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Aspetti qualitativi della pratica monetaria nella prospettiva di V. Zelizer

La pratica monetaria e i suoi effetti sulla coesione sociale

3. Aspetti qualitativi della pratica monetaria nella prospettiva di V. Zelizer

Se è vero che la modernità ha portato alla luce ed esaltato gli aspetti puramente quantitativi che caratterizzano il denaro e i suoi effetti disgreganti sul piano delle relazioni sociali, non possiamo con ciò affermare che questa sia l’unica prospettiva da cui si può osservare l’evoluzione di tale pratica.

Per quanto lo studio dei processi economici abbia una grande tradizione che risale ai lavori di Karl Marx, Max Weber, Émile Durkheim e Georg Simmel, è solo negli anni ‘80 del secolo scorso che la sociologia economica si è configurata come una nuova disciplina.

Nella fase iniziale del suo sviluppo i sociologi economici si sono confrontati con i principi teorici dell’economia neoclassica, quali ad esempio la concezione atomistica dell’azione economica (White, 1981; Granovetter, 1985), utilizzandoli come chiave di comprensione da applicare ai processi socio-economici. In questa fase la sociologia economica si è soffermata principalmente sui caratteri che differenziano la sfera sociale da quella economica, piuttosto che sui loro elementi di integrazione.

Con l’affermarsi dello struttural-funzionalismo le strade dell’economia e quelle della sociologia tendono a separarsi, perché quest’ultima è relegata allo studio delle «precondizioni sociali, politiche e culturali del funzionamento dell’economia e dello scambio di mercato» (Barbera e Pais, 2017: XVII). L’economia si interessa del

“valore” e la sociologia dei “valori” (Stark, 2009).

A valle di questo percorso sono stati proposti o scoperti diversi concetti utili (cfr. Littera et al., 2014: 2), quali la rilevanza dei networks relazionali sull’agire economico (Coleman, 1990; Portes, 1998), la varietà delle strutture di mercato in diversi contesti sociali (Powell, 1990), il ruolo autonomo dei fattori culturali e cognitivi, i tipi di relazioni non ascrivibili unicamente alla logica di mercato (Uzzi,

37 1996) e il ruolo costitutivo dello Stato nel definire le regole (Fligstein, 2001). Ma è soprattutto con i saggi di Mark Granovetter (1973; 1985) che si può parlare di nascita della cosidetta «nuova sociologia economica» (Barbera e Pais, 2017: XVII).

Secondo questo autore «una delle principali differenze tra la vecchia e la nuova sociologia economica consiste [...] nel fatto che quest’ultima rovescia l’imperialismo economico, offrendo spiegazioni di tipo sociologico di fenomeni chiave dell’economia, come i mercati, i contratti, la moneta, lo scambio e l’attività bancaria» (Granovetter, 1998: 209).

Nell’intento di esaminare da un punto di vista sociologico le interazioni tra la sfera culturale e quella economica, Viviana Zelizer individua tre generi di fallacie che hanno caratterizzato gran parte delle impostazioni teoriche classiche in riferimento alla relazione che sussiste tra questi due ambiti: la fallacia delle “sfere separate”, quella dei “mondi ostili” e quella del “nient’altro che”.

La prima fallacia si basa sull’assunto teorico secondo il quale esistono due differenti tipi di vita sociale, una «orientata da principi di razionalità ed efficienza»

(Zelizer 2009: 11), che include solitamente le organizzazioni economiche formali, un’altra «orientata da principi sentimentali e di solidarietà» (ibid.), cui fanno capo le famiglie e i gruppi legati da vincoli di amicizia. Secondo la teoria classica queste due sfere funzionerebbero bene se lasciate separate, ciascuna guidata dai propri principi.

Al contrario, la Zelizer ritiene che «senza un’ampia integrazione fra attività economica e sentimenti la vita sociale si fermerebbe» (ibid.).

Il secondo fraintendimento, quello dei “mondi ostili”, si fonda sulla convinzione che quando le due sfere dell’economia e della cultura vengono troppo in contatto tra loro si generino degli attriti causati da una contaminazione reciproca. In questi casi la logica del mercato avvelenerebbe l’intimità e dal canto suo l’intimità indebolirebbe l’efficienza. La sociologa americana è invece convinta che «tutti continuiamo a mescolare attività economiche, sentimenti e intimità. Diversamente da quanto sostiene la teoria classica, una segregazione rigida tra le due sfere compromette sia la solidarietà sia l’efficienza delle organizzazioni» (ibid.).

Il genere di fallacia del “nient’altro che” comprende diversi approcci che cercano di spiegare le aree di intersezione tra economia e cultura riducendole o al perseguimento razionale di fini economici, o a dei nudi esercizi di potere, o ancora a

38 espressioni della cultura dominante. Per quanto ognuno di questi approcci contenga elementi di verità, solamente integrando le sfere della razionalità economica, dell’esercizio del potere e dell’espressione della cultura gli studiosi possono arrivare a descrivere e spiegare in modo adeguato le modalità in cui cultura e attività economiche interagiscono (cfr. ibid.).

Solo recentemente gli studi di sociologia economica «hanno abbandonato le concezioni elementari delle reti di rapporti sociali per sottolineare come possano variare la qualità, l’intensità, il significato e le conseguenze dei legami tra attori economici» (Zelizer, 2009: 12), non limitandosi ad applicare modelli economici allo studio di settori come il mercato e le aziende, ma esaminando criticamente determinate forme economiche rilevabili in contesti quali le economie informali, le famiglie, il microcredito, i mercati del consumo, l’economia della cura, le rimesse dei migranti, gli scambi tramite monete complementari ecc.

In questi contesti, dal carattere più informale e circoscritto rispetto al mercato globale, le interazioni mediate dal denaro sembrano essere molto meno condizionate dal suo carattere apparentemente del tutto impersonale e privo di qualità. In esse paiono emergere, al contrario, attribuzioni di valore riconducibili alla sfera dei legami sociali e delle istanze culturali.

Nel mondo moderno il denaro sembra qualcosa di omogeneo e privo di sesso. Eppure, nonostante l’anonimità fisica dei nostri biglietti di banca, anche il denaro moderno è di solito differenziato, non solo perché si presenta in quantità diverse, ma anche perché possiede una serie di qualità diversificate. Noi attribuiamo significati diversi a particolari tipi di moneta, e li utilizziamo per scopi diversi (ibid., p. 111).

Il riferimento al sesso non è casuale, infatti la Zelizer porta come primo esempio di denaro a cui si attribuisce un significato e un uso specifico il fisso settimanale destinato alle donne sposate nella società americana tra il 1870 e il 1930 circa, paragonato allo stipendio mensile dei loro mariti. Questo denaro, per quanto si presentasse nella medesima forma, «era comunque individuato come un tipo di moneta diverso dal normale biglietto di banca. Lo si otteneva in modi diversi, lo si usava per scopi particolari, se ne parlava anche adottando una terminologia diversa»

(ibid., p. 113).

Il fisso settimanale delle casalinghe veniva erogato a discrezione dei mariti e non poteva in effetti essere speso a piacimento dalle donne che lo detenevano. Esso

39 poteva essere destinato a scopi particolari, come le spese per la casa o per acquistare piccoli oggetti da donare, ma in ultima analisi rimaneva soggetto alla supervisione maschile.

La Zelizer è convinta che, come nell’antichità esistevano monete speciali destinate a particolari usi e alle quali ne venivano preclusi altri, anche il denaro moderno possa essere contrassegnato dalla cultura e dalla struttura sociale, «creando forme di controllo, restrizione e distinzione tanto influenti quanto il razionamento del denaro primitivo» (ibid., p. 120).

Il denaro non è un mezzo né culturalmente neutrale, né moralmente invulnerabile. Se i pensatori classici ne hanno enfatizzato l’apparentemente illimitata capacità di trasformare prodotti, relazioni e perfino sentimenti in un equivalente numerico, è perché sono stati impressionati dalle sue peculiari caratteristiche di fungibilità e impersonalità (cfr. ibid., p. 117).

Il modello delle monete speciali che propone la Zelizer mette in discussione quello utilitaristico che ha tradizionalmente interpretato la moneta e il mercato. Esso si fonda su assunti che rompono la dicotomia che ha contrapposto da un lato il mercato privo di moralità e dall’altro i valori non strumentali, quelli ascrivibili alle sfere del sacro, della socialità e della personalità:

1) Nonostante il denaro sia lo strumento razionale decisivo del mercato economico, esso esiste anche al di fuori di questa sfera, ed è plasmato in profondità da fattori culturali e sociostrutturali.

2) Ci sono numerosi tipi di moneta, ogni moneta speciale si configura a partire da un certo insieme di fattori culturali e sociali, che la distinguono qualitativamente dalle altre. Neanche la moneta di mercato è al di fuori delle influenze extraeconomiche, dunque si tratta di fatto di un tipo di moneta speciale.

3) Il classico elenco delle funzioni e degli attributi economici della moneta, che si basa sul presupposto dell’esistenza di un unico tipo di moneta, utile per tutti i fini, è particolarmente limitato e inadeguato. Guardando solo sulla moneta come fenomeno di mercato, non riesce a cogliere l’articolazione e la varietà delle sue caratteristiche come strumento non di mercato. È dunque necessaria una classificazione diversa e più estesa, dato che determinate monete possono essere indivisibili, non fungibili, non trasferibili, profondamente connotate soggettivamente e quindi qualitativamente eterogenee.

4) La dicotomia tra moneta utilitaristica e valori non pecuniari è falsa: in determinate circostanze il denaro può diventare singolare e non scambiabile così come gli oggetti più unici e personali.

5) Non si può dare per scontato che il denaro sia libero e che il suo potere sia irresistibile. La cultura e la struttura sociale impongono limiti invalicabili al processo di monetizzazione, introducendo controlli e restrizioni al flusso e alla liquidità della

40 moneta. I fattori extraeconomici vincolano e influenzano sistematicamente: a) gli usi del denaro; b) gli utilizzatori del denaro, stabilendo che determinate persone devono utilizzare determinate monete; c) il sistema di allocazione di ciascuna moneta; d) il controllo di diversi tipi di moneta; e) le fonti della moneta, attribuendo usi specifici alla moneta proveniente da determinate fonti (cfr. ibid., pp. 121-122).

Seguendo questa linea di pensiero la Zelizer ha portato avanti un lavoro di ricerca focalizzato sui circuiti di commercio, termine inteso nel suo senso originario di “scambio”, “rapporto e influenza reciproca”, “conversazione”. Sebbene presentino alcune proprietà in comune con le reti di fiducia, i circuiti ne hanno anche molte altre che se ne differenziano e la loro struttura non può essere interpretata in modo del tutto pertinente servendosi dei concetti classici di mercato, gerarchia o rete. I circuiti tendono ad emergere nelle intersezioni tra mercati capitalisti e problemi pressanti, dove si cercano soluzioni alternative (Zelizer 2005: 24).

In generale, per individuare un circuito si devono riscontrare i seguenti cinque elementi:

1) confini ben definiti che separano i membri dai non membri;

2) esistenza di un certo controllo sugli scambi dall’esterno verso l’interno e viceversa;

3) sistemi di contabilità comuni per la valutazione delle attività economiche, come forme particolari di moneta;

4) costruzione di connessioni tra i partecipanti basate su significati condivisi;

5) possibilità di trasferire beni specifici attraverso interconnessioni personali;

(ibid., p. 5).

I circuiti emergono dunque da una struttura particolare che abbraccia scambio economico e valori sociali, in contesti circoscritti che raggruppano soggetti tra i quali sussistono connessioni sociali e che sono accomunati dalla condivisione di specifici significati attribuiti alla pratica monetaria che viene esercitata all’interno del circuito.

La dimensione quantitativa del denaro assume, in questi casi, un’importanza che non ha più un carattere totalizzante, al contrario di ciò che è stato teorizzato dai pensatori classici che volgevano il proprio sguardo al mercato come puro e impersonale sistema di allocazione delle risorse.

Un elemento di criticità che la Zelizer individua consiste nel fatto che i circuiti si trovino spesso a fronteggiare significativi problemi collettivi di mancanza

41 di fiducia in assenza di autorità centrali che possano autorevolmente rendere stabile l’accordo tra gli agenti che ne fanno parte (cfr. Zelizer, 2010: 307).

Nel paragrafo che segue si avrà modo di approfondire come gli aspetti quantitativi e qualitativi che caratterizzano una moneta interagiscano, nel caso Sardex, senza che l’uno prevalga a scapito dell’altro, ma in un’ottica di costruttiva complementarietà.

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