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Aspetti istituzionali, azioni delle Regioni e degli enti locali nella formazione e riqualificazione degli

operatori socio-sanitari

Il quadro politico-istituzionale

Sulle ragioni politiche che hanno spinto la maggioranza parlamentare a disattendere per ben 22 anni al dettato costituzionale relativo alla istitu-zione delle Regioni, si è ampiamente scritto. Esse sono riconducibili essen-zialmente alle esigenze del capitale monopolistico sia privato che di Stato di poter disporre di un unico referente nazionale che non poteva essere altri che il Governo. Queste esigenze coincidono perfettament con la voca-zione accentratrice e burocratica dell'apparato statale, agente e strumento del potere politico-economico. L'ipotesi di uno « stato delle autonomie » contenuta nella Carta costituizonale rappresenta un pericolo di conflittualità tra i vari centri di decisione politico-amministrativa e, in particolare, con il Governo nazionale garante per un'azione spregiudicata e distorta del capitale monopolistico.

Senonché il crescente distacco fra Stato e società; le esigenze nuove dell'apparato produttivo che ha bisogno di un livello pluralista di decisione politico-amministrativo; la incapacità dell'apparato burocratico centrale di controllare efficacemente la macchina del potere e di orientare le trasfor-mazioni sociali; le degenerazioni del sistema clientelare e di potere della DC che ha sempre più bisogno di una « stretta interconnessione tra gestione del potere e penetrazione ramificata nelle strutture pubbliche e del

sotto-governo »; 1 la spinta genuina di rinnovamento democratico delle

popola-Relazione presentata al Convegno Politica dei servizi sociosanitari e formazione del personale, organizzato dall'Istituto di Psicologia del CNR, Roma, 23-25 ottobre 1975. La relazione è stata curata da; LIBERO ATTARDI, deputato all'Assemblea regionale sici-liana; GIANNI BARRO, del Dipartimento Servizi Sociali della Regione Umbria; FRANCESCA Busso, vice-presidente della Regione Liguria; ANNINA LUBBOCK, del CENSIS; ROSANNA MARCOZ, psicologa; FLAVIO PELLACANI, del Dipartimento Sicurezza Sociale della Regione Emilia-Romagna; FERDINANDO TERRANOVA, ricercatore dell'ISPE.

zioni periferiche per una diversa gestione del potere e la maturazione a livello di coscienza politica del nesso inscindibile fra sviluppo economico e riforme sociali pongono quale questione nazionale una generale riforma di tutto l'ordinamento statale che sia fondata « sul sistema delle autonomie regionali e locali e renda l'ordinamento pubblico capace di raccogliere e di portare avanti le aspirazióni e le lotte popolari per le riforme

econo-miche e sociali e per il generale sviluppo della democrazia ».2

L'approvazione della legge finanziaria regionale n. 281 del 1970 rende possibile l'avvio dell'istituto regionale. La vittoria delle forze regionaliste ha,

però, notevoli limitazioni e diverse riserve mentali. In particolare la la fase

definita di « razionalizzazione centralistica » si esprime col rafforzamento degli esecutivi regionali a scapito delle Assemblee; col tentativo pervicace-mente seguito di omogeneizzazione politica dei governi locali con quello nazionale; controllo « selvaggio » della spesa e inflazione del contenzioso amministrativo; limitazione o annullamento del più importante elemento di riforma dello Stato introdotto con l'orientamento regionale, cioè il

potere legislativo delle Regioni.

La legge 281 che definisce i « provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario », all'art. 17 detta i criteri con i quali viene affidata la delega per il passaggio delle funzioni e del personale statale alle Regioni e, rilevante, risulta essere: 1) la riserva allo Stato della funzione d'indirizzo e di coordinamento delle attività delle Regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali; 2) il cri-terio che fissa come avverrà il trasferimento delle funzioni statali alle Regioni (per settori organici di materie e dovrà effettuarsi mediante il trasferimento degli uffici periferici dello Stato).

L'attenzione va portata sulla riserva statale delle funzioni d'indirizzo e di coordinamento all'attività regionale nelle materie trasferite. La riserva può essere intesa, come lo è nella prassi: 1) come una sottrazione di com-petenze (legislative e amministrative) alle materie previste nell'elenco dell'art. 117 della Carta costituzionale; 2) come una garanzia di partecipa-zione della componente regionale al processo di definipartecipa-zione degli obiettivi della programmazione economica nazionale, che non deve essere intesa ob-bligatoriamente come centralizzata in mano allo Stato-persona, ma può essere invece un sistema gestito democraticamente col concorso dei Comuni e delle Regioni, componenti necessari dello Stato-ordinamento.

La linea vigente finora è stata la prima con una pesante sottrazione di competenze, in particolare, sulla funzione amministrativa: l'esempio più

pertinente è il finanziamento statale agli Enti nazionali di assistenza sani-taria e sociale (enti mutualistici, OMNI, ENPMF, ONOG, ecc.). La giu-stificazione ufficiale addotta a tale prassi del Governo e della Pubblica amministrazione centrale è da ricercare nella mancata ristrutturazione di tali materie a livello centrale con leggi di riforma o leggi-quadro.

Per comprendere meglio occorrerebbe ripercorrere il ginepraio giuridico-istituzionale che regola le materie sanità e assistenza sociale ed evidenziare i magini di manovra, stante l'attuale assetto legislativo, per un'azione di tipo innovativo.

Fini giuristi si sono cimentati nelle interpretazioni più svariate relativa-mente al combinato disposto dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Quello che interessa sottolineare, al di là del mero formalismo giuridico, è che gli Statuti regionali che risultano essere costituzionalmente leggi dello Stato, hanno chiarito quelle zone d'ombra non sufficientemente o compiutamente definite dal Costituente. « L'approvazione degli Statuti — scrive l'ex Pre-sidente del Consiglio della Toscana — (rappresentano la) prima ed alta espressione dell'autonomia regionale per costruire un modello di Regione rispondente, al tempo stesso, al dettato costituzionale ed alla nuova do-manda di partecipazione proveniente dalla società, nonché alle esigenze nuove e diverse, rispetto a quelle dei tempi della Costituente, che le Regioni

degli anni '70 avvertivano ».3

Da quanto premesso deriva che: 1) in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con la entrata in funzione dell'Ente regione, nelle materie della sanità e dell'assistenza sociale, si esclude ogni potestà legislativa statale di dettaglio mentre è ammessa solo per l'emanazione dei principi fonda-mentali delle leggi-cornice; 2) anche la competenza amministrativa delle Regioni in dette materie è esclusiva, non permettendo cioè alcuna riserva di competenza amministrativa allo Stato. Come naturale corollario deve pertanto cessare da parte dello Stato ogni finanziamento diretto agli enti nazionali di assistenza sanitaria e sociale. Si vanificherebbe altrimenti un riconoscimento alle Regioni di riserva di competenza legislativa e non anche amministrativa.

Oltre alle ragioni d'ordine costituzionale vi sono ragioni politiche ed organizzative ancor più valide. Innanzitutto l'esigenza di evitare soprattutto la duplicità delle responsabilità, statale e regionale, di due organi diversi e di due centri di potere politico diverso. Accanto a questa esigenza vi è la necessità di realizzare due obiettivi politici: 1) la Regione come occasione di ristrutturazione dello Stato in senso più democratico ed efficiente; 2) la Regione come momento per la individuazione di modelli istituzionali più

idonei agli obiettivi e alle procedure della programmazione, di ristruttu-razione dell'azione pubblica secondo modalità di programmazione.

L'esame più approfondito dei due obiettivi politici pone per un verso un rapporto di contestualità tra orientamento della Pubblica amministra-zione e trasferimento delle funzioni col conseguente ridimensionamento delle strutture dell'amministrazione statale, il superamento dei « settoria-lismi presenti a livello statale attraverso la riaggregazione delle funzioni nelle Regioni e nel governo locale e in conseguenza attraverso le

prefigura-zione di un nuovo ruolo degli apparati centrali »,4 arrivando alla

soppres-sione di alcuni Ministeri operanti in materie a totale competenza regionale; per l'altro verso si pone come indilazionabile la riforma della finanza regio-nale, sia per l'insufficienza, sia perché alle Regioni è precluso ogni potere in merito alla dislocazione delle proprie risorse, mentre vengono posti sempre più vincoli attraverso una legislazione nazionale che dà luogo a tutta una serie di fondi settoriali, rendendo anelastici i bilanci regionali, vanificando qualsiasi corretto rapporto fra programmazione nazionale e programmazione regionale.

Il primo comma dell'art. 17 della legge 281 assegna una delega al Go-verno di emanare « entro un biennio » dalla promulgazione della legge (anno 1970) decreti aventi valore di legge ordinaria per regolare il pas-saggio alle Regioni delle materie contenute nell'art. 117 della Carta costi-tuzionale.

Con il comma di cui sopra si è praticamente ibernata per un biennio l'attività delle Regioni, inoltre si è introdotta una prassi incredibilmente illogica, ossia quella di un possibile autoannientamento, di una volontà suicida degli apparati dello Stato e del potere politico che vive su tali apparati in favore delle nuove strutture di potere regionale.

I fatti hanno dato puntualmente ragione a tali preoccupazioni. Il tra-sferimento non avviene per « materie » bensì per competenza ministeriale: il ministero dell'Interno decide (con quali risultati è facile immaginare) cosa trasferire alle Regioni dell'assistenza e della beneficenza; il ministero della Sanità — che nonostante la denominazione non ha alcuna compe-tenza in materia di assiscompe-tenza sanitaria (delegata agli enti mutualistici e sotto la vigilanza del ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale) — fa altrettanto per la profilassi e la sanità pubblica escludendo il settore dell'igiene ambientale, e così via per gli altri Ministeri.

Ne risulta un quadro estremamente confuso a carattere mezzadrile fra Stato (Governo) e Regioni, che ha avuto il primo battesimo in occasione dell'epidemia di colera del '73, con un ministero della Sanità latitante, senza che le Regioni più colpite avessero gli strumenti per intervenire.

L'attività legislativa regionale in materia di sanità, igiene e servizi sociali

Solo dopo aver fornito il quadro di riferimento nazionale ed i limiti im-posti all'attività regionale è possibile entrare nel merito di tale attività.

Prima, però, occorre soffermare l'attenzione su un aspetto non certo secondario della vita delle Regioni. Esso si riferisce ai controlli sulle leggi regionali e sugli atti delle Regioni ove l'arbitrio è prassi e l'assenza di leggi cornice fa sì che al posto del Parlamento, siano il Governo, in prima istanza, e la Corte costituzionale, in seconda, gli arbitri della competenza regionale.

È opinione concorde che sia pure esprimendo un giudizio complessiva-mente positivo sull'attività della I legislatura regionale non si può sfuggire da una considerazione, vale a dire che « la pratica amministrativa prevale sull'azione legislativa; l'azione legislativa si svolge prevalentemente attraverso leggi di erogazione di spesa; quasi inesistenti le leggi regionali organiche, o comunque innovative, disciplinanti nel loro complesso istituti, oggetti, o campi di attività di competenza regionale; sembra quasi che le forze poli-tiche regionali siano rimaste timide e impacciate di fronte alla possibilità di sfruttamento degli spazi di autonomia legislativa disponibile per una azione riformatrice o comunque per un'azione che incida a fondo sulle strutture normative esistenti ». Ed è più che lecito il sospetto (amara constatazione) « ...secondo cui le forze regionaliste si sono talvolta preoc-cupate più della necessità di mantenere fecondi canali di potere che di

evitare il turbamento di consolidati equilibri di potere ».5

Occorre, però, attenuare tali affermazioni che potrebbero apparire dura-mente categoriche sottolineando che le Regioni hanno ampiadura-mente ovviato alla latitanza recidiva del Governo.

Pur partendo da diverse basi politico-culturali fra le varie Regioni si è operato in direzione di contenuti coerenti con le linee di riforma, ad esempio di quella sanitaria. L'ultima fase della legislatura regionale ha visto le Assemblee cimentarsi ad attuare la legge 386 secondo un indirizzo unitario e di riforma (ad es. in linea col contenimento della spesa ospe-daliera, col livellamento delle prestazioni, ecc.).

Nonostante tali considerazioni critiche la fase di rodaggio delle Assemblee legislative regionali e degli esecutivi è stata l'occasione non solo per pro-durre leggi e avviarne l'attuazione quanto per verificare e sperimentare nel concreto un modo col quale la volontà politica si fa legge attraverso procedure di ampia consultazione con le istanze della società civile, e al tempo stesso come tale volontà si realizzi nella attuazione attraverso una azione di collegamento, di confronto aperto e di dibattito che le

ammi-nistrazioni regionali hanno saputo tessere con le varie articolazioni della società e, in primo luogo, con gli enti locali.

Le procedure previste per qualsiasi atto legislativo sono volutamente lunghe perché ampia dev'essere (come prescrivono gli Statuti regionali nella loro totalità) la consultazione con la società civile, ampia dev'essere la partecipazione e la collaborazione delle forze politiche, sia in posizione di maggioranza che di minoranza, ad arricchire la proposta legislativa formu-lata. Grave è quando questo iter democratico di formazione e di appro-vazione di leggi viene pesantemente allungato da un intervento censorio da parte delle autorità di governo a cui spetta la ratifica formale della legge regionale. Le argomentazioni più capziose, i giochi giuridici diventano lo snervante metodo di una procedura fatta di rinvii, di richieste di chiari-menti, di ricorsi in seconda istanza alla Corte costituzionale, per cui l'atto legislativo, quale volontà politica, viene coartato da un esecutivo e dai suoi apparati in un gioco che fa perdere, sempre di più, credibilità ai processi di formazione democratica.

Accanto ai controlli e alle procedure testé descritte i vincoli finanziari hanno acuito ancor di più le difficoltà circa una libera manovra

dell'auto-nomia regionale: una finanza prevalentemente « derivata » (e limitata) costringe le Regioni a svolgere il ruolo di «organi di spesa» dello Stato, attraverso leggi settoriali (come ad es.: fondo nazionale per gli asili-nido, fondo nazionale ospedaliero, ecc.).

Sotto il profilo qualitativo la produzione legislativa regionale è stata in parte: 1) attuatìva di leggi nazionali attraverso l'imposizione di una legislazione regionale di dettaglio; 2) riorganizzativa di materie trasferite alla competenza regionale e variamente (e a volte contraddittoriamente) collocate in leggi, regolamenti, capitoli di bilancio, ecc.; 3) innovativa per interventi non altrimenti definiti e senza alcun vincolo giuridico a monte (si pensi alle leggi finanziarie per incentivare la costituzione e l'avvio di servizi di prevenzione). Non sempre è facile fare una separazione netta fra fase riorganizzativa e innovativa perché il più delle volte entrambi gli aspetti coesistono e si completano vicendevolmente; 4) surrogatoria di azioni che per la loro rilevanza sociale non avrebbero potuto essere che dello Stato, come, ad esempio l'assistenza farmaceutica a favore di alcune categorie di lavoratori autonomi (commercianti, artigiani, coltivatori diretti). Ma, al di là della classificazione, interessa dire in quale direzione si muovono i provvedimenti legislativi regionali. Anche per le leggi surrogatone (che sono senza dubbio le più discutibili sia per gli obiettivi e sia per i forti condizionamenti a livello di bilancio regionale) si può indicare come direzione di lavoro legislativo quella delle riforme settoriali, con anticipa-zioni e rendendo possibili sperimentaanticipa-zioni nuove di servizi e di metodi

di lavoro; per far maturare attorno a tali sperimentazioni una coscienza per le riforme (in generale) e per quelle della sanità e dell'assistenza sociale (nello specifico).

La situazione quantitativa e qualitativa della produzione legislativa regio-nale non deve però ignorare che nonostante ampie convergenze delle Regioni su problemi generali o specifici è pur vero che il quadro regionale non è un masso compatto, bensì rivela anche una diversità politica ed un relativo stile nella gestione delle varie società regionali, anche se occorre sotto-lineare che l'elaborazione complessiva delle Regioni ha portato ad elevare e a fornire un quadro unitario di proposte politiche chiaramente egemoniche, nonostante tutto, rispetto all'indifferenza e all'assoluta carenza ideale e culturale degli organi di governo statale.

I prospetti che seguono sono quanto mai significativi.

Sanità, igiene e tutela dell'ambiente e servizi sociali negli statuti regionali

ABRUZZO — Legge 22 luglio 1971, n. 480

art. 5 La Regione concorre a garantire, nel quadro del sistema di sicurezza sociale, la tutela della salute del cittadino;

ravvisa nel servizio sanitario nazionale, con finalità preventive, curative e riabilitative, un tipo d'intervento fondamentale di tale sistema e istituisce le unità sanitarie locali;

predispone strumenti d'intervento e di controllo nei luoghi di lavoro e negli aggregati abitativi a fini igienici, profilattici e antinfortunistici; elabora ed attua la programmazione ospedaliera nell'ambito di una poli-tica regionale di piano, disciplinando e controllando l'attività delle case di cura private;

promuove la gestione democratica degli organismi di base; cura l'attuazione di un efficiente servizio di assistenza sociale, con parti-colare riguardo ai minorati, inabili e invalidi.

art. 9 . . . omissis... La Regione cura la realizzazione del programma di sviluppo provvedendo, con legge regionale alla attuazione dei piani relativi, al fine di: assicurare i servizi sociali per tutti i cittadini con parti-colare riguardo a quelli della casa, della salute, della sicurezza e assi-stenza sociale, dei trasporti e delle attrezzature per l'infanzia; BASILICATA — Legge 22 maggio 1971, n. 350

art. 5 . . . omissis . . . In particolare la Regione, nell'ambito delle sue compe-tenze costituzionali:

assicura a tutti i cittadini i servizi sociali, tra cui quelli inerenti l'abita-zione, l'istrul'abita-zione, la salute e sicurezza sociale, i trasporti, le strutture ed attività sportive;

CALABRIA — Legge 28 luglio 1971, n. 519

art. 56 In relazione alle finalità di cui all'art. 3 del presente Statuto la Regione, nell'ambito delle proprie competenze ed in concorso con lo Stato: h) promuove iniziative ed adotta programmi per realizzare il diritto del cittadino all'abitazione e per assicurare anche alle campagne tutti i servizi sociali; s) promuove l'adozione di piani intesi a realiz-zare un sistema di sicurezza sociale al fine di conseguire una efficiente organizzazione per la tutela della salute del cittadino; t) promuove ed adotta programmi per la cura, l'assistenza e l'educazione dell'infanzia, specie nelle campagne e nelle zone di più accentuata emigrazione; CAMPANIA — Legge 22 maggio 1971, n. 348

art. 4 . . . omissis... La Regione, valendosi delle proprie competenze, in con-corso con lo Stato e gli Enti locali: concorre ad assicurare i servizi civili fondamentali, con particolare riguardo all'abitazione, alla istruzione e alla promozione culturale, alla salute, alla sicurezza sociale, ai trasporti, alla educazione ed attività sportive ed all'impiego del tempo libero;

art. 7 La Regione tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e della collettività con particolare riguardo ai problemi della prevenzione e dell'infanzia. Nei limiti della legge dello Stato, istituisce il servizio sanitario regionale articolato in unità sanitarie locali con la partecipa-zione dei comuni e delle province, dei comitati di fabbrica, dei lavoratori e delle categorie professionali alla autonoma gestione delle stesse.

EMILIA ROMAGNA — Legge 22 maggio 1971, n. 342

art. 3 . . . omissis... La Regione concorre a realizzare lo sviluppo civile, econo-mico e sociale della comunità regionale operando per: h) realizzare un sistema di sicurezza sociale e di tutela attiva della salute; i) assicu-rare i servizi sociali fondamentali, particolarmente l'abitazione e i trasporti e quelli riguardanti la famiglia, l'infanzia, i giovani e gli anziani;

LAZIO — Legge 22 maggio 1971, n. 346

art. 45 . . . omissis... La Regione, in relazione a tali fini e con l'obiettivo prio-ritario di conseguire la piena occupazione, con particolare riguardo ai giovani e alle donne, e l'elevamento del tenore di vita della popola-zione: promuove altresì il diritto all'istruzione, in ogni sua forma e grado, alla sicurezza ed assistenza sociale e alla salute, nonché lo sviluppo dei servizi sociali con particolare riguardo alla casa, ai trasporti, alle attrezzature ed agli impianti per l'infanzia, il tempo libero, e le attività sportive;

LIGURIA — Legge 22 maggio 1971, n. 341

art. 4 La Regione . . . promuove una politica di riforme volta a conseguire: le condizioni per rendere effettivi il diritto al lavoro, il diritto allo

studio, e la tutela della salute; la realizzazione di un sistema di servizi sociali in favore di tutti i cittadini, compreso un moderno ed integrale sistema di sicurezza sociale;

LOMBARDIA — Legge 22 maggio 1971, n. 339

art. 3 . . . omissis... Jn particolare la Regione, nell'ambito delle sue compe-tenze costituzionali: assicura a tutti i cittadini i servizi sociali, con particolare riguardo a quelli inerenti all'abitazione, all'istruzione, alla salute e sicurezza sociale, ai trasporti, alle attività sportive e al turismo; ; garantisce la tutela dell'ambiente; predispone ed attua piani per la difesa del suolo, per la prevenzione ed eliminazione delle cause d'inquinamento;

MARCHE — Legge 22 maggio 1971, n. 345

art. 6 . . . omissis ... Assicura servizi sociali per l'infanzia e gli anziani art. 7 La Regione riconosce il diritto alla salute e rimuove gli ostacoli che

possono comprometterla; attua idonei strumenti per renderlo effettivo, con particolare riguardo alla salubrità, alla sicurezza dell'ambiente e dei posto di lavoro, alla tutela della maternità e della prima infanzia. Adotta misure per la difesa del suolo, per la prevenzione e l'elimina-zione delle cause d'inquinamento

MOLISE — Legge 22 maggio 1971, n. 347

art. 4 La Regione, nell'esercizio delle sue funzioni e dei poteri conferiti dalla