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3. 1 L‟assistenza ai profughi presso la Comunità ebraica di Milano

Le Displaced Persons ebree e la società italiana

IV. 3. 1 L‟assistenza ai profughi presso la Comunità ebraica di Milano

Le attività burocratiche e amministrative della Comunità ebraica milanese ricominciarono a pieno ritmo poche settimane dopo la Liberazione72; il 22 giugno del 1945 veniva infatti ufficialmente nominata la ―Straordinaria Amministrazione della Comunità Israelitica di Milano‖, composta da Astorre Mayer, Eugenio Mortara, Valeria Zovi, Sally Mayer, Giulio Artom, Vitalo Sazbon, Marcello Cantoni, Lazzaro Jarach, Sergio Tedeschi,

Roberto Voghera, Cesare D‘Angeli73

.

Stando ad una testimonianza rilasciata da Marcello Cantoni nel 1969, in quel contesto «il primo compito che la Comunità dovette affrontare fu quello di mettere in piedi un ufficio che assistesse coloro i quali richiedevano di rientrare in possesso delle loro case»74, venne poi creato «un ufficio di beneficienza, di assistenza immediata»75 che sarebbe diventato il centro di via Unione5, e successivamente vennero allestiti la mensa, la scuola per bambini di via Eupili, un magazzino per le provviste recuperato dal Comitato Civico, l‘ufficio di assistenza

71 Vincon, op. cit., p.91.

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.Non esistono ancora ricerche complete sulla rinascita della comunità ebraica milanese; per un‘idea generale, rimando a: La riaggregazione

della Comunità israelitica di Milano 1945-1953, Storia in Lombardia, 2-3 (1998), pp. 619-42; C.Villani , Via Unione 5, op. cit.; S. Minerbi,

op. cit.; Levi d‘Ancona Luisa, Filantropi ebrei italiani nella ricostruzione: il caso di Milano, in Paganoni, op. cit, pp. 39-59. 73 Acdec, Fondo Cantoni, Comunità Israelitica di Milano, b. 2, f. 4, ―Raffaele Cantoni‖.

74 Ibidem. 75

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medica e tanto altro; in via Unione, visto l‘arrivo di centinaia di bambini e ragazzi orfani, nacque pure il progetto della colonia di Selvino76. Tutto ciò fu possibile soprattutto grazie all‘opera costante ed indefessa di Raffaele Cantoni, uomo dotato di coraggio, carisma e prontezza d‘animo, il quale seppe essere d‘esempio per tanti ebrei italiani. Attorno a lui, Cantoni radunò amici e persone fidate, uomini e donne vicini agli ambienti dell‘antifascismo e del sionismo, nonché i loro familiari; assieme a loro cominciò ad organizzare la prime azioni concrete in favore dei profughi stranieri, che a migliaia cominciarono a riversarsi in città.

Il primo obiettivo raggiunto fu l‘allestimento del centro di prima accoglienza di Via Unione577, attorno al quale ruotavano anche altre attività e servizi di prima necessità: la

mensa e l‘ambulatorio medico78

. I dati relativi ai pasti forniti dalla mensa di via Unione sono illuminanti per comprendere la portata dell‘aiuto rivolto agli ebrei stranieri; si tenga presente infatti che nell‘agosto del ‘45 i pasti gratuiti concessi dalla mensa furono 11.092; di questi 7.790 furono serviti a polacchi, 2.089 ad italiani, 558 ad austriaci/tedeschi, 351 ad ungheresi, 205 a jugoslavi, 75 a francesi; a questi bisognava aggiungere 3.945 pasti servizi a profughi di passaggio per Milano, di cui il 90% era di nazionalità polacca79. Il 12 febbraio del 1946, furono anche firmati accordi tra i rappresentanti della Comunità Israelitica di Milano e quelli delle organizzazioni dei profughi ebrei, per garantire un‘equa distribuzione dei pasti e un regolare svolgimento delle attività80.

Tra le persone che assieme a Raffaele Cantoni animavano questo gruppo milanese e gestivano alcuni dei servizi offerti a Via Unione c‘erano anche Marcello e le sue sorelle Vittoria e Lia Cantoni, che non avevano legami di parentela con l‘omonimo presidente

76 Ibidem.

77 Per la storia dettagliata di questo centro rimando a: C.Villani, Via Unione5, op. cit. 78

P. Levi, Se non ora quando, op. cit.

79 Acdec, Fondo Comunità di Milano, b. 8, fasc. 19, Assistenza, 1945-1946, ―Comunità israelitica di Milano‖, ―Statistica dei pasti gratuiti concessi in agosto 1945‖. Una situazione simile si registrava anche in ottobre dello stesso anno, cfr ―Resoconto dei pasti gratuiti distribuiti dalla Mensa di Via Unione 5 durante il mese di ottobre 1945‖, in ibidem.

80 Acdec, Fondo Comunità di Milano, b. 4, fasc. 10, 1945, ―Amministrazione straordinaria, accordo tra i rappresentanti della comunità israelitica di Milano e i rappresentanti delle organizzazioni dei profughi ebrei‖, 12 febbraio 1946.

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dell‘UCII. Marcello Cantoni (1914-2003) era un medico di professione ed era stato anche partigiano; catturato assieme ai suoi compagni il 1° novembre del 1944, riuscì a sfuggire in Svizzera. Dopo la Liberazione, egli collaborò attivamente alla ricostituzione della comunità ebraica di Milano, assumendo le cariche di Vice Commissario Straordinario, Procuratore di Conto con firma abbinata e infine Consigliere il 19 novembre 1945; infine nel 1948 divenne

pediatra e dal 1945 al 1954 fu Presidente del Comitato milanese dell'OSE81. Il contributo che

Marcello Cantoni diede a Via Unione fu strettamente legato alla sua professione, tanto da essere conosciuto come ―il medico dei profughi‖; presso il centro egli aveva infatti riaperto, grazie ai contributi del Joint, un ambulatorio. Soprattutto nella prima fase degli afflussi dal Brennero, l‘aiuto di Cantoni servì ad alleviare le sofferenze fisiche e psicologiche dei reduci dai campi di sterminio. Terribili furono le esperienze con quali dovette confrontarsi; come egli stesso ha raccontato:

La gente era soprattutto all‘inizio denutrita; ma vi erano disturbi di natura nevrotica e purtroppo anche psicotica. Parecchi erano i tubercolotici, parecchi anche gli affetti da rachitismo. Ricordo una bellissima ragazza ungherese che era venuta a farsi visitare con il fidanzato al nostro ambulatorio perché si volevano sposare e facevano come si faceva allora la vasserman (Wasermann), lui era negativo, lei era positiva e ci spiegò con molta franchezza che era stata in una della case di prostituzione dove per due anni si era assoggettata ad essere una meretrice degli ufficiali tedeschi. Questa ragazza aveva una forza di volontà straordinaria e fu rimessa in sesto rapidamente e poi anche lei è andata in Israele. Ancora oggi abbiamo nei nostri ambulatori gente reduce dai campi che ha disturbi di natura nervosa e a Milano abbiamo una ventina, una trentina di uomini così82.

A Via Unione 5, Lia Cantoni fu invece responsabile della scuola aperta presso la struttura, mentre sua sorella Vittoria Cantoni gestì la mensa83; in realtà quest‘ultima venne coinvolta anche in altre attività, per esempio quando:

Alòn ebbe un infarto, e fu curato da Marcello Cantoni. In quell‘occasione Ada Sereni coinvolse Marcello e sua sorella Vittoria nell‘operazione dell‘Alià Bet. Vittoria preparava falsi documenti, lasciapassare, carte di identità, mandati di

81 Informazioni mutuate dall‘archivio digitale del Cdec: http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-it-cdec-eaccpf0001-000069/cantoni-marcello.html.

82 ―Testimonianza del Dottor Marcello Cantoni, via Vincenzo Monti 57, Milano 19/4/1969‖, in Acdec, Fondo Marcello Cantoni, Comunità Israelitica di Milano, b. 2, f. 4.

83 Ibidem.

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requisizione, falsificando i timbri inglesi: grande aiuto per avere viveri per la mensa e per la circolazione clandestina di molti di noi84.

Oltre alle attività di assistenza che ruotavano attorno al centro di via Unione, vi furono aiuti e sostegni elargiti da altri ebrei milanesi, attivi anche all‘interno della rinata comunità. Sally Mayer (1875- 1953), l‘industriale milanese conosciuto anche come il ―presidente della ricostruzione‖, e suo figlio Astorre (1906- 1977), che era un ingegnere, si distinsero per la loro filantropia in diversi contesti85. Da un punto di vista istituzionale, il presidente Mayer innanzitutto si prodigò per «conseguire al più presto l‘autonomia finanziaria della comunità milanese e per permettere l‘utilizzo dei fondi del Joint a esclusivo vantaggio dei profughi»86

. Egli inoltre, assieme al segretario della comunità Alfredo Sarano, mediò direttamente con i proprietari di alcune case e firmò i contratti d‘affitto per l‘allestimento di diverse hachsharot attive tra Piemonte, Lombardia e Veneto87. Naturalmente gli affitti erano finanziati dal Joint di Milano, che aveva sede a Palazzo Montecatini in Via Turati, ma il loro aiuto burocratico e di mediazione fu di fondamentale importanza, anche per superare eventuali ostacoli linguistici. Sally Mayer aiutò i profughi anche privatamente. Come altri filantropici ebrei italiani – per esempio a Firenze88 - concedette l‘utilizzo di Villa Sopranzi a Tradate, di sua proprietà, per l‘accoglienza di centinaia di DPs; inoltre contribuì al mantenimento economico degli stessi89.

A Milano erano attivi a sostegno degli ebrei stranieri anche altre personalità meno conosciute. Per esempio, Carlo Shapira, un altro industriale, assieme a Mayer costituì il Sjm, un fondo di prestito per avviare attività lavorative, rivolte sia ad ebrei italiani che a stranieri90.

84 Dalla trascrizione dell‘intervento di Mario Pavia per la tavola rotonda su ―Via Unione, luogo di transito nel dopoguerra‖: http://www.mosaico-cem.it/cultura-e-societa/spettacolo/via-unione-storia-di-unesperienza-straordinaria

85 Cfr A. Gagliardo, op. cit., L. Levi D‘Ancona, op. cit. 86

Levi D‘Ancona, op. cit..

87 In particolare: Villa Bortoluzzi a Cusano Milanino, Villa Faraggiana a Meina (Lago Maggiore), Villa Borromeo a Costa Lambro e Villa Chirignago 8Mestre), cfr in Acdec, Fondo Comunità di Milano, b. 21, fasc. 37-38.

88 Levi D‘Ancona, op. cit.

89 A. Gagliardo, op. cit., p. 93; Levi D‘Ancona, op. cit.. 90

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Alfredo Sarano (1906-1990), tornato a Milano il 16 novembre del ‘4591, fu attivo anche in altri ambiti relativi all‘assistenza alle DPs; egli infatti fu tra gli organizzatori ed animatori dell‘altro centro di accoglienza aperto in Lombardia, che si trovava a Chiari (Brescia). Come egli stesso ha raccontato nel suo diario:

Ebbi l‘incarico da parte dell'Unione delle Comunità di curare tutta la parte procedurale della faccenda. Mi recai a Chiari, assieme a Baruch Duvdevani ed Abramo Schetzen e presi in consegna la Caserma ed un anno dopo restituii all‘Ufficio del Demanio il caseggiato, senza che in questo periodo il soggiorno dei profughi abbia provocato alcun inconveniente, cosa che era stata paventata dalla popolazione locale la quale alla fine rimpianse la smobilitazione di questo campo di transito92.

Stando al racconto di Alfredo Sarano, fu lui stesso a fare presente a Sally Mayer che, visto l‘alto numero di profughi che giungevano in Via Unione, non essendo più sufficiente nemmeno lo spazio allestito presso Caserma Cardona, si rendeva inderogabile la scelta di una nuova struttura. A quel punto, Mayer si rivolse all‘avvocato Antonio Greppi, che era sindaco di Milano, per segnalargli il problema e Raffaele Cantoni, in qualità di presidente dell‘UCII, si recò al Ministero della Guerra ottenendo l‘utilizzo temporaneo della caserma93, la cui gestione venne affidata a Sarano.

Occorre menzionare in questo contesto almeno due figure femminili che ebbero un ruolo importante in queste vicende: Eugenia Cohen (1922-2017) e Matilde Cassin (1921-2006). La prima nacque nel 1922 a Milano, da una famiglia di origini turche di ebrei pienamente assimilati. Rimasta in città con la sua famiglia nella prima fase della guerra, durante i bombardamenti fu poi costretta con loro a lasciare Milano, per cercare rifugio in un casolare nei pressi di Lodi; da qui, la sua famiglia venne scoperta, arrestata e deportata a Bergen-Belsen, mentre lei riuscì a nascondersi, grazie all‘aiuto di una signora italiana che le offrì un nascondiglio. Sopravvissuta alla guerra, pur costretta a nascondersi e ad affrontare

91 Sulla vita di Alfredo Sarano si veda la recentissima pubblicazione: (a cura di) R. Mazzoli, Siamo qui Siamo vivi, Il diario inedito di Alfredo Sarano e della famiglia scampati alla Shoah, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2017.

92 Ivi, p. 262. 93

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varie peregrinazioni, tornò sola in città; qui trovò però la sua casa distrutta dai bombardamenti. Non sapendo come comportarsi, si recò dal rabbino di Milano per chiedere aiuto; egli, a quel punto, la indirizzò a Via Unione94. Al centro, dopo aver offerto il suo aiuto, venne scelta da Raffaele Cantoni per essere inviata prima a Piazzatorre, poi a Selvino, dove per alcuni mesi si prese cura dei bambini della colonia. Presso la colonia, Eugenia conobbe il soldato Reuven Donath, che era stato inviato a Selvino per insegnare sport e scoutismo; Eugenia e Reuven si innamorarono e si sposarono a Selvino nel 1946, per poi emigrare

legalmente in Palestina, dove ella cambiò il suo nome ebraico diventando Noga. Matilde Cassin proveniva invece da un gruppo di giovani sionisti fiorentini; inviata anch‘ella

presso la stessa colonia per accudire i bambini stranieri in arrivo, diventò una stretta collaboratrice di Moshe Zeiri. A Selvino fu in realtà attiva solo per qualche mese e nel 1947 emigrò in Eretz Israel, dove raggiunse il suo fidanzato Max Varadi95.

IV. 3.2 La Delasem di Torino e le DPs ebree

Tra i documenti prodotti dalla Comunità Ebraica di Torino all‘indomani della fine della seconda guerra mondiale, uno dei primi che ci permette di inquadrare le condizioni in cui versava la Comunità risale al 1° giugno del 1945: si tratta di una relazione firmata dal commissario prefettizio Eugenio Norzi ed inviata presumibilmente al Joint di Milano, a cui

egli mandò costanti aggiornamenti e richieste d‘aiuto anche nei mesi successivi96

. In questo documento veniva delineata una situazione estremamente complessa. Anzitutto, da quello che possiamo leggere, sappiamo che a quella data gli iscritti alla comunità erano 1060, tra cui 94

94 Sulla figura di Noga: https://www.sciesopoli.com/news/intervista-a-noga-donath-cohen-di-enrico-grisanti/. Ho avuto il piacere di conoscere Noga nella primavera del 2016, durante un incontro presso il Kibbutz Tze‘elim. In quell‘occasione non abbiamo potuto registrare un‘intervista, pur avendo avuto un interessante colloquio. Noga è deceduta l‘11 febbraio del 2017. Molte informazioni sulla sua biografia mi sono state fornite da Nir Donath, suo figlio, che ho intervistato il 21/09/2017 in Israele.

95

M.L. Adorno, op. cit; Angelo Pezzana, Quest‟anno a Gerusalemme, Corbaccio, Milano 1997, S. Minerbi, op. cit.

96 Archivio Ebraico Terracini di Torino (A.E.T.T.), Fondo Delasem, Corrispondenza, f. 139. Per una quadro generale della storia delle persecuzioni ebraiche della comunità di Torino, rimando a: (a cura di) F. Levi, Le case e le cose: la persecuzione degli ebrei torinesi nelle

carte dell'EGELI, 1938-1945 Torino, Compagnia di San Paolo, 1998; Idem, L'ebreo in oggetto: l'applicazione della normativa antiebraica a Torino,1938-1943, Torino, Zamorani, 1991. 479 furono gli ebrei torinesi deportati durante la seconda Guerra Mondiale, si veda il sito