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«Vi aspetto tutti in Paradiso»

Nel documento Bosco Don (pagine 190-193)

Ci t'u una uolta clte don Bosco raccontò ai suoi ragazzi qilesto splendido soglto:

<< La notte del 6 dicembre 1876, mentre ero in camera mia, senza

sapere bene se leggevo o se passeggiavo per

la

stanza o se ero già a letto, piombai nel sogno.

In un

attimo

mi

sembrò

di

essere sopra un piccolo ilalzo di terra, su una collina,

ai

margini

di

una pianura irrymensa,

i

cui

confini l'occl-rio non poteva afiemare. Si perdeva nell'immensità.

Era tutta cerulea come un mate in piena calma; ma quello che io vedevo non era acqua. Sembrava un terso e lucente cristallo.

Larghi

e

giganteschi

viali

dividevano quella pianura

in

vasgis-simi giardini , di bellezza inenarrabile,

tutti

frazionati in boschetti, praterie

e

aiuole

di fiori,

a forme

e

a colori diversi.

Le

erbe,

i

fiori,

gli

alberi,

i frutti

erano bellissimi e

di

aspetto eccezionale.

Le foglie erano d'oro,

i

tronchi e

gli

steli

di

diamante e

il

resto

di

straordinaria prezrosità.

Io

vedevo

in

mezzo a quei giardini e

in

tutta la pianura innumerevoli palazzi e castelli

di

architettura,

di

un'armonia, magnificenza, vastità così straordinada, che per costruire uno

di quelli

sembrava non dovessero bastare

tutti i

tesori della terra.

Io

dicevo fra me Stesso: "Se

i

miei ragazzi aves-sero uno solo

di

questi palazzi, oh come godrebbero, come sareb-bero felici e

vi

starebbero volentieri!

".

Così io pensavo, vedendo quegli edifici solo dal

di

fuori.

Mentre ero colmo

di

stupore, ecco difiondersi una musica dol-cissima,

di

così affascinante

e

soave armonia, che

io

non posso darne un'idea adeguata. Parevano centomila strumenti

di

un'or-chestra prodigiosa:

tutti

davano un suono dilTerente e una

vastis-sima gamma di note si dipanava pet l'aria' Su questo sfondo emer-gevano

i

cori dei cantori.

' Vidi

allora una moltitudine

di

gente,

in

quei giardini, che si

divertiva allegra e contenta. Chi suonava, chi cantava- Ogni voce, ogni nota facèva l'efletto come di un complesso di mille srumenti,

tritti

diversi

I'uno

dall'altro.

Ahl per

descrivere quest'armonia non bastano Parole umane.

Dal volto di

quei

felici

abitatori traspariva non soltanto un piacere straordinario nel cantare, ma contemporaneamente un im-menso gaudio nell'udir cantare gli

alri.

E quanto più uno cantava,

più gli

ii

acce.,deva

il

desiderio di cantare; e quanto più ascoltava,

ianto

più

desiderava ascoltare.

Una

folla

immensa

di

ragazzl

Mentre estatico ascoltavo questo celestiale concerto, ecco avan-zare rna folla immensa

di

ragazzi;

molti io li

conoscevo perchè

erano stati nell'oratorio e negli

altri

nostri collegi; ma la maggior parte mi erano sconosciuti affatto. Quella folla sterminata veniva verso

di

me.

In

testa avanzava Savio Domenico'

Io mi

chiedevo: "Dormo

o

son sveglio?".

E

battevo

le

mani una contro dell'altra e mi toccavo

il

petto per accertarmi che era reale quello che

io

vedevo. Quando

la

folla giovanile giunse di-narui a me,

si

fermò alla distanza

di otto o

dieci passi. Allora gtizzò un lampo

di

luce più viva, la musica

si

spense e calò.un profondo silenzio.

Tutti

quei tagazzi erano pervasi

di

una gioia grandissima, che traspariva dagli occhi; sul loro volto si leggeva

lu

p^.. di

una felicità perfetta.

Mi

guardavano con un dolce sor-riso sul labbro

e

sembrava che volessero parlare; ma non par-lavano.

Savio Domenico

si

avanzò

di

qualche passo

e si

fermò così vicino a me, che se io avessi steso la mano, I'avrei certamente toc-cato. Taceva, guardandomi con un somiso. Com'era bello! Le sue vesti erano eciezionali.

La

tunica candidissima che

gli

scendeva

fino ai piedi era trapunta

di

diamanti e tessuta d'oro. Un'ampia fascia rissa gli cingeva

i

fianchi, ricamata così fittamente di gemme preziose

.h.-

rrrru

qrari

toccava

l'al:la; le

gemme intrecciandosi

in un

ricamo

*.."riglioso,

presentavano una tale bellezza

di

co-179

lori,

che

io

al vederli

mi

sentivo svenire dallo stupore. Dal collo

gli

pendeva un monile

di

fiori esotici e rarissimi: sembrava che

i

petali fossero

di

diamanti tenuti insieme da gambi d'oro.

I

fiori sfavillavano

di

una luce sovrumana, davano barbagli più

vivi

del sole, che

in

quell'istante brillava

in

tutto

lo

splendore

di

un

mat-tino

di

primavera.

I

riflessi dei raggi illuminavano

il

viso latteo e

rubicondo

di

Domenico

in

una maniera indescrivibile; l'illumina-vano talmente che non si potevano distinguere le varie iridescenze.

Il

suo capo era cinto

di

una corona

di

rose. La capigliatura gli scendeva ondulata per

le

spalle

e gli

conferiva

un

aspetto così

bello, così affettuoso, così attraente cl-re sembrava... sembrava...

un

angelol >>.

Don

Bosco

nel

pronunziare queste ultime parole pareaa che lacesse uno slorzo per trouare le espressioni adatte; e le finì con

un

gesto indescriaibile

e

con

un lolto di

uoce cbe scosse tutti.

Era come spossato dallo sforzo

di

cercare

i

termini per tradune

in

pieno la sua idea. Dopo breue pausa proseguì;

"

Sei

tu

dunque?

"

<< Anche

le

personcine degli

altri

ragazzi splendevano

di

luce.

Erano vestiti

in

vario modo, sempre stupendo; chi più, chi meno

ricco; chi

in

una, chi

in

un'altra foggia; chi

di

un colore, chi di un altro; e quelle vesti screziate avevano un simbolismo che nes-suno saprebbe comprendere. Ma

tutti

avevano

i

fianchi cinti con un'identica fascia rossa.

Io

continuavo ad osservare

e

peosavo: "Che cosa

vuol

dire questo?... Come

ho

fatto a venire

in

questo luogo?".

E

non

sa-pevo dove mi trovavo. Estasiato,

tutto

tremante, non osavo rom-pere

il

silenzio. Anche gli altri continuavano a rimanere zitti. Dopo un po', Savio Domenico

mi

disse:

-

Perchè stai

muto e quasi annichilito? Non sei

tu

quel-I'uomo che una volta

di

nulla

ti

spaventavi, ma aflrontavi iÀtre-pido le calunnie, le persecuzioni,

i

nemici e

i

pericoli di ogni sorta?

Dov'è

il

tuo coraggio? Perchè non parli?

Risposi

a

stento, quasi balbettando:

-

Non so cosa dire. Sei

tu

dunque Savio Domenico?

-

Sono

io!

Non

mi

riconosci più?

Nel documento Bosco Don (pagine 190-193)

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