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Aspetti comparativi con l’appello di rito ordinario

CAPITOLO II Il ricorso in appello

5. Aspetti comparativi con l’appello di rito ordinario

Nel rilevare un confronto fra l’appello di rito ordinario e l’appello proprio del rito del lavoro occorre in primo luogo ricordare che mentre la proposizione dell’appello di rito ordinario è soggetto alla sospensione dei termini nel periodo feriale, intercorrente dal 1° agosto al 15 settembre, nel rito del lavoro non vale la suddetta sospensione.

Con riguardo all’atto introduttivo del giudizio di appello, nel rito del lavoro la parte appellante deve redigere il ricorso. Diversamente, l’atto introduttivo del giudizio di appello di rito ordinario assume la forma di atto di citazione, con la conseguenza che saranno anche diversi i momenti dai quali far decorrere il termine per avanzare la richiesta di appello. Infatti nel rito del lavoro i termini si intendono rispettati con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice e non con la successiva notifica come accade nel giudizio di appello del processo civile ordinario, la quale potrebbe dunque avvenire anche decorsi i termini per impugnare.234

Nonostante la diversità relativamente alla tipologia dell’atto, il contenuto del ricorso nel rito del lavoro ricalca in toto quello dell’atto di citazione introduttivo dell’appello nel rito ordinario.

Un secondo elemento di analogia fra i due riti è rappresentato dalla tipologia del mezzo di impugnazione, infatti anche nel rito del lavoro l’appello è un mezzo di gravame a motivi illimitati e di natura sostitutiva.235 È la parte appellante che determina, con

234 LUISO, Diritto processuale civile, I processi speciali, 7° ed., Milano, 2013, p. 83. 235

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l’impugnazione, l’oggetto del giudizio d’appello, senza vincoli specifici.236

Un’ulteriore analogia fra rito del lavoro e rito ordinario è rappresentata dall’applicabilità delle ipotesi di inammissibilità del ricorso introdotte dagli artt. 348-bis e -ter c.p.c. nel rito ordinario ed estese al rito del lavoro ex art. 436-bis c.p.c.237

Sia nel ricorso in appello proprio del rito del lavoro che nell’atto di appello di primo grado, a seguito della riforma del 2012, è necessaria l’esposizione dei fatti e la motivazione posta alla base dell’impugnazione.

Inoltre nel rito del lavoro la disposizione che riguarda il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza del giudizio di discussione di appello non prevede che l’atto debba contenere l’informativa al convenuto, previsto invece nel processo ordinario ex art. 163 comma 3 n. 7, riguardo alle conseguenze di una tardiva costituzione.238

Relativamente alla trattazione del processo di appello questa è identifica in entrambi i riti essendo integralmente collegiale, salvo le limitate competenze affidate al giudice relatore.

Per quanto concerne la sospensione dell’esecuzione da parte del giudice di appello con ordinanza non impugnabile è necessario che l’esecuzione possa far derivare all’altra parte un gravissimo danno. La disposizione è analoga a quella posta dall’art. 283 c.p.c. nel processo ordinario, con la differenza che in quest’ultimo l’istanza deve fondarsi sulla sussistenza di “gravi e fondati motivi” e non del “gravissimo danno.”239

236 MIANI CANEVARI, Il ricorso di appello e la memoria difensiva. La specificità dei

motivi, in <<Quaderni di diritto del lavoro>>, n. 3, 2006, 83.

237

A seguito della riforma del 2012.

238 Cass. civ., 18 ottobre 2002, n. 14829, in <<Lavoro nella giur.>>, 2003, 182 ss. 239

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La sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado ex art. 283 è rimessa ad una valutazione globale dell’opportunità consistendo i gravi motivi, da un lato nella delibazione sommaria della fondatezza dell’impugnazione e, dall’altro, nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire, anche relativamente alla difficoltà di ottenere, eventualmente, la restituzione di quanto pagato, dall’esecuzione della sentenza.240

Ne consegue che il potere discrezionale riconosciuto al giudice d’appello nel rito ordinario è più ampio di quello riconosciuto al giudice di appello del rito del lavoro, con riguardo alla sentenza di primo grado favorevole al prestatore di lavoro.

La novella del 2006, che ha interessato l’art. 283 c.p.c. prevedendo, nel processo ordinario, la ricorrenza dei “gravi e fondati motivi” anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, pone ancora di più la marcata la differenza dell’istituto dell’inibitoria in appello nel processo ordinario e in quello del lavoro. Il mancato intervento riformatore sull’art. 431 evidenzia infatti la volontà del legislatore di favorire i crediti di lavoro, che sono tutelati in ragione della funzione che assolvono nel garantire i diritti fondamentali della persona che lavora: il legislatore avrebbe ben potuto individuare la possibilità di insolvenza quale motivo di sospensione dell’esecuzione della sentenza anche nel processo del lavoro; se non lo ha fatto è per non sfavorire i crediti del lavoratore e per non trarre, dal suo eventuale stato di bisogno, che giustifica la più ampia tutela delle sue ragioni, elementi per allontanare invece nel tempo la soddisfazione dei crediti di cui sia stato riconosciuto in primo grado titolare.241

240 Cass. civ., 25 febbraio 2005, n. 4060, in <<Giust. civ. Mass.>>, 2005, 2. 241

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La debolezza economica del prestatore di lavoro costituisce la connotazione più frequente del titolare del credito da lavoro ed insieme alla natura di questo va ad integrare il presupposto che ha determinato il legislatore alla previsione dell’esecutorietà provvisoria della sentenza di primo grado. L’impossibilità di recuperare quanto versato in esecuzione della sentenza deve considerarsi, entro certi limiti, un effetto fisiologico della natura alimentare del credito di lavoro e della situazione di bisogno cui deve sopperire.242

La valutazione del gravissimo danno in relazione al predetto criterio implica un delicato giudizio che non può mai prescindere da un bilanciamento degli interessi.

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CAPITOLO III