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Per analizzare gli stati di coscienza l‟introspezione è fondamentale. Poiché il concetto di ASC è fondamentalmente di tipo esperienziale, il criterio per determinarne la presenza è la mappa delle esperienze del soggetto (Tart, 1975).

L‟introspezionismo ha una lunga storia. Per Wundt (1832-1920) la psicologia, la “scienza dell‟esperienza” si basa sull‟introspezione. Il suo strutturalismo investiga le strutture elementari di cui è composta la coscienza. Gli introspezionisti sono degli osservatori allenati a trovare gli elementi strutturali dell‟esperienza.

Husserl, in La Filosofia come Scienza Rigorosa (1911), tenta di fondare una scienza rigorosa dell‟esperienza umana. Egli prova a riportare la psicologia al suo scopo originale, cioè all‟analisi dei fenomeni psichici, allontanandola dall‟eccessivo naturalismo scientifico. Con un metodo chiamato Fenomenologia egli sostiene che la nostra attenzione si deve spostare sulla realtà così come ci è data e come appare, promuovendo uno studio rigoroso e metodologico dell‟esperienza soggettiva.

Secondo questa corrente la psicologia non studia la realtà così com‟è, perché ignora il vissuto, spesso visto come un bias. Egli parte dall‟assunzione che l‟esperienza fenomenologica sia irriducibile e non possa essere ricondotta o spiegata da una prospettiva in terza persona.

Termini come coscienza fenomenica, esperienza, eventi in prima persona e qualia si riferiscono all‟esperienza vissuta associata ad eventi cognitivi e mentali. Gli eventi in prima persona però non possono essere “validati pubblicamente”. È perciò necessaria una sorta di mediazione tra prima (soggettiva) e terza persona (oggettiva), il metodo in

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seconda persona: in questo modo i criteri di oggettività della fenomenologia diventano principalmente lo scambio intersoggettivo ed il confronto con l‟altro, dando grande importanza al linguaggio. Questi tre punti di vista sono inseriti inoltre in un contesto sociale (Varela and Shear, 1999; Armezzani, 2012).

L‟introspezione è considerato un metodo valido poiché non c‟è una vera e propria differenza tra dati “soggettivi” e dati “oggettivi”, cioè pubblicamente mostrabili, poiché i primi sono solo meno verificabili pubblicamente e la differenza è solo di grado, non di qualità. Bisogna perciò trovare dei metodi per aumentare il grado di accordo a riguardo dei dati soggettivi: tra questi metodi vi può essere l‟utilizzo di osservazioni ripetute, di campioni ampi, di controlli statistici adeguati, di un addestramento dei soggetti, della correlazione di questi dati con dati comportamentali e fisiologici (Kukla, 1983).

I resoconti verbali possono fornire utili informazioni su ciò che avviene nella mente dei soggetti, se utilizzati con cautela e ben interpretati, nonostante non siano sempre completi ed affidabili (Ericsson and Simon, 1980).

La psicologia ottiene già dei buoni resoconti dall‟esperienza interiore delle persone, considerata una fonte primaria ed affidabile di dati in psicologia, come nella psicoterapia cognitivo-comportamentale (Hulburt and Heavey, 2001).

Vi sono però molte possibilità di errore che rendono non del tutto affidabile la raccolta dei dati tramite l‟introspezione. Il vissuto è di per sé enigmatico e sfuggevole. È stato dimostrato che i soggetti sono spesso inconsapevoli dello stimolo che influenza una risposta e a volte sono persino inconsapevoli della risposta stessa o del fatto che uno stimolo ha influenzato la risposta. Inoltre i loro resoconti avvengono più spesso non sulla base dell‟introspezione, ma sulla base di credenze a priori, teorie causali o giudizi personali (Nisbett and Wilson, 1977).

La comprensione delle domande si riferisce non solo al significato letterale, ma i resoconti soggettivi sono inoltre fortemente influenzati dallo strumento col quale vengono esplorati, dal formato delle domande, dal contesto e dalla comunicazione, le risposte dipendono anche dalla motivazione, dalla desiderabilità sociale e dal rapporto tra esaminatore ed esaminato (Schwarz, 1999).

Altri problemi sono la dispersione dell‟attenzione, l‟assorbimento nell‟obiettivo, la confusione tra esperienza e rappresentazione della stessa, l‟impossibilità di un accesso

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in tempo reale all‟esperienza, che può essere solo retrospettivo e la difficoltà della trasposizione in parole (Petitmengin, 2006).

Nonostante ci sia alta probabilità di sbagliare e non tutti i soggetti siano in grado di essere adeguatamente introspettivi, i dati soggettivi possono essere considerati dei dati veri e propri, stabili e replicabili (Lieberman, 1979).

Cercando di affrontare le difficoltà che si incontrano nel tentativo di descrivere l‟esperienza interiore, sono stati sviluppati molti metodi rigorosi che utilizzano interviste strutturate per descrivere l‟esperienza soggettiva anche in soggetti non addestrati. In questo campo le tecniche di neuroimaging hanno fornito un ottimo motore alle ricerche fenomenologiche, poiché senza di queste sarebbe impossibile interpretarle (Petitmengin, 2006).

Uno di questi metodi è l’Analisi Interpretativa Fenomenologica (IPA), che permette di esplorare in dettaglio il mondo interiore e sociale dei partecipanti. Essa si occupa del punto di vista del soggetto e della sua percezione di un oggetto od evento, senza voler cercare dati oggettivi. Si tratta di un‟intervista semi-strutturata, un dialogo che si modifica sulla base delle risposte del soggetto e che enfatizza un processo dinamico in cui anche l‟esaminatore svolge una funzione attiva. Essa procede senza un‟ipotesi da dimostrare, ma col solo scopo di esplorare l‟area di interesse in maniera dettagliata (Smith and Osborn, 2007).

Secondo alcuni autori sono necessari ulteriori procedimenti esterni alla fenomenologia: infatti se per “descrivere” l‟esperienza essa è ideale, per “spiegare” la coscienza occorre uscirne fuori (Revonsuo, 2003). Nonostante l‟esperienza non sia considerata un epifenomeno, ma una fonte di primaria importanza per la comprensione della mente che non si può ridurre a fattori cognitivi e neurali, essa è solo uno dei vari livelli per mezzo dei quali si può spiegare la coscienza, oltre a quello psicologico, sociale, biologico. Recentemente una nuova corrente fenomenologica ha affiancato alle teorizzazioni di Husserl quelle della filosofia della mente, della psicologia e delle neuroscienze cognitive cercando di integrare queste prospettive (Thompson and Zahavi, 2007).

Un approccio è quello empirico-fenomenologico, chiamato anche psicofenomenologico o noetico-comportamentale per studiare e mappare le strutture della coscienza. Questo metodo consiste in un Assesment Retrospettivo Fenomenologico (RPA), un questionario self-report che segue un particolare stimolo o condizione. Si tratta non solo di

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descrivere, ma anche di quantificare e valutare statisticamente le variazioni soggettive dipendenti da vari stimoli utilizzando, oltre all‟introspezione, anche le tecniche della psicologia e della statistica. I fenomeni della coscienza sono quindi considerati dei dati legittimi che possono essere investigati scientificamente con i metodi conosciuti e trattati come gli altri dati (Pekala, 1980, 1985, 1991).

Un altro metodo per migliorare l‟affidabilità dei resoconti soggettivi è quello di correlarli con dei dati oggettivi ottenuti mediante strumenti che valutano l‟attività del Sistema Nervoso Centrale.

In questo la Neurofenomenologia, derivata dall‟approccio dell‟embodied cognition, afferma che i resoconti soggettivi dell‟esperienza e le scoperte scientifiche delle neuroscienze cognitive possono essere mutuamente informative e cerca di incorporare le tecniche in prima persona nelle ricerche sulla biologia della coscienza. Secondo questa prospettiva i metodi in prima persona possono aiutare ad individuare e studiare i processi fisici implicati nella coscienza e testare ipotesi di corrispondenze tra stati mentale e particolari organizzazioni funzionali come l‟integrazione neurale su larga scala (Laughlin and Throop, 2009).

La Neurofenomenologia “getta un ponte” tra dati neurobiologici e dati fenomenologici. Secondo gli ideatori, “naturalizzare la fenomenologia” (Varela, 1996) e “fenomenologizzare le neuroscienze” (Gallese, 2006) è auspicabile e necessario se si vuole ottenere un più stretto e proficuo dialogo tra neuroscienze e fenomenologia (Armezzani, 2012).