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2. La produzione artistica nel feudo di Fondi tra XIV e XV secolo 1 Stato degli stud

2.2 Fondi, centro politico e culturale sotto i Caetani fra Roma e Napoli 1 Roffredo III (1299 – 1336), l’edificazione del palazzo baronale e la sua decorazione.

2.2.3 Onorato II (1441 – 1491): un mecenate del Rinascimento 1 Il palazzo

2.2.3.2 Committenze per le chiese

La nuova chiesa di San Domenico di Fondi

«(…) Et ritornando alla Piazza [santa Maria] se ritrova l'altra strada detta del Campanile, per la quale a derittura s'incontra l'altra strada, che viene dalla Porta del Vescovo, a l'incontro la quale vi è il convento de' Padri Domenicani, accosto la muraglia della città, con chiesa de mediocre grandezza (…)»308.

Nel luogo dove nel XV secolo sorgeva il complesso conventuale dei domenicani di Fondi oggi rimangono la chiesa rinascimentale che si deve al mecenatismo di Onorato II Caetani, sconsacrata e adibita dal Comune ad Auditorium, una chiesetta più piccola e di più antiche origini, di recente ritrovamento, adiacente al chiostro rinascimentale che delimita gli edifici,

303 Vasco Rocca, Il palazzo baronale, pp. 37-38. 304 Ivi, p. 38.

305 Ibidem. Per una analisi degli influssi dell’arte catalana nel Quattrocento meridionale e dei rapporti con altri

centri della Campania settentrionale e del Lazio meridionale cfr. Ivi, pp. e relativa bibliografia.

306 Inventarium 1491. 307

Toscano, La regione artistica di Ninfa, p. 188.

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ancora in restauro, che fino al 1997 hanno ospitato l’ospedale di San Giovanni di Dio e dove un tempo dimoravano i monaci. Sul complesso domenicano di Fondi nulla di certo sappiamo riguardo l'epoca della fondazione, risalente probabilmente a tempi antichissimi. Dunque la data di edificazione della sua chiesa originale è ignota. Essa era tradizionalmente identificata con quella citata nei documenti come Sancta Maria iuxta Anphiteatrum Civitatis Fundanae perché edificata sulle rovine dell'antico anfiteatro romano. Recenti ricerche e ritrovamenti archeologici hanno permesso di escludere che l’anfiteatro fosse localizzato in quest’area309. Del complesso che fu dei domenicani si hanno notizie a partire dal 1209 quando sembra che in questa zona una chiesa e un chiostro fossero tenuti dai benedettini310 i quali, nel 1215, li cedettero ai domenicani che forse in quel giro di anni dovettero insediarsi a Fondi. Questi dati sono riportati in una memoria settecentesca conservata nell’Archivio Generale dell’Ordine dei Predicatori firmata dal priore Tommaso Maria De Marinis311. Il documento, che ha una sua fonte antica non dichiarata, si compone di un capitolo sulla fondazione e sulle vicende del convento domenicano di Fondi fino al 1675 e di una seconda parte relativa alle messe celebrate ogni anno per i benefattori defunti. La memoria del De Marinis non accenna alle note visite di papa Benedetto XIII a Fondi nel 1727; ciò permette di datare il suo contributo anteriormente a questa data. Il priore, cercando di avvalorare tradizioni orali che non hanno ancora trovato un riscontro documentario, scriveva che il convento dei benedettini fu da loro donato direttamente a San Domenico, il quale vi abitò e lo restaurò insieme al conte Ruggero II Dell’Aquila. Dunque, egli sosteneva che la possibilità di una fondazione del complesso domenicano di Fondi nel 1292 per volere di Nicolò IV – come riportato da alcune fonti ufficiali dell’Ordine – non poteva ritenersi corretta dato che San Tommaso d’Aquino (morto nel 1274) vi dimorò e insegnò per alcuni anni. Una tradizione lunga secoli questa, non sostenuta dalle fonti scritte. Una iscrizione posta all’ingresso della cosiddetta cappella di San Tommaso del complesso di Fondi, risalente al XIX secolo312, rappresenta l’altra notizia che vede il Santo Aquinate, oltre a dimorare a Fondi, esercitare l'ufficio di lettore:

HIC DOCTOR ANGELICUS PRAECEPTIS EXEMPLO MONITIS

LITTERAS MORES FIDEM

DOCUIT PERFECIT FIRMAVIT313

È assai probabile che Tommaso dimorasse a Fondi, nonostante i suoi continui viaggi, quando dovette rispettare i suoi doveri di esecutore testamentario del conte Ruggero II, suo cognato;

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La tesi proposta da F. Notarianni che sull’antica chiesa citata nei documenti con il titolo di Sancta Maria iuxta amphitheatrum sorgesse la chiesa del complesso domenicano è oggi ritenuta insostenibile poiché essa è da identificare con l’attuale S. Maria Mater Domini extra moenia in prossimità dell’area dell’anfiteatro romano, recentemente individuata in’altra zona di Fondi, ad occidente (Cfr. Pesiri, La chiesa di San Domenico, p. 133 e Quilici-Quilici Gigli, Architettura pubblica e privata, p. 289).

310 Nel 1209 Roberto di Piperno monaco e priore di Fossanova fu nominato vescovo di Fondi da papa Innocenzo

II, carica da lui ricoperta fino al 1227 (cfr. Iudicone, La chiesa di San Domenico, p. 21).

311 Pesiri, S. Tommaso d’Aquino, pp. 44-55. 312 Pesiri, La chiesa di San Domenico, p. 133. 313

«Il dottore Angelico in questo luogo elaborò ed insegnò la dottrina e i costumi, confermò la fede con il precetto, l’esempio, il monito»( Iudicone, op. cit., p. 89).

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non si potrà invece dar credito all’attività di insegnamento del santo a Fondi finché non si dimostrerà l’effettivo insediamento dei domenicani in questa città prima del 1274314. Un’altra iscrizione moderna ricorda che le spoglie di Tommaso d’Aquino furono traslate dal monastero di Fossanova, dove egli morì nel 1274, a Fondi per volere di Onorato I315. In seguito alla storica contesa tra diverse città ricordata dalle fonti, papa Urbano V nel 1368 decise che le spoglie fossero condotte a Tolosa:

HAC IN AEDE CORPUS DIVI THOMAE AQUINATIS EX MONASTERIO FOSSE NOVAE

ALIQUANDIU QUIEVIT ET POSTEA URBANO V SUMMO PONTIFICE REGNANTE THOLOSAM

FUIT TRANSLATUM316

I lavori di restauro del complesso monumentale eseguiti a partire dagli anni Novanta del secolo scorso hanno permesso di confermare che la chiesa eretta da Onorato II non era quella originale del complesso in cui si insediarono i domenicani. Adiacenti al chiostro e perpendicolari alla chiesa rinascimentale vi erano tre ambienti separati e una cappella, detta cappella di San Tommaso – fuori della quale sono riportate le iscrizioni moderne suddette – che i lavori hanno restituito al volume originale, unico, di una chiesa più antica, probabilmente già dei benedettini. I quattro ambienti prospicienti il lato sud del chiostro rinascimentale, corrispondenti a quella che prima dei lavori si riteneva l’aula capitolare creata dagli interventi di ammodernamento promossi da Onorato II, sono stati ricavati dall’utilizzazione di una chiesa preesistente a navata unica con volte a vela. La sua porta di ingresso si trova sulla parete ovest, rispetto all’attuale chiostro, dove è anche poggiato il campanile. La possibilità della edificazione di quest’ultimo contestualmente all’edificio riscoperto risolverebbe le perplessità che gli studiosi hanno sempre espresso sulla sproporzione delle sue dimensioni rispetto a quelle della chiesa quattrocentesca. Nella zona del presbiterio, orientata ad est, era stata ricavata la cappella di San Tommaso dove furono seppellite momentaneamente le sue spoglie. La chiesa ‘piccola’ conserva resti di una importante decorazione di epoca assai più antica rispetto ai lavori di Onorato II. Dunque le tre pareti divisorie che hanno realizzato le stanze di quella che era creduta l’aula capitolare e la cappella suddetta, i cui ingressi affacciano sul chiostro, sono superfetazioni che i responsabili degli ultimi restauri hanno voluto documentare lasciando in evidenza la sovrapposizione dei sostegni delle volte postume sulle antiche mura. L’insediamento benedettino che nel 1215 dovette essere donato ai domenicani si svolgeva dunque tra l’antica cinta muraria e la chiesa ritrovata. Gli elementi architettonici, scultorei e pittorici rinvenuti nella chiesa originale del complesso ha permesso una periodizzazione molto articolata. All’epoca altomedievale appartengono resti di decorazione risalenti ai secoli VII-X che confermano le antichissime

314 Pesiri, La chiesa di San Domenico, p. 133. 315 Cfr par. 2.2.2.

316 «Il corpo di San Tommaso D’Aquino già [sepolto] nel monastero di Fossanova, riposò alquanto in questa

cappella, dopo di che, per disposizione del pontefice regnante Urbano V, fu traslato a Tolosa» (Iudicone, op. cit., p. 90).

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origini del complesso che fu dei benedettini: frammenti di bassorilievo che si vedono nella chiesa minore, entrando a sinistra, nella parete adiacente alla base del campanile; una parte di altare conservata nel Museo Civico di Fondi proveniente dalla stessa chiesa; infine, i bassorilievi presenti nel lavabo riutilizzato nella chiesa di San Domenico. Un’ampia fase testimoniata da elementi architettonici e da lacerti di affreschi riguarda i secoli XI-XIV [approfondire l’analisi iconografica e stilistica?]. Le volte a vela ‘impiantate’ su preesistenti strutture e il portale e le finestre che affacciano sul braccio settentrionale del chiostro, attribuibili a Matteo Forcimanya e alla sua cerchia, risalgono al XV secolo. Infine, due fasi più recenti riguardano le pareti di chiusura degli archi e gli stucchi nella cappella San Tommaso (XIX), e l’altare in marmo e il pavimento della stessa cappella (XX). Dunque il complesso che ereditarono i domenicani doveva comporsi nel XV secolo di una chiesa a navata unica, un campanile, un chiostro – per cui è stata proposta una posizione speculare a quella del chiostro rinascimentale317 – e da un primo corpo di fabbrica adibito a monastero318.

Parzialmente ricostruito l’aspetto medievale del complesso conventuale, non si hanno notizie su eventuali interventi dovuti al conte Onorato I Caetani responsabile della traslazione delle spoglie di San Tommaso D’Aquino a Fondi319; abbiamo però la certezza che la nuova chiesa di San Domenico rientrò nel complesso progetto che coinvolse gli edifici civili e religiosi più importanti della città, voluto da Onorato II nella seconda metà del Quattrocento. Si trattò dunque di una edificazione ex novo della chiesa, posta in asse con il braccio sud di un cardine minore dell’Appia, che descriveva un angolo retto con la sostituita e solo da poco recuperata chiesa originale del complesso; e pure, del rifacimento o della costruzione del chiostro320, nel suo evidente aspetto rinascimentale, e di un ampliamento degli edifici del convento che oggi lo delimitano. Nonostante gli innumerevoli rimaneggiamenti subiti nei secoli dalla chiesa, essa ha mantenuto alcuni aspetti della committenza del conte Caetani datata 1466, come ancora oggi si legge sul portale maggiore. Costituito da stipiti lavorati, il portale è sormontato da un architrave poggiante su mensole scolpite con volute e motivi vegetali e floreali, a sua volta sovrastato da un timpano a semicerchio anch’esso profilato in pietra. Al centro dell’architrave fu posto il nuovo stemma Caetani d’Aragona ed è riportata l’iscrizione dedicatoria dei lavori:

HOC OPVS FIERI FECIT ILLMVS ET EXCMVS DNVS D. HONORATUS

GAYTANVS SECVNDVS. PRIMVS DICTVS DE ARAGONIA, COMES FVUNDORVM. LOGOTHETA ET PROTHONOTARIVS REGNI SICILIAE. AD HONOREM DEI

BEATAE MARIAE ET BEATI PATRIS NOSTRI DOMINICI SVB ANNO MCCCCLXVI DIE. XII MAII XIIII IND.321

Al di sopra del portale maggiore, un rosone centrale con cornice in pietra dà luce alla navata principale insieme a sei finestre ad arco acuto con doppia strombatura poste all’altezza del

317 L’ipotesi degli architetti responsabili dei restauro è che tra la chiesa e le mura, a nord esistesse il chiostro

originale (cfr. La chiesa di San Domenico, p. 131).

318 Per approfondimenti sulle recenti acquisizioni in seguito ai lavori di restauro vedi Ivi, pp. 130-135. 319 Cfr. par. 2.2.2.

320

Cfr. nota 317.

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claristorio. All’interno la chiesa è costituita infatti da due navate divise tra loro da una cinta muraria interrotta da tre archi ogivali scaricanti su setti a sezione rettangolare costituiti da blocchi di pietra squadrati, probabile materiale di recupero di antiche costruzioni322. In alto tra il secondo e il terzo arco è collocato lo stemma in pietra dei Caetani. L’abside separata dalla navata da un arco in pietra è coperta con volta a crociera ogivale con nervature a rilievo, la parete di fondo presenta una elegante bifora a traforo tardogotica forse appartenuta alla costruzione più antica e risalente al tempo di Onorato I. La navata principale ha una copertura in legno e tegole alla romana sorretta da otto capriate in legno di tipo palladiano; mentre la navata laterale ha un’altezza pari a circa la metà di quella principale, con una copertura a falda unica costituita da travi inclinate poggianti su dormienti in pietra ed infisse nella muratura323. Il campanile, dunque più probabilmente legato alla costruzione più antica, nel XIII secolo doveva presentare una linea ancora imponente. È costruito in muratura a pietra tagliata, con larghe monofore a pieno centro, diviso da volte all’interno e coperto da una cuspide ottagonale324. Nel chiostro, anch’esso databile agli interventi di Onorato II, archi a sesto acuto poggiano su bassi pilastri ottagonali simili a quelli del monastero di S. Angelo in Planciano a Gaeta325. Come già osservato da Giuseppe Zander, i pilastri ad ottagono sono frequenti a Roma nel Quattrocento, soprattutto durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), e molto probabilmente legati all’opera di maestri toscani. A differenza degli esempi romani, in cui il pilastro sostiene archi a tutto sesto con ghiere modanate e coronamento a trabeazione orizzontale, a Fondi l’arco a sesto acuto è generalizzato insieme alle volte a crociera e l’assenza delle cornici finali toglie al chiostro ogni accenno classico326. Alla cerchia del Forsimanya, sono attribuibili, secondo Roberto Pane per primo327, un portale e due finestre corrispondenti ai vani posticci che ‘nascondevano’ la chiesa originale. Sia la finestra rettangolare con fiori quadrilobati a traforo che la cornice della porta a cordoli di pietra su mensolette terminanti in un fiocco, come pure la mostra archiacuta dell’altra finestra, richiamano gli analoghi elementi del palazzo Caetani. L’epoca degli interventi di Onorato nel chiostro, documentati attorno al 1474328, coincide infatti con i lavori del maestro maiorchino nel palazzo baronale.

Tra i pochi documenti medievali superstiti non vi è traccia dell’autore degli interventi promossi da Onorato II. Al tempo della morte del conte (1491) fu rinvenuto dai redattori dell’inventario dei suoi beni un foglio su cui era riportata la spesa di 149 ducati al mastro Lancillocto per la fabbrica di San Domenico: «Un altro quaternolo senza coperhio, de quarto de foglio, che so sulo quactro carti, et comensa Quisti sono li denari liberati per lo signore ad mastro Lanzillocto per la fabrica de Sancto Dominico de Fundi, in lo quale so scripte partite sey liberate per la dicta fabrica et montano ducati centoquarantanove (…)»329. Una spesa esigua che, a meno di un errore del redattore dell’Inventarium, non riguardava probabilmente

322 È tuttora visibile, incastonato tra i conci del secondo pilastro, un toro scolpito in rilievo sulla pietra. 323 Per una descrizione più dettagliata vedi La chiesa di San Domenico, pp. 56-57.

324 Serafini, Le torri campanarie, pp. 107-108.

325 Vasco Rocca, L’architettura sacra, p. 58 e Scalesse, Aspetti dell'architettura nei feudi dei Caetani, p. 210. 326 Scalesse, op. cit., p. 210.

327 Pane, Il Rinascimento, I, p. 169. 328

Amante – Bianchi, Memorie storiche, p. : già in Vasco Rocca, L’architettura sacra, p. 58.

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quella totale per la riedificazione della chiesa e gli altri lavori. Inoltre, l’accezione «mastro» farebbe escludere che si tratti dell’architetto autore del progetto. Lanzillocto poteva essere il responsabile dei cantieri di Onorato II visto che il suo nome, come vedremo, si lega anche ad altre opere architettoniche volute dal conte330 e che un Mastro Lanzillocto Caffaro de la Cava è citato nel suddetto Inventarium, e sembra essere un ‘familiare’ di casa Caetani. Infatti, dal 1481 feudatario in Itri di Onorato II, egli dimorava in Fondi nel 1491 quando i redattori dell’inventario elencano i suoi possedimenti nel territorio, beni perlopiù concessi con un privilegio del conte Onorato II il 20 giugno 1481331. Forse il compenso ricordato nel 1491, di soli 149 ducati, riguardava il rimborso di forniture di materiali o maestranze mentre il «mastro» era pagato dal conte con donazioni di beni immobili.

Il progetto di Onorato II, nel quale rientrò anche il futuro sostentamento della chiesa che nel testamento la dotò di rendite332, dovette riguardare anche un arredo solenne che prevedeva l’esaltazione della sua immagine, come è noto, diffusa negli anni del suo governo attraverso opere pittoriche e scultoree in tutta la città. Ciò è testimoniato dalla descrizione di inizio Seicento di un corrispondente fondano dell’abate Costantino Caetani che così descrive le “cone” nella chiesa di San Domenico333: «(…) Sopra la porta di S.to Domenico dentro detta Città vi è scritto Hoc opus fieri fecit Ill.s et exc.mus Dnus D. Honoratus Gaetanus secundus primus dictus de Aragonia comes Fundor. Logotheta et Prothonot.s Regi Sicili ad honorem Dei Beatae Mariae et B.ti P.ris n.ri Dominici sub anno Dni 1466 die 12 Maii Ind.ne. 14 il Pittore fu Cristofano di Verona. Dentro detta chiesa al altare maggiore vi è una cona bellissima e ricca con l’armi di detto Sig.re ma no vi è scritto cosa veruna, e si crede, che essendo quella cona mutata da un loco in un altro sia stata guasta, e smarrita la scrittura che vi era, et ben vero che senza altra descrittione in detta chiesa vi è un presepio fatto da quel Sig.re di tanta bellezza che forse no ha paro nel regno di Napoli, et hoggi si tiene in gran veneratione. Vi stà anco in detta chiesa un altare con una cona bellissima di S.ta Catherina di Siena con l’effigie di detto Sig.re dipinto in veste di leonato, come sta in tutte l’altre parti et vi è scritto Honoratus Gaetanus secund.s de Aragonia fieri fecit anno D.n. 1480 et à torno a S.ta Catherina sta scritto et cor mundum crea in me Deus. Sta vicino quest’altare un altro altare con una cona bellissima dove sta dipinto S. Pietro Martire con l’effige di detto Sig.re vestito come di sopra et ci è scritto Honoratus Gaetanus secund.s de Aragoni fieri fecit Anno Dni 1480 die p.o Maii ind.ne XIII (…)»334.

La ricchezza di opere pittoriche dovuta al mecenatismo di Onorato II è oggi del tutto scomparsa. Questi dipinti non sono mai citati dagli studi; solamente Gelasio Caetani nella Domus Caietana utilizzò alcuni brani del manoscritto, ignorato dalla letteratura successiva, probabilmente a causa della cattiva fama del cronista seicentesco. La successiva, anche se breve, descrizione dell’interno della chiesa risale alla stesura dell’Apprezzo dello Stato di Fondi nel 1690: « (…) In essa sono quattro altari con le figure de diversi santi, due de' quali

330 Cfr. infra.

331 Inventarium 1491, p. 136.

332 Caetani, Regesta chartarum, VI, p. 109.

333 Manca una descrizione della chiesa conventuale nella visita del vescovo Comparini, preziosa fonte per la

ricostruzione dell’aspetto delle chiese del territorio di Fondi alla fine del XVI secolo.

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sono guarniti con ornamenti di stucco. In testa detta chiesa vi è l'altare maggiore, con il coro et organo, et a senistra un'altra nave a lamia con archi e pilieri di pietra di taglio, nella quale sono quattro altari uno d'essi della Madonna del Rosario et un altro di S. Gioseppe, con cancella di ferro avanti, nel quale vi è la custodia del Santissimo. Accosto detta chiesa vi è il convento con il suo claustro e dormitoriii, con la cella di S. Tomase d'Aquino, al presente ridotta in una cappella; et nel giardino si vede un piede di cetrangolo piantato da detto glorioso Santo (…)335. Tra i documenti dell’Archivio di Stato di Caserta sono conservate invece preziose descrizioni ottocentesche e una serie di inventari precedenti e successivi all’arrivo dei Frati Spedalieri di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), che dal 1828 al 1867 gestirono i locali del monastero domenicano336. In un inventario del 13 agosto 1808 sono elencati 5 quadri «(…) due quadri rappresentanti l’Addolorata e l’altro S. Tommaso, altro quadro rappresentante S. Domenico, altro quadretto di S. Tommaso d’Aquino, altro quadretto di S. Giuseppe (…)»337. In un altro inventario del 18 giugno 1811 sono citati invece «(…) Due Statue di S. Antonio di Padova una di legname indorato con un Bambino con veste fiorata, e l’altra di Cartapista anche con Bambino ambidue di valore di 8 [?]. Un quadro coll’effigie di S. Pasquale dipinto in tela con cornice indorata il valore di 3 [?]. Altro quadro coll’effigie di S. Francesco dipinto in tavole del valore di Carlini 6. Altro del Crocefisso dipinto in tela senza cornice del valore di Docati due. Altro dell’Immacolata Concezione dipinto in tavola senza cornice del valore di 1.50 [?]. Altro di S. Vito dipinto in tela senza cornice del valore di grana sessanta (…)»338. Tra i due inventari, molto vicini cronologicamente, c’è una corrispondenza nel numero dei dipinti esposti nella chiesa ma nella descrizione i soggetti rappresentati divergono completamente. In soli tre anni le opere conservate nella chiesa sono già state sostituite? O si tratta più semplicemente di errori di interpretazione delle ‘storie’ dipinte da parte di chi scrive. Tali soggetti non corrispondono tra l’altro a quelli dei quadri legati alla committenza di Onorato II Caetani descritti al Caetani nel Seicento. In un successivo inventario dei beni del convento del 2 ottobre 1866 si elencano i beni mobili della chiesa ad esso annessa. Tra i diversi punti in elenco insieme ai paramenti