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Idaware: Inside Digital Awareness. Progetto web di antropologia digitale per un uso consapevole, ragionato e positivo dei social media

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Academic year: 2023

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DIPARTIMENTO DI

INFORMATICA, BIOINGEGNERIA,

ROBOTICA E INGEGNERIA DEI SISTEMI

SCUOLA POLITECNICA

Corso di laurea magistrale in Digital Humanities – Comunicazione e Nuovi Media

Anno Accademico 2020/21

Idaware: Inside Digital Awareness.

Progetto web di antropologia digitale per un uso consapevole, ragionato e positivo dei social media

Relatore

P

ROF

. S

ALVATORE BRUNO BARBA

Laureanda

A

NNA

N

ARESSI

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3

Indice

Introduzione ... 5

1. Obiettivi ... 9

1.1. Consapevolezza del mezzo ... 9

1.1.1. Introduzione ai social media ... 10

1.1.2. Struttura e logiche del mezzo ... 17

1.1.3. Aspetti etici: libertà e privacy online ... 28

1.1.4. Aspetti tossici: apparenza, discorsi d’odio e dipendenza ... 52

1.2. Uso ragionato e positivo ... 76

1.2.1. Chi sono online? Scegliere come rappresentarsi. ... 77

1.2.2. Per cosa uso i social? Scegliere cosa seguire e perchè. ... 82

1.2.3. Il rapporto con gli altri. Scegliere la community. ... 87

1.2.4. Evitare la dipendenza. Scegliere di disconnettersi. ... 89

2. Modalità ... 97

2.1. Brief di progetto e obiettivi ... 97

2.2. Approcci ... 97

2.2.1 Analisi di quattro case studies ... 100

2.3. Ricerca: target e personas. ... 125

2.4. Concept: nome e logo ... 131

2.5. Funzionalità ... 135

2.5.1. Gerarchia dei livelli ... 135

2.5.3. Navigazione ... 136

2.6. Progettazione grafica ... 137

2.6.1. Font ... 137

2.6.2. Palette ... 137

2.6.3. Tema ... 138

2.6.4. Template ... 140

2.7. Wireframe ... 142

2.8. Mockup ... 145

Conclusioni ... 147

Bibliografia ... 151

Filmografia ... 152

Sitografia ... 153

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Introduzione

Questa tesi va intesa come il primo risultato di una riflessione ampia, complessa e particolarmente attuale sul nostro rapporto con i social network. In particolare, l’elaborato intende approfondire gli aspetti generali e le logiche che governano questo strumento tentando di far emergere aspetti positivi e negativi del medium. La proposta progettuale del sito web rappresenta lo spazio digitale in cui ospitare gli argomenti oggetto della ricerca. In questo senso, il sito è pensato come il punto di partenza di un percorso rivolto all’utente dei social network, perché possa acquisire, attraverso gli argomenti proposti, maggiore consapevolezza sullo strumento, ragionando sull’uso che fa di esso anche per evitare gli effetti negativi che un utilizzo malsano può produrre.

Il personale interesse verso gli argomenti trattati nel corso di Antropologia digitale nell’era dei social media ha rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo del progetto di tesi. Nello specifico, la personale curiosità attorno a tutto ciò che è legato a questo medium e il desiderio di trovare dei contesti in cui riflettere, in maniera critica, sullo strumento digitale dei social media mi ha spinta a desiderare di creare uno spazio online di riflessione su questo tema.

Questo desiderio nasce soprattutto da due considerazioni. In primo luogo, il fatto che la rivoluzione digitale abbia dato in mano alle persone nuovi dispositivi digitali, e le applicazioni in essi contenuti, senza una guida, un manuale di istruzioni e un’educazione, e che questo abbia portato l’utente a interrogarsi troppo poco su come, quanto e perché scegliere di usarli. Apprendere il funzionamento di questi strumenti digitali attraverso l’utilizzo diretto, autonomo e individuale ha sfavorito lo sviluppo di una filosofia d’uso delle tecnologie digitali, che oggi si fa invece sempre più necessaria, soprattutto per le giovani generazioni. I nativi digitali, a cui questo progetto di tesi si rivolge, sono i più esperti nell’utilizzo di questi strumenti perché nati e cresciuti negli anni in cui internet e il digitale stavano permeando nella vita delle persone fino a diventare uno strumento quasi irrinunciabile. Per la maggior parte di coloro che sono nati tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio, i social network sono stati scoperti durante l’adolescenza, e per alcuni anche prima, diventando presto uno straordinario supporto alla costruzione e al mantenimento della vita sociale oltre ad offrire la possibilità di creare uno spazio personale in cui condividere la propria vita, i propri interessi e i propri pensieri. I ventenni di oggi hanno creato attraverso il mondo virtuale dei social network un ambiente di

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costruzione della propria identità, sia personale che sociale, oltre che della propria storia di vita personale. Questo li ha portati a costruire un continuum tra realtà e virtualità, facendo sì che il digitale permeasse nella vita dei giovani e dei giovanissimi.

I dati più aggiornati1 (gennaio 2022) ci dicono che, dei 4,62 milioni di utenti globali sui social network, i giovani rappresentano la fetta più larga di pubblico: il 32% di coloro che ha un account sui social media ha tra i 20 e i 29 anni. Non solo i ventenni sono i più presenti sulle piattaforme ma sono anche i più massivi utilizzatori: i ragazzi tra i 16 e i 24 anni spendono una media di 3 ore al giorno su queste applicazioni.

Il progetto di tesi si rivolge a tutti coloro che, nati negli anni in cui i social network sono nati e si sono diffusi, hanno sviluppato ampie e spesso sofisticate competenze legate allo strumento, conoscono le logiche principali che governano le piattaforme e, in generale, riconoscono al medium un ruolo fondamentale per la propria socialità oltre che per l’espressione e la comunicazione di sé stessi. Il destinatario del sito web è colui che rientra in questa fetta di utenza sopradescritta e ha sviluppato un interesse per questi strumenti di comunicazione digitale, curioso di approfondire aspetti legati alle potenzialità che offrono e interessato a conoscere i possibili rischi a cui è esposto. Il progetto del sito web, inoltre, è pensato per colui che voglia ragionare, ed eventualmente ripensare, l’uso che fa dello strumento dei social media.

Attraverso un’analisi attorno agli aspetti generali che definiscono questi strumenti digitali, anche per mezzo dello studio della letteratura di riferimento, ho potuto definire un quadro generale attorno all’argomento dei social media, contenuto nel primo capitolo di tesi dedicato agli obiettivi del progetto. A partire dall’introduzione ho analizzato il contesto storico e tecnologico in cui questi strumenti digitali sono nati e si sono sviluppati grazie al quale sono state definite la struttura e le logiche che governano lo strumento oltre che i valori e le retoriche su cui si sono fondano. Ho descritto le potenzialità del medium a partire dai bisogni e dai desideri che i social network soddisfano: il bisogno di connettersi con gli altri, di informarsi, di conoscere, di apprendere, il bisogno di rappresentarsi ed esprimersi e il bisogno, fondamentale per l’uomo, di connettersi con le persone. L’esperienza dell’utente nella rete è quella di colui che naviga a livello superficiale in un enorme quantità di materiale e ciò si riflette nella forma e nel tipo di narrazione dei contenuti prodotti sui social media, basati sul racconto dell’istante.

1 Kemp, Simon, DIGITAL 2022 GLOBAL OVERVIEW, DATAREPORTAL, 26 gennaio 2022, https://datareportal.com/reports/digital-2022-global-overview-report

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L’esperienza dell’utente durante una sessione online si traduce in una fruizione massiccia di contenuti brevi la cui organizzazione è affidata a strumenti di indicizzazione che hanno il compito di filtrare l’enorme quantità di immagini, video e testi diffusi nella rete sulla base di dati statistici che controllano e monitorano quello su cui l’utente dimostra maggiore apprezzamento e interessamento.

Attraverso il capitolo dedicato agli aspetti etici, la tesi si interroga sul tema della libertà d’espressione online, anche rispetto al ruolo delle società proprietarie dei social network e alle linee guida pubblicate dalle stesse, sui rischi legati alla condivisione di informazioni personali online e sugli strumenti a disposizione dell’utente per proteggere la propria privacy. La ricerca teorica incentrata ad acquisire maggiore consapevolezza sul medium si conclude con il capitolo sugli aspetti tossici in cui si indagano gli effetti negativi che questi strumenti possono produrre oltre ad alcune dinamiche malsane che si sviluppano all’interno del medium, soprattutto tra le giovani generazioni di utenti.

Dopo aver individuato i principali aspetti positivi e negativi che definiscono i social media, il capitolo sugli obiettivi della tesi si arricchisce di una parte dedicata a proporre strategie per un uso ragionato e positivo dello strumento, tentando di ragionare su quattro aspetti fondamentali per l’esperienza dell’utente: le scelte legate alla rappresentazione della propria identità negli spazi del medium, le scelte sull’uso dello strumento e sul tipo di contenuti di cui si vuole fruire, le scelte attorno ai rapporti con gli altri online e le scelte legate alle modalità e ai tempi di utilizzo delle applicazioni, proponendo delle pratiche utili a evitare una possibile dipendenza da social media.

La seconda parte dell’elaborato è dedicata a descrivere il metodo che mi ha permesso di sviluppare il prototipo del sito web. Seguendo la scaletta utilizzata per la presentazione di progetti di web design, ho potuto raccontare le modalità con cui ho ideato il sito a cominciare dal tema e dagli obiettivi, dall’analisi di quattro siti competitors da cui ho potuto ispirarmi per lo sviluppo del progetto e dalla ricerca attorno al target, con l’individuazione di personas specifiche. Ho spiegato le ragioni che mi hanno portato a definire il concept, attraverso la scelta del nome e la costruzione del logo, le funzionalità, nello specifico le scelte legate alla gerarchia dei livelli e la navigazione e infine, tutto ciò che ha riguardato la progettazione grafica: font, palette, tema e template del sito.

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1. Obiettivi

1.1. Consapevolezza del mezzo

Il progetto di tesi si pone due obiettivi: il primo obiettivo è quello di far acquisire all'utente maggiore consapevolezza sulle logiche principali dei social media, il secondo obiettivo è quello di proporre alcune strategie per un uso ragionato e positivo del mezzo digitale.

Acquisire consapevolezza significa innanzitutto essere informati su un argomento. Il termine deriva dal latino “consapere”, ovvero “avere coscienza”. Consapevolezza, quindi, è innanzitutto la conoscenza di qualcosa e insieme la capacità di rendersi conto dell’importanza e del valore di questa cosa, oltre che del proprio rapporto con essa. La differenza, infatti, tra conoscere ed essere consapevoli di un argomento è data proprio dal fatto che, quando se ne ha consapevolezza, lo si interiorizza, lo si fa proprio e si determina la forma in cui agire.

“È la costruzione originale del proprio modo di rapportarsi col mondo - in quanto sapere identitario, davvero capace di elevare una persona al di sopra dell’ignoranza e della piana informazione. È il caso della consapevolezza del rischio, che non frena ma rende accorti;

della consapevolezza delle proprie capacità, che orienta ed entusiasma; della consapevolezza del dolore, che rende compassionevoli e gentili; della consapevolezza di essere amati, che rende invulnerabili”2.

La traduzione inglese di “consapevolezza”, “awareness”, è una delle parole che dà il titolo al progetto di tesi, e si lega alla parola “digitale” per indicare la consapevolezza che la tesi si propone di raggiungere rispetto allo strumento digitale dei social media.

A partire da una prima introduzione all’argomento oggetto di studio, all’interno del capitolo dedicato alla consapevolezza digitale verrà descritto il contesto tecnologico in cui si sviluppano i social media, illustrando le principali caratteristiche di questo medium e le logiche che lo governano, soffermandosi poi su alcuni degli aspetti etici, legati al tema della libertà e della privacy online, e alcuni aspetti tossici di questo medium: la retorica dell’apparenza, i discorsi d’odio e la dipendenza.

2 Consapevolezza, Una parola al giorno, 23 agosto 2013, https://unaparolaalgiorno.it/significato/consapevolezza

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1.1.1. Introduzione ai social media

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si inizia a parlare di nuovi media, dispositivi che hanno trovato posto nel mondo a fianco ai media tradizionali. Il giornale, la radio, il cinema e la televisione sono media tradizionali, sono considerati nuovi media una serie di tecnologie e servizi creati e messi a disposizione a partire dagli anni Ottanta e Novanta del ventesimo secolo. I social network sono considerati un nuovo media.

La principale distinzione tra media tradizionali e nuovi media non è legata alla datazione storica quanto a un aspetto tecnologico: i media tradizionali sono per natura analogici, mentre i nuovi media sono per natura digitali. La digitalizzazione è quel processo attraverso cui tutte le informazioni sono tradotte, create e modificate in linguaggio binario, il linguaggio informatico basato sulle cifre 0 e 1. Nei nuovi media infatti “ogni informazione, per poter essere archiviata e/o elaborata [da un computer] deve essere digitalizzata.”3

Il principio della rappresentazione numerica binaria dei dati è, come spiega Lev Manovich nel suo testo “Il linguaggio dei nuovi media”4, il primo dei principi che definisco i media digitali, insieme ai principi di modularità, automazione, variabilità e transcodifica. Per il principio di modularità Manovich intende la caratteristica, del web ad esempio, di essere composto da una moltitudine di pagine, una moltitudine di moduli. Il terzo principio dell’automazione riguarda invece la caratteristica di rimuovere “l’intenzionalità umana, almeno in parte, dal processo”5. Conseguenza dei principi di rappresentazione numerica e modularità è la variabilità, la caratteristica dei nuovi media di essere mutabili, liquidi, declinabili in versioni molto diverse, come scrive Manovich. E infine, l’ultimo principio è quello della transcodifica: il materiale presente e trasmesso nei nuovi media “segue gli schemi consolidati dell’archiviazione dei dati tipica del computer”.

Applicati a social network i cinque principi di Manovich offrono una prima descrizione dello strumento oggetto di studio: i social network come web app sono uno strumento digitale. Tutti i dati contenuti, creati e trasmessi in esso sono descrivibili attraverso rappresentazione numerica binaria e sono costituiti da un insieme di tanti moduli collegati tra loro. La maggior parte dei processi che avvengono nelle applicazioni dei social network sono gestite da un algoritmo, perciò sono automatizzate. I social network, come

3 Riva G., I social network, Il mulino, 2016. P.47

4 Manovich, Lev, and Tibaldi Busnelli. Il linguaggio dei nuovi media. Milano: Olivares, 2002.

5 Ivi, p.2

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applicazioni, sono in continua evoluzione, cambiano le funzioni e gli strumenti, questo li definisce come media mutabili. Essendo strumenti tecnologici computerizzati i dati delle app di social network sono gestiti nella forma in cui sono gestiti i dati in un computer.

I nuovi media si configurano su due livelli: un livello culturale, quello del contenuto vero e proprio prodotto e scambiato nelle piattaforme, e un livello informatico, secondo il quale i contenuti sono organizzati e gestiti tramite processi informatici. La conseguenza di questa configurazione è che nei nuovi media il livello informatico è così dominante da portare, come spiega Manovich, alla creazione di una “nuova cultura computeristica, che miscela tra i significati culturali che hanno modellato il mondo e i modi grazie ai quali il computer li rappresenta”6. In conclusione, i nuovi media possono essere compresi sono se li si confronta con quelli tradizionali con la consapevolezza che essi siano governati da principi informatici, che influenzano significativamente l’identità e la natura di tutto ciò che attraverso i media digitali è prodotto e trasmesso.

All’interno di questo vasto mondo dei media digitali si distingue convenzionalmente tra un primo gruppo di strumenti in cui rientrano dispositivi e tecnologie quali CD-ROM, DVD, computer palmari (PDA) e lettori MP3, e un secondo gruppo di nuovi media legati alla nascita del World Wide Web prima e del concetto di Web 2.0 poi: si tratta di un insieme di strumenti e servizi disponibili online, a cui l’utente può accedere per mezzo di dispositivi digitali e connessione internet.

La rete, così come la intendiamo oggi, vede il suo concepimento nel 1989 quando Tim Berners Lee inventa il World Wide Web: uno spazio online nel quale, per mezzo di due potenti strumenti informatici, protocollo HTTP e linguaggio HTML, tutti i documenti, le informazioni, le immagini e i video messi online possono essere collegati tra loro per mezzo di link ipertestuali. Nel World Wide Web l’utente può facilmente passare da una pagina a un’altra, da un contenuto a un altro, in rete infatti tutto i nodi possono essere collegati, tutto è connesso. Internet diventa con il Web di Tim Berners Lee un network globale, pubblico e gratuito, perché il suo inventore scelse di regalarlo al mondo.

Le novità che il World Wide Web porta a Internet sono principalmente tre: innanzitutto, come accennato, il web connette potenzialmente tutti i nodi della rete, connette il mondo, connette le persone. In secondo luogo, la connessione che il web instaura è di tipo paritaria, in gergo informatico si parla di P2P o peer to peer, “il modello paritetico

6 Ivi, p.6

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prevede che i processi forniscano e ricevano servizi reciprocamente”7. Il web nasce quindi come un sistema fondato sulla parità, potremmo dire democratico. Se a ogni nodo corrisponde un computer collegato e una persona, di conseguenza, che lo sta utilizzando e se, come detto, la comunicazione tra i nodi della rete è paritaria, un po’ forzatamente si può credere che in rete ogni utente è pari a qualsiasi altro, siamo apparentemente tutti uguali, abbiamo tutti lo stesso potere, la stessa voce. Ovviamente non è così, oggi più che mai quest’idea di democrazia della rete è qualcosa che si può credere solo apparentemente, ma si può affermare che così il web era nato nella mente dell’ingegnere Berners Lee: uno spazio di connessione fondato sulla parità.

Questa caratteristica che il web ha dal tempo della sua creazione si è conservata sotto diverse forme, i social network sono una di queste. I social nascono infatti, così come il web, come uno spazio in cui siamo tutti uguali, ognuno apre l’app e crea un profilo, carica una foto, scrive un nome, riempie gli stessi campi che ha a disposizione ogni altro utente e usa le stesse forme di comunicazione che l’app offre a lui e a ogni altro. Sotto questi aspetti siamo tutti uguali online, a cambiare è l’uso che facciamo del social, ciò che scegliamo di condividere, di postare.

La terza caratteristica importante del web dopo l’aspetto della connettività e della parità è la potente accessibilità. Il web è libero, aperto e disponibile per chiunque, a un costo irrisorio se non quasi nullo, ognuno può connettersi alla rete, navigare, utilizzare le app.

Questo significa che potenzialmente ogni persona del pianeta, che disponga di un dispositivo e una connessione internet, può, se lo volesse, navigare in rete, comunicare e creare un profilo social. Significa che quasi ogni persona del pianeta ha nelle mani un potentissimo mezzo di comunicazione. Anche grazie alla sua accessibilità in termini di costi e a un sempre maggiore accesso alle connessioni internet, negli anni Novanta il World Wide Web cresce e si sviluppa rapidamente. Le pagine web passano da essere 130 nel 1993 ad essere 257 mila nel 19978. In un certo senso quello che sta avvenendo è una digitalizzazione di una enorme quantità di informazioni, una digitalizzazione del mondo.

La crescita porta il web a offrire anche nuovi strumenti agli utenti: nascono i motori di ricerca, permettono di trovare la pagina web che si sta cercando nel grande magazzino della rete, è come avere una bussola per orientarsi in un mare sempre più grande. La prima

7 Brookshear, J. Glenn, Dennis Brylow, and David T. Smith. Informatica: una panoramica generale.

Pearson, 2012, p.179.

8 Baricco, Alessandro. The game. Bezige Bij bv, Uitgeverij De, 2019, p.56.

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“bussola del web” è Mosaic, viene aperto nel 1993, mentre Google, il principale motore di ricerca utilizzato al giorno d’oggi, arriverà 5 anni dopo.

Dopo la bussola arriva il mercato: nel 1994 nasce Amazon, la prima e più grande piattaforma di e-commerce al mondo. All’inizio Amazon vende solo libri, adesso vende qualsiasi cosa.

Oltre alla sfida che Amazon lancia a ogni forma di vendita e mercato tradizionale, la rivoluzione di questo sito, e degli altri servizi che nascono nel web, è legata al fatto che i nuovi media pian piano inglobano ogni aspetto della vita. Non sarebbe troppo semplicistico dire che i media tradizionali soddisfavano principalmente il desiderio dell’individuo di tenersi informato, acculturarsi e conoscere e il desiderio di intrattenimento, svago e passatempo.

I nuovi media inglobano nuovi desideri e bisogni dell’uomo. Con Amazon, ad esempio, la persona ha uno strumento utile, comodo e facile per poter acquistare tutti gli oggetti di cui ha bisogno fino a beni di prima necessità, ad oggi è possibile, infatti, acquistare persino generi alimentari.

I social network non sono solo un potente mezzo di intrattenimento e informazione, sono un supporto per l’individuo a soddisfare il bisogno di relazioni sociali e il bisogno di costruire un’identità personale.

Questa capacità dei nuovi media di inglobare nuovi bisogni è conseguenza del fatto che il cambiamento più grande del web è legato al modo in cui una serie di strumenti e servizi digitali online cambiano l’interazione dell’utente con la macchina e il suo ruolo rispetto a questi strumenti. Per descrivere questo cambiamento, nel 2004 Tim O’Reilly a una conferenza scientifica usa il termine Web 2.0:

“Web 2.0 is the network as platform, spanning all connected devices; Web 2.0 applications are those that make the most of the intrinsic advantages of that platform: delivering software as a continually-updated service that gets better the more people use it, consuming and remixing data from multiple sources, including individual users, while providing their own data and services in a form that allows remixing by others, creating network effects through an "architecture of

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participation," and going beyond the page metaphor of Web 1.0 to deliver rich user experiences.”9

La rivoluzione che avviene con il Web 2.0 va intesa quindi come un diverso modo dell’utente di interagire con il mezzo di comunicazione, trasformandolo da spettatore passivo a autore attivo, da consumatore a produttore di contenuti. Tim O’Reilly parla di architettura della partecipazione e questo è uno dei temi al centro della riflessione dell’elaborato: il nostro ruolo attivo all’interno di un nuovo media come i social network, il modo in cui li usiamo, il modo in cui siamo parte delle community online, il modo in cui arricchiamo il bagaglio di contenuti che queste piattaforme producono quotidianamente. Gli aspetti innovativi del web 2.0 e dei suoi strumenti sono proprio legati a “partecipazione, interattività e condivisione di dati, contenuti e piattaforme”10. È su questo terreno che potranno svilupparsi i social network. In meno di dieci anni, dal 2002 al 2010 verranno fondati alcuni tra i principali social utilizzati al giorno d’oggi a livello globale. Tra i più noti il primo a essere stato fondato, nel 2002, è Linkedin: il social network tuttora attivo per cercare e offrire lavoro. Il suo fondatore Reid Hoffman aveva precedentemente creato SocialNetw nel 1997, qualcosa di molto simile a quello che sarebbe stato creato qualche anno dopo con Facebook, il sito purtroppo non ebbe successo e venne chiuso molto presto. Nel 2002 con Linkedin crea la prima piattaforma online che connette domanda e offerta di lavoro. Ha raggiunto il primo milione di utenti nel 2004 e nel 2007 ha superato i 10 milioni.

Secondo molti il padre di tutti i social network non è Linkedin bensì MySpace: in comune con i social network maggiormente usati al giorno d’oggi, MySpace offriva all’utente le possibilità di creare un proprio profilo, costruire una rete di amici e caricare foto e video.

Inoltre, era presente uno spazio dedicato alla musica dove l’utente ascoltava direttamente i suoi brani musicali preferiti. Sembra che su questo social sia nata la moda dei selfie, foto scattate con una fotocamera al proprio riflesso allo specchio. Negli Stati Uniti My Space ha avuto inizialmente grande successo: nel 2008 ha raggiunto i 100 milioni di utenti. Poi con l’espansione di Facebook è iniziato il suo declino. Oggi il sito è ancora funzionante, ma lo frequentano pochissimi nostalgici. Mark Zuckerberg, insieme ad Eduardo Saverin,

9 O’Reilly, Tim, What Is Web 2.0: Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, Munich Personal RePEc Archive, 2007, https://mpra.ub.uni-

muenchen.de/4578/1/MPRA_paper_4578.pdf

10 Gorman, Lynette, and David McLean. Media e società nel mondo contemporaneo: una introduzione storica. Il mulino, 2005, p.261

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15 Andrew McCollum, Dustin

Moskovitz e Chris Hughes, nel 2004 crea The Facebook.

Come raccontato anche nel film “The Social Network”

diretto da David Fincher, il sito nasce inizialmente per far connettere gli studenti di Harvard. Nel film, il personaggio di Zuckerberg, interpretato da Jesse

Eisenberg, descrive così la piattaforma all’inizio della sua creazione: “We don’t know what it is yet. We don’t know what it can be. We don’t know what it will be. We know that it is cool.”11 Così cool che nel giro di tre settimane dalla sua fondazione più della metà degli studenti iscritti ad Harvard era registrata al sito. Si allargò presto a diverse Università americane e venne aperto a tutti nel 2006. Si espanse in tutto il mondo, in Italia il boom di iscrizioni è arrivato nel 2008. “Il volume di traffico cresce così in fretta che nel marzo 2010 supera per una settimana Google per numero di visite negli Stati Uniti.”12 Oggi il suo valore sembrerebbe superare i 1000 miliardi di dollari. L’inizio della storia dei social network vede la nascita di piattaforme pensate principalmente per costruire reti sociali, su Linkedin con lo scopo di trovare o offrire lavoro mentre su MySpace e Facebook per istaurare e coltivare rapporti interpersonali. Con Flickr invece, creato nel 2004 come Facebook, le persone hanno quello che forse può essere considerato come il primo spazio di condivisione digitale di qualcosa che non riguarda aspetti della vita legati a lavoro, identità o relazioni, ma una passione del tempo libero come la fotografia: si tratta del primo social nato per poter permettere agli utenti di condividere le proprie foto in rete.

E con l’arrivo di Flickr non sarebbe passato troppo tempo prima che qualcuno creasse uno spazio per gli amanti del videomaking, e infatti nel 2005 nasce Youtube. Sono tre giovani dipendenti di Paypal a fondare la famosa piattaforma per caricare video in rete.

La parola YouTube in inglese si traduce con “la tua televisione”: il nome di questa

11 Fincher, David, et al. The social network. USA: Sony Pictures Home Entertainment, 2010.

12 La storia di Facebook, Fastweb, aggiornato al 24 marzo 2019, https://www.fastweb.it/social/la-storia- di-facebook/.

Figura 1: Schermata homepage di thefacebook.com quando venne creato nel 2004.

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piattaforma significa infatti “Your Tube”, dove “tube” sta per “televisione”, in riferimento a quando questo oggetto sfruttava la tecnologia a tubo catodico per la trasmissione. “Nel luglio 2006 gli utenti su YouTube caricavano in media 65 mila nuovi video al giorno”13 e nell’ottobre dello stesso anno il sito veniva acquistato da Google. Ad oggi, su Youtube ogni giorno si guardano 1 miliardo di ore di filmato e si raggiungono circa 2,29 miliardi di persone tramite la pubblicità (secondo quanto riporta Google).

L’anno dopo la fondazione di Youtube nasce Twitter, un social network che unisce la brevità e l’istantaneità della comunicazione con sms alla connettività tipica di un social network. Permette a chiunque di poter comunicare ed esprimersi al mondo della rete in una forma testuale breve e sintetica. Inizialmente un tweet poteva essere di massimo 140 caratteri, dal 2017 è raddoppiato a 280. Si tratta di un mezzo di comunicazione potente, che ad oggi è usato anche in politica, Trump è stato probabilmente il primo a utilizzarlo per questa causa, ed è stato però anche il primo a vedere il suo account sospeso permanentemente. Twitter oggi è considerato il social network più efficacie e immediato per sapere cosa sta accadendo nel mondo in tempo reale perché le notizie su Twitter si diffondono prima di quanto si diffondano in spazi di informazione più tradizionali.

“Guarda che c’è di nuovo nel mondo in questo istante” è il messaggio che ogni nuovo utente vede sullo schermo quando si iscrive alla piattaforma.

Tra i social network più famosi e utilizzati c’è poi Instagram: la piattaforma per gli amanti della fotografia fondata nel 2010, il nome è la fusione delle due parole “istant camera” e

“telegram”.

Questo social nasce per permettere all’utente di condividere con i propri follower (la sua rete di utenti) fotografie amatoriali, queste foto inizialmente erano solamente in formato quadrato e avevano un bordo bianco che richiamava lo stile di una polaroid. Da subito ha riscosso grande successo: un anno dalla sua nascita, sull’app vengono condivise più di 150 milioni di immagini. Nel 2012 l’applicazione viene acquistata dall’azienda di Zuckerberg e viene introdotta la possibilità di caricare anche brevi video.

Contemporaneamente allo sviluppo e alla crescita di questo social network, ne nascono e se ne diffondono di nuovi, negli Stati Uniti, un social in particolare era sempre più in voga, si chiama Snapchat. Fondato nel 2011, questo social network si distingue dagli altri per il fatto che la comunicazione tra gli utenti è fatta tramite foto e video anziché

13 Youtube, la storia, Fastweb, aggiornato al 6 gennaio 2017, https://www.fastweb.it/web-e- digital/youtube-la-storia/

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messaggi. Queste foto e video, inoltre, possono essere viste solo per pochi secondi prima di autoeliminarsi. Si chiamano snap. Semplicemente scompaiono, l’icona di Snapchat è infatti un piccolo fantasma. A questo social Instagram ha rubato la principale funzione:

nel 2016 lancia le Instagram Stories, questa tipologia di contenuto sarà approfondita nel prossimo capitolo, per ora basta sapere che ha probabilmente determinato il declino di Snapchat.

Se Instagram è stato il principale competitor di Snapchat, Tik Tok è oggi il principale competitor di Instagram. Nata inizialmente con il nome Musical.ly, inizia a chiamarsi Tik Tok a partire dal 2018, anno in cui è stata l’app più scaricata a livello globale. Il nome Tik Tok indica il suono di un ticchettio di un orologio perché i suoi video sono per natura brevi, della durata di meno di un minuto. La novità che introduce l’app rispetto agli altri social network sta, oltre che nel fatto di avere solo contenuti video, anche e soprattutto, nella grande offerta di strumenti di editing video che sono offerti all’utente, grazie ai quali si possono creare contenuti particolarmente creativi che uniscono video, scritte e musica.

1.1.2. Struttura e logiche del mezzo

Ogni social network opera su tre livelli: un primo livello di tipo espressivo legato alla costruzione di una propria identità online, un secondo livello di tipo relazionale legato al fatto che i social network sono uno strumento di supporto alla comunicazione e infine, un terzo livello, che deriva dai due livelli precedenti: la possibilità per l’utente di osservare e analizzare le identità delle persone che fanno parte della propria rete sociale online.

L’identità sui social è costruita soprattutto attraverso il proprio profilo dove ognuno è libero di esporre o meno alla community le proprie informazioni personali: ogni piattaforma permette di decidere se avere un profilo pubblico, semi-pubblico o privato, significa che l’utente ha il potere di decidere cosa e quanto le altre persone possono sapere della sua vita online. Il potere straordinario di questa scelta è che posso essere presente online, in uno spazio apparentemente “pubblico” ma conservare comunque una riservatezza: se ho un profilo privato su Facebook e Instagram, ad esempio, posso decidere chi accettare nella cerchia di persone che fanno parte della mia rete, e quindi decidere con chi condividere i miei contenuti e le mie informazioni.

Nel profilo di ogni social network poi, è presente lo spazio di una breve biografia attraverso cui l’utente può raccontarsi. Su Instagram e Twitter si usa chiamarla “bio”,

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offre uno spazio di massimo 150 caratteri per potersi presentare agli altri. Su Facebook invece l’utente è chiamato a riempire una serie di campi: informazioni di base (genere, data di nascita, lingua), informazioni di contatto, informazioni legate a lavoro, istruzione, luoghi in cui ha vissuto, familiari, situazione sentimentale, orientamento sessuale, religioso e politico. E oltre a queste informazioni generali può rivelare i propri interessi in fatto di musica, film, libri. Sotto questo aspetto l’identità che l’utente costruisce su Facebook è più completa di quella che presenta negli altri social in cui si racconta principalmente attraverso ciò che viene postato e condiviso. È una presentazione più a 360 gradi, un quadro completo della persona.

Se la “bio” è una specie di biglietto da visita, per costruire in maniera completa l’identità online l’utente sfrutta la possibilità offerta dalle piattaforme di generare contenuti e pubblicarli sul proprio profilo. Ogni social media è infatti caratterizzato da una dimensione espressiva applicata alla pratica della condivisione: attraverso i post su Facebook, le stories su Instagram, i tweet su Twitter ogni utente ha la possibilità di raccontarsi, comunicare con gli altri, esprimere il proprio pensiero e farlo circolare attraverso un potente mezzo di creatività e sperimentazione, contribuendo ad arricchire personalmente e in forma gratuita, la mole di materiale diffuso e immagazzinato nei network. “La ricchezza della rete è infatti costituita, in ultima analisi, dal continuo sommerso lavorio delle persone che immettono contenuti, catalogano le informazioni, cedono spontaneamente i propri dati, riempiono di immagini e video le piattaforme social.”14 Se di fronte ai media tradizionali l’utente era abituato ad assorbire passivamente o intervenire solo in parte alla produzione, al giorno d’oggi sulle web app i contenuti sono completamente UGC: user generated content. Osservare questo fenomeno con una certa distanza ci permette di capire quanto sia straordinario, forse storicamente non era mai stata dato uno strumento così potente a così tante persone e a un prezzo così basso. Va compreso fino in fondo che dentro gli smartphone ci sono, oltre a incredibili mezzi comunicativi, anche spazi di promozione e supporto alla creatività e all’immaginazione.

Chiunque può generare materiale attraverso le piattaforme, a un prezzo minimo se non nullo, senza filtri e barriere alla produzione e per il solo piacere della condivisione.

Rispetto al piacere della condivisione, Andrea Miconi ha parlato del recupero attraverso il web di un’economia del dono: “le piattaforme digitali sembrano entrare in risonanza con le grandi pratiche ancestrali dell’uomo, chiudendo il circolo dell’innovazione intorno

14 Miconi, Andrea. Teorie e pratiche del web. Vol. 659. Il mulino, 2013, p.39

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alle grandi costanti antropologiche dello scambio e del regalo, dello stare insieme e del gioco.”15

Per queste forme di scambio e regalo a cui Miconi si riferisce, l’utente ha la possibilità di scegliere tra molte forme di produzione. I social network sono in questo senso uno spazio adatto alla sperimentazione. Ogni volta l’utente compie una scelta tra le diverse tipologie di contenuto che può condividere, su quale sia la forma e la dimensione più adatta per ciò che vuole pubblicare. Questa scelta, spesso fatta inconsapevolmente, determina in realtà un modo di esprimersi. Quindi anche la scelta della forma e tipologia di contenuto contribuisce a costruire l’identità online.

Quali sono le opzioni? In generale possiamo distinguere tre tipologie principali:

immagine, testo e video, ma spesso avviene che queste tre narrazioni vengano mescolate tra loro in ogni diversa tipologia di contenuto condiviso, dai tweet ai post, dalle stories ai tik tok.

Se scelgo di raccontare qualcosa in una forma testuale sintetica opterò per Twitter, se invece ho bisogno di una narrazione visuale che combina immagini, parole e suoni opterò per una piattaforma come Instagram. “Ogni social ha, per così dire, una sua distanza media dalla verità delle cose. Puoi scegliere quanto addosso alla verità puoi stare in quel momento.”16 L’utente può scegliere, ad esempio, di pubblicare un post, in gergo

“postare”. I post sono il contenuto principale generato su Facebook e Instagram:

immagini, video, o sequenze di entrambi, accompagnati da un breve testo, che sono pensati per restare in modo “permanente” nella piattaforma. Oppure l’utente può scegliere di pubblicare una story: una tipologia di UGC nato su Snapchat, poi introdotto su Instagram a partire dal 2016 e successivamente arrivato anche su Facebook e su WhatsApp (in questa piattaforma è visibile sulla sezione “stato”). Per capire di cosa si tratta è utile recuperare le parole con cui la funziona è stata presentata sul blog di Instagram il giorno del lancio: “we’re introducing Instagram Stories, a new feature that lets you share all the moments of your day, not just the ones you want to keep on your profile. As you share multiple photos and videos, they appear together in a slideshow format: your story. […] The photos and videos will disappear after 24 hours and won’t appear on your profile grid or in feed.”17

15 Ivi, p.37.

16 Baricco, Alessandro. The game. Bezige Bij bv, Uitgeverij De, 2019, p.177 17 Introducing Instagram Stories, About Instagram, aggiornato al 02 agosto 2016, https://about.instagram.com/blog/product-updates/introducing-instagram-stories/

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Le Instagram Stories sono quindi foto o video della durata massima di 15 secondi che, dal momento in cui sono state condivise, restano pubbliche solo 24 ore. Passato questo arco di tempo, il contenuto si autodistrugge dalla dimensione pubblica del social e resta visibile solo all’autore della story in una sezione privata del profilo.

Come accennato, questa tipologia di contenuto breve e temporaneo esiste in realtà in quasi tutti i social più diffusi a giorno d’oggi. Su Whatsapp, ad esempio, esiste una funzione identica alle stories, si trova nella sezione Stato: come per le altre piattaforme carico una foto o un video della durata di 15 secondi che resta visibile solamente per il tempo di una giornata. Stessa cosa vale per Facebook, le “storie” si trovano anche su questo social network (volendo posso pubblicare la stessa “storia” su Instagram e Facebook se collego i due account). YouTube ha introdotto la sezione dedicata agli Shorts, uno spazio della piattaforma dove pubblicare esclusivamente video di breve durata. Quasi ovunque, in questa tipologia di web app, l’utente può optare per questo tipo di narrazione istantanea e temporanea.

Dietro l’idea delle Stories, e di ogni contenuto simile, ci sono diversi aspetti che permettono di descrivere la natura dei social media, o meglio la direzione che hanno scelto di prendere. Per comprenderli è utile mettere due situazioni a confronto: prendiamo uno stesso momento di vita che vuole essere immortalato con un video o una fotografia, una festa di compleanno ad esempio: da una parte la scena è ripresa attraverso la fotocamera analogica, dall’altra parte è filmata con uno smartphone, attraverso la fotocamera interna presente su Instagram. Nell’epoca predigitale, dopo lo scatto, potevo scegliere di stampare, toccare, guardare la mia fotografia per quanto tempo volevo, o comunque finché fosse riuscita a conservarsi, oggi posso decidere invece che la foto che scatto con il fine di pubblicarla sui social network sia riproducibile per pochi secondi, sia vista solo il tempo di una giornata e poi scompaia nel nulla. È un nuovo modo di costruire e immortalare i propri ricordi, che sono la storia dell’individuo. Più in generale, è qualcosa che ha anche fare con la costruzione di un nuovo rapporto con il tempo attraverso la tecnologia. I social, attraverso questo tipo di storytelling stanno costruendo un nuovo tempo, basato sulla brevità, scelgono la fluidità, lo scorrere veloce, la fugacità. È la vittoria dell’istante, del secondo.

E poi queste situazioni a confronto ci mostrano un altro cambiamento importante: la ragione per cui immortalo un’esperienza della mia vita in un’immagine, fissa o mobile, non è più quella di conservarne personalmente il ricordo, con i social network la ragione

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diventa quella di farla vedere agli altri. Sui social, l’utente comunica e si racconta al fine della condivisione.

Oltre a post e stories, l’utente può optare per un contenuto prettamente testuale, un messaggio breve e sintetico come quello dei tweet (che può essere accompagnato da foto o video come in un post, come dicevamo spesso vince l’ibridazione tra le diverse forme di narrazione).

Su Twitter l’unico vincolo sono i 280 caratteri entro cui si può esprimere il proprio pensiero (oltre al vincolo di non poter pubblicare un contenuto che non rispetti le norme della community).

La forma di contenuto più creativa e più amata nei tempi recenti all’interno delle piattaforme dei social network e capace di inglobare in sé stessa tutte le altre è il video. Il video, per il fatto di offrire un intrattenimento e un coinvolgimento maggiore rispetto a testi e immagini, è una tipologia di contenuto promossa dalle app proprio perché tiene più tempo gli utenti attaccati agli schermi, e in questo modo permette alle piattaforme di arricchirsi.

I video possono essere di diverse tipologie, possono essere estratti dalla galleria del dispositivo o creati attraverso le app stesse, in questo caso può trattarsi di dirette, ovvero video trasmessi in tempo reale, oppure possono richiedere un lavoro di scrittura e di editing. Quest’ultima tipologia è stata promossa innanzitutto da piattaforme come YouTube, che ha offerto per prima uno spazio di condivisione di contenuti video realizzati con tecniche amatoriali, in questo social network il lavoro di videomaking è principalmente svolto al di fuori della piattaforma.

In altre applicazioni invece, Tik Tok e Instagram, ad esempio, il lavoro di editing è realizzato tramite gli strumenti e le funzioni interne all’applicazione.

I contenuti su Tik Tok si chiamano con lo stesso nome con cui è chiamata l’applicazione:

si tratta di video, registrabili direttamente dalla piattaforma o costruiti con il materiale che l’utente ha nella galleria personale del telefono, la durata principale dei tik tok è di 15 o 60 secondi, da poco estesa anche a una forma più lunga di 3 minuti. Al video possono essere aggiunti effetti, filtri e musica, attraverso un processo di alta sperimentazione e personalizzazione. I tik tok spesso seguono i trend del momento, che possono essere musicali, i più diffusi nella piattaforma: brani riutilizzati da moltissimi utenti per balletti e coreografie oppure possono essere video di intrattenimento, spesso brevi scenette comiche come imitazioni di scene di film e serie televisive, entrambe queste tendenze si

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generano con video realizzati interamente grazie alle funzioni messe a disposizione dall’applicazione. Oltre ai tik tok esistono i Reels, funziano praticamente allo stesso modo ma sono su Instagram, la piattaforma li ha introdotti nel 2020, una mossa commerciale di risposta al sempre più grande successo del competitor cinese Tik Tok: “reels invites you to create fun videos to share with your friends or anyone on Instagram. Record and edit 15-second multi-clip videos with audio, effects, and new creative tools. You can share reels with your followers on Feed, and, if you have a public account, make them available to the wider Instagram community through a new space in Explore. Reels in Explore offers anyone the chance to become a creator on Instagram and reach new audiences on a global stage.”18

I social network offrono, oltre alla dimensione pubblica, alla vetrina di esposizione, anche il laboratorio dove progettare i contenuti da mettere in mostra, non sono solo il “dove”, ma sono anche il come. I social ci stanno dicendo: sulle nostre app puoi creare oltre che condividere, è tutto qui, in un unico luogo.

La logica è quella da cui è partita la rivoluzione del web 2.0, con cui sono nati gli strumenti a disposizione degli utenti già da molti anni prima dei social network. Amazon ad esempio: il primo strumento online in cui l’utente può acquistare qualcosa attraverso un sito web e farselo arrivare a casa avendo bisogno solamente del proprio computer e di una connessione internet. Il cambiamento non sta solo nell’incredibile aspetto del “tutto in un unico luogo” ma anche nel fatto che è nelle mani dell’utente, tutto lì e a sua disposizione, è lui che direttamente sceglie, ordina e compra un prodotto su Amazon. Sui social network, allo stesso modo, è l’utente che scatta fotografie, effettua brevi riprese, modifica, edita e pubblica direttamente sullo spazio dell’app.

È una rivoluzione quella che il web 2.0 e i social network mettono in atto, in cui il cambiamento radicale è appunto quello di offrire all’utente dei nuovi media un ruolo attivo. La forza di questi strumenti sta nella dimensione partecipativa.

Prima dell’arrivo dei social network, è stata creata una delle piattaforme online che ha dato la spinta alla costruzione di una “cultura partecipativa”, così come è definita da Henry Jenkins: il suo nome è Wikipedia, è la prima enciclopedia della storia che ha offerto a chiunque la possibilità di costruire del sapere e metterlo a disposizione di tutti in uno spazio online gratuito, senza ricevere un compenso. È la produzione di un sapere che

18 Introducing Instagram Reels, About Instagram, aggiornato al 05 agosto 2020,

https://about.instagram.com/blog/announcements/introducing-instagram-reels-announcement

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viene dal basso, un tipo di conoscenza democratica dove mi fido del prodotto informativo generato da un pari. È la rivoluzione delle fonti di informazione e di conoscenza che non poteva non portare a qualche scontro. Wikipedia, infatti, ha generato un dibattito, tutt’ora in corso, sulla validità e credibilità di quello che è scritto dagli utenti sul sito e un ulteriore dibattito, ancora più interessante, sulla sfida che il web muove verso le istituzioni del sapere: che ruolo hanno insegnanti ed esperti in mondo dove esiste Wikipedia? A cosa servono i libri e le biblioteche fisiche se “tutto” il sapere può essere potenzialmente alla portata di una rapida ricerca online? Si apre un discorso complesso che cercherò di affrontare più avanti, per il momento si può trovare una risposta a queste questioni partendo dal fatto che essendo i contenuti delle pagine dell’enciclopedia Wikipedia generati dagli utenti, utenti qualsiasi, anonimi, di cui non si conoscono le competenze, non possiamo essere certi che siano validi e corretti, perciò vanno consultati con questa consapevolezza. Se non ricordo la data di nascita di uno studioso, o l’anno di uscita di un film o di un libro posso affidarmi a Wikipedia, le probabilità che troverò una risposta corretta sono molto alte, ma se ho bisogno di scavare più in profondità nella conoscenza di un argomento è consigliabile tornare alle fonti del sapere “tradizionali”.

“Siamo entrati in un’epoca in cui l’autorevolezza e l’attendibilità sono diventate del tutto incerte.”19

Questo esempio di Wikipedia ci dà una prima lezione importante sull’identità dei media digitali e sull’uso che dovremmo farne: la superficialità è un tratto che descrive internet e le sue app, nel mondo del digitale difficilmente l’utente è in grado di andare in profondità nelle cose, nei concetti, negli argomenti, ma anche, e lo vedremo più avanti, nelle identità personali, nella comunicazione e nei rapporti con gli altri. La ragione di questo si spiega nel fatto che ciò che resta in superficie può essere raggiunto velocemente, mentre ciò che si trova in profondità richiede del tempo: i media digitali sono per natura veloci, sono costruiti per raccontare l’attimo, vivere sull’istante. Hanno scelto questa direzione perché permette alle società che li gestiscono arricchimento maggiore: se i contenuti sono più brevi se ne fanno e se ne vedono di più, si resta connessi per più tempo.

Su Twitter ci esprimiamo con meno di 300 caratteri, la principale comunicazione online è l’istant messaging, foto e video che pubblichiamo al fine di raccontare le nostre giornate sui social durano pochi secondi. Alessandro Baricco ha scritto: “l’essenza dell’esperienza

19 Metitieri, Fabio. Il grande inganno del Web 2.0. Gius. Laterza & Figli Spa, 2011.

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era risalita dalle sue tane sotterranee, scegliendo la superficie come suo habitat naturale.”20

La superficialità non è legata solamente all’aspetto della velocità e dell’istante che definisce la natura del web e di ciò che ne fa parte. Il principale ostacolo al tentativo di navigare in profondità è legato al modo in cui questi contenuti vengono proposti all’utente, ovvero alla loro indicizzazione. Per indicizzazione si intende l’ordine e la selezione che determinano quali contenuti mostrare e quali mostrare prima di altri agli utenti sul web. L’indicizzazione funziona sui siti web e sulle app così come sui social network tramite algoritmi.

In generale è necessario, per avere maggiore consapevolezza sui social network, sapere che l’algoritmo analizza il nostro comportamento sull’app e sulla base di questo seleziona i contenuti da mostrarci e quelli da nascondere. I like che mettiamo, i commenti che scriviamo, le condivisioni, e tutte le forme di interazione costituiscono insieme una quantità di dati che descrivono chi siamo, ciò che ci piace, i nostri interessi, tradotto nella logica dell’algoritmo: ciò che ci trattiene maggiormente sulla piattaforma. Questi dati sono utilizzati dall’algoritmo per suggerirci i contenuti che troviamo ogni volta che apriamo le homepage dei social network. Dietro le logiche dell’algoritmo ci sono interessi commerciali: Facebook, Istagram. Youtube, Twitter e Tik Tok hanno tutte un unico interesse: “to keep people engaged on the screen.”21 La ragione è semplice: mentre l’algoritmo ci mostra quelli che, secondo la sua analisi, sono i contenuti che vogliamo vedere, ci scorrono sullo schermo le pubblicità per le quali aziende private hanno pagato in modo da arricchire se stesse e le società proprietarie della piattaforma su cui l’algoritmo opera. Lo ha spiegato in maniera semplice Stefano Varasi, data broker intervistato nell’episodio “Tutti spiati?” del programma televisivo Presa Diretta. Come un algoritmo, una società di data broker raccoglie dei dati su una persona o li acquista altrove per poi aggregarli ad altri e usarli per uno scopo economico. “Se lei domani o adesso prende il pc e cerca un volo per New York io nel giro di meno di un secondo quel dato lo raccolgo nella piattaforma e verrà comprato da tutti coloro che vendono viaggi, che guarda caso le proporranno sotto forma di banner pubblicitari sconti pazzeschi per un viaggio per New York. Questo avviene in tempo reale, costantemente.”22

20 Baricco, Alessandro. The game. Bezige Bij bv, Uitgeverij De, 2019, p.150.

21 The Social Dilemma, Documentario/Docu-drama, Netflix, 2020, DVD

22 Tutti Spiati?, Presa Diretta, Video, 2019/2020, 98 min.

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Al di là delle logiche commerciali per le quali l’algoritmo opera quello che è più interessante è legato al fatto che la mia homepage di Instagram, Facebook e Twitter è confezionata su misura per me, quello che vedo io non è quello che vede un altro utente.

A questo proposito, Eli Parisier ha coniato il termine di “filter bubble”: Google e i social network trattano i contenuti attraverso un filtro che seleziona il materiale determinando quello che non ha il permesso per circolare e quello che verrà scelto per essere mostrato nella bacheca di ogni singolo utente. Il filtraggio opera quindi su due livelli, il primo livello decide cosa è approvato e cosa non è approvato dalla piattaforma, verifica che non siano state violate le norme della community: “sulla rete prima si pubblica e poi si filtra”23. Dopo che il “filtro” dovrebbe aver tolto tutto ciò che c’è di inopportuno e non conforme, il secondo livello di filtraggio decide cosa sarà visibile nella homepage di ogni profilo.

Questa personalizzazione altamente individualizzata dell’esperienza dell’utente è fatta principalmente sulla base del comportamento del singolo nella piattaforma. In “The Social Dilemma” Jeff Seibert afferma: “What I want from people to know is that everythings they are doing online is being watched, is being tracked, is being measured.”24 L’algoritmo non sceglie dal nulla di propormi un contenuto, potrebbe essere legato alla rete di amicizie che ho creato online o a profili e pagine per cui ho mostrato un certo interesse ma comunque è basato sui feedback che invio indirettamente al sistema informatico in cui sto navigando: dal numero di secondi in cui mi soffermo su un contenuto al numero di interazioni che ho con una pagina rispetto a un’altra. Sono gli stessi social a comunicarlo all’utente: dopo essersi registrati a Tik Tok, ad esempio, sullo schermo si legge: “i video sono personalizzati per te in base a quello che guardi, a cosa ti piace e a cosa condividi”. “Ogni utente sceglie autonomamente a quale pagina linkarsi, quale personaggio seguire in rete, quale messaggio ritwittare e così via: non di meno, il diagramma d’insieme della distribuzione sceglierà, ancora e sempre, una precisa tendenza statistica.”25 Questo significa però anche che l’utente può porre l’attenzione su qualcosa che non apprezza o che non condivide, magari perché spinto da curiosità, e l’algoritmo potrebbe proporgli qualcosa di simile, perché esso non segue logiche morali o etiche, non distingue tra giusto e sbagliato, tra notizie vere e false, calcola solo il tempo in cui un utente resta incollato allo schermo per la visione di un contenuto. Si apre un tema

23 Miconi, Andrea. Teorie e pratiche del web. Vol. 659. Il mulino, 2013, p.114

24 The Social Dilemma, Documentario/Docu-drama, Netflix, 2020, DVD

25 Ivi, p.150

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dibattuto e complesso su quelle che sono le responsabilità dell’algoritmo nella diffusione di un certo tipo di contenuto rispetto a un altro, un dibattito di cui si è sentito parlare spesso in merito al potere che avessero certe piattaforme nella diffusione di notizie false, soprattutto nel contesto storico in cui ci troviamo dall’inizio della pandemia da COVID- 19. Seppure interessante, il tema si allontana dagli obbiettivi della tesi, per i quali è sufficiente comprendere come l’algoritmo sia importante perché si occupa dell’indicizzazione: ovvero sceglie cosa portare alla superficie e cosa mettere sulla vetrina della homepage dell’utente. Ciò che è di interesse per questo progetto è il modo in cui l’utente, conoscendo la logica con cui l’algoritmo opera, possa sfruttarlo a proprio vantaggio. Questo discorso verrà affrontato più approfonditamente nel secondo capitolo dove verranno proposte delle indicazioni che potrebbero essere utili a questo scopo.

Al di là del fatto che operi secondo il giusto o meno, l’algoritmo è necessario, perché la quantità di materiale prodotto e diffuso sul web è enorme, una straordinaria ricchezza digitale troppo grande per poter essere esplorata. “Oggi ogni cittadino del mondo ha accesso, almeno potenzialmente, attraverso internet a centinaia di milioni di gigabyte di informazione, o meglio a tutta la conoscenza del mondo.”26 La conseguenza di questo è che nell’abbondanza di materiale disponibile in rete l’utente non sa cosa scegliere, non sa dove guardare. A livello cognitivo si parla di sovraccarico informativo, in inglese information overload. “Because of the multipicity of things needing attention, people find no time to attend to anything or anyone.”27 Nell’era di internet e dei social network siamo accecati da un’enormità di informazioni e di contenuti. “Platone dice che l’occhio umano non vede quando è buio ma non vede neanche quando c’è troppa luce e oggi la rete ci mette di fronte a questo.”28

È necessario per l’utente digitale capire come orientarsi in questo mondo, e per farlo è importante conoscere le logiche su cui si è costruito il web e le sue applicazioni. Navigare nel mondo dei social network è descrivibile come la sensazione di navigare in un flusso astratto, le homepage sono come un fiume continuo di immagini, video e testi.

In questo flusso si viene facilmente immersi, le applicazioni dei social network sono studiate per tenerti il più possibile connesso. Attraverso il susseguirsi di un contenuto dopo l’altro, la sensazione è quella di sentirsi persi e alla deriva. Per questo motivo ci

26 Ferri, Paolo. Nativi digitali. Milano: Bruno Mondadori, 2011, p.49

27 Klapp, Orrin Edgar. Opening and closing. CUP Archive, 1978, p.47

28 Ercolani, Paolo. “Il muro della realtà virtuale. Intelligenza artificiale e ottusità umana al tempo di Internet”, video, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=PLnEbu9cRYY

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troviamo a passare ore delle nostre giornate sulle bacheche di Facebook e Instagram senza rendercene conto. Siamo immersi nella virtualità dei social, che Riva in “Nativi digitali”

chiama interealtà, uno spazio dove mondo online e mondo online si fondono: “è possibile considerare i social network come uno spazio sociale ibrido – l’interrealtà – che permette di far entrare il virtuale nel nostro mondo reale e viceversa, offrendo a tutti noi uno strumento potentissimo per creare e/o modificare la nostra esperienza sociale.”29

Sui social raccontiamo quotidianamente la nostra vita offline e con strumenti e forme che appartengono solo al mondo digitale del web, conserviamo le relazioni della vita offline e insieme coltiviamo rapporti che esistono solo nel mondo virtuale. Afferma Pierre Levy in un’intervista: “nel virtuale siamo immersi, fa parte di noi e a volte è dentro di noi. Nel telefonino viene trasportata non solo la voce, ma anche un pensiero, un cuore e dei sogni condivisi. […] Il virtuale (dal latino virtualis che viene da virtus = forza, potenza) non è una categoria che si oppone al reale, come per troppo tempo si è creduto. Il virtuale è un nodo problematico, perché ha dentro di sé tutte la potenzialità da cui può scaturire l'essere in una sua entità specifica.”30 Nel mondo di oggi mondo virtuale e mondo fisico non sono separati. Gli smartphone sono diventati un prolungamento del nostro braccio, esiste un continuum reale tra il nostro essere offline e online.

Anche a partire da questa pervasività del virtuale nel reale, è nata la necessità di aprire un discorso su uno strumento digitale come i social network che è così permeato nella vita delle persone.

Da una prima generale introduzione sono emersi già aspetti importanti che ci aiutano a conoscere meglio questo mezzo tecnologico. Gli aspetti positivi individuano la straordinaria potenzialità di un mezzo che promuove una partecipazione attiva, con contenuti creati dal basso attraverso uno strumento che incentiva la creatività e la sperimentazione in uno spazio online nato per essere libero e paritario. Sono un incredibile mezzo di diffusione dell’informazione e della conoscenza per la capacità di permettere a chiunque di comunicare da ogni luogo: “le app di informazione ci portano le ultime notizie da ogni angolo del pianeta, nel formato che preferiamo (da leggere, da ascoltare o da guardare), mentre le app dei social network e dei microblog possono

29 Riva, Giuseppe. I social network. Il mulino, 2016, p.27.

30 Carlo Pecorini. Dal reale al virtuale. Verso una nuova dimensione dell'essere. Intervista a Pierre Levy.

http://www.hackerart.org/corsi/fm03/esercitazioni/pecorini/Interviste/5_interviste.htm

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mostrarci i punti di vista delle persone che vivono laggiù.”31 I social network infatti, sono nati e continuano ad essere un mezzo per connettere le persone, sono il più importante supporto alla comunicazione, sia con la rete di persone costruita online ma anche per le relazioni interpersonali della vita offline.

I social network sono uno spazio di condivisione dove i contenuti creati dagli utenti (UGC, user generated content) non sono prodotti per un compenso (a eccezione di chi usa questi mezzi anche a scopo di lucro), sono prodotti per il piacere del dono e dello scambio tra pari.

Da una prima introduzione è emerso inoltre che le informazioni e i contenuti generati all’interno delle piattaforme social seguono le stesse logiche che governano la rete:

istantaneità e superficialità. Sono due principi collegati tra loro: anche a causa della grande quantità di materiale prodotto dal web e dai suoi strumenti, la rete impone che i suoi contenuti siano brevi, visibili rapidamente, in questo modo nel tempo in cui l’utente è connesso guarda più materiale e guarda più pubblicità, contribuendo all’arricchimento delle piattaforme. Anche per questo nascono e vengono promosse sempre più forme di narrazione dell’istante, come stories e tik tok.

Per navigare velocemente, in un mondo che vuole tutto e subito, bisogna restare sulla superficie, questo implica che l’utente possa vedere solo una parte del materiale prodotto nelle piattaforme. Le bacheche dei social network ci presentano i contenuti filtrati dall’algoritmo, lo strumento che si occupa di gestire questa superficie. È un filtro basato sul nostro comportamento sulla piattaforma: i contenuti a cui mettiamo like, quelli che seguiamo, quelli che condividiamo indicano all’algoritmo cosa ci piacerebbe vedere ogni volta che aggiorniamo la pagina, capire questo aspetto è necessario per poterlo sfruttare a proprio vantaggio.

1.1.3. Aspetti etici: libertà e privacy online

Corrado Caruso scrive: “la Rete è assurta al rango, tanto promettente quanto impegnativo, di «tecnologia di libertà», al servizio dell’auto-realizzazione individuale e delle potenzialità creative dell’essere umano.”32 Nel primo capitolo di questa tesi, la rete, e i

31 Davis, Katie, and Howard Gardner. Generazione App. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale.

Milano: Feltrinelli editore (2014), p.89.

32 Caruso, Corrado, I custodi di silicio. Protezione della democrazia e libertà di espressione nell’era dei social network, Liber Amicorum per Paquale Costanzo, 2020, p.1.

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suoi servizi, sono stati definiti appunto come uno spazio fondato sull’accesso gratuito, la libera partecipazione e la comunicazione tra pari. A partire da una iniziale panoramica su questo mezzo, si è iniziato, infatti, a parlare di come i social network siano stati creati per essere lo spazio in cui ognuno è libero di essere ed è libero di esprimersi, proprio perché si inseriscono nella retorica della libertà che caratterizza la rivoluzione tecnologia Web 2.0. Un tipo di retorica che riflette un modello di valori appartenenti a un contesto più ampio, quello degli Stati Uniti d’America, paese che vede nel diritto ad essere uomini liberi il valore fondamentale della propria società. Facebook, Instagram, Whatsapp, YouTube, Pinterest e Twitter sono tutti social network fondati da cittadini americani le cui società hanno sede negli Stati Uniti, di conseguenza abbracciano largamente i principi e i valori della società americana.

“Un luogo in cui le persone si sentano libere di comunicare”33 : sono le parole con cui Facebook si descrive sul proprio blog, la libertà è quindi la parola chiave della retorica di queste tecnologie. Ma al di là della filosofia, quanto e in che forma l’utente di un social network può considerarsi libero di comunicare?

La posizione dell’utente di un social network è pari a quella di un cliente che usufruisce di un servizio; perciò, su un social network ci si può considerare liberi entro i limiti che quel servizio impone. Sono libero fin tanto che accetto di sottostare a termini e condizioni imposte dalla società proprietaria del social network. Il punto è che rispetto a questi

“termini e condizioni” nessuno o pochi si fermano a comprenderne le linee guida e soprattutto tutti sono costretti a accettarli per usufruire dello strumento.

Partendo dal presupposto in cui l’utente sceglie di accettare questi termini e condizioni, sta utilizzando uno strumento di comunicazione all’interno del quale può dire di avere veramente “la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo”34? Apparentemente sì, è libero di decidere il proprio nome sui social, la propria immagine, la propria identità, libero di creare un profilo che rispecchi la persona che è offline oppure no. Può scegliere di essere qualcosa di diverso, può sperimentare. È libero nella sfera dell’identità quanto in quelle dell’espressione personale e della comunicazione: libero di condividere a chi vuole il proprio pensiero e di decidere chi può entrare nella personale rete sociale online. La libertà sembrerebbe quindi applicarsi a ogni livello e a ogni ambito di un social network. È una libertà apparente però, data anche dal

33 Standard della community, Facebook, https://www.facebook.com/communitystandards/introduction

34 Definizione di “libertà”, enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/liberta

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