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Definire la meditazione dal punto di vista delle neuroscienze cognitive moderne significa andare a ricercare i substrati neurali dell‟esperienza della meditazione, così come viene riportata dai resoconti in prima persona dei meditatori. Lo scopo di queste ricerche è quello di utilizzare i resoconti soggettivi e di correlarli con l‟attività cerebrale. In questo l‟esperienza dei soggetti è una variabile importante poiché, nonostante sia risaputa la scarsa affidabilità dei resoconti verbali di soggetti inesperti, per i meditatori esperti questi possono essere riportati in maniera più accurata ed affidabile grazie all‟abilità di introspezione maturata nel tempo (Travis and Pearson, 1999).

La motivazione di questi studi risiede principalmente nell‟impatto positivo che la mindfulness ha dimostrato di avere sul cervello e sul corpo nei praticanti. Oltre a ciò lo studio della mindfulness contribuisce anche allo studio dei correlati neurali della coscienza (NCC), delle basi neurali del sé e dell‟interazione tra mente e corpo.

Tuttavia la relativa carenza di dati neurobiologici in questo campo e la scarsa conoscenza dei processi neurofisiologici alla base della meditazione hanno fatto sì che non sia ancora stato raggiunto un chiaro consenso riguardante le modificazioni neurofisiologiche sottese alla meditazione, se non per qualche effetto ben replicato sulle frequenze EEG alfa e teta (Cahn, 2006).

La regola generale è infatti quella della variabilità dei risultati, anche se i numerosi studi che all‟apparenza si contraddicono a vicenda, ad una visione più approfondita mostrano differenze dovute all‟enorme varietà di tipologie di meditazione esaminate.

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La meditazione è un‟operazione mentale complessa che provoca cambiamenti su molteplici piani, tra cui quello cognitivo, affettivo, sensoriale, ormonale ed autonomico. La mindfulness agisce su tutti questi piani provocando cambiamenti nel sistema nervoso centrale che, a loro volta, interagiscono con la periferia, soprattutto con il SNA, il sistema endocrino ed il sistema immunitario (Lutz et al., 2007).

È facilmente osservabile una diminuzione del consumo di ossigeno, dell‟eliminazione dell‟anidride carbonica e della frequenza del respiro, anche con alcuni periodi di apnea. È spesso registrata una diminuzione dell‟attività del sistema nervoso simpatico, anche se questa può sempre aumentare soprattutto negli stati avanzati di meditazione in soggetti esperti, dove può essere addirittura controllata volontariamente (Young and Taylor, 1998).

Lo stato di coscienza che si ha durante la meditazione ha specifici correlati neurali che sono stati investigati con numerose tecniche di neuroimaging (fMRI, PET e SPECT). Con la SPECT, durante una meditazione concentrativa, si è vista un‟attivazione della corteccia orbito-frontale, della corteccia dorsolaterale e del talamo ed una deattivazione del lobo parietale superiore (Newberg et al., 2001).

Un altro tipo di meditazione di attenzione concentrata, alla fMRI ha mostrato un‟attivazione del solco intraparietale, del frontal eye field (corteccia frontale, BA8), del talamo, dell‟insula, delle cortecce laterali ed occipitali, dell‟ACC, dei gangli della base e del network fronto-parietale (Lutz et al. 2007).

Con un‟altra meditazione di mindfulness basata sulla compassione è stata osservata un‟attivazione dello striato, dell‟insula, della corteccia somatosensoriale, dell‟ACC, della corteccia prefrontale sinistra e una deattivazione della corteccia parietale destra (Lutz et al., 2007).

Lo stato di coscienza meditativo è sotteso da un meccanismo biologico che, come tutti i meccanismi biologici, richiede un modello neuropsicologico e neurochimico (Fig. 18). È quindi necessario integrare in un modello tutte le scoperte riguardanti le aree implicate, la loro fisiologia ed il funzionamento dei neurotrasmettitori (Newberg and Iversen, 2003).

In questo modello la mindfulness è vista come un atto volontario che “comincia” dalla corteccia prefrontale, in particolare dall‟ACC, soprattutto nell‟emisfero destro. Le aree prefrontali innervano ed attivano il nucleo reticolare del talamo attraverso proiezioni

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glutammatergiche, che a sua volta inibisce, tramite il GABA, il nucleo laterale posteriore ed il lobulo parietale superiore posteriore del talamo (PSPL). Questa inibizione è particolarmente importante perché è responsabile dell‟alterazione soggettiva della percezione del corpo nello spazio.

Altre aree particolarmente implicate sono l‟ippocampo, l‟amigdala e l‟ipotalamo, che provoca l‟attivazione del sistema parasimpatico, con conseguente diminuzione del respiro, della pressione e del battito cardiaco.

Per quanto riguarda i neurotrasmettitori, una volta che la respirazione ha rallentato, il nucleo paragigantocellulare smette di attivare il locus caeruleus, che libera meno noradrenalina (NA). La diminuzione di NA contribuisce ulteriormente alla deafferentazione del PSPL.

In questo processo, l‟ipotalamo diminuisce la secrezione dell‟ormone di rilascio della corticotropina (CRH) che, a cascata, provoca la diminuzione dell‟ormone adrenocorticotropo (ACTH) e del cortisolo.

Un altro neurotrasmettitore liberato dall‟ipotalamo è la beta-endorfina, che provoca depressione respiratoria e senso di benessere. Si ha inoltre un aumento della serotonina e della dopamina, che potrebbero essere responsabili del senso di estasi e di gioia (Newberg and Iversen, 2003).

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Figura 18: network neurofisiologico degli stati meditativi (da Newberg and Iversen, 2003)

Gli effetti neurocognitivi di tratto della mindfulness sono stati valutati utilizzando un gran numero di strumenti. Sono stati in questo modo osservati cambiamenti duraturi nell‟attività elettrica e metabolica del cervello, ma anche nella sua stessa struttura fisica. In meditatori esperti è stato scoperto un aumento dello spessore nelle are somatosensoriali, uditive, visive ed enterocettive, oltre che della corteccia prefrontale e dell‟insula destre. Infine l‟aumento dello spessore correla positivamente con gli anni di esperienza meditativa dei soggetti (Lazar et al., 2005).

Oltre a ciò, i meditatori esperti hanno una maggiore risposta immunitaria rispetto ai novizi ed è stato osservato che un aumento dell‟attivazione cerebrale anteriore sinistra è correlato all‟aumento degli anticorpi (Davidson et al., 2003).

È stato ipotizzato che uno dei processi per il quale la mindfulness funziona è l‟etichettamento dell‟esperienza, soprattutto quella emotiva: essere bravi ad individuare

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e descrivere i propri sentimenti (ad es. “Ecco la rabbia”), riuscendo a vedere le emozioni come oggetti, provoca una positiva sensazione di controllo e di distacco. L‟individuazione verbale di un‟emozione attiva la corteccia prefrontale ventro-laterale destra e diminuisce l‟attivazione dell‟amigdala e ciò è associato ad una diminuzione dell‟ansia e delle emozioni negative (Creswell et al., 2007).

Durante compiti cognitivi, invece, meditatori esperti mostrano un‟attivazione maggiore nell‟ACC e nella corteccia prefrontale dorsolaterale e mediale, che riflettono una migliore capacità di inibire risposte inappropriate e di ignorare eventi distraenti (Holzel et al., 2007; Brefczynski-Lewis et al., 2007).