insostenibile per la biosfera147.

Il Genuine Progress Indicator (GPI), "indicatore del progresso autentico" o "indice di progresso effettivo" o "indicatore del vero progresso" che misura lo sviluppo economico, tiene in alta considerazione i fattori ambientali e l'inquinamento creato o annullato dall'attività di impresa. È usato nell'economia verde e nell'economia di assistenza sociale e con esso si intende sostituire e superare il Prodotto Interno Lordo (PIL) come misuratore dello sviluppo economico. Ebbene,

147 Gli economisti ortodossi si difendono dall‟ecologismo usando il ”progresso tecnologico” come arma di difesa: la loro idea è che questo consentirà di produrre quantità crescenti di beni con un uso sempre minore di materia ed energia (come se si potesse produrre più pane con dei forni tecnologicamente avanzati e meno farina!). I dati però ci dicono che i paesi tecnologicamente più avanzati come gli Stati Uniti hanno consumi energetici spropositati rispetto a paesi con economie meno efficienti (il Messico, ad esempio, consuma otto volte meno degli Stati Uniti). Quindi ad un aumento dell‟efficienza dei macchinari corrisponde sempre un aumento dei consumi totali di energia.

questo indice ha un andamento decrescente a partire dagli anni „80148 , anni durante i quali si registra una sempre più illimitata produzione; ad un aumento di quest‟ultima non corrisponde quindi l‟aumento del benessere sociale.

Da qui l‟appello di Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), economista rumeno, verso la bioeconomia, un'economia cioè ecologicamente e socialmente sostenibile.149 Progetto che, nel sistema economico è stato tradotto nella teoria della decrescita,150 che mira alla

148 http://rprogress.org/sustainability_indicators/genuine_progress_indicator.htm 149 Cfr Georgescu-Roegen N., Bioeconomia. Verso un’economia ecologicamente e

socialmente sostenibile, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; Bonaiuti M., La teoria Bioeconomica. La nuova economia di Nicholas Georgescu-roegen, Roma,

Carocci, 2001.

150 Oltre al già citato libro di Georgescu-Rogen, considerato il padre della decrescita, Cfr Latouche S., Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo, Bologna, EMI, 2002; La scommessa della decrescita, Milano, Feltrinelli, 2007; La

sfida della decrescita. Il sistema economico sotto inchiesta, Città di Castello,

L'Altrapagina, 2008; Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della

decrescita, Torino, Bollati Boringhieri, 2011; Per un'abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita, Torino, Bollati Boringhieri, 2012; Pallante M.,La Decrescita felice, la qualità della vita non dipende dal Pil, Roma, Edizioni per la

decrescita felice, 2009;Bonaiuti M., La grande transizione. Dal declino alla società

riduzione controllata dei consumi e delle produzioni per ristabilire l‟equilibrio ecologico151

.

La Grande Promessa è stata talmente imponente che appurare oggi il suo fallimento porta alla formazione di traumi. Inoltre, come abbiamo avuto modo di vedere, i tratti caratteristici della struttura sociale, che determina il nostro modo di vivere – e mi riferisco principalmente all‟egoismo, all‟edonismo, al potere prodotto dalla proprietà e dal profitto, e alla massificazione - sono patogeni e conducono a personalità malate in una società malata. L‟uomo, nel culto dell‟avere, decade, si riduce a cosa, diventa passivo, invidioso e preda di un‟incontrollabile bramosia debole, insufficiente se sperimenta se stesso solo in base a ciò che ha.

L‟avere insomma fa nascere il bisogno di potere per difendere le proprietà di cui si dispone, genera inoltre sentimenti di ansia e di insicurezza prodotte dal pericolo di perdere ciò che si ha. Ciò cela la

151 Dalla teoria della decrescita molte iniziative, che investono la sfera ecologica, sociale, politica e culturale hanno preso vita come i Distretti di Economia Solidale (una rete in cui i soggetti partecipanti si aiutano a vicenda per soddisfare quanto più possibile le proprie necessità di acquisto, vendita, scambio e dono

di beni, servizi e informazioni, secondo principi ispirati da

un'economia locale, equa, solidale ecosostenibile), l'agricoltura biologica, la permacultura, i Gruppi di Acquisto Solidale,la difesa dei territori e dei beni comuni, il risparmio energetico, il consumo critico,il cohousing e il car pooling.

credenza che la felicità sia subordinata alla superiorità, materiale, sugli altri.

Per Freud, l‟orientamento al possesso si manifesta nel periodo che precede la maturità e lo considera patologico se diventa permanente: la persona adulta che nutre un profondo interesse per il possesso e l‟avere è un individuo nevrotico.

È curioso, ci dice Fromm, notare come, in tedesco, la parola überdruss, sazietà, ovvero verduss, nausea, deriva dal verbo verdriessen che

significa dare fastidio, ciò che dà noia, nausea. Nel linguaggio è celata l‟idea che la sovrabbondanza può generare noia e nausea e portare all‟odio.

È curioso notare come inoltre molti maestri di vita, si sono scagliati contro il possesso: il Buddha lo vede come un ostacolo al

raggiungimento del supremo stadio di sviluppo umano, Gesù predicava povertà materiale ma ricchezza di spirito152, Marx propone come meta dell‟agire umano quella di essere molto, non già di avere molto. Cambiare direzione quindi, dal culto dell‟avere allo sviluppo dell‟essere153

. Sono dunque necessari una nuova etica e un nuovo

152 Cfr ad esempio Luca VI, 20; IX, 24-25; XII 33 e sgg; Matteo V, 3; VI, 19-21 153 Numerosi studi (Cfr. Kasser T., The high price of materialism) dimostrano che

gli individui più materialisti sono meno prodighi e generosi nei rapporti con gli altri, sono meno inclini e “mettersi nei panni degli altri” e hanno meno

atteggiamento verso la Natura, intesa in senso totalizzante; una nuova società è possibile se e solo se si verifica lo sviluppo di questo nuovo essere umano conscio dei limiti e dei risvolti della società capitalistico- tecnologica, un nuovo individuo orientato sull‟essere, un uomo

responsabile e rispettoso per ciascun essere umano e per il pianeta.