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L’uso del denaro come pratica sociale

La pratica monetaria e i suoi effetti sulla coesione sociale

1. L’uso del denaro come pratica sociale

La pratica monetaria, dalle prime forme più rudimentali fino al capitalismo finanziario, ha subito profonde e significative evoluzioni. Poiché si tratta di una pratica che ha a che fare con un ampio ventaglio di tipologie di interazione tra gli individui, le sue diverse caratterizzazioni hanno prodotto e tuttora producono modifiche tutt’altro che trascurabili sulla fenomenologia dell’agire sociale, sulla coesione interna alle società e sulla qualità dell’ambiente di vita degli esseri umani.

I presupposti per il sorgere e il diffondersi di tale pratica nelle società primitive sono stati, fino almeno dai tempi della Politica di Aristotele (cfr. I.9.1257), ricondotti alle evoluzioni delle dinamiche di dono e contro-dono su cui si basavano gli scambi di oggetti ad alto valore simbolico e su quelle connesse al baratto di

26 eccedenze derivanti dalle produzioni ai fini di sussistenza. È Marcel Mauss (1924) in particolare a documentare come le forme originarie dello scambio assumano spesso il carattere di uno scambio di dono, soprattutto in occasioni di importanti cerimonie come quelle legate ai fidanzamenti o ai matrimoni. In queste forme di scambio si radica inoltre un principio importante: quello della reciprocità, che nasce dal triplice obbligo di regalare, accettare e contraccambiare.

Nelle epoche antiche gli scambi di beni economici sono accompagnati spesso anche dallo scambio di donne. Gli studi più interessanti su questo aspetto sono quelli di Malinowski (1913) e di Lévi-Strauss (1949). Questi autori hanno contribuito significativamente a far conoscere lo sviluppo della famiglia e la struttura economica nelle società primitive.

L’opinione secondo la quale il baratto precede la moneta è stata, d’altra parte, confutata dall’antropologo l’antropologo Graeber (2012). Sulla base dei suoi studi egli la ritiene una ricostruzione a posteriori sulla quale la disciplina economica ha poi edificato una parte consistente del proprio pensiero.

Noi non abbiamo cominciato col baratto, per poi scoprire la moneta e alla fine sviluppare un sistema di credito. È successo proprio l’opposto. il cosiddetto «denaro virtuale» è venuto prima. Le monete [coniate] sono arrivate molto dopo e il loro uso si è diffuso in maniera disomogenea, senza mai riuscire a sostituire completamente il sistema di credito. Al contrario, il baratto sembra essere un sottoprodotto fortuito dell’uso della moneta: storicamente ha rappresentato l’ultima risorsa per chi, abituato a usare il denaro nelle proprie transazioni, si è trovato per una ragione o per l’altra senza liquidità (Graeber, 2012: 45).

Che vi fossero, già all’inizio del diciannovesimo secolo, elementi consistenti per mettere in discussione quasi ogni aspetto della storia tradizionale sulle origini del denaro è testimoniato anche dagli studi condotti da Mitchell-Innes (1913), nei quali lo studioso, alla luce di dati di fatto, ne confuta alcune false ipotesi:

tra le credenze erronee che circolano attorno al commercio c’è l’idea che il credito sia uno strumento introdotto nei tempi moderni per mettere da parte del denaro e che prima che si conoscesse questo strumento tutti gli acquisti fossero pagati in contanti, ovvero con denaro. Una ricerca minuziosa ci mostra che è vero proprio il contrario.

nell’antichità le monete giocavano un ruolo minore nel commercio rispetto ai nostri giorni. Inoltre, la loro quantità era così scarsa nel Medioevo che non bastava neanche ai bisogni delle spese domestiche e delle proprietà della casa reale inglese, che usava regolarmente svariati contrassegni per i piccoli pagamenti (Mitchell-Innes, 1913: 381).

27 Anche Caroline Humphrey (1985), autrice di un’opera fondamentale sul baratto, rileva che non è mai stato descritto nessun esempio di un’economia del baratto pura e semplice, né esistono tracce, nella letteratura etnografica a sua disposizione, che avvallino l’ipotesi secondo la quale dal baratto sarebbe nato il denaro.

Le prime forme di denaro sono di tipo scritturale e non hanno nulla a che fare con la pratica del baratto: sono tavolette di epoca mesopotamica sulle quali venivano registrati debiti e crediti, ammontare di grano o argento dovuti per l’affitto di terreni di proprietà dei templi e razioni di viveri che gli stessi templi distribuivano. Si può dunque affermare che denaro e debito facciano la loro comparsa esattamente nello stesso momento (cfr. Graeber, 2012: 27), in quanto il denaro è a tutti gli effetti un metro di valutazione del debito, una forma più elementare di un «pagherò» (cfr. ibid., p. 49). Nel momento in cui diventa trasferibile, questo contrassegno di un debito tende ad essere considerato come un bene.

La moneta coniata ha invece una storia molto più recente e intimamente legata alle necessità organizzative, commerciali e militari delle città-stato:

le monete greche sembra fossero usate in origine per remunerare i soldati, così come per pagare ammende, multe e tasse al governo: attorno al 600 a.C. quasi ogni città-stato greca batteva la propria moneta come emblema di indipendenza civica. Non ci volle molto affinché le monete entrassero nell’uso comune per le transazioni quotidiane. Nel V secolo l’agorà delle città greche, la piazza dei dibattiti pubblici e delle assemblee cittadine, era diventata anche la sede del mercato (ibid., p. 183).

La radicale novità apportata dalla moneta coniata consiste nella sua capacità di incorporare e rappresentare un valore facilmente trasportabile e quantificabile, oggettivabile a livello intersoggettivo, indipendente dalla natura e dalla finalità della transazione, nonché dai soggetti coinvolti nella transazione stessa.

Il vantaggio di poter usufruire di un mezzo di scambio di ridotte dimensioni, divisibile a piacere e a cui poter riferire, a livello quantitativo, valori attribuibili a oggetti o prestazioni di diversa natura è la chiave per comprendere il successivo sviluppo del denaro, che ha storicamente esteso il suo raggio d’azione sotto una pluralità di punti di vista, come si avrà modo di chiarire.

Rappresentare quantitativamente, su di un’unica scala, valori che prima venivano attribuiti in maniera differente, contingente e soggettiva costituisce

28 indubbiamente una facilitazione nelle transazioni. L’altra faccia della medaglia, che già Georg Simmel (1900 e 1903) aveva acutamente rilevato nei primissimi anni del

‘900, è la decurtazione, che una tale semplificazione rischia di comportare, di tutte le dimensioni qualitative del valore.

Graeber arriva a riconoscere un intimo legame tra quantificazione e violenza, nel senso che la considerazione in termini numerici del debito ha avvallato, anche in termini legali, la privazione della libertà nei confronti dei soggetti debitori e delle loro famiglie. In particolare identifica come elemento cruciale «la capacità del denaro di trasformare la moralità in una faccenda di aritmetica impersonale e, così facendo, di giustificare cose che altrimenti potrebbero sembrare oscene o indecenti»

(Graeber, 2012: 21).

Se da un lato è disponibile un medium in grado di accelerare gli scambi e le interazioni, gli effetti preterintenzionali impliciti in questa pratica possono dunque arrivare a minare gli stessi per presupposti dello scambio, primo fra tutti la libertà di scelta dei soggetti interessati, nonché il carattere di reciproca utilità che gli scambi e le interazioni dovrebbero rispecchiare.

«É probabile che il potere rivoluzionario del denaro derivi proprio dalla sua totale indifferenza ai valori» (Zelizer, 2009: 113), dal suo essere misura matematicamente quantificabile di un valore che è squisitamente economico. Max Weber lo ritiene la «cosa più astratta e più “impersonale” che esista nella vita degli uomini» (Weber, 2002: 324).

Valori di tipo qualitativo, come il reciproco riconoscimento, l’inclusione o la condivisione dei fini rischiano di passare in secondo piano di fronte al potere esercitato dal valore quantificabile, un potere che non ha bisogno di autorevolezza né di riconoscimento per essere esercitato, un potere che Marx (1844) descrive con due aggettivi che, allora come oggi, non possono che far riflettere. «La quantità del denaro diventa sempre più il suo unico attributo di potenza: come il denaro ha ridotto ogni essere alla propria astrazione, così esso si riduce nel suo proprio movimento a mera quantità. La sua vera misura è di essere smisurato e smodato» (Marx, 2004:

122-123). Esso, nella prospettiva di Marx, è la forma più evidente di feticismo della merce e in esso trova il suo culmine il processo perverso che trasforma i rapporti sociali in rapporti materiali tra cose (cfr. Marx, 1986: 77).

29 Per la teoria economica classica, invece, la moneta sostituisce in modo più efficiente altre forme tradizionali di scambio come il baratto e nasce “naturalmente”

dal mercato. «Il suo valore può essere spiegato dall’incontro tra domanda e offerta, dall’utilità marginale, dai costi di produzione o dalla quantità di moneta in circolazione» (Sartori, 2017: 47). Rappresenta un “velo neutro” steso sui meccanismi di funzionamento dell’economia in quanto non altera l’economia reale. «Non ci si interroga sulla natura della moneta che è, dunque, definita dalle sue stesse funzioni:

essa è ciò che essa fa» (ibid.).

Diversamente dai classici del pensiero economico e da Marx, Weber non considera la moneta come una “merce” o un mezzo di scambio, ma la identifica con la sua funzione di “unità di conto” (misura astratta di valore), che assegna valori monetari a tutti i beni e servizi scambiati. Accanto a questa funzione, per Weber, ce n’è però un’altra ancor più importante: quella di essere una “riserva di valore”, definita da un’autorità (il sistema monetario di riferimento), ma anche da una lotta di potere tra parti contrapposte (Weber, 1922).

Weber riconosce il ruolo conflittuale della moneta quando sottolinea come il prezzo non sia il frutto delle dinamiche della domanda e dell’offerta secondo un’ottica neoclassica.

I prezzi sono, invece, l’espressione della lotta tra interessi opposti - di produttori e consumatori - che riflettono “costellazioni di potere” che caratterizzano la società. In linea con Marx, la moneta perciò non è un velo neutro steso sui meccanismi di scambio delle merci, ma un’arma nella lotta economica” (ibid. p. 48).

Rimane comunque centrale l’idea di Weber relativa alla mentalità di tipo etico-religioso protestante che impone, anche da un punto di vista morale, la necessità di rendere fruttuoso il denaro, privilegiando il reinvestimento sul consumo voluttuoso (Weber 1904-1905).

In ogni caso il denaro esercita un ruolo di primaria importanza nell’interpretazione che i sociologi classici hanno fornito in merito allo sviluppo del mondo moderno. Esso è stato riconosciuto come uno strumento in grado di accelerare il processo di razionalizzazione della vita sociale, come il mezzo più perfetto per il calcolo economico, decisivo per lo sviluppo di mercati funzionanti su basi razionali.

Nonostante il riconoscimento della portata e dell’importanza nella vita sociale che il denaro ha avuto e continua, ora più che mai, ad avere, la bibliografia

30 sociologica sulla pratica monetaria nelle società postmoderne e contemporanee rimane limitata, al punto che il sociologo americano Randal Collins ha scritto che il denaro viene ignorato «come se non fosse abbastanza sociologico» (Collins, 1979:

190).

Nel paragrafo che segue sarà approfondita la prospettiva di Georg Simmel, che tra i pensatori classici è colui che si è dedicato in modo più analitico allo studio della pratica monetaria in chiave sociologica, oltre che filosofica, mostrandone la straordinaria efficacia performativa e il potere aridamente livellatore che esso ha esercitato in un contesto di espansione dell’economia monetaria quale è stata l’epoca moderna.

Successivamente si prenderà in considerazione la prospettiva della sociologa americana Viviana Zelizer, che pone il suo sguardo sulla pratica monetaria focalizzandosi sui diversi significati simbolici che il denaro può assumere in ambiti differenti da quello del mercato globale, anche quando fisicamente si presenta nella stessa forma, come, ad esempio nelle famiglie.

La Zelizer ha inoltre osservato come, in altri contesti economici che, seppur circoscritti, si sono dotati di specifiche regole interne che rispondono a istanze di carattere non pecuniario, è possibile l’utilizzo di vere e proprie monete speciali.

Questi diversi tipi di denaro funzionano in modo differente dalle valute correnti, cui possono essere attribuiti una pluralità di significati simbolici non riconducibili a quell prettamente economici.

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