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I Luoghi del displacement ebraico in Italia

II. 2 I campi profughi per Displaced Persons ebree (1945-1951)

II. 3.1 Kibbutz e hachsharot in Italia

Fin dai primi mesi del 1944, anche grazie alla presenza delle plugot, vennero fondati nel Sud Italia numerosi kibbutzim e hachsharot179. Non si trattava di una novità assoluta per

Italia; a partire dal 1934 infatti, gruppi di ebrei tedeschi emigrati nella penisola poiché in fuga dal nazismo avevano fatto esperimenti simili, con l‘obiettivo di preparare giovani ebrei

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Ivi, p. 60. 177 Ivi, p. 37. 178 Ivi, p. 38.

179 Per una panoramica sulle hachsharot in Italia nel dopoguerra, si veda: A. Marzano, ―Jewish DPs in Post-war Italy. The Role of the Italian Jewry in a Multilateral Encounter (1945–48)‖, in F. Bregoli, C. Ferrara degli Uberti, G. Schwarz (Eds. By), Italian Jewish Networks from the

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stranieri ed italiani all‘aliyah180

. Le prime due hachsharot del dopoguerra furono la Rishonim (―I primi‖) e la Dror (―Libertà‖). Fondate a febbraio del 1944 nei dintorni di Bari, esse

chiusero i battenti entro l‘autunno del 1945181. Qualche tempo dopo, a dicembre del 1947, a

Bari erano in funzione sei hachsharot, tre in via Salerno, una in via Re David, una a Grumo Appula e una a Santo Spirito182. In Puglia ne vennero fondate altre, per esempio a Santa Maria di Leuca183, a San Nicandro184 e a Santa Maria al Bagno; qui furono attivi anche due

kibbutzim: Villa Foscarini e Masseria Mondo nuovo185. Lo scopo primario di queste strutture era costruire un microcosmo sionista, espressione di un ebraismo nuovo, e trasformare i giovani sopravvissuti alla Shoah in cittadini attivi del nascente stato ebraico. Come racconta Gertrude Goetz (1931), ebrea viennese giunta in Italia nel 1942 e successivamente profuga a Santa Maria al Bagno, non si trattava di contesti politicamente omogenei:

Erano state stabilite sistemazioni di vita in comune o kibbutzim a seconda delle linee sionistiche o delle altre ideologie, che riflettevano orientamenti di destra o di sinistra. I membri di ciascun kibbutz condividevano attività comuni e procedevano come un gruppo mentre cantavano canzoni ebraiche nella loro cucina per ricevere i pasti quotidiani. Ciascun kibbutz inoltre eleggeva dei rappresentanti che avevano la possibilità di monitorare il benessere dei propri componenti186.

L‘attivismo politico dei profughi, che - come si vedrà nel prossimo capitolo - spesso sfociava nell‘organizzazione di cortei, scioperi e manifestazioni a cui essi prendevano parte, raggiungeva il picco nelle hachsharot, dove vivevano esclusivamente ebrei. Si trattava di strutture generalmente allestite in ville, fattorie o edifici privati, poste in lontananza rispetto ai centri urbani. Le DPs che vivevano in questi luoghi, pur godendo dal febbraio del 1946 anche

180 Su questo aspetto, rimando a: K. Voigt, 1993, op. cit; A. Marzano, Una terra per rinascere, 2003, op. cit., in particolare pp. 70-78. 181 (A cura di) A. Tagliacozzo., op. cit; . Su questa esperienza si veda anche Lelli F., Testimonianze dei profughi ebrei nei campi di transito

del Salento, in Paganoni, op. cit., p. 113-114; A. Marzano, ―Post-War Relief and Rehabilitation‖, A. Marzano, The Hakhsharot for Jewish DPs in Italy, op. cit.

182 C. Vitulli, op. cit., p. 286; Marzano. the Hakhsharot for Jewish DPs in Italy (1945-48”). Sono debitrice anche a Rachel Bonfil, direttrice dell‘Eretz Museum di Tel Aviv, per avermi fornito diverse mappe e materiali preziosi consultabili in calce a questo paragrafo (fig. 1; fig. 2;

fig.3), derivanti soprattutto da archivi privati, e raccolti per l‘organizzazione della mostra ―In response to an Italian captain‖, tenutasi a Tel

Aviv nel corso del 2017.

183 Cfr A. Marzano, The Hakhsharot for Jewish DPs in Italy…, op. cit.

184 Cfr C. Vitulli , op. cit., p. 113; F. Francesconi, Lo spoglio degli archivi americano per lo studio dei profughi e della ricostruzione: un

primo bilancio, in Paganoni, op. cit., p. 137.

185 F. Terzulli, op. cit, pp. 13-14. 186

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del sostegno dell‘Unrra187

, avevano un maggiore grado di autonomia organizzativa rispetto agli ebrei ospitati nei DP camps. Quella delle hachsharot era una realtà, come sottolinea il settimanale Israel, «destinata ad avere una profonda influenza sulla vita e sulla presenza del

nucleo ebraico in Italia»188. Come viene descritto in un coevo articolo pubblicato sempre su

Israel, questa nuova presenza ebraica rappresentava una vera e propria novità per il Sud Italia:

Nell‘estremo sud della penisola il fenomeno si presenta particolarmente interessante: a Santa Croce, a Santa Maria Bagni, a Santa Cesarea, a Santa Maria di Leuca. […] aggirandosi per le strade di questi nidi di pescatori si ha l‘improvvisa e strana impressione di trovarsi in una mosciavà di Eretz Israel. Ovunque sventolano bandiere bianco-azzure, sulle case e sui negozi grandi scritte in lettere ebraiche189.

Della cosiddetta ―regione meridionale‖ della penisola – come è definita nella documentazione del Joint- facevano parte anche le due hachsharot di Positano e Bacoli190, nonché quelle numerosissime dell‘area laziale, situate a: Roma, Ostia, Castelgandolfo, Grottaferrata, Rocca di Papa, Ladispoli, Genzano, Gallicano nel Lazio, Soriano nel Cimino, Bagnaia, Anzio, Olevano Romano, Frascati. A proposito dell‘area di Ostia, nel già citato articolo di Israel, il giornalista, dopo essersi recato personalmente in loco, riportava:

Ho visitato particolarmente Sha‟ar hajishuv (Porta in Erez Israel), Kibbuz di circa cento giovani tra i 15 e i 25 anni appartenenti al movimento chalutzistico

Torà-veAvoda, un grosso numero dei quali lavora sul mare addestrandosi alla

pesca […] L‘attività culturale si svolge con grande vivacità nelle ore libere; ad un tavolo siedono dei ragazzi con matite e colori a preparare un bel cartellone illustrativo, ad un secondo tavolo altri chaverim lavorano alla edizione del giornale murale che si vuole poi distribuire anche in altri kibbutzim. Non mancano tra i chaverim neppure gli artisti: un poeta e una poetessa in iddish e in ebraico. Tutti quanti qui parlano ebraico, tutti quanti hanno studiato e studiano

Torà. […] Occorre ricordare l‘esistenza di una jeshiva in cui studiano 25

giovani, e quella della Casa per bambini italiani detta Beth-Saold‖191.

187 A. Marzano, The Hakhsharot for Jewish DPs in Italy…, op. cit. 188

―Visita alle hachsharòth del Sud‖, Israel, 6 dicembre 1945. 189 Ibidem.

190 A. Marzano, Post-Shoah Relief and Rehabilitation… Presso Villa Scalera di Bacoli, dove aveva sede l‘hachshara, si verificò una rapina a mano armata, che si concluse con il ferimento grave di un profugo ebreo (https://www.cronacaflegrea.it/bacoli-in-citta-rachel-figlia-di-un-ebreo-scampato-ai-campi-di-sterminio/).

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La presenza del Rabbino Urbach e della Brigata ebraica, che ebbero un ruolo fondamentale nell‘assistenza e nella ricostruzione dell‘ebraismo nella capitale192

, spiegano, almeno in parte, la cospicua presenza delle hachsharot soprattutto nell‘area laziale. Da un lato, occorre sottolineare l‘attività delle diverse associazioni ebraiche internazionali e nazionali - tra quest‘ultime, fu particolarmente attiva la Delasem (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei)193 -, dall‘altra, come si vedrà nel terzo capitolo, è necessario considerare anche l‘importante ruolo che ebbero alcuni esponenti dell‘ebraismo italiano nel supporto economico, pratico e logistico delle hachsharot194.

Anche in Italia centrale, tra la Toscana e le Marche, furono fondate numerose

hachsharot. Nel primo caso, nuclei importanti sorsero tra Firenze, Livorno, Pisa; nel secondo,

ad Acquasanta Terme (Ascoli Piceno) e a Fano, dove era attiva un‘importante scuola di pesca195 . Con la fine della guerra, vi fu una vera e propria ―esplosione‖ di hachsharot in tutto il territorio italiano. Come ha messo in luce Arturo Marzano, «this phenomenon was an Italian peculiarity, not only in terms of the total number of facilities, but also as to the percentage of Jewish DPs living there out of the total amount»196. Secondo il ―Bollettino della Comunità ebraica di Milano‖, nei primi mesi successivi alla Liberazione, vivevano 1100 chaluzim nelle

hachsharot dell‘Italia settentrionale e centrale, nonché circa 1600 nell‘Italia meridionale197. Questo numero, certamente impreciso, fu comunque destinato ad esplodere nel giro di pochi mesi. Secondo un documento del Jewish Committee for Relief Abroad risalente al 6 maggio del 1946, a quella data in Italia vivevano 16.000 DPs ebree; 9000 di queste erano nei DP

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Sulle attività della brigata ebraica a Roma: (a cura di) Tagliacozzo, 2004, op. cit; ; (a cura di) M. Sarfatti, Il ritorno alla vita, op. cit.; D. Porat, One Side of a Jewish Triangle in Italy: the Encounter of Italian Jews with Holocaust Survivors and with Hebrew Soldiers and Zionist

Representatives in Italy (1944–46),‖ in Gli Ebrei nell‟Italia Unita (1870–1945). IV Convegno Italia Judaica, Ed. (Roma: Ufficio Centrale

per la conservazione dei beni archivistici, 1993), pp. 487–513.

193 Sulla storia della DELASEM: S. Sorani, L‟assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1947). Contributo alla storia della ―Delasem‖, Roma, Carucci Editore, 1983; S.Antonini, DelAsEm. Storia della più grande organizzazione ebraica italiana di soccorso durante la seconda guerra mondiale, Genova, De Ferrari, 2000. Come ha affermato Arturo Marzano: «what took shape in Italy at the end of the war and in its aftermath was more multifaceted than the ―triangle‖ described by Dina Porat between Shoah survivors, representatives from the Yishuv (the Jewish community in Palestine), and Italian Jews», cfr MARZANO A., ―Jewish DPs in Post-war Italy. The Role of the Italian Jewry in a Multilateral Encounter (1945–48)‖, in F. Bregoli, C. Ferrara degli Uberti, G. Schwarz (Eds. By), Italian Jewish Networks from the

Seventeenth to the Twentieth Century. Bridging Europe and the Mediterranean, New York, Palgrave Macmillan, 2018.

194 Per un primo approccio a questa problematica: A. Marzano, Ivi.

195 Per un approfondimento: S. Pirani, Storia dell‟Hakhsharah di Fano dal 1945 al 1948 attraverso i documenti e le interviste ai testimoni, Bologna Patron, 2008.

196 A. Marzano, Post-Shoah Relief and Rehabilitation…, op. cit. 197

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camp, 5000 in città e località varie (―out of camps‖), 4000 in hachsharot198

. A quella data, se ne contavano 44 in tutto, comprese una ―Maternity Home‖, due case di convalescenza per adulti ed una per bambini. In generale, si trattava di strutture composte da gruppi che potevano variare dai 40 ai 200 individui. Vi venivano svolte diverse attività, oltre alle a quelle dedite all‘agricoltura, altre erano impegnate nella sartoria, calzoleria, carpenteria e riparazioni dei motori199.

Decine di hachsharot vennero fondate anche nella cosiddetta ―regione settentrionale‖ della penisola, in particolare tra Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Liguria. Nel Nord Italia nacque una fitta rete di strutture, che avevano come punto di riferimento il centro di Via Unione e gli uffici di Via Cantù a Milano. A Torino, in Corso Moncalieri 167, era attiva una ―student home‖ per studenti profughi; altre strutture erano in Strada S. Margherita (Forse n. 157 e n. 159, Villa Sambuy). Nei dintorni di Torino, vennero fondate

hachsharot a: Nichelino (Palazzo Occelli, anche chiamato Castello di Nichelino o villa

Segre), Vinovo (Ex Cascina Vernea), Avigliana (Villa S. Agostino), Luserna San Giovanni (Villa Viso e Villa Bellosguardo), Pollone (Colonia Alpina), Arignano, Valmadonna, Acqui Bagni (Villa Fiorita), Campiglione Fenile, Pinerolo, Torre Pelice, Bussoleno (Villa Ferro) e Rivoli200.

Di grande interesse si sono rivelate alcune testimonianze che ho potuto consultare in merito alle strutture di Nichelino e Vinovo. In quest‘ultimo caso, la hachshara venne smantellata già nel 1946, ma nella struttura fecero in tempo ad avvicendarvisi almeno due gruppi di profughi201. Come dimostrano alcune interviste ad un piccolo gruppo di italiani allora abitanti nei dintorni di queste strutture, i profughi furono una presenza attiva sul

198 Wiener Library, Archives Unbound, numero file: HA15-1/1/2/b. 199

Ibidem.

200 Si consulti soprattutto: Francesconi, op. cit., Marzano, Post-Shoah Relief and Rehabilitation… Per la mappatura dell‘area di Torino è stato consultato anche l‘Archivio della Comunità ebraica di Torino, in particolare il fondo ―DELASEM‖ Delegazione assistenza emigranti (1939-1956), Periodo II (Anni 1945-1956) e Amministrazione della comunità (1853-1985; 2001), Varie (1936-197), n. 154, Certificati e

dichiarazioni rilasciati dalla comunità (1945-1955).

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territorio e in qualche caso interagirono con la popolazione locale. Arnolfo Giovanni Battista (1929-), abitante del luogo intervistato nel 1992, ha dichiarato al riguardo:

Dei profughi ebrei arrivati a Nichelino nell‘estate 1945 mi ricordo molto bene. Ho questo ricordo perché con alcuni di costoro giocavamo a pallone assieme. Ce ne erano due in particolare che giocavano molto bene, uno si chiamava Herman. Un bel gruppo viveva nell‘antico Castello dei Segre in centro del vecchio nucleo del paese. Questi erano grandi e piccoli, famiglie e giovani. Dicevano che era Segre che li aveva fatti venire. Invece nella cascina della VERNEA che è sul confine di VINOVO, ce ne era anche un gruppo, ma più piccolo ed erano tutti giovani maschi e femmine. Facevano ginnastica tutto il giorno e era cosa nota che erano destinati a fare il soldato in Palestina. La ginnastica la facevano nel cortile e le marce in fila le facevano nei vicini boschi che allora erano ancora molto vasti. Oggi non ci sono più. Poi dal 1946 non li vedemmo più, si diceva in giro che si imbarcavano sulle loro navi nella zona di Savona202.

Le partite di calcio furono una frequente occasione di interazione con la popolazione locale, soprattutto per i giovanissimi203. Lo sport ebbe un‘importanza centrale per la riabilitazione dei profughi, in particolare dei bambini e degli adolescenti. Come dimostra anche una ricca documentazione fotografica, nei DP camp infatti furono sovente istituiti dei club Maccabi, nonché organizzate gare e tornei204. Un‘altra testimonianza è quella di Arnolfo Antonio (1932-), il quale ha raccontato:

Gli ebrei che erano scampati dai Lager tedeschi dopo la fine della guerra arrivarono a Nichelino quasi alla fine dell‘estate del 1945. C‘erano famiglie con bambini ed anche giovani da soli. Furono alloggiati nel Castello dei Segre. Segre era un ebreo e quindi li aiutò. Ma ebbero anche l‘aiuto del Sindaco di Nichelino di quel tempo cioè Sorasio che era un socialista. Andai con i miei amici due o tre volte nel castello a vedere gli ebrei. Poi un gruppo di ragazzi di Nichelino, tra cui il sottoscritto, aveva formato una squadra di calcio, la prima dopo la guerra. L‘avevamo chiamata la squadra del ―Borg d‘elica‖ cioè del Borgo dell‘elica, che era il borgo di Nichelino dove abitavo. Dopo un po‘ vennero a giocare anche dei ragazzi ebrei, in particolare uno di loro si chiamava HERMAN ed era di origine tedesca. Andammo anche a giocare a pallone a Vinovo con la squadra locale e quella volta lì c‘era anche HERMAN. A Vinovo giocavamo in piazza Rey che era di terra perché non c‘era il campo da calcio. Poi dopo un po‘ di tempo questo

202 Intervista rilasciata a Nichelino l‘8 dicembre 1992. Ringrazio il dott. Gervasio Cambiano, storico del territorio in particolare del Piemonte Occidentale, per la generosità con cui ha condiviso con me il materiale da lui raccolto negli anni. Le interviste sono state raccolte da lui personalmente, all‘interno di una ricerca svolta su questo tema all‘inizio degli anni ‘90.

203 Una larga documentazione inerente alla pratica di questo sport e del rugby, per quanto riguarda i campi di Grugliasco, Cremona e Santa Cesarea, è rintracciabile presso lo YIVO di New York, cfr Francesconi, op. cit., p. 132.

204 Le più importanti collezioni fotografiche sui DP camp sono conservate presso Yivo di New York e lo United States Holocaust Memorial

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Herman ed il suo gruppo se ne andò via da Nichelino. Dicevano che erano emigrati in Palestina tramite le loro navi che li venivano a prendere a Savona205.

Elvira Poggio (1926), anche lei venuta direttamente a contatto con profughi ebrei, ha raccontato:

Nel 1942 a soli 16 anni andai a lavorare come impiegata avventizia all‘ufficio anagrafe del Comune di Nichelino. Nell‘estate del 1945 iniziarono ad arrivare gli ebrei che erano sopravvissuti allo sterminio in Germania ed erano stati ospitati nel castello della famiglia SEGRE di Nichelino. Erano polacchi, tedeschi, russi e qualche italiano, famiglie con bambini e persone da sole e giovani. Venni a contatto con costoro perché venivano in Municipio per fare le tessere annonarie in quanto era tutto razionato. […] Nel 1946 non ce ne era più nessuno, andarono tutti in Palestina206.

Un‘altra testimonianza molto interessante – che ci fornisce un punto di vista ―interno‖ dell‘hachshara- è l‘intervista al figlio dei giardinieri del Castello dei Segre; egli ha raccontato che:

Erano profughi ebrei polacchi, rumeni, ungheresi, russi ecc. Non parlavano altra lingua che la loro od al massimo il tedesco. Anzi veniva perfino un professore da Torino ad insegnargli l‘israeliano, cioè gli faceva scuola. Le loro feste religiose ed il loro Sabato lo facevano in una stanza del Castello adibito a Sinagoga‖ David Rosenbaum, andò in Messico e poi in Usa dove morì. In questi posti faceva l‘orafo e il gioielliere… da noi aveva imparato a fare il panettiere dai Boccardo qui di Nichelino ed imparò perfino a parlare in piemontese‖ […] Emil si sposò con Elisabetta proprio nel Castello e andò a vivere a Ramat Gan‖ […] Poi c‘era Ermann, ―il capo del kibbutz‖ con moglie e figlio nato a Nichelino207.

Come emerge da queste testimonianze, i contatti tra i profughi e gli abitanti del luogo furono tuttavia sporadici, poiché legati ad occasioni ludiche, come le partite di calcio, oppure a necessità di carattere amministrativo. A causa anche degli ostacoli culturali e linguistici infatti, generalmente non vi furono scambi approfonditi di loro. Pertanto i traumi di cui le Dps erano portatrici rimasero perlopiù sconosciuti agli italiani, che serbarono dunque nel tempo un ricordo decisamente vago di questa presenza.

205 Intervista rilasciata a Nichelino, l‘8 dicembre 1992. 206 Intervista rilasciata a casa propria l‘11 dicembre 1992. 207

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Un‘altra struttura piemontese molto importante fu la colonia di Avigliana, riservata soprattutto ad adolescenti e giovanissimi che qui erano sottoposti ad una rigida disciplina. Yehoshua Kremer, giovane profugo polacco nato nel 1928, ha scritto nel suo diario:

Abbiamo trascorso i primi giorni nell‘Istituto. Ci hanno suddivisi nelle stanze. Abbiamo passato i giorni come ospiti. Poi abbiamo iniziato a entrare nel ritmo di vita dell‘Istituto, nella ―crudele‖ disciplina, come allora ci sembrava; non era facile prima lavorare e poi studiare. Nonostante fossimo già stati 3-4 mesi nel

kibbutz (in Polonia), tutto ci pareva estraneo e difficile. Ci eravamo abituati a

essere oggi qui, domani in un altro campo, dopodomani ancora altrove e così via; qui invece si doveva imparare a diventare più responsabili. E incominciammo a farlo. All‘arrivo a casa c‘era ancora da preparare il pranzo e si mangiava all‘aperto. Nell‘istituto c‘era il gruppo LeHabat Chavivah, che ci accolse molto bene. Abbiamo cominciato a studiare al Targhilei-Seder e a partecipare alle parate. Poco per volta abbiamo incominciato ad accettare quello che prima ci sembrava estraneo e difficile. Abbiamo avuto un grande aiuto da LeHabat

Chavivah, i cui membri gestivano il nostro Targhilei-seder, la ginnastica ecc.208

Kremer non nascondeva dunque le iniziali difficoltà riscontrate nell‘ambientarsi rispetto a questa nuova situazione e alle rigide regole imposte ai giovanissimi profughi:

Ed ecco che dopo un mese i direttori dell‘Istituto decisero di dividere il nostro

kibbutz in due gruppi. Era proprio necessario? Era un problema grave. Da un lato

veniva spezzata l‘unità del nostro gruppo, dall‘altro c‘era la necessità di agevolare il sistema di apprendimento e di educazione del kibbutz. Il primo gruppo era guidato da Yakov, il secondo da Shoshana. Il nostro gruppo si chiamava

LeShichrur (Verso la Liberazione) ed era guidato da Yakov. L‘altro gruppo si

chiamava BeMaavaq (Nella Lotta). Il numero di componenti era quasi uguale. Incominciammo così a studiare cinque ore al giorno a scuola. Il gruppo e la segreteria dovettero affrontare nuovi problemi: coinvolgere il più possibile i membri che disturbavano209.

Un altro campo piemontese in cui trovarono ospitalità soprattutto giovanissimi profughi fu quello di Pollone (Biella), allestito presso una colonia alpina. Il profugo Harry A. Hinden trascorse qui un vero e proprio periodo di formazione, che comprendeva anche l‘addestramento all‘uso delle armi210

:

208 Il diario di Yehoshua Kremer, in originale in ebraico e nella sua traduzione italiana è disponibile al seguente link: http://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=article&id=3348.

209 Ibidem.

210 Come egli stesso racconta, non era la prima volta che giungeva in Italia. Nel 1935 Harry Hinden frequentò l‘hachshara di Civitavecchia. Per un approfondimento, si rimanda a (a cura di) M. Toscano, ―La lunga strada dalla Prussia ad Israele: Henry A. Hinden dalla scuola

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Il campo era molto isolato, intorno non c‘era nulla. Era stata una colonia estiva della gioventù fascista, ora era un campo profughi dell‘Iro […]. De facto era un campo d‘addestramento segreto della Haganà. Arrivavano qui solo giovani forti e sani, venivano addestrati militarmente anche all‘uso pratico delle armi. Gli