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Il potere del denaro e i rischi della sua crescita incontrollata

Dopo aver scandagliato a fondo il concetto di valore (Zhok, 2001), il filosofo Andrea Zhok affronta nello specifico il tema del denaro e delle sue ripercussioni sui rapporti sociali. Il suo contributo è utile a questo studio per due ragioni fondamentali.

Ripercorrendo alcune tra le principali tappe dell’evoluzione storica della pratica monetaria, egli da un lato rileva più di una importante conseguenza preterintenzionale inerente al suo progressivo rafforzamento, dall’altro fornisce un quadro esplicativo interessante sui fattori specifici che caratterizzano il potere del denaro.

Una società con un sistema di scambio più efficiente di un’altra può far interagire un numero infinitamente più grande di soggetti e, di conseguenza, avvalersi di mezzi e competenze che ne amplificano le potenzialità di sviluppo e soprattutto di acquisizione di potere. Per questa ragione «la pratica monetaria tende ad imporsi e diffondersi scavalcando ogni convinzione filosofica o religiosa contraria» (Zhok, 2006: 286).

La possibilità di interagire con sconosciuti, tuttavia, porta con sé simmetricamente lo svantaggio di consentire a sconosciuti di interagire con altri sconosciuti in modi impossibili da controllare, specialmente quando il mercato assume dimensioni planetarie. Fare un affare sul mercato locale può ad esempio significare, all’insaputa di chi lo fa, incentivare il lavoro minorile dall’altra parte del mondo. Inoltre, producendo per un mercato così esteso, il lavoratore perde completamente il controllo sul rapporto sussistente tra il proprio lavoro e il compenso che ne dovrebbe conseguire.

51 Questo conduce a un altro ordine di conseguenze preterintenzionali, prima fra tutte l’autonomizzazione dei mezzi sui fini: dal momento in cui il denaro, comunque ottenuto, è libero di esercitare il suo potere anche sulle persone dell’ambito di prossimità del soggetto (cui attribuiamo tradizionalmente il nostro riconoscimento), diventa secondario il modo in cui ci si è procurati quel denaro rispetto al potere che esso è in grado di esercitare in termini di status e di mobilitazione di risorse. La posizione sociale di ogni individuo può perciò mutare, ascendere o discendere, per cause che sono, in larga misura, del tutto accidentali o comunque non imputabili a particolari meriti o demeriti.

Analogamente a Simmel, Zhok rileva che l’individualizzazione del valore va di pari passo con il logoramento delle identità individuali. Diversamente dalle ricchezze tradizionali quali la terra o il bestiame, il cui possesso era vincolato a specifiche forme del vivere che potevano effettivamente conferire valore a questo genere di ricchezze, il denaro non pone limiti in alcuna direzione alla possibilità di essere usato, consentendo al singolo individuo di avere tutto “per possibilità” senza che ciò implichi alcun legame particolare (cfr. ibid., pp. 287-288).

Da ciò consegue un processo di sradicamento non solo identitario, ma anche territoriale, per cui accade sempre più spesso che siano le persone ad essere indotte o costrette a spostarsi per inseguire i movimenti dei capitali finanziari, piuttosto che l’inverso.

In una società altamente monetarizzata l’individuo, a fronte di una grande libertà in relazione al modo in cui spendere le proprie risorse, tende ad avere una base identitaria sempre più fragile che, proiettata sul piano della collettività, finisce per minare i fondamenti su cui si erge la coesione di una comunità.

Tutte queste dinamiche (estraneazione reciproca, accentuazione dei mezzi sui fini, accidentalizzazione della mobilità sociale, sradicamento individuale) tendono a logorare i vincoli di riconoscimento, lealtà, fiducia che costituiscono una comunità. In altri termini una pratica monetaria dotata di troppo potere tende a disciogliere l’intreccio di rapporti fiduciari da cui è nata e su cui si sostiene. Il denaro [...] è una forza entropica che energizza nella misura in cui destruttura. Perciò un eccessivo aumento del potere della pratica monetaria aumenta la conflittualità sociale, l’illegalità, l’infrazione, la violenza e l’inganno, incrementando quei ‘costi di transazione’ che inizialmente aveva abbattuto (ibid., p. 289).

52 Quali sono dunque le determinanti del potere del denaro, ossia le variabili in grado di accrescere o diminuire il peso che le transazioni monetarie hanno rispetto al complesso delle transazioni sociali di natura diversa? Zhok ne individua tre:

profondità, estensione e capillarità.

«La profondità di una pratica monetaria descrive la rilevanza sociale dei generi di cose che è possibile comprare» (ibid., p. 290). Questa possibilità che il possesso di denaro conferisce ha a sua volta due dimensioni: una legale e una materiale, ossia è inerente a ciò che in un determinato contesto sociale è legalmente consentito e a ciò che è materialmente possibile comprare. Quanto più socialmente influenti sono le cose che è possibile comprare, tanto più potere assume la pratica monetaria.

Se da un lato possiamo senz’altro dire che nel mondo occidentale contemporaneo la profondità legale della pratica monetaria si è ridotta rispetto, ad esempio, all’epoca dell’antica Roma, quando era possibile acquistare schiavi, cariche pubbliche, privilegi fiscali o eserciti mercenari, dall’altro la profondità materiale si è indubbiamente ampliata. Oggi è possibile acquistare mezzi di produzione su vasta scala, armamenti, mezzi di trasporto e soprattutto sistemi di informazioni la cui importanza sociale è infinitamente maggiore.

Inoltre i limiti legali posti all’utilizzo del denaro sono, in casi tutt’altro che rari, aggirati da fenomeni di corruzione. Ancor più frequentemente essi vengono elusi per ragioni dovute all’incapacità delle leggi, diverse per ogni singolo Stato, di far valere regole uniformi nelle diverse aree del pianeta, a fronte di un mercato già da tempo in grado di travalicare i confini nazionali. I cosiddetti “paradisi fiscali”, dove hanno sede legale e residenza la maggior parte dei soggetti in grado di controllare ingenti quote del mercato mondiale e di disporre di grandi concentrazioni di capitale ne sono l’esempio più lampante.

Tali escamotage, più o meno leciti, sottraggono agli Stati più popolosi ingenti entrate fiscali, causando un effetto di inibizione dei meccanismi di redistribuzione basati sulla logica del dono. Assistiamo, in conseguenza di ciò, a un cronico deficit di risorse destinate a provvedimenti che dovrebbero salvaguardare la disponibilità del potere d’acquisto per le fasce più deboli e, parallelamente, a un impoverimento in termini di qualità e quantità dell’offerta di servizi che hanno un ruolo chiave per il

53 benessere e la coesione sociale: l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica, la preservazione dell’ambiente e la cura dei beni di pubblica utilità.

Queste ultime osservazioni ci portano direttamente alla seconda delle determinanti del potere del denaro: l’estensione della pratica monetaria, che qui è intesa come «l’ampiezza e la varietà dei mercati su cui il denaro esercita il suo potere» (ibid., p. 291). È questo il terreno su cui si misura tradizionalmente la forza di una moneta, in ragione della sua accettabilità come mezzo di scambio internazionale.

L’estensione della pratica monetaria è il risvolto dell’influenza sovranazionale del denaro, della sua capacità di modificare, al di là delle possibilità di controllo politico e sociale, le relazioni politiche, sociali ed economiche. Il sistema del capitalismo finanziario ha consentito la formazione di grandi concentrazioni di capitale che operano su scala globale e tendono sempre più a sfuggire da ogni possibile controllo normativo.

Infine, per capillarità della pratica monetaria s’intende «la frequenza e la varietà degli atti di compravendita all’interno di una società storica» (ibid., p. 292).

Ad un elevato livello di capillarità della pratica monetaria corrisponde un elevato grado di monetarizzazione degli scambi e una ricorrente presenza del denaro nella vita quotidiana degli attori sociali. Conseguenza di ciò è una maggiore astrazione del valore che gli attori sociali percepiscono e un ruolo maggiore del calcolo nelle decisioni dei transattori.

Le tendenze strutturali di evoluzione implicite nel sistema degli scambi concorrenziali, in particolare gli effetti preterintenzionali che operano al livello fondamentale delle transazioni interpersonali, appaiono a Zhok difficili da contrastare allo stato attuale. Non si vedono infatti all’orizzonte tendenze alternative (quali, ad esempio, concreti ed estesi tentativi di ricondurre l’economia delle transazioni a una logica in parte ispirata all’economia del dono) in grado di contrastare i perversi effetti dell’incremento di potere su scala globale di una pratica la cui evoluzione è in massima parte lasciata a se stessa, e i cui effetti collaterali risultano, di conseguenza, fuori controllo:

la pratica monetaria agisce sistematicamente in modo da ‘liquefare’ tutto ciò che si presenta come fondante, sacro, imperativo, non negoziabile. Il valore viene tradotto in

54 denaro, cioè in obiettivazioni che si vuole valide in una dimensione che fa astrazione dalle dimensioni sovraindividuali dell’intersoggettività e dell’intertemporalità. Il denaro è inteso conferire potere al singolo, al di là di ogni radicamento storico e al di là di ogni consenso personale. [...] L’intera dimensione sovraindividuale (temporalità storica e personale, identità comunitaria, organicità ambientale) è costitutivamente al di fuori delle ‘cose’ cui può essere assegnato un prezzo, perché non concerne entità che possono essere valutate per parti e deliberate individualmente (ibid., pp. 360-361).

In assenza di mutamenti radicali all’orizzonte, si aprono inevitabilmente alcune linee di frattura la cui pericolosità per la coesione sociale non può essere affatto sottovalutata. Le più importanti riguardano un’ulteriore radicalizzazione della forbice sociale interna alle comunità, tra i diversi Stati e aree del mondo, con un conseguente aumento della pressione migratoria e dei suoi effetti destabilizzanti, l’aumento del risentimento e della conflittualità, sia interna che tra le diverse culture, nonché un deterioramento complessivo delle condizioni ambientali su scala planetaria, i cui effetti sono già da anni sotto gli occhi di tutti e in larga parte imprevedibili.

Quest’ultima linea di frattura appare potenzialmente come la più pericolosa.

La gran parte degli economisti e delle politiche economiche non si preoccupa affatto delle perdite in termini di risorse dovute alle esternalità ambientali provocate da uno

“sviluppo” economico ideologicamente orientato dal mantra della crescita. Per quanto ne sappiamo, il primo grande avvertimento da parte della natura potrebbe anche essere l’ultimo per la società così come la conosciamo oggi (cfr. ibid., pp. 367-368).

Sui rischi di una crisi ecologica si è soffermato anche Luciano Gallino (2015), rilevando che, specialmente dopo gli anni ’80, il capitalismo ha proposto, al fine di sopravvivere alle crisi di produzione da esso stesso generate, soluzioni in gran parte basate sulla sollecitazione a consumare il più possibile.

Di fronte alla crisi della domanda della fine degli anni ’70 il capitalismo ha risposto da un lato con la finanziarizzazione dell’economia, dall’altro con strategie di marketing finalizzate all’accelerazione del ciclo dei consumi, quali l’obsolescenza programmata di un gran numero di prodotti che prima erano costruiti per durare a lungo, il lancio di nuovi prodotti che rispondono alle medesime necessità di altri, ma che li fanno apparire superati e la diffusione omnipervasiva di messaggi pubblicitari

55 pensati con il preciso scopo di indurre nei consumatori, dai bambini agli adulti, nuovi bisogni da soddisfare con nuovi prodotti (Gallino, 2015: 28-29).

Sardex, un mezzo di pagamento - in parte volutamente -