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Aspetti comparativi fra rito ordinario e rito del lavoro in ordine all’udienza di discussione

CAPITOLO V Udienza di discussione

3. Aspetti comparativi fra rito ordinario e rito del lavoro in ordine all’udienza di discussione

Per quanto riguarda l’udienza di discussione d’appello si ritiene inapplicabile al rito del lavoro l’art. 348 comma 1 c.p.c., proprio del processo civile, che prevede l’improcedibilità per la mancata costituzione dell’appellante; la logica del principio è dovuta al fatto che nel rito de lavoro la costituzione dell’appellante avviene con il deposito del ricorso.

Intorno agli anni ‘90 si è avuto un dibattito in ordine all’applicazione del comma 2 dell’art. 384 c.p.c. anche al rito del lavoro.

Secondo alcuni551 sembrava estendibile al rito del lavoro il comma 2 alla stregua del quale se l’appellante non compariva alla prima udienza, benché si fosse anteriormente costituito il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinviava la causa ad una successiva udienza. Se anche a questa seconda udienza l’appellante non fosse nuovamente comparso, l’appello era dichiarato improcedibile anche d’ufficio. Questo in quanto poiché l’appellante è colui che ha censurato la sentenza appellata, volendo riformarla, doveva ribadire la sua volontà comparendo nell’udienza fissata per la discussione, essendo la sua prima comparizione in udienza il segno evidente della sua persistente volontà di proseguire la proposta di impugnazione. Dopo la presentazione del gravame possono infatti intervenire nuovi

551 DETTORI, Rito del lavoro e mancata comparizione dell’appellante all’udienza di

discussione davanti al collegio, in <<Mass. giur. lav.>>, 1982, 87; BARCHI, La mancata comparizione dell’appellante, in <<Dir. e prat. lav.>>, 1988, 16;

CENTOFANTI, Rilievi sull’inattività delle parti nel processo del lavoro, in <<Foro pad.>>, 1991, 327; GORLA, Assenza dell’appellante nell’udienza di discussione e

improcedibilità dell’appello, in <<Dir. lav.>>, 1991, II, 463; CASCIARO, Mancata comparizione delle parti ed improcedibilità dell’appello, nota a Trib. Napoli, 30

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fatti alla stregua dei quali l’appellante perde il proprio interesse ad impugnare e conseguentemente viene meno anche la sua comparizione in udienza.

Di contro552 vi era chi si allineava alla pronuncia delle Sezioni Unite alla stregua della quale in caso di mancata comparizione dell’appellante all’udienza di discussione, spettava al giudice pronunciarsi sul merito dell’appello.553 Per tutti gli anni ’90 questo secondo orientamento risultava prevalere di gran lunga.

Il primo indirizzo giurisprudenziale di ripensamento nei confronti dell’orientamento consolidatosi in quegli anni si è avuto ad opera di una sentenza della Suprema Corte,554 rimarcata da una successiva pronuncia secondo la quale se l’appellante non compare neppure alla seconda udienza fissata dal giudice (a causa della mancata comparizione dello stesso alla prima udienza), la dichiarazione di improcedibilità dell’appello è applicabile anche nel rito del lavoro.555 Alla luce di tutte le evoluzioni giurisprudenziali oggi pare orientamento consolidato quello in favore dell’applicabilità dell’art. 348 comma 2 anche al rito speciale,556 coerentemente all’applicazione analogica di altre norme proprie del rito ordinario anche al processo del lavoro (quali ad esempio l’art. 327, l’art. 331, l’art. 332 c.p.c.).557

552

NICOLETTI, Giustizia del lavoro, Torino, 1987, 174; CAPPIELLO, Brevi notazioni

sulla <<lacuna>> legislativa in tema di inattività delle parti nel processo d’appello di lavoro e agrario, in <<Giur. agraria it.>>, 1989, II, 296; ORIANI, L’inattività delle parti nel processo del lavoro, in <<Riv. dir. proc.>>, 1989, 377 ss.

553

Cass. civ. SS. UU., 26 marzo 1982, n. 1884, in <<Foro it.>>, 1982, I, 1280.

554 Cass. civ., 28 maggio 1990, n. 4926, in <<Mass. giur. lav.>, 1990, 616. 555

Cass. civ., 7 marzo 1991, n. 2366, in <<Foro it.>>, 1991, I, 1094, con nota di ORIANI, La sezione lavoro della Corte di Cassazione abbandona indirizzi consolidati

sull’inattività delle parti nel processo del lavoro; CASCIARO, Una svolta giurisprudenziale: l’art. 348 primo comma c.p.c. trova applicazione anche al processo del lavoro, in <<Mass. giur. lav.>>, 1991, 283.

556 Come ritenuto da TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, p. 244:

l’improcedibilità dell’appello consegue anche alla mancata comparizione dell’appellante in udienza.

557 Sul punto si veda CASCIARO, L’appello nel rito del lavoro, Roma, 1992, p. 224 e p.

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Sostenere che l’appello anche in assenza di parte deve essere deciso nel merito contrasta con il fondamentale principio della domanda, che persiste integralmente nel rito del lavoro.558 Pertanto la domanda deve essere coltivata fino in fondo affinché sorga nel giudice il dovere di pronunciarsi.559 Il processo, sia esso ordinario o del lavoro, per la sua qualità di strumento preordinato dall’ordinamento alla rimozione della lite, suppone che questa sia attuale. Non si può dunque attribuire alcun tipo di rilievo all’omissione di una specifica disciplina dell’inerzia dell’appellante nel processo del lavoro. Ulteriormente poiché non sono ipotizzabili lacune normative, la tesi in favore dell’applicabilità al rito del lavoro dell’art. 348 c.p.c. risulta essere ancor più avvalorata.

Un’altra questione di rilievo che vale la pena affrontare è la seguente: nel rito del lavoro la preclusione di cui all’art. 437 c.p.c. relativa alla produzione documentale sembrava, fino al 2003, riguardare le sole prove costituende e non anche quelle precostituite, quali in primo luogo i documenti. Ma, come già precisato, sul punto vi è stato un cambio di prospettiva che ha iniziato a negare questa ammissione, anche se di fatto si consentiva comunque un intervento d’ufficio. Una sentenza del 2005 ha statuito infatti che “l’omessa indicazione, negli atti introduttivi del giudizio di primo grado dei documenti o l’omesso deposito contestuale determinano la decadenza del diritto alla produzione documentale.”560

558 SANDULLI – SOCCI, Il processo del lavoro. La disciplina processuale del lavoro

privato, pubblico e previdenziale, 2° ed., Milano, 2010, p. 410.

559

GIANNOZZI, Appunti per un corso di diritto processuale civile, Milano, 1980, p. 6- 7.

560

Cass. civ. SS. UU., 3 marzo 2005, n. 8202, in <Giur. it.>>, 2005, 1460, con nota di SOCCI, Le sezioni unite sulla produzione dei documenti (in appello e in primo grado)

e sui poteri istruttori d’ufficio del giudice nel rito ordinario e del lavoro, tra stop and go.

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Sebbene questo nuovo corso di giurisprudenza sembrava non condivisibile in quei primi anni, in realtà il legislatore ha codificato tale principio con la legge di riforma n. 69/2009, relativamente al rito ordinario, andando a prevedere un esplicito divieto di produzione di documenti in appello, se non ritenuti indispensabili dal collegio, così come disposto dal novellato art. 345 ultimo comma c.p.c. Ed ecco che alla luce di questa riforma si è assistito ad un’inversione giurisprudenziale in merito alla produzione documentale in grado di appello del rito del lavoro, per non ledere il principio di uguaglianza. A seguito della legge di riforma sopra menzionata si è assistito ad un diverso modo di affrontare la questione relativamente alle prove documentali nel rito civile e nel rito speciale del lavoro, dove secondo alcuni era corretto continuare a propendere per l’ammissione di nuovi documenti nel rito del lavoro, come fino ad allora ritenuto dall’orientamento assai maggioritario di giurisprudenza e dottrina. Se nel primo periodo di riforma si faceva leva sul fatto che una preclusione sulle prove documentali non avrebbe apportato benefici alla celerità del giudizio ma viceversa avrebbe finito per danneggiare la difesa delle parti,561 come ben è stato chiarito, la visione d’insieme è cambiata ed è stata proprio la riforma del processo ordinario ad orientare la nuova giurisprudenza e dottrina su come dover interpretare, nel silenzio della normativa, l’art. 437 c.p.c. in materia documentale e quindi la lacuna normativa è stata colmata dall’applicazione analogica dell’art. 345 ultimo comma c.p.c. che vieta l’assunzione della prova documentale, se non ritenuta indispensabile da parte del collegio ai fini della decisione, analogamente agli altri mezzi di prova.

561 SOCCI, Le preclusioni alle produzioni documentali nel processo civile dopo le

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Tuttavia rimangono ancora problemi connessi in quanto ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nel rito ordinario sono state soppresse le parole “salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa” con riguardo sia ai mezzi di prova in senso lato, sia alla prova documentale. Ciò comporta non solo problematiche interpretative relativamente all’ammissione della prova documentale in appello del rito del lavoro ma in generale con riferimento a qualsiasi mezzo di prova nuovo, posto che l’art. 437 c.p.c. continua a prevedere come deroga al divieto di ius novurum l’integrazione della indispensabilità dei mezzi probatori ai fini della decisione della causa, mentre nel rito civile questi sono ammissibili solo se la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado.

Si nota quindi come la disciplina dello ius novorum in appello sia regolata diversamente nei due riti.562

562

CECCHELLA C., L’appello civile, ovvero Giano bifronte, in www.claudiocechella.it; COSTANTINO, Le riforme del processo civile e l’introduzione del “filtro”, in www.treccani.it.

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