• Non ci sono risultati.

1. Obiettivi

1.1. Consapevolezza del mezzo

1.1.4. Aspetti tossici: apparenza, discorsi d’odio e dipendenza

Sui social network, dove la navigazione e la fruizione dei contenuti è altamente veloce, dove la narrazione si costruisce attraverso pochi secondi di immagini in movimento e i rapporti si creano e si interrompono con un click, si ha l’impressione di restare sempre

86 Her, Alex, Cambridge Analytica: how did it turn clicks into votes?, The Guardian, 6 May 2018, https://www.theguardian.com/news/2018/may/06/cambridge-analytica-how-turn-clicks-into-votes-christopher-wylie

87 The Great Hack - Privacy violata, reg. Karim Amer, Jehane Noujaim, Netflix, USA, 2019, 2h 19m.

53

sulla superficie delle cose. Questa superficialità si riflette anche in una retorica dell’apparenza che emerge dalla maggior parte dei profili presenti sui social network.

Queste piattaforme sembrano essere diventate a tutti gli effetti una vetrina, in cui le persone più che raccontarsi preferiscono “mettersi in scena”. Manicardi scrive che gli utenti, grazie ai social network, acquistano “la possibilità di godere di un palco per la propria esibizione.”88 Dove lo storytelling è basato quasi interamente su immagini e video, tutto ciò che riguarda i pensieri, le emozioni, l’interiorità dell’individuo faticano a trovare una forma di rappresentazione e di racconto, di conseguenza trova ampio spazio tutto ciò che è più facile da mostrare, fotografare ed esporre: la figura, i corpi e i volti.

I social network generano di conseguenza un insieme di tanti profili singoli costruiti quasi esclusivamente sull’immagine di sé stessi. “Facebook e gli altri siti di social network enfatizzano la presentazione del sé, la struttura di questi siti ruota attorno ai profili individuali degli utenti. […] La presentazione e l’esibizione sono anche aspetti centrali di YouTube, dove ogni utente diventa la star del proprio canale.”89 Sempre Manicardi parla a questo proposito di una “vuota logica Io-centrica”: la tendenza è infatti quella di mettere se stessi, la propria immagine e il proprio corpo nella maggior parte dei contenuti che vengono proposti alla rete di follower, spesso senza accompagnarli a una narrazione più ampia legata a un pensiero, un messaggio, una storia ma per il solo gusto di esibirsi. Su Instagram i profili più seguiti a livello globale sono di calciatori, modelle o cantanti famosi, ad esempio, il contenuto più ricorrente nel profilo di Cristiano Ronaldo, tra i profili più seguiti sulla piattaforma (405 milioni di follower) è costituito da foto di servizi fotografici e campagne pubblicitarie che esaltano il fisico del calciatore. Lo stesso vale per l’account di Kylie Jenner, che attualmente vanta 312 milioni di follower e dove l’attenzione è rivolta principalmente alla bellezza estetica della giovane imprenditrice americana. Una continua esposizione del corpo volta a cercare approvazione dagli altri, selfie e scatti allo specchio sono tra i contenuti più performativi, che raccolgo il numero più alto di like e interazioni nella community. Ispirandosi a modelli di corpi “perfetti”, le persone cercano di apparire più affascinanti di quanto non lo siano in realtà. Alla ricerca continua del profilo e della posa migliori, della luce e dell’angolazione perfetta, gli utenti diventano esperti nel produrre la foto che li faccia apparire il più possibile attraenti agli

88 Rete, oppio dei popoli: Internet, social media, tecno-cultura: la morsa digitale della civiltà. Mimesis, 2020, p.145

89 Davis, Katie, and Howard Gardner. Generazione App. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale.

Milano: Feltrinelli editore, 2014, P.74

54 occhi degli altri, sulla base di modelli estetici inarrivabili. Prima di decidere come mostrarsi l’utente sceglie cosa nascondere: difetti, imperfezioni e tutto ciò che non ritiene esteticamente conforme ai canoni di bellezza più diffusi spariscono dall’immagine. L’inganno è negli stessi strumenti con cui si scattano le foto: le fotocamere sono progettate con appositi filtri che rendono forme e colori più armoniosi, e le numerose app di fotoritocco permettono di cambiare i tratti estetici, fino a distorcere completamente i

volti e i corpi delle persone. Neelam Vashi, spiega che il rischio di questo fenomeno è che “guardare esclusivamente foto ritoccate può cambiare la nostra idea di bello o addirittura di ciò che è naturale”90.

Il selfie, tipologia di foto che era nata proprio con i social network, non è più così di tendenza, ora il modello è quello della foto fatta dagli altri che appaia il più possibile casuale e non da messa in posa. Si ha quindi il fenomeno dello “scatto rubato”, cioè di una foto che sembra scattata da un paparazzo senza che il soggetto fotografato ne fosse consapevole, mentre si tratta di una costruzione ad hoc.

Siamo sempre, quindi, nella tipologia di contenuti basati sull’estetica e sull’apparizione, contenuti pubblicati per il piacere di farsi vedere/notare/guardare, di ricevere “Mi Piace”, reazioni e commenti sempre e solo positivi, dove lo spazio per il dissenso quasi non esiste.

Le “reazioni rapide” che gli utenti possono inviarsi come risposta alle stories su Instagram (l’interazione a una storia scegliendo tra alcune emoticon standard) sono forme di apprezzamento verso il contenuto, mai di disapprovazione (vedi Fig.6): la tua story è divertente, “mi fa morire dal ridere”, oppure “incredibile, mi hai lasciato a bocca aperta, o ancora “wow, sono innamorata”, o “congratulazioni”.

Su Youtube è stata tolta la possibilità di vedere il numero di “dislike” (“non mi piace”) sui video, si può continuare a metterli, ma sarà solo il proprietario del canale a vederli.

90 Neelam Vashi - dermatologa - Boston Medical Center, App-arenze, Report, video, 11/11/2019, 9 min.

Figura 5: ritocco dei connotati del viso sull'app Meitu.

55

Justin Rosemberg, ex project manager di Google che ha lavorato alla creazione del tasto “Mi Piace” definisce i like come “piccole dosi di pseudo-piacere che possono essere tanto vuote quanto seducenti.”91 Un vuoto che è stato descritto anche da Paolo Ercolani nel suo intervento al festival “I muri crescono. Le nuove forme di emarginazione nella società contemporanea”: “la moneta sono i like, i followers, le persone che commentano, i contenuti che tu posti sui social. E questa moneta costituisce il parametro quantitativo di valutazione delle persone sui social network. E questo porta ad essere costantemente in uno stato di tensione, è aumentata l’ansia e l’agitazione, il senso di inadeguatezza perché online sei costantemente in vetrina, sei costantemente sotto il giudizio degli altri, e questo provoca, soprattutto negli adolescenti, un senso di disagio esistenziale profondo”92. Si giudica il valore delle persone nei social network sulla base di dati quantitativi: il numero di amici/follower, il numero di like e il numero di commenti, ma anche il numero di post in cui la persona è taggata, o la quantità di contenuto che pubblica. Sulla base di questi dati si crea un giudizio, i nativi digitali usano un’espressione in particolare: “è una persona social” o anche semplicemente “è social” per indicare chi è particolarmente attivo online e/o è molto seguito. Su Instagram, una delle tendenze che si è diffusa tra i nativi digitali è quella di voler avere un più alto numero di followers rispetto a un più basso numero di “seguiti”: ovvero sono più le persone che mi seguono di quelle che io seguo. Ad esempio, il profilo di un utente con più di 1000 follower e meno di 500 seguiti è considerato molto cool tra le giovani generazioni perché sembra godere di una piccola fama, come quella di una star che è ammirata e apprezzata da molti.

91 Lewis, Paul. ‘Our minds can be hijacked’: the tech insiders who fear a smartphone dystopia. The Guardian, 2017.

92 Ercolani, Paolo. “Il muro della realtà virtuale. Intelligenza artificiale e ottusità umana al tempo di Internet”, video, YouTube

Figura 6: Reazioni rapide story su Instagram.

56

C’è anche chi adotta vere e proprie strategie per raggiungere questo obiettivo. È prassi su Instagram che se qualcuno inizia a seguire un'altra persona, questa ricambi per cortesia, c’è chi sfrutta questa dinamica come strategia di crescita sulla piattaforma: richiede il follow sapendo che per gentilezza l’altro sarà spinto a ricambiare e poi dopo un po’ di tempo, lo toglie volontariamente, senza che l’altra persona se ne accorga (Instagram non invia una notifica alla persona a cui è destinato un unfollow). Ecco perché, quando online si riceve la richiesta di amicizia da una persona sconosciuta se è spinti a vedere il suo numero di seguaci e seguiti e se si nota una grande differenza fra questi numeri, si ha il sospetto che la richiesta sia finalizzata solo a far aumentare il numero dei seguiti. La persona che pratica follow/unfollw tiene alto il suo numero di seguaci e abbassa il numero di seguiti. C’è chi ha istallato delle applicazioni ad hoc per scoprire chi all’interno della propria rete opera questo meccanismo così da interromperlo, smettendo di seguire la persona. È, anche questo, uno dei tanti aspetti tossici sviluppatisi in queste piattaforme.

Nate per mettere in contatto le persone, per connettersi agli altri, per creare comunità, stanno diventando sempre più uno spazio incentrato sull’individualità. “Conosco un bel po’ di persone, per lo più giovani adulti ma non solo, orgogliosi del fatto di aver accumulato migliaia di amici su Facebook. È ovvio che questa affermazione sarà vera solo a patto di avere un’idea ridotta dell’amicizia. Un’amicizia vera dovrebbe consentire agli amici di conoscere le reciproche particolarità. Ogni persona che si incontra è un alieno, un pozzo di differenza inesplorata nell’esperienza della vita che non si può attingere in altro modo se non tramite un’interazione autentica. Rispetto a questa visione dell’amicizia, quella dei social network filtrata dai database è certamente un’idea ridotta”93.

Sui social network si parla di community ma si tratta di tanti singoli individui che cercano il contatto con l’altro più per ottenere attenzioni, apprezzamenti e una sorta di fama che per istaurare una vera conoscenza. Conseguenza inevitabile di questa centralità dell’Io e della sua immagine è una cultura del narcisismo che, grazie alle tecnologie digitali, trova uno spazio ideale per crescere e alimentarsi. A furia di scattarsi foto, modificarle per renderle perfette e pubblicarle, ansiosi di ricevere numerosi like e commenti dagli altri, ci si innamora della propria immagine. Recenti studi dimostrano un significativo aumento

93 Lanier, Jaron. Tu non sei un gadget: perché dobbiamo impedire che la cultura digitale si impadronisca delle nostre vite. Mondadori, 2010, P.72

57

del fenomeno narcisista tra i giovanissimi. Una ricerca94 condotta su un gruppo di ragazzi iscritti a college americani dell’Università del sud dell’Alabama, ha evidenziato come i ragazzi siano molto più concentrati sul proprio sé di quanto non lo fossero i giovani della generazione precedente. La colpa non è direttamente attribuibile ai social network se si è diffusa una moderna cultura del narcisismo, ma, come scrive Shaw Bergman, “il mezzo sembra fornire all'individuo narcisista un'opportunità ideale per mostrare vanità, autopromozione, manipolare la propria immagine pubblica e ottenere approvazione e attenzione”95.

La cultura del narcisismo in rete è un problema soprattutto di auto-rappresentazione, di costruzione della propria struttura identitaria. “Osserviamo rappresentazioni riflesse sullo schermo di anonimi ignoti: non più individui, ma profili, siti di profili, fotografie”96. Altra forma di esposizione mediatica, oltre a quella dell’utente narcisista, è quella di chi non si espone direttamente mostrando sé stesso, ma si presenta attraverso un racconto indiretto fatto di immagini e video delle persone che sono parte della sua rete di affetti.

Su Instagram sono presenti profili di persone che spesso postano foto di amici dove non sono presenti, ed è inusuale questa mancata autocelebrazione di sé stessi rispetto alla propria vita sociale. Dedicare un proprio post interamente a qualcun altro è, nel linguaggio dei social network, una forma di dichiarazione d’affetto. Scegliere di dedicare un post a una persona importante della propria vita è come descrivere sé stessi attraverso le persone a cui si è legati.

Questo esempio di narrazione evidenzia un aspetto importante della comunicazione online, che Riva descrive nel testo “I social network”: “il soggetto diventa, per i propri interlocutori, quello che comunica (il messaggio è il soggetto): senza l’oggettività del corpo, i soggetti riceventi possono costruire l’identità dell’altro solo in maniera indiretta, interpretando i messaggi e le immagini che questo condivide”97. Online gli individui sono quello che postano, quello a cui scelgono di mettere mi piace, l’insieme di commenti che lasciano sotto a un tweet: ogni piccola azione virtuale ne costruisce l’identità.

94 Twenge, Jean M., and Joshua D. Foster. "Birth cohort increases in narcissistic personality traits among American college students, 1982–2009." Social Psychological and Personality Science 1.1 (2010): 99-106.

95 Bergman, Shawn M., et al. "Millennials, narcissism, and social networking: What narcissists do on social networking sites and why." Personality and individual differences 50.5, 2011, p.710

96 Manicardi, Enrico. Rete, oppio dei popoli: Internet, social media, tecno-cultura: la morsa digitale della civiltà. Mimesis, 2020, P.235

97 Riva G., I social network. Il Mulino, 2016, P.32

58

Sempre Riva scrive: “con l’introduzione di un medium, il soggetto diventa “disincarnato”

(disembodied) per il suo interlocutore: la fisicità del corpo viene sostituita da quella del medium”98. Il mezzo si pone non solo tra l’individuo e la sua identità, tra l’individuo e la rappresentazione della sua identità online, il medium è anche tra due persone che sul social network istaurano una connessione. La principale caratteristica della comunicazione online tra gli utenti è quella di essere un’interazione mediata. Le persone si conoscono e si parlano attraverso il filtro dello strumento digitale. E poiché la comunicazione perde le caratteristiche del rapporto vis-a-vis ovvero l’espressione del volto, la mimica, i gesti e la postura, riuscire a comprendere del tutto quello che l’altro sta cercando di dire risulta più difficile e meno chiaro, con frequenti fraintendimenti. Si cerca così di sfruttare al massimo gli strumenti che la tecnologica offre e si accompagnano sempre i messaggi di testo con emoticons per aiutare l’altro a capire meglio quello che si sta comunicando. Si utilizza la punteggiatura per definire il tono del messaggio, ad esempio, un punto alla fine del testo è visto tra molti giovani utenti come un campanello d’allarme, potrebbe infatti significare che l’altra persona si è irritata.

Nonostante l’uso di questi strumenti e l’applicazione di queste pratiche, resta pressoché impossibile interpretare le emozioni e i pensieri dell’altra persona attraverso lo smartphone. Anche con un continuo scambio di messaggi e cercando di esprimere al meglio quello che si prova per gli altri attraverso la comunicazione telematica, non si può comunque sentire profondamente l’affetto dell’altro.

Quando l’interazione è sempre più mediata dallo strumento digitale si finisce con l’essere sempre meno empatici verso gli altri: “la vita digitale distoglie la gente dall’imparare a leggere il volto delle persone e le sfumature dei loro sentimenti”99. Giuseppe Riva nel testo “Nativi Digitali”, riprendendo il concetto da Goleman, scrive che i nativi digitali, che comunicano con i loro coetanei soprattutto tramite gli strumenti offerti dai social network, sono portati a sviluppare un analfabetismo emotivo. Descrive questo sentimento come “la mancanza di consapevolezza, e quindi di controllo, delle proprie emozioni e del comportamento ad esse associati, la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali si prova una certa emozione, l’incapacità di relazionarsi con le emozioni altrui – non

98 Ivi, p.31

99 Turkle, Sherry. Insieme ma soli. Giulio Einaudi Editore, 2019, P.340

59

riconosciute e non comprese – e con i comportamenti che da esse scaturiscono”100. Attraverso i social network, l’altro diventa qualcosa di sempre disponibile, gli amici sanno di potersi contattare costantemente, e infatti si mandano continuamente messaggi.

Meritieri lo definisce “social overload, un sovraccarico di socialità”101. Accade addirittura che si parli contemporaneamente con una stessa persona su più social network.

È appagante e stimolante sapere di avere questa connessione continua con qualcuno. A questo si aggiunge la sensazione eccitante di ricevere una notifica da qualcuno: una forma digitale di attenzioni nei confronti dell’altro. Si è adottata la pratica di spezzettare la conversazione in tanti piccoli messaggi per il piacere di ricevere tante notifiche una dopo l’altra. È come venire sommersi di attenzioni avendo l’illusione di non essere mai soli.

Sono stati tolti la noia e l’ozio dalla quotidianità, dal momento che i social network rappresentano uno spazio in cui è sempre possibile rifugiarsi. In ogni momento si può rivolgere l’attenzione alla bacheca di Facebook, scriversi su WhatsApp, scorrere il dito tra le stories di Instagram, in “questo andirivieni continuo di parole dette, testi e immagini, ciò che piace è soprattutto l’input continuo, così come piace la possibilità di avere sempre qualche altro posto dove andare”102. Ci si allontana dal reale per immergersi nel virtuale.

Il problema è che quando qualcosa è sempre disponibile, la mancanza e, di conseguenza, il desiderio di quel qualcosa svaniscono. In questa continua attività online a volte ci si dimentica anche il motivo per cui si ha aperto l’applicazione, oppure la si apre in maniera inconsapevole con un gesto automatico, senza intenzionalità.

Quando lo strumento digitale, sempre a disposizione, è anche il mezzo per connettersi con gli altri, si finisce con il credere che anche le altre persone possano essere sempre disponibili. Scrive la Turkle: “c’è il rischio che si possa arrivare a considerare gli altri come oggetti a cui accedere (ed esclusivamente per le parti che riteniamo utili, confortanti o divertenti)”103. Si diventa sempre potenzialmente raggiungibili con un click, si può scrivere a chiunque, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento attraverso i social network.

È come se l’interazione online si potesse accendere e spegnere, con la stessa facilità con cui si clicca il tasto ON/OFF. Quando si tratta di relazioni online, chiudere i rapporti è diventato comodo, rapido e quasi indolore. Ad esempio, si può mettere fine a un rapporto

100 Goleman D., Intelligenza emotiva. Che cos’è perché può renderci felici, Milano, Rizzoli, 1997 in Riva, Giuseppe. Nativi digitali. Il Mulino, 2019, p.84.

101 Metitieri, Fabio. Il grande inganno del Web 2.0. Gius. Laterza & Figli Spa, 2011, P.126

102 Turkle, Sherry. La conversazione necessaria. Giulio Einaudi Editore, 2016, P.47

103 Turkle, Sherry. Insieme ma soli. Giulio Einaudi Editore, 2019, P.197

60

semplicemente ignorando un messaggio.

Non c’è niente di più temuto del ricevere un “visualizzato senza risposta”, proprio perché si è tutti consapevoli di essere quasi sempre con lo smartphone in mano, sempre connessi con gli altri, non ricevere risposte da una persona ha un peso significativo. “Se qualcuno ti ferisce con ZERO risposte, bisogna rispondere al silenzio con il silenzio”104. Proprio perché l’altro sta dimostrando che non gli interessa più continuare il rapporto, bisogna dimostrare che non si dà peso al suo disinteresse. Decidendo di non avere un confronto diretto con l’altro la relazione resta “sospesa nel nulla” e per questo sembra che si possa fare finta che non esista più e che non sia mai esistita. Ma la conversazione digitale, quella resta, così come il “visualizzato senza risposta” sarà sempre conservato nella memoria del nostro telefono, tra le altre chat. E non scompare nemmeno la sensazione dolorosa del non aver avuto spiegazioni dalla persona che improvvisamente è scomparsa.

È sempre più diffusa la pratica di chiudere una frequentazione o una relazione scegliendo di interrompere dal nulla la comunicazione sui social network. Questa pratica è definita con il termine ghosting, sparire nel nulla, come fantasmi: “when a person cuts off all communication with their friends or the person they're dating, with zero warning or notice before hand. You'll mostly see them avoiding friend's phone calls, social media, and avoiding them in public”105. Si tratta di una pratica sempre più comune soprattutto nella generazione dei cosiddetti “nativi digitali”, si verifica in ogni tipo di relazione, ma riguarda soprattutto quelle di tipo amoroso. Fare ghosting è facile, perché si tratta della soluzione più comoda, è una via d’uscita, una scorciatoia. È la soluzione digitale per chi non vuole assumersi la responsabilità di affrontare la fine di un rapporto. Per chi lo

104 Turkle, Sherry. La conversazione necessaria. Giulio Einaudi Editore, 2016, P.213

105 Doll, Sunny. Ghosting. Urban Dictionary, 19 agosto 2016, https://www.urbandictionary.com/define.php?term=Ghosting

Figura 7: meme che ironizza sul "visualizzato senza risposta" attraverso una scena del film “Colazione da Tiffany”. Fonte: Pinterest

61

subisce invece, il ghosting può anche essere traumatico. Al primo iniziale sentimento di rabbia e frustrazione provocato da questo gesto, subentra presto un senso di vuoto e tristezza. La parte più dolorosa del ghosting è che lascia la vittima piena di dubbi e domande che continua a interrogarsi sulle ragioni di questo atteggiamento senza potersi dare una risposta. Oltre a questo, si aggiunge il forte senso di frustrazione per non essere stato trattato con rispetto. La vittima del ghosting di solito, non si rivolge all’autore del gesto quanto piuttosto a sé stesso e si chiede: avrei dovuto aspettarmelo? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Oppure gli è successo qualcosa di grave e devo preoccuparmi?

“Nelle sue stand-up comedy, in cui spesso prende di mira le storie d’amore dei nostri tempi, Aziz Ansari chiede che alzino la mano tutti quelli che, almeno una volta, hanno smesso di colpo di mandare sms a qualcuno verso cui non sentivano un particolare coinvolgimento sentimentale. L’intero teatro alza la mano. Successivamente, chiede che alzino la mano le persone che ritengano che quello sia il modo in cui vorrebbero che qualcuno comunicasse una caduta di interesse nei loro confronti. Nemmeno una mano alzata. Sono molti i comportamenti che accettiamo

come la nuova normalità, ma che non ci piacciono affatto”106.

Dopo che la persona ha scelto di diventare un fantasma, interrompendo ogni comunicazione virtuale, può accadere che continui a osservare l’attività dell’altro sui social network. È la pratica definita con il termine orbiting, significa infatti

“orbitare attorno a qualcuno”, o meglio, attorno alla vita online della persona: guardare quello che posta, quello che scrive, anche lasciando like e commenti sul suo profilo. Il “fantasma” non sparisce del tutto e la sua presenza resta o riappare, ma solo sui social, muta e quasi invisibile, ma percettibile. L’esempio più evidente per rendersi conto di questa pratica è quando su Instagram si posta una story e si apre la finestra dove è disponibile l’elenco delle persone che hanno

106 Turkle, Sherry. La conversazione necessaria. Giulio Einaudi Editore, 2016, p.233

Figura 8: visualizzazioni stories Instagram.