• Non ci sono risultati.

2. La produzione artistica nel feudo di Fondi tra XIV e XV secolo 1 Stato degli stud

2.2 Fondi, centro politico e culturale sotto i Caetani fra Roma e Napoli 1 Roffredo III (1299 – 1336), l’edificazione del palazzo baronale e la sua decorazione.

2.2.3 Onorato II (1441 – 1491): un mecenate del Rinascimento 1 Il palazzo

2.2.3.3 Artisti e botteghe a corte

La prima commissione certa di Onorato II a Fondi è il monumento sepolcrale del padre Cristoforo, morto nel 1441, cui egli successe nel titolo di comite fundorum e protonotario e logoteta del Regno. Ciò è ricordato dalla epigrafe sulla tomba conservata nella cappella Caetani della chiesa di San Pietro di Fondi: CHRISTOPHOROR HEC HONORATUS AC[R]I MONUM[EN]TA PARE[N]TI ER[E]XIT POSUITQUE SUO DE NOMI[N]E SIGNA CAIETANA DOMUS REGNI LOGOTHETA COMESQ[UE] FUNDORUM ATQUE ARMIS TIT[U]LUS LUSTRAVIT UTRU[M]QUE461. Sulla fronte del sarcofago, sostenuto da tre Virtù (Forza, Carità e Prudenza), è raffigurato S. Onorato che presenta il conte Cristoforo alla Vergine, con ai lati le figure dei Santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Caterina d’Alessandria e Lucia. Sopra il sarcofago due angeli scoprono le cortine

455

ADG. In questi anni ne è commendatore un certo Giuseppe Melucci (Macaro, op. cit., p. 50). L’ultimo commendatore di San Giovanni Gerosolimitano a Fondi fu Luigi Capece Minutolo eletto nel 1889 (Amante – Bianchi, Memorie storiche, p. 323).

456 Conte Colino, Storia di Fondi, p. 201.

457 Archivio storico Soprintendenza BAP Lazio, Fondi, 7920, S. Giovanni Gerosolimitano,1978-1979: la SML

sospende lavori edili in proprietà Luigi Conte eseguiti sui resti della chiesa di San Giovanni Gerosolimitano, ormai ridotta a magazzino; essi erano stati autorizzati nel 1971 dal Comune di Fondi in assenza di vincolo di monumentalità, con licenza edilizia n. 972 del 21 gennaio incompatibile con la conservazione e il carattere del Mausoleo romano vincolato adiacente al sito in questione. Un documento non datato redatto dalla SAAL ricorda che l'edificio non è vincolato quindi non è possibile intervenire direttamente sul progetto di ampliamento da parte del proprietario Luigi Conte; le opere di ristrutturazione avviate hanno alterato l'impianto della chiesa tanto che allo stato attuale non si ravvisano più i requisiti per porre l'edificio sotto tutela. La licenza rilasciata dal Comune è incomprensibile poiché, anche se non vincolato, a quella data l'edificio presentava particolare interesse storico-artistico.

458 «In icona S. Jo(hann)is Baptistae ad Pontem Silicem, extra prope Fundarum civitatem: Honorati Caietani

sumptibus 1479. Insigne habent aquilam auream etc (…)» (C. Caetani, ms. 104, f. 394).

459 Floridi, op. cit., p. .

460 ADG, Visita Calcagnini, 9 luglio 1768, f. 277v.

461 Onorato eresse questo monumento a Cristoforo fiero genitore, e la Casa caetana pose le insegne del proprio

nome, Logoteta del Regno e Conte di Fondi, anche con l’armi rese illustre l’uno e l’altro titolo (Pacia, La scultura, p. 83).

75

per mostrare la figura del defunto giacente entro una cella. Sopra di essa è posto il Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni. Come già rilevato da Pacia, lo schema della tomba di Fondi deriva ancora dal tipo a camera introdotto da Tino di Camaino e largamente diffuso a Napoli nel corso del Trecento462. Il modello più diretto sembra essere il monumento Sanseverino nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo a Napoli, detta cappella di Santa Monica, eseguito da Andrea da Firenze dopo il 1433. In particolare, lo scultore di Fondi ne riprende la struttura della parte interna, escludendo il grande arco con figure di santi entro nicchie e apportando alcune varianti, la più rilevante delle quali è l’inserimento dei leoni che sorreggono le Virtù463. La studiosa rilevava inoltre la coesistenza di elementi arcaici e riferimenti a modelli già pienamente rinascimentali nelle diverse parti scultoree dell’opera di Fondi; ciò non ha compromesso l’armonia del monumento, il cui schema generale e i caratteri formali lo rendono ancora tardogotico464. In particolare, gli elementi arcaici dei rilievi della fronte del sarcofago appartengono certamente ad una realizzazione più antica. Pacia ha dunque ipotizzato che le due coppie di santi ai lati e l’angelo reggivelo a sinistra siano appartenuti ad un sarcofago trecentesco forse proveniente da un sepolcro di un altro membro della famiglia Caetani465. Riutilizzandolo, lo scultore quattrocentesco ne ha però sostituito la parte centrale

462 Pacia, La scultura, p. 83. I protagonisti della scultura a Napoli e nell’Italia meridionale nel Trecento angioino

sono stati certamente i seguaci di Tino da Camaino: l’ambiente artistico della capitale angioina dopo l’intervento del maestro senese ne reca ovunque i caratteri, anche se legati ad altre esperienze e quasi dissolti, ma pur sempre presenti, nel tessuto culturale proprio ad ogni singola opera (Savarese, Tre Madonne napoletane, p. 3). L’artista toscano, soprattutto negli ultimi anni di attività viste le importanti commissioni, dovette avere una bottega numerosa con cui collaborava strettamente; infatti, molte opere da lui firmate mostrano una mano diversa anche se guidata da lui (ibidem). Non è da escludere che i componenti di tale bottega, in gran parte senesi, siano rimasti a Napoli dopo la sua morte (ibidem). Il gusto senese, favorito dagli angioini, è dilagante dopo il secondo decennio del secolo in tutto il Mezzogiorno soprattutto nella capitale (si veda anche la presenza di Simone Martini a corte). Il linguaggio senese di Tino a Napoli si arricchisce di termini gotici che, rispondendo al gusto degli angioini, gli vengono mediati dai pittori senesi contemporanei piuttosto che dall’osservazione diretta della scultura francese (ibidem). Soprattutto nei lavori della bottega, quando non troviamo ripetuta certa monumentalità del maestro, le forme si assottiglino perdendo agilità, mentre gli schemi tratti da Tino si fanno talvolta grossolani (ivi, p. 4). Dopo questa lunga fase, sebbene poco si conosca del periodo della storia artistica napoletana negli anni compresi tra gli ultimi decenni del XIV secolo e i primi del successivo (vuoi per mancanza di documenti, per scomparsa di tante opere, frammentarietà e mediocrità di quelle pervenute) risulta tuttavia evidente che Napoli non resta esclusa dalla fioritura del gotico internazionale diffuso in tutta Europa (ivi, p. 7). Dalle sedi di questo rinnovamento culturale ed artistico (Francia, Borgogna, Fiandre, Ungheria, Aragona) confluirono a Napoli correnti militari, diplomatiche e mercantili che apportavano novità artistiche, artigianali e perfino di abbigliamento (ibidem). Nella estrema fase della dinastia angioina, l’ultima personalità di artista che emerge ed opera nei primi del Quattrocento prima dell’inizio della successiva fase “rinascimentale” è l’abate Antonio Baboccio da Piperno che al tempo di Ladislao di Durazzo giunge a Napoli con una maestranza di marmorari laziali. Toesca dà notizia della presenza a Napoli di maestri d’oltralpe nei maggiori centri italiani ed anche a Napoli già verso al fine del Trecento, ma per Savarese i contatti tra gli artisti stranieri e quelli napoletani furono diretti solo in pochi casi; furono semmai proprio i marmorari di Piperno che dopo la metà del XIV secolo diffusero a Napoli le forme plastiche francesi che essi stessi avevano indirettamente conosciuto nei luoghi dei cistercensi (ibidem). La presenza a Fondi di questa prima fase trecentesca riferibile a Tino di Camaino è testimoniata dal monumento di Cristoforo ma anche dall’edicola della ex cattedrale di San Pietro dove il santo è scolpito: opera che si lega evidentemente alla produzione del maestro toscano a Napoli (si veda anche: ).

463 Pacia, op.cit., p. 83. 464 Ibidem.

465

Pacia propone che il monumento sia stato eseguito non in loco, a Napoli ad esempio, e poi montato a Fondi, oppure lasciato incompiuto per l’improvvisa partenza o morte del maestro: infatti la base della cella è priva di

76

che raffigura S. Onorato nell’atto di presentare Cristoforo alla Vergine. Un confronto tra i due angeli reggivelo ai lati della Madonna dimostra tale divario stilistico e il distacco cronologico tra le due parti del rilievo466. Il maestro del monumento Caetani, quasi certamente formatosi in una cultura tardogotica, guarda con vivo interesse ai primi capolavori della scultura rinascimentale. Egli conosce bene, ad esempio, le figure delle Virtù del monumento Brancaccio in Sant’Angelo in Nilo a Napoli, eseguito da Michelozzo nel 1431, che riprende soprattutto nel modulo iconografico mentre le rende più leggere e slanciate mantenendo una forma stilistica tardogotica467. Nonostante le incongruenze stilistiche e i danni subiti468, l’opera è databile agli anni immediatamente successivi alla morte del conte Cristoforo avvenuta nel 1441 ed è l’esemplare più insigne di scultura funeraria del tempo nell’area del basso Lazio469.

Sempre influenzata dalle vicende artistiche napoletane, Fondi fu presto investita di quel clima internazionale dovuto ai lavori nella fabbrica di Castelnuovo promossi da Alfonso I (1449-1458) che fu il principale fulcro d’irradiazione artistica nella capitale come nelle altre terre del Regno470. A Napoli il Rinascimento giungerà solo in età aragonese471. Il rinnovamento culturale e la fioritura delle lettere e delle arti che si ebbero a Firenze circa trent’anni prima si avranno nella capitale meridionale soltanto verso la metà del Quattrocento, quando le dolorose vicende delle lotte di successione tra angioini e aragonesi saranno ormai lontane472 e con la corte rinascimentale di Alfonso il Magnanimo si determinerà un nuovo clima politico473. Anche a Napoli le vicende artistiche e architettoniche vedono come termine fondamentale di paragone il mondo toscano, in particolare quel lungo processo di trasformazione che si apre con le prime sperimentazioni innovatrici di Brunelleschi, Masaccio e Donatello a Firenze474. I rapporti tra Napoli e la Toscana – basati anche su fondamenti economici, non solo culturali e che sussiste già nel corso del Trecento, come dimostra la precoce presenza di artisti toscani a Napoli già in età angioina475 – si incrementano in età

ornati e la forma dell’epigrafe è scorretta. L’ipotesi della morte del maestro spiegherebbe meglio l’utilizzo dei frammenti del vecchio sepolcro trecentesco certamente reperiti in loco (Pacia, op.cit., p. 87).

466 Ivi, p. 85. 467 Ivi, p. 87. 468 Pane, Il Rinascimento, pp. 147-149. 469 Pacia, op.cit., p. 88.

470 Vasco Rocca, Il palazzo baronale, p. 27.

471 Carelli, Elementi architettonici durazzeschi, p. 35.

472 Il ritardo culturale fu principalmente dovuto alle sanguinose lotte politiche e militari dei decenni precedenti,

durante il regno dell’ultima durazzesca Giovanna II (1414-1435).

473 Venditti, Architettura catalana a Napoli, p. 27. Intorno al sovrano sono una straordinaria corte di umanisti

(Antonio Beccatelli, Bartolomeo Facio, Lorenzo Valla, Giovanni Crisolora, Porcellio Pandone, Giannozzo Manetti). L’importanza di Napoli come centro culturale è confermata dalla fondazione dell’Accademia, la prima in Italia, destinata ad assumere ruolo maggiore sotto Ferrante ad opera del Pontano (Ibidem). Di venditti si veda anche sugli stessi temi Venditti, Presenze ed influenze catalane nell’architettura napoletana del Regno d’Aragona (1442-1503), in “Napoli Nobilissima”, XIII, Napoli 1974, pp. 3-21.

474 Venditti, Architettura catalana a Napoli, p. 27.

475 Simone Martini nel 1317, Tino di Camaino nel 1325, Lando di Pietro dal 1339, Giovanni e Pacio Bertini che

tra il 1343 e il 1345 esegue il monumento di Roberto d’Angiò, Marco e Andrea da Firenze che nel 1414 realizzano il monumento a Ladislao di Durazzo e begli anni Trenta il monumento di Gianni Caracciolo; infine l’opera realizzata a Pisa da Michelozzo e Donatello per il sepolcro di Rainaldo Brancaccio tra il 1426 e il 1428 (ibidem). Cfr. nota 462.

77

aragonese, a partire dal regno di Alfonso ma soprattutto con il suo successore Ferrante grazie all’operato del duca di Calabria Alfonso, delegato del padre alle opere pubbliche476. Gli aragonesi dopo la conquista di Napoli vollero certamente attuare le riforme politiche e amministrative ma anche mutare l’indirizzo artistico. Il nuovo gusto della corte non aderiva esclusivamente alle novità toscane, bensì coesisteva con una forte tendenza specificamente iberica; per l’ambiente artistico napoletano infatti assume particolare rilievo la presenza di artisti catalani chiamati a Napoli da re Alfonso sin dai suoi primi anni di regno477. Come rilevato da Venditti, proprio l’esperienza di Castelnuovo, la reggia che Alfonso volle ricostruire in forma totalmente nuova sulle rovine di quella della dinastia angioina segnandone l’ingresso con un arco trionfale celebrativo della magnificenza aragonese, è indicativa del contributo dei maestri catalani in rapporto all’ambiente locale478. Dall’incontro tra le maestranze durazzesche già attive a Napoli e quelle catalane nacque un linguaggio che sebbene carente di una rigorosa unità stilistica si sviluppò su vasta scala fino a configurarsi con una certa autonomia di gusto479. Infatti, piuttosto che nella capitale il cui aspetto si è alterato nel tempo, le testimonianze di quel periodo dell’arte che comunemente si dice catalana, ma che in molti casi si identifica in soluzioni tardo-gotiche di origine locale, si possono cogliere in svariati centri periferici della Campania settentrionale (soprattutto Carinola) e del basso Lazio dove si evidenziano elementi scultoreo-decorativi introdotti dai maestri maiorchini480. La morte di Alfonso nel 1458 segna una battuta di arresto per la presenza dei catalani a Napoli, poiché essi tornano in patria a seguito della guerra tra Ferrante I e Giovanni d’Angiò che si concluse solo nel 1465 con la vittoria aragonese481. Un secondo momento di ascendenza iberica si verifica a partire dal 1465 quando i lavori nella reggia napoletana vedono di nuovo impegnati i maestri catalani tornati a Napoli482. Una importante personalità dell’epoca è Matteo Forcimanya, probabilmente maiorchino, documentato a Napoli già prima del 1467 quando veniva richiamato a Maiorca per la fabbrica dell’Ospedale Generale483. L’incarico più rilevante a Napoli fu il restauro murario della cappella palatina di Santa Barbara in Castelnuovo, danneggiata dal terremoto del 1456, per la quale tra il 1469 e il 1470 realizzò il rosone traforato con intrecci di volute e poliboli lanceolati di gusto

476 Venditti, Architettura catalana a Napoli, p. 28.

477 Carelli, op.cit., p. 35 e Venditti, op.cit., p. 28. Come per i toscani, a Napoli c’era già una notevole comunità

di catalani in età angioina (Venditti op.cit., p. 28).

478 Ivi, p. 30. Anche se probabilmente già nel 1446 il re si rivolgeva a Guglielmo Sagrera per la direzione dei

lavori dell’arco, i documenti esaminati da Riccardo Filangieri di Candida indicano Sagrera come capomastro per l’opera di Castelnuovo a partire dal 1450 e sino al 1454, quando l’artista muore e la sua opera viene continuata dal figlio Giacomo, dal cugino Giovanni a dagli architetti Trescoll, Gerra e Casamuri. Se Sagrera è il più grande architetto operante a Napoli sotto Alfonso d’Aragona, il maggiore scultore fu Pere Johan attivo dal 1450 al 1458 nello stesso cantiere (ivi, pp. 30-31).

479 Carelli, op.cit., p. 35. 480 Ibidem.

481 Venditti, op. cit., p. 30.

482 Vasco Rocca, Il palazzo baronale, p. 29.

483 Ibidem. Trasferitosi a Napoli intorno al 1460 aveva lavorato per la corte aragonese per circa otto anni salvo la

breve parentesi maiorchina; ma la sua attività è poco nota. Egli protrae ben oltre l’esperienza di Castelnuovo (1453-1467) quella tradizione tardogotica in cui coesistono forme classicheggianti-rinascimentali e di gusto flamboyant tipica della cultura artistica napoletana quattrocentesca (ivi, p. 30).

78

flamboyant484. Proprio questo lavoro è stato il termine di paragone per attribuirgli le decorazioni delle mostre delle finestre ed altri elementi decorativi nel palazzo Caetani di Fondi: gli elementi architettonico-decorativi dell’edificio, intagliati in pietra tenera con fantasiosa varietà ed effetti di intenso pittoricismo, riconducono in ogni caso a quell’ambito culturale di cui Forcimanya costituiva all’epoca il rappresentante più celebre. Forcimanya è documentato in Castelnuovo ancora tra il gennaio 1471 e il giugno 1474 quale mestre pedrapiquer e capmestre485. Gli interventi nel palazzo di Fondi risalgono probabilmente allo stesso periodo in cui l’architetto dirigeva gli ultimi lavori della reggia sicché come suppone Filangieri è probabile che il re lo concedesse al suo fedele protonotario486. In ogni caso è certo che Forcimanya lavorò a Fondi dopo il 1466, infatti le decorazioni a lui attribuibili recano tutte lo stemma Caetani partito con le insegne d’Aragona487. Stilisticamente la decorazione di Fondi presenta un robusto e sintetico modellato, un gusto esoticheggiante e «cortese» delle raffigurazioni, rara ed interessante rielaborazione in chiave locale di elementi angioino- durazzeschi con altri desunti da Sagrera488. Alla cerchia del Forcimanya, sono attribuibili, secondo Roberto Pane per primo489, le decorazioni di un portale e due finestre del chiostro del convento domenicano di Fondi. Sia la finestra rettangolare con fiori quadrilobati a traforo che la cornice della porta a cordoli di pietra su mensolette terminanti in un fiocco, come pure la mostra archiacuta dell’altra finestra, richiamano gli analoghi elementi del palazzo Caetani. L’epoca degli interventi di Onorato nel chiostro, documentati attorno al 1474490, coincide infatti con i lavori del maestro maiorchino nel palazzo baronale di Fondi.

A Castelnuovo aveva lavorato anche Domenico Gagini. A questo artista gli studiosi, per primo Negri Arnoldi491, hanno attribuito unanimemente il rilievo conservato presso il Museo Civico di Fondi proveniente dalla chiesa extra urbana di Santa Maria del Soccorso. L’opera di Fondi presenta caratteri stilistici e compositivi riferibili alle primissime opere siciliane di

484

Vasco Rocca, Il palazzo baronale, p. 30. Fu proprio Forcimanya il 20 aprile 1474 a porre nella lunetta del portale della cappella palatina la Madonna con il Bambino di Francesco Laurana per cui il maestro dalmata fu pagato dalla Tesoreria aragonese il 26 marzo 1474 (Novak, Laurana, in DBI, p. ; riporta la notizia data da Kruft, 1995, pp. 120, 374, 399, doc. XIII).

485 Vasco Rocca, op. cit., p. 30. Nel 1473 il maestro maiorchino si reca a Gaeta e Sessa per volere del re per

lavori non meglio precisati (ivi, p. 31).

486 L’attribuzione non è basata su elementi documentari. 487 Cfr. primo capitolo.

488 Vasco Rocca, op. cit., pp. 39-41. Per un approfondimento dell’analisi stilistica vedi Vasco Rocca che analizza

le decorazioni delle singole finestre (ivi, pp. ). Allo stesso ambito “flamboyant”, se non allo stesso artista, sono da attribuirsi i battenti lignei del palazzo Diomede Carafa (Venditti, op. cit., p. 31). La notevole somiglianza nel disegno e nel motivo decorativo permette di attribuire a questo stesso maestro la realizzazione di una finestra a transenna traforata che adorna la facciata sud di Palazzo Novelli a Carinola (Vasco Rocca, op. cit., p. 38 e i saggi di Venditti e Vidal in Palazzo Novelli a Carinola. La storia, il rilievo, il restauro, a cura di C. Cundari, Roma 2003). Tutti questi lavori si somigliano sia nella struttura (il motivo della doppia cornice, l’archeggiatura a bilanciere, i sostegni molteplici) sia nel repertorio decorativo (foglie distaccate, ventagli di sbaccellature, intrecci vegetali, quadrilobi includenti fiori) cfr. Vasco Rocca, op. cit., p. 38.

489 Pane, op. cit., I, p. 169. 490

Amante – Bianchi, op. cit., p. : già in Vasco Rocca, op. cit., p. 58.

491

79

Gagini492, elementi formali e iconografici che ne indicano la antica cronologia all’interno del percorso artistico del maestro lombardo e ne documentano un momento di passaggio493. Questi caratteri stilistici tipicamente gagineschi sono altresì affiancati da «uno sviluppo volumetrico delle forme in senso dinamico e pittorico»494 a lui inconsueto. Dunque, la matrice lombarda dell’arte di Gagini da sola non basta a spiegare l’opera di Fondi495. Secondo Negri Arnoldi, egli ha mantenuto la descrizione analitica di capelli, occhi e bocca, ma il volto della Madonna ha i lineamenti meno dolci rispetto alle più tarde opere napoletane di Gagini, ha il viso più pieno e con una forte mascella, la fronte bombata, elementi che si possono spiegare solo con una momentanea e contingente suggestione dell’arte di Laurana, dall’influenza del quale Gagini è generalmente immune496. Il legame con la tradizione protorinascimentale fiorentina è mostrato soprattutto dai caratteri iconografici dell’opera. Lo schema iconografico è ripreso infatti dalla Madonna Piccolomini, soggetto noto in numerose copie e derivazioni i cui prototipi sono stati alternativamente individuati nell’esemplare del Louvre o in quello della raccolta Chigi-Saracini di Siena497. Quello di Fondi, nonostante la derivazione dal modello, è l’unico tra questi esemplari che presenta una rielaborazione personale e caratteri stilistici chiaramente individuabili498. Tutti questi elementi suggeriscono la datazione del rilievo di Fondi intorno al 1458, epoca in cui Gagini lavorava nel cantiere di Castelnuovo a Napoli con il Laurana e altri scultori499. Ciò ha indotto per primo Negri Arnoldi500 ad individuare in un membro della famiglia Caetani il probabile donatore dell’opera alla chiesa di Santa Maria del Soccorso dove sino al 1917 era esposta501. Dai documenti antichi emergono tracce delle relazioni della famiglia Caetani con la chiesa di Santa Maria del Soccorso502 e la proposta di una committenza Caetani del rilievo di Gagini, forse legata ad uno dei tanti soggiorni napoletani di Onorato II in quel giro di anni, è assai plausibile. Ma è anche possibile che l’acquisto Caetani sia avvenuto in tempi successivi alla data proposta per

492 Specie nella soluzione compositiva e nel tipico trattamento del panneggio la Madonna di Fondi è vicina alle

prime opere dell’artista, quali ad esempio il S. Antonio Abate e la Madonna della chiesa di San Francesco a Palermo (Negri Arnoldi, Introduzione, p. ).

493

Negri Arnoldi, Aggiunte a Domenico Gagini, p. 98. Sul maestro lombardo si veda: bibliografia. In particolare, sulla sua attività in Meridione cfr. bibliografia.

494

Negri Arnoldi, Aggiunte a Domenico Gagini, pp. 98-99.

495 Ivi, p. 99.

496 Ivi, pp. 99-100. Si vedano le Madonne della cappella palatina in Castelnuovo e della chiesa di Santa Maria

Materdomini a Napoli (Negri Arnoldi, Introduzione, p. ). Soprattutto nella definizione volumetrica della testa la Vergine di Fondi si può confrontare con la Madonna di Laurana in Castelnuovo. Esse si differenziano molto però per la resa analitica del Gagini contro la sintesi plastica di Laurana (Negri Arnoldi, Aggiunte a Domenico