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I Luoghi del displacement ebraico in Italia

II. 2 I campi profughi per Displaced Persons ebree (1945-1951)

II.2.3. Il centro e il Sud

Confinante alla Lombardia e posta sulla direttrice del Brennero, a partire dalla primavera del 1945 anche l‘Emilia Romagna divenne un‘importante terra di transito per

151 Unrra Italian mission, Ivi,Monthly Report for the period 16 Feb 47- 15 Mar 47. 152 Unrra Italian mission, Ivi, Monthly Report for the period 1 Apr 47 – 30 Apr 47. 153 Ididem.

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Unrra Italian mission, Displaced persons operations (Italy), IT 17 DP Camp, Turin, Monthly Report for the period 1 May – 31 May 47. 155 La caserma venne costruita nel 1939, ma i suoi sotterranei furono utilizzati tra il 1944 e il 1945 come luogo di detenzione e tortura i partigiani, alcuni dei quali furono in seguito fucilati, si veda: http://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/Rivoli,%2025.02.1945.pdf

156 Unrra Italian mission, Correspondence with the field, DP/ L-5, Turin-Camp, letter of 29th June 1947. 157

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profughi di diverse nazionalità; qui essi sostavano anche per diversi mesi, prima di rimpatriare o essere inviati verso altre strutture.

Stando alla lettura dei primi atti del Consiglio Comunale di Bologna risalenti al dicembre del 1945, il problema dei profughi appare chiaramente tra le priorità che le autorità dovettero affrontare in città, all‘indomani della Liberazione158

. Dalla stampa locale apprendiamo che a Bologna venne costituito un posto di raccolta e smistamento in Piazza San Domenico, a cui fece seguito la creazione di almeno altre tre strutture: una in via Cirenaica, che ospitava tra i 400 e i 500 uomini, una presso la Caserma di III Artiglieria in viale Panzacchi, dove stavano fino a 6000 persone, mentre un terzo campo era sito in via Carracci ed era un luogo tutto all‘aperto, composto da 1000 tende, in cui potevano soggiornare anche 8000 persone159. Si trattava tuttavia di strutture riservate soprattutto a profughi italiani. Sempre stando agli atti del Consiglio Comunale però, tra il 1946 e il 1947, relativamente alla Caserma Panzacchi vi fu un contenzioso tra l‘Unrra e il Comune di Bologna. Nel 1946 l‘edificio era occupato dalle autorità militari alleate, che lo utilizzavano per la collocazione di profughi di varie nazionalità non ben identificate, ma il comune ne chiedeva la derequisizione per poter collocarvi profughi italiani temporaneamente ospitati in altre strutture160; nel giugno del 1947 l‘edificio risultava ancora occupato dagli alleati161. L‘Unrra aveva la sua sede regionale a Bologna, presso Palazzo d‘Accursio; da questo ufficio dipendevano un campo cittadino, forse allestito presso la caserma di Cavalleria (cavalry barracks)162, nonché altre strutture allestite tra Reggio Emilia, Modena e Riccione.

A Reggio Emilia, centinaia di DPs ebree trovarono alloggio presso la Caserma di artiglieria Zucchi. Altre due strutture vennero utilizzate come campi profughi, la caserma dei bersaglieri Cialdini e l‘ex Casa del Balilla, ma non abbiamo informazioni più precise riguardo

158 Archivio Comunale di Bologna, Repubblica Italiana, Consiglio Comunale di Bologna, tornata del 10 dicembre 1945. 159 ―L‘affettuosa accoglienza di Bologna ai profughi e agli ex-internati‖, Corriere dell‟Emilia, 22.06.1945.

160 Archivio Comunale di Bologna, Repubblica Italiana, Consiglio Comunale di Bologna, tornata del 3 ottobre 1946. 161 Ibidem, tornata del 29 giugno 1947.

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la presenza di ebrei all‘interno di questi due luoghi163. Il campo allestito presso l‘ex-Caserma Zucchi fu gestito da Lionello Boscardi, «un capitano di corvetta in aspettativa, che dal 1944,

dopo la Liberazione di Roma, collaborava con la Commissione militare alleata »164, il quale

incontrò non poche difficoltà a mantenere l‘ordine. L‘apice della violenze, come si vedrà più approfonditamente, verrà raggiunto il 1° maggio del 1946 165.

Il campo di Modena venne allestito presso l‘Accademia Militare, sede dell‘ex Palazzo Ducale; si trattava con ogni probabilità del campo profughi con più alta presenza ebraica dell‘Emilia-Romagna. Di un certo interesse è un‘intervista, apparsa sulla coeva stampa locale, a sei donne ebree che nel giugno del 1945 si trovavano in questa struttura; si trattava di sei ragazze originarie di Rodi: Renata Levj, Stella Levj, Susanna Levj, Lucia Franco, Rebecca Capelluto e Alice Tarica, deportate ad Auschwitz nel luglio del 1944. Dopo aver raccontato la loro esperienza nel lager al giornalista, le ragazze si soffermarono sul rientro in Italia, per concludere il loro racconto con le seguenti parole: «Abbiamo trovato della bontà, della comprensione, molta comprensione. Ma purtroppo abbiamo anche constatato che sono ancora molti i fascisti: fascisti nell‘anima, voglio dire, nei modi, nel pensiero»166

. La durezza della vita quotidiana presso il campo di Modena, nel quale si incontravano profughi con alle spalle esperienza molto diverse, è provata anche dalla testimonianza di Mordechai Braun, il quale così descrive il proprio arrivo:

They housed us in a military academy in Modena. It was nice, I mean, it was not a hotel… there were all sorts of classrooms. We slept in hallways, in rooms. Somehow they gave out blankets, and that's what there was… Every day we heard yelling: Kapo! Kapo! They found some Jew who had been a Kapo in the camps and they lynched him with beatings. I started working in town and earned money, so I could buy all kinds of things that I wanted, and I could also go to the cinema.167

163 Archivio di Stato di Reggio Emilia (ASRE), Gabinetto di Prefettura, serie 1905-1975 b. 174 tit. 2/14/1 (1945-1961). 164 A. Villa, op. cit., p. 212-213.

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L‘episodio ebbe una certa rilevanza mediatica, si veds: ―Cruento conflitto a Reggio fra profughi ebrei e russi bianchi-Due morti e alcuni feriti‖, Giornale dell‟Emilia, 1946, I-II, 04.05.1946;‖ I dolorosi episodi di Reggio Emilia‖, Israel‖, , n. 35 anno XXXI, 16 maggio 1946. Per un approfondimento su questo episodio, mi permetto di rimandare al mio contributo: ―Profughi ebrei in Italia e l‘attacco ai Jewish DPs del 1° maggio 1946 a Reggio Emilia‖, in ―RS-Ricerche Storiche‖, n. 123, 2017, pp. 188-198.

166 ―Vita nel Lager‖, Unità Democratica, articolo uscito in due parti: 2 giugno 1945-4 giugno 1945. 167

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Bernat Rosner, internato ad Auschwitz a dodici anni, dopo aver varcato clandestinamente il confine, incontrò altri sopravvissuti e, assieme a loro, trascorse un breve periodo a Tarvisio, poi a Bologna, prima di essere traferito a Modena e da lì, infine, verso altre strutture ancora. Sally Patterson Tubach ha raccolto la sua testimonianza:

I camion attraversarono l‘Austria fino al passo del Brennero, varcarono il confine e dopo due giorni arrivarono a Tarvisio, dove la Brigata ebraica allestì un accampamento […] Bernie aveva la sensazione di ―essere morto e risalito in paradiso‖. Tuttavia il miracolo non durò a lungo. Ben presto infatti il suo gruppo fu trasferito nel grande campo profughi di Bologna, dove cibo e attenzione scarseggiavano e non c‘era traccia del benessere di Tarvisio. Bernie fu di nuovo costretto a dormire per terra, e l‘euforia si trasformò in depressione. Il campo di Bologna li aveva profondamente delusi. […] Bernie cercò di guadagnare qualche soldo facendo il facchino. Trascorse un giorno intero e spese tutte le sue energie per trasportare i bagagli di una famiglia italiana, senza ricevere alcun compenso. In seguito si sopravvissuti vennero nuovamente trasferiti, questa volta a Modena, dove trovarono rifugio nel Palazzo ducale. Il grande edificio, situato nella piazza centrale della città, era affollato di profughi ebrei, a eccezione di un‘ala riservata all‘esercito americano168

.

Qui Bernat Rosner incontrò il soldato americano Charles Merril Jr., il quale avrebbe riferito che «a Modena, in quel periodo, c‘erano almeno un migliaio di sopravvissuti pronti a mostrare il tatuaggio con i numeri di Auschwitz»169. Da Modena, Rosner venne trasferito a Selvino (Bergamo), dove era attiva la più importante colonia per bambini allestita in Italia. Nel 1947 – ma non abbiamo una data più precisa al riguardo – il campo profughi di Modena passò sotto la gestione dell‘Iro, fino al suo totale smantellamento.

La più altra concentrazione di DP camps in Italia Centrale si registrava nelle Marche, dove l‘Unrra attivò diverse strutture, quasi tutte chiuse entro febbraio del 1947. Dal quartier generale di Ancona dipendevano i campi di Fermo, Senigallia, Jesi (Ancona) e Servigliano

(Fermo)170. Il DP camp di Fermo, aperto a giugno del 1945, nacque come campo per profughi

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(A cura di) S.P. Tubach, Amici nonostante la storia, Feltrinelli, Milano, 2003, p. 107-108. 169 Ivi, p. 109.

170 Sulla storia del campo profughi di Servigliano si veda F. Ieranò, Baracca n.6. Il passaggio di migliaia di profughi tra il 1945 e il 1955

nell'ex campo di concentramento di Servigliano, Città ideale, Massa Fermana, 2006, e L. Verducci, G. Milloza, F. Ieranò (a cura di), Il campo di Servigliano 1915-1955. La memoria di un luogo che testimonia le tragedie del Novecento, Servigliano, Associazione Casa della

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Jugoslavi171, ma divenne presto un campo misto che ospitò fino a 1272 profughi ebrei172. Qui

si attivò anche un‘importante compagnia teatrale173

. I campi di Servigliano, Senigallia e Jesi, aperti nel 1944, chiusero i battenti nel 1949. Dopo essere transitato da Cremona, come racconta nella sua biografia, Robert Frimtzis venne trasferito a Jesi; di questo luogo ricorda che «Iesi was a small town near Ancona, a larger city and a major port on the Adriatic sea. The refugee camp in Iesi was very small, housed in a former nunnery outside of town, and situated on a hill that provided beautiful vista»174.

Tra il 1946 e il 1951 anche a Bagnoli, presso gli ex edifici del Collegio Costanzo Ciano, venne allestito un campo profughi sotto l‘egida dell‘Iro. Si trattava di una struttura mista, in grado di ospitare fino a 10.000 individui. Qui le condizioni di vita furono particolarmente problematiche, soprattutto per i profughi ebrei. In breve tempo questo campo divenne un coacervo di profughi di diversa nazionalità ed esperienze, a tal punto che si registrava persino la presenza di alcuni esuli cosacchi che avevano combattuto al fianco dei nazisti. Il sovraffollamento, i soprusi, le violenze, la mancanza di condizioni minimamente dignitose, rendevano la vita dei profughi particolarmente dura. Un‘interessante testimonianza diretta è quella dello scrittore israeliano Aharon Appelfeld (1932-2018). Sopravvissuto alla Shoah, dopo numerose sventure, a 14 anni giunse a Bagnoli, dove trascorse circa sei mesi, prima di emigrare in Palestina. Ne Il ragazzo che voleva dormire, uno dei suoi libri più recenti, l‘autore rievoca la sua permanenza a Bagnoli. Come racconta, qui egli apprese l‘ebraico, la lingua che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua nuova vita175. «Ripensavamo con nostalgia» – afferma l‘autore – «alle corse e agli allenamenti sulla spiaggia di Napoli, che ci avevano

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Wyman, op. cit., p. 163; B. Robionek, Croatian Political Refugees and the Western Allies. A Documented History. 2nd. ed. Berlin 2010, pp.235-237.

172 Francesconi, op. cit., p. 124. 173 Wyman, op. cit., p. 163. 174 Frimtzis R., op. cit., 171. 175

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forgiato i muscoli e abituati a cogliere le parole ebraiche»176. I mesi trascorsi a Bagnoli furono per Aharon un vero e proprio periodo di preparazione all‘emigrazione in Palestina:

Dopo circa sei mesi di addestramento – esercizi fisici e lessicali, nuoto, barca a remi e, in gran segreto, presa di confidenza con due pistole –, Efrain ci svelò che presto saremmo saliti su un autocarro che ci avrebbe condotti al porto. Il nostro programma di addestramento non era concluso, ma ormai la prima fase era alle nostre spalle e quelle successive si sarebbero svolte in terra d‘Israele177

Il racconto di Aharon ci consegna una testimonianza vivace e complessa, che fa luce anche sulle contraddizioni e le difficoltà di chi trascorse un periodo della propria vita in transito. Ecco come l‘autore descrive la scena della partenza dal molo di Napoli:

Efraim ci comunicò le ultime raccomandazioni con grande emozione […]. Lo ascoltammo e ci sentimmo orgogliosi. Non eravamo più dei ragazzi del dopoguerra, esposti allo sfruttamento e agli abusi, bensì una truppa di sostegno al servizio di una nazione. La realtà purtroppo era completamente diversa. Sul molo si assiepavano centinaia di profughi attorniati da pacchi e scatoloni. Nessuno seguiva gli ordini al momento di salire a bordo e riguardo al carico consentito. La gente litigava e si apostrofava con minacce e grida. Davanti ai nostri occhi ricomparvero le scene del ghetto. E anche noi ci ritrovammo costretti a sgomitare, ma fummo respinti da profughi particolarmente robusti178.

Sulla chiusura del campo di Bagnoli non è stato possibile reperire informazioni precise.

II.3 Le hachsharot e le case per bambini