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Con il termine “mindfulness” (letteralmente “mente piena”, consapevole), si intende un concetto variegato e complesso. Il termine è stato coniato da Rhys-Davids a partire dalla parola in lingua Pali “Sati”, tradotto come consapevolezza, attenzione e ricordo.

La mindfulness può essere descritta come una pratica terapeutica, ma anche come una naturale capacità umana che può essere coltivata e che è, ed è stata, storicamente utilizzata per minimizzare lo stress e per indurre esperienze mistiche e religiose (Brown et al., 2012) e che si inserisce in quelle pratiche volte ad ottenere un rilassamento ed uno stato alterato di coscienza come l‟ipnosi, il training autogeno ed il rilassamento progressivo (Cahn, 2006).

La mindfulness è strettamente legata alla filosofia ed alla pratica meditativa buddista e le sue definizioni sono molteplici, motivo per cui il termine è spesso utilizzato in modo poco chiaro e confuso. Tra le definizioni più condivise ed utilizzate: “Consapevolezza

che emerge prestando intenzionalmente attenzione, nel momento presente ed in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza, momento dopo momento” (Kabat-Zinn,

2003), “Consapevolezza del campo fenomenico osservato in modo distaccato, attento,

ma privo di giudizio o analisi” (Kabat-Zinn, 2003) e “Consapevolezza dell’esperienza presente con accettazione” (Germer et al., 2005).

Con tale termine ci si riferisce più ad uno stato particolare di consapevolezza e di attenzione, che ad una o ad un insieme di tecniche, un modo di rapportarsi all‟esperienza apparentemente semplice, ma che necessita di una certa pratica nel gestire gli stati mentali ed emozionali.

Essa si oppone o, meglio, completa la consapevolezza di tutti i giorni, quella caratterizzata da un‟attenzione passiva, in cui viene inserito una specie di “pilota automatico”, e da un continuo rimuginio riguardante il futuro o il passato, che fugge così il momento presente (Siegel et al., 2012).

Oltre al buddismo, la mindfulness è strettamente legata alla filosofia fenomenologica di Husserl (1911) poiché, come quest‟ultima, si pone lo scopo di scoprire ed analizzare le operazioni della mente attraverso l‟esperienza soggettiva.

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Secondo la filosofia di Husserl sono possibili due modalità di elaborazione dell‟esperienza:

- l‟Atteggiamento Naturale, cioè l‟attitudine che abbiamo di percepire l‟esperienza trattandola come un oggetto sul quale compiere operazioni cognitive, ponendovi sopra un filtro mentale per adattarla alle nostre credenze, convinzioni, opinioni ed abitudini, concettualizzando e valutando l‟evento spesso in maniera automatica. Questo atteggiamento verso l‟esperienza può però portare a distorsioni nella rappresentazione dell‟evento, sia in senso positivo che negativo;

- l‟Atteggiamento Fenomenologico, invece, che fa sì che l‟esperienza sia ricevuta per come “ci è data”, per come appare, dopo aver fatto un passo indietro dalle elaborazioni cognitive e semantiche ed avendo sospeso il giudizio e l‟elaborazione concettuale. Questa operazione è chiamata riduzione fenomenologica o epoché e coltivare questo particolare stato attentivo e ricettivo della mente, osservandone i contenuti senza opporvisi o provandoli a cambiare, permette di stabilire un rapporto diverso con la propria esperienza.

La mindfulness buddista ha quindi chiaramente molti punti in comune con l‟atteggiamento fenomenologico di Husserl in quanto in entrambi i casi si guarda la natura soggettiva della coscienza per come appare nel momento presente, cercando di sospendere il modo abituale che abbiamo di percepire le cose e sostituendo quest‟ultimo con un‟attitudine di aperta attenzione ed accettazione.

Per quanto riguarda la pratica della meditazione, essa richiede uno stato di calma e di inattività comportamentale (di solito in posizione seduta con gli occhi chiusi) simile al comune rilassamento, ma in più richiede di adottare uno specifico tipo di concentrazione verso i contenuti che si presentano alla mente e cercare di mantenere questo stato di attenzione quando quest‟ultima inizia a vagare (Friedmanet al., 1998). Esistono migliaia pubblicazioni sulla meditazione, ma questo termine continua ad essere utilizzato con scarsa precisione ed in maniera piuttosto vaga; uno dei motivi è che nella sua spiegazione si tende a non considerare gli ovvi limiti dovuti alle differenze culturali di fondo tra occidente e oriente in nome, forse, di un‟universalità “culture free”

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dell‟esperienza dell‟essere umano. Inoltre lo studio della mindfulness fa sorgere domande filosofiche metafisiche che difficilmente trovano risposta nelle neuroscienze (Lutz et al., 2007).

In più vi è un‟estrema varietà nelle tecniche di meditazione, buddiste e non, ed ogni pratica si suppone che agisca in modo differente nell‟indurre uno specifico stato sia sul piano fenomenologico che su quello cognitivo e fisiologico. Perciò le ambiguità sono molte anche a causa della terminologia spesso inaffidabile dovuta a problemi di traduzione e delle ambiguità intrinseche nelle varie tradizioni.

Tuttavia vi sono delle caratteristiche in comune in queste pratiche che, dovendo generalizzare, si possono classificare in tre tradizioni principali:

- la tradizione Vipassana del Buddismo Theravada; - la tradizione del Buddismo Tibetano;

- la tradizione Zen.

Queste possono essere suddivise a loro volta in due tipologie principali che, come due poli di un continuum, descrivono l‟insieme di modalità con cui possono essere svolte le tecniche di meditazione e, lungo tale continuum, se ne situa la maggior parte, prendendo un po‟ da un polo e un po‟ dall‟altro:

- la Meditazione Concentrativa, durante la quale si cerca di focalizzare l‟attenzione su di un singolo elemento, che può essere reale o immaginato; - la Meditazione di Mindfulness, dove è coltivato il distacco da tutti i contenuti

che si presentano alla coscienza, senza giudicarli, per ottenere una “presenza aperta” e stabile, una sorta di baseline dalla quale, indipendentemente dalle fluttuazioni mentali, si riesca a mantenere il ruolo di osservatore distaccato degli eventi.

Nel secondo caso il tentativo è quello di diventare consapevoli della coscienza stessa non occupandosi più dei suoi contenuti e mantenendo una mente non diretta ad alcun oggetto (Fasching, 2008).

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Questo punto di vista spesso porta a nuovi insight, cioè a ricostruzioni e reinterpretazioni delle esperienze, che vengono viste sotto una nuova luce (Brown et al., 2012).

In verità è stato dimostrato che, nel lungo termine, entrambi i tipi di meditazione raggiungono gli stessi effetti ed anche analisi fenomenologiche sembrano mostrare che l‟obiettivo finale è piuttosto simile poiché entrambe, in fondo, consistono in un continuo monitoraggio dell‟attenzione nei confronti di contenuti diversi della coscienza (Cahn, 2006) ed infatti, di solito, la pratica di una meditazione concentrativa poi porta naturalmente ad una di mindfulness (Chan and Woollacott, 2007).

Spesso è riportato il cosiddetto stato di flow (flusso), uno stato di elevata motivazione personale in cui l‟attenzione è completamente assorbita nel compito e nel momento presente e che porta ad uno stato di elevato benessere (Vaitl et al., 2005; Jovanov, 2011).

Oltre a modificazioni di stato, la meditazione provoca modificazioni di tratto, ovvero cambiamenti permanenti di tipo cognitivo, emotivo e comportamentale. Il tratto meditativo quindi persiste anche quando il soggetto non è impegnato in meditazione. La mindfulness può essere coltivata e l‟abilità nell‟utilizzo di queste tecniche aumenta col tempo e la pratica e porta a risultati rilevanti per la salute fisica e mentale.

I processi implicati nel benessere psico-fisico sono molteplici anche se non perfettamente chiari: innanzitutto il rilassamento, poi la riduzione del pensiero letterale e quindi della ruminazione, il miglioramento della flessibilità cognitiva e dell‟attenzione, gli insight meta-cognitivi, il decentramento dall‟esperienza negativa, l‟esposizione, l‟accettazione, l‟auto-regolazione, il controllo delle reazioni, lo switching attentivo degli affetti ed il miglioramento generale delle funzioni esecutive (Chambers et al., 2008).

Tra i benefici portati dalla mindfulness particolarmente importante è il miglioramento della regolazione emotiva, cioè la capacità di essere consapevoli delle proprie emozioni e di saperle gestire a seconda delle necessità, che è associata ad una diminuzione della valutazione degli stimoli e ad una riduzione della difesa da essi (Brown et al., 2012). La mindfulness migliora la consapevolezza meta-cognitiva, cioè la capacità di guardare ai pensieri ed alle emozioni negative come semplici oggetti mentali temporanei, che è associata ad una minore vulnerabilità alla depressione (Teasdale et al., 2002) ed alla

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capacità di essere testimoni di questi senza reagirvi impulsivamente, ma accettandoli e lasciandoli andare (Brown et al., 2012).

Essa può infine modificare la percezione di sé in contesti sociali, poiché un Sé forte e saldamente basato sulla propria esperienza diretta, piuttosto che sul giudizio altrui, reagisce meglio a giudizi negativi ed a rifiuti sociali (Brown et al., 2008).