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I campi profughi tra presenza ebraica, proteste e scontri

Le Displaced Persons ebree e la società italiana

III.2 I campi profughi tra presenza ebraica, proteste e scontri

A partire dall‘autunno del ‘45, nel contesto nazionale ed internazionale precedentemente delineato, l‘afflusso di ebrei stranieri verso la penisola cominciò ad intensificarsi sempre di più. I costanti arrivi attraverso il confine italo-austriaco - prevalentemente gestiti dalla Bricha, ma frutto anche di movimenti e fughe non organizzate - diminuivano quasi esclusivamente nei mesi invernali, quando le temperature rigide rendevano impraticabili le rotte clandestine più utilizzate per l‘attraversamento della frontiera. Si trattava di un problema che, fin dai primi mesi, costituì una costante preoccupazione sia per il governo centrale che per le autorità locali italiane, ma che perdurò irrisolto per tutto il successivo

59 Si vedano le riflessioni di E. Mazzini in op. cit. (2014), in particolare: «quel che restava fuori da questo monumento e dalla sua memoria era la responsabilità italiana nell'uccisione di milioni di ebrei, mentre si sottolineavano figure metaforiche per ricordare l'Olocausto impiegando termini quali: sacrificio, eroi, martiri, olocausto. Importante anche la sottolineatura della partecipazione all'inaugurazione del monumento da parte della popolazione non ebraica cittadina». Si veda anche G. Schwarz, Ritrovare se stessi, op. cit., pp. 57-62.

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triennio60. Da un lato la Gran Bretagna, che cercava in ogni modo di scongiurare nuovi arrivi

di ebrei in Palestina, chiedeva all‘Italia di presidiare le frontiere, ovvero di bloccare gli arrivi e le partenze dei profughi61; dall‘altro, quest‘ultima, data la delicata fase internazionale ed i timori legati alle trattative di pace, teneva a volere dimostrare una certa autonomia rispetto agli inglesi, il cui sentimento verso il popolo italiano, come è noto, era imbevuto di diffidenza e sospetto.

In questo scenario prendeva forma l‘atteggiamento ambivalente del governo italiano nei confronti dei profughi temporaneamente presenti sul suo territorio, atteggiamento da una parte tutto votato all‘esaltazione di una presunta tradizionale accoglienza italica, dall‘altra ben consapevole della posta in gioco. Le DPs ebree divennero una vera e propria cartina al tornasole da esibire in quel contesto internazionale: da un lato, esse venivano presentate come una prova vivente della natura caritatevole degli italiani, disposti persino a farsi carico dei pochi sopravvissuti alla barbarie nazista; dall‘altro, per converso, la loro presenza serviva a stigmatizzare l‘incapacità degli inglesi di gestire il complesso nodo politico mediorientale. Solo tenendo presente questo sfaccettato scenario, come ha giustamente affermato Mario Toscano, si può comprendere:

L‘iniziale atteggiamento umanitario nei confronti dei profughi, le successive reiterate lamentele per gli oneri che la loro presenza comportava per il paese, il favore con cui si guardava alle loro partenze per la Palestina e le preoccupazioni per le difficili prospettive della questione, l‘accoglimento delle pressioni provenienti dalle organizzazioni ebraiche italiane ed internazionali che esprimevano le propria gratitudine all‘Italia in virtù dell‘umano comportamento tenuto dalla maggioranza del popolo italiano nei confronti dei profughi ebrei durante e dopo la guerra62.

Diverse erano anche le preoccupazioni del governo italiano rispetto ai problemi che la presenza degli ebrei stranieri avrebbe potuto generare sul fronte interno, alimentando dunque -

60Si veda soprattutto C. Villani, Infrangere le frontiere, in particolare capp. III-IV.

61 Sull‘atteggiamento del governo italiano di fronte all‘aliyah bet in questi mesi, rimando a M. Toscano, La Porta di Sion, pp. 57-102; si vedano anche Enardu, op. cit. e Romano, op. cit.

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in primis tra gli italiani - paure, sospetti ed antichi pregiudizi. Anche da questi timori discendeva l‘interesse affinché i profughi lasciassero la penisola, già afflitta dai gravi disordini del dopoguerra, nel più breve tempo possibile. Soprattutto in seguito al convegno dell‘Ojri nel novembre ‘45, le autorità politiche acquisirono consapevolezza di quanto i profughi ebrei fossero diventati reali protagonisti dello scenario politico post-bellico, nonché una potenziale miccia in grado di alzare la tensione sociale e politica all‘interno dei confini italiani.

Numerose furono le denunce della popolazione italiana e delle autorità locali verso i profughi, accusati di commettere diversi reati contro l‘ordine pubblico, danneggiare beni pubblici e privati, dedicarsi ad attività criminali, in particolare piccoli furti e ―borsa nera‖. Le proteste contro le DPs erano spesso accompagnate dall‘uso di linguaggi e immagini che

afferivano pienamente a quelli impiegati dall‘antisemitismo moderno63. Non sorprende affatto

constatare che, persino all‘indomani della fine del conflitto, permaneva anche in Italia un diffuso pregiudizio antiebraico dalle antiche e solide radici, di cui anche i profughi ebrei furono vittime. Vale la pena sottolineare che lo studio dell‘antisemitismo nella società italiana

dell‘immediato dopoguerra è purtroppo ancora agli albori64

, sebbene il fenomeno rivesta un interesse centrale per la comprensione della società italiana post-bellica.

Nonostante in generale i profughi serbino un buon ricordo degli italiani conosciuti durante la loro permanenza nella penisola65, i rapporti tra la popolazione locale e le DPs furono caratterizzati anche da numerosi episodi di conflittualità. In Salento, la requisizione, da

63 Sull‘antisemitismo moderno cfr: P. Vidal-Naquet, ―Contributi sulla storia dell'antisemitismo moderno”, Rivista di storia contemporanea, n. 1, 1983. S. Levi Sullam, L‟archivio antiebraico, Editori Laterza Roma-Bari, 2008; U. Fortis (a cura di), L‟antisemitismo moderno e

contemporaneo, Zamorani, Torino, 2004; D. Bidussa, S. Levi Sullam, Alle origini dell‟antisemitismo moderno, in M. Cataruzza, M. Flores,

S. L. Sullam. E. Traverso (a cura di), Storia della Shoah. La crisi dell‟Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, Utet, Torino, 2005, vol. I, pp. 79- 109; B. Philippe, L‟antisemitismo nazista, Torino, Bollati Boringhieri, 2004; Idem, Hitler e gli ebrei. Genesi di

un genocidio, Genova, Marietti, 1994; M. Ferrari Zumbini, Le radici del male. L'antisemitismo in Germania: da Bismarck a Hitler, Mulino,

Bologna, 2001; L. Poliakov, Il mito ariano. Saggio sulle origini del nazismo e dei nazionalismi, Roma, Editori Riuniti, 1999; L. Poliakov,

Storia dell‟antisemitismo, vol. IV, L‟Europa suicida, 1870-1933, Firenze, La Nuova Italia, 1997; M. Ghiretti, Storia dell‟antigiudaismo e dell‟antisemitismo, Bruno Mondadori, Milano 2002.

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Per qualche riflessione sul tema si veda M. Toscano, Ebraismo e Antisemitismo in Italia, dal 1948 alla guerra dei sei giorni, FrancoAngeli, Milano, 2003, in particolare il cap. 11; si veda anche G. Schwarz, Ritrovare se‟ stessi, op. cit; S. Levi Sullam, L‟archivio

antiebraico, ditore Laterza, Bari, 2008, in particolare cap. III.

65 Si veda a proposito la memorialistica pubblicata a partire dagli anni ‘90, per un‘utile rassegna rimando a F. Lelli, in Paganoni, op. cit., e idem, Un‟odissea dei nostri giorni, op. cit. Rimando anche alla visione del documentario ―Shores of Light: Salento 1945-1947‖ (2015, Yael Katzir).

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parte degli alleati, delle ville deputate all‘allestimento dei campi profughi generò numerose proteste da parte dei loro legittimi proprietari. Il 14 dicembre del 1944, il sindaco di Nardò scrisse al Prefetto di Lecce in merito allo sgombero delle famiglie italiane dalle spiagge di S. Maria e S. Caterina:

In data odierna un ordine del Comando Militare Alleato decreta il totale sgombero delle spiaggie (sic) di Santa Maria e S. Caterina. Nel farle presente tutte le necessità di circa ottocento persone che non saprebbero dove alloggiare, né hanno mezzi per trasferirsi altrove, la prego caldamente di volersi interessare presso la Autorità alleate perché questo totale sgombero non avvenga, in quanto le abitazioni disponibili, perché non abitate, sono sufficienti ad ospitare i profughi che dovrebbero giungere. Faccio presente che oggi stesso mi sono recato sul posto insieme al Capitano Inglese Comandante di questo Campo per cercare di ottenere che il provvedimento fosse evitato o attutito, ma ciò non è stato possibile perché le autorità alleate non vi hanno aderito. Ho ottenuto il parziale sgombero di alcune case precedentemente occupate da profughi jugoslavi. Faccio presente ancora che la popolazione delle due spiagge è in fermento e manifesta intenzioni ostili66.

Anche il Prefetto di Lecce si spese a tutela degli abitanti di Nardò e, il 27 dicembre del 1944, scrisse al Sindaco:

Come le è noto, tutto l‘interessamento speso presso le competenti Autorità Alleate per ottenere una revoca dell‘ordine di sgombero delle famiglie italiane dalle spiagge di S. Maria, S.Caterina e S.Croce non ho potuto ottenere l‘esito desiderato, ma solo una breve proroga, sicché lo sgombro dovrà effettuarsi il 5 gennaio p.v. Mentre ho dato disposizioni alle autorità P.S. perché siano prese tutte le precauzioni necessarie ad evitare eventuali perturbamenti dell‘ordine pubblico, interesso la S.V. per la migliore sistemazione delle famiglie sgombrandi67.

Come si evince da un documento del 27 dicembre dello stesso anno, le famiglie coinvolte nello sgombero furono 146, per un totale di 733 persone68. Il 7 marzo del 1946, la signora Assunta Briganti, proprietaria di uno stabile di Santa Caterina, tramite il sindaco di Nardò Pantaleo Ingusci, presentò un ricorso lamentando che:

[…] le si voleva demolire il muro di cinta dal suo giardino per allargare il campo sportivo dei giovani ebrei. La prego di considerare che la lagnanza ha un fondamento di giustizia, nel senso che, privo di mura di cinta, il giardino della

66 A cura di) Assessorato agli Affari Generali, Nardò 1943-1945, L‟accoglienza ai profughi ebrei, con un intervento di Fabrizio Lelli, Quaderni dell‘Archivio Storico, n. 1, Nardò, Besa Editrice, 2007, si veda l‘appendice documentaria contenuta nel volume.

67 Ibidem. 68

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signora mancherebbe di sicurezza. Sono certo che vorrà tenere conto delle suddette considerazioni69.

Il 26 maggio del 1946, un Comitato di agitazione di proprietari di case requisite a Nardò, Galatone, Galatina, Lecce, Aradeo e Neviano, affisse il seguente documento:

Cittadini di Nardò, Galatone, Galatina. Da tre anni imperversa nelle nostre ridenti spiagge, S. Maria, S. Caterina e campagna vicine, la marea degli ex internati e profughi di nazionalità straniere che, con sadismo vandalico, continua ancora a devastare ciò che la guerra ha risparmiato. Questi profughi anziché considerarsi ospiti si sono dimostrati indegni di appartenere a popoli civili, sfogando la loro rabbia cieca contro quanto è frutto di lavoro e sudore a diverse generazioni: case del popolo, ville, piante, nulla è sfuggito alla devastazione sistematica . Ben vestiti e nutriti dagli alleati, liberi e senza controllo, esercitano il mercato nero di ciò che a loro proviene dai furti e dalle rapine. Tutto questo deve cessare, sia perché non siamo responsabili di quanti di essi dicono di aver sofferto nei campi di concentramento tedeschi; sia perché la guerra è da tempo finita e tutto deve tornare normalità; sia perché è necessario che i nostri bambini ammalati, dopo quattro anni che ne sono stati privati, riprendano nelle spiagge le loro cure di sole e di mare70.

In un esposto dell‘8 marzo del 1947, il sindaco di Nardò prese ancora le difese di alcuni proprietari di villette che erano state requisite, sostenendo che «tali proprietari desidererebbero vivamente rientrare in possesso delle loro abitazioni, dopo tre anni di occupazione, durante i quali hanno subito danni ingenti, da parte dei profughi non sempre osservanti delle buone regole dell‘ospitalità»71. La nascita stessa di un ―Comitato di agitazione‖ era emblematica del livello di conflittualità raggiunto tra la popolazione locale e i profughi. In assenza di documentazione più precisa, è difficile comprendere la reale entità dei danni denunciati, oppure se le lamentele fossero invece funzionali al tentativo di rientrare in possesso degli immobili requisiti o ad ottenere risarcimenti. Nel documento-denuncia presentato dal suddetto comitato, venivano formulate gravi accuse verso profughi ebrei – peraltro definiti «indegni di appartenere a popoli civili» – tutti indiscriminatamente colpevoli, secondo molti italiani, di atteggiamenti vandalici, furti, rapine e borsa nera. Vale la pena

69 Ibidem.

70 Ibidem. 71

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ricordare che la ―criminalizzazione‖ dell‘ebreo è un tema tipico dell‘antisemitismo moderno; come ha messo in evidenza Francesco Germinario infatti,

la denuncia dell‘inclinazione dell‘ebreo alla consumazione di reati contro la società nel complesso è comunque pur sempre inscritta nella più generale sete di potere che si vuole riconoscere nell‘ebreo medesimo. La delinquenza dell‘ebreo non è solo provocata dall‘esplosione di istinti puramente criminale; bensì risulta sempre essere sottesa al piano di conquista mondiale72.

Dal documento precedentemente citato trapelano diversi riferimenti alla condizione economica dei profughi che, in ragione dell‘assistenza ricevuta dagli enti internazionali, veniva percepita dagli italiani come un ingiusto privilegio ai loro danni e, come tale, più volte denunciato. Alla base di queste affermazioni vi era dunque un‘impressione alterata della realtà, frutto anche di un pregiudizio legato al cosiddetto ―antisemitismo economico‖, che, nell‘immaginario collettivo, da un lato, faceva associare gli ebrei alla ricchezza, dall‘altra ne esaltava la loro naturale predisposizione ad accumulare denaro e fare affari. Come è stato messo in luce, «con l‘avvento del capitalismo, l‘ebreo venne invece ad incarnare l‘artefice o il rappresentante dell‘arricchimento borghese o l‘occulto corruttore della società attraverso il denaro»73. Si tratta di un aspetto fortemente caratterizzante la percezione dei profughi da parte degli italiani, a tal punto che con frequenza esso influenzò i loro rapporti, fino a causare scontri accesi. Come è stato messo in evidenza più volte nel corso di questa tesi, sebbene le condizioni materiali all‘interno dei DP camps fossero decisamente spartane, trapelano - dalle parole scelte per questo comunicato - continue allusioni a presunti privilegi di cui erano oggetto i profughi, a fronte di una condizione di indigenza degli italiani. Definiti come «ben vestiti e nutriti dagli alleati» e trattati alla stregua di approfittatori irriconoscenti verso il popolo ospitante – il parassitismo ebraico è stato, come noto, uno dei temi canonici della propaganda nazionalsocialista e fascista - agli occhi degli italiani essi godevano di diritti sproporzionati, eccessivi e immeritati. Colpisce altresì il tono assolutorio utilizzato in

72 F. Germinario, Argomenti per lo sterminio, Einaudi, Torino, 2011, pp. 144-145. 73

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conclusione dagli autori del testo che, oltre a non riconoscere né comprendere il trauma di cui i profughi erano portatori in quella circostanza così peculiare, si definivano totalmente estranei rispetto a quanto fosse loro accaduto e dunque, più in generale, rispetto alle responsabilità degli italiani nella persecuzione razziale.

Tra il 1945 il 1947, diverse furono le manifestazioni di palese antisemitismo di cui furono vittime anche i profughi che comparvero su alcuni giornali italiani. Il 3 gennaio del 1946 Giuseppe Nathan, a nome della comunità ebraica di Parma, scrisse a Riccardo Manzi, direttore del giornale satirico Fradiavolo, per manifestare il suo disappunto nei riguardi del trafiletto «A.A.A. Affamiamoci», pubblicato il 6 dicembre del 1945. Nella vignetta l‘autore aveva ridicolizzato un gruppo di profughi ebrei, rappresentati con nasi rigorosamente adunchi, i quali, nel corso di una manifestazione antibritannica, nell‘immagine mostravano alcuni cartelli con lo slogan «Palestine forever» (fig. 4).

(fig. 4)

L‘immagine era accompagnata inoltre dalla seguente didascalia: «Dopo il discorso del ministro inglese Bevin, gli ebrei residenti a Milano hanno protestato usando il sistema Gandhi, cioè digiunando. Così la manifestazione è riuscita patetica e impressionante, nonché

economica, la qual cosa con guasta mai»74. Dalla vignetta in questione emergono linguaggi e

immagini antiche, tipici dell‘antigiudaismo ma ampiamente impiegati anche

74 AUCEI, fondo: ―Attività dell‘UCII dal 1934″, serie: Manifestazioni politiche e della stampa sugli ebrei 1934-1947, b. 85G, fascicolo: 85G-12, Manifestazioni della stampa sugli ebrei e sull‘Ebraismo, 1945-1946.

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dall‘antisemitismo moderno. La didascalia che l‘accompagnava faceva riferimento al tradizionale stereotipo dell‘ebreo avido e avaro. Esso affondava le sue origini nell‘immagine medievale dell‘ebreo usuraio, diffusasi in seguito all‘interdizione del prestito per i cristiani75

; ampiamente presente nel repertorio antiebraico utilizzato nei secoli successivi, essa aveva trovato nuova linfa anche tra gli anni Trenta e Quaranta. Emblematica in proposito la battuta del segretario del Partito fascista Achille Starace che, all‘indomani del suicidio dell‘editore modenese Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), gettatosi dalla Ghirlandina di Modena, simbolo della città, per protesta in seguito all‘approvazione delle leggi razziali, sentenziò: «È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola». In secondo luogo, della vignetta non sorprende affatto la rappresentazione dei manifestanti ebrei con il tipico naso adunco, altra immagine classica del repertorio antisemita ricomparsa nelle caricature diffusesi tra Otto e Novecento, anche a causa delle teorie razziste ammantate da tono pseudoscientifico che erano state divulgate in Europa a partire dalla seconda metà del Settecento76.

Il 3 dicembre del 1946, Vito Terni, Presidente della Comunità Israelitica di Ancona, scrisse al Prefetto per denunciare il disappunto della comunità davanti alla pubblicazione dell‘articolo ―Mezzogiorno sotto inchiesta‖, apparso pochi giorni prima sul giornale Voce

Adriatica e firmato da un certo Matteo M. De Monte:

Trattasi di una disgraziatissima prosa nella quale rigermina il mal seme dell‘odio e incitamento al disprezzo e peggio contro una classe di cittadini che, alla mente ottenebrata del Sig. De Monte hanno il grave torto di essere ebrei. L‘articolo, partendo da puerili e ridicole osservazioni, mette in luce la velenosa insinuazione che gli ebrei hanno la responsabilità dei disordini, dei saccheggiamenti dei palazzi e dei negozi per dedurre che se ancora del sangue verrà sparso per le strade in avvenire questi fatti passati e futuri vanno ascritti alla presenza degli ebrei quaggiù in Puglia strettamente collegati con gli elementi slavi. Dove l‘inqualificabile autore sorpassa ogni limite tollerabile di infelice cronista per cadere in vero e proprio reato di calunnia e di eccitamento alla discordia fino al delitto. E la sua criminosa intenzione si afferma poi nell‘articolo; quando senza l‘ombra di serietà, né di verità parla così in Puglia per controllare il Mediterraneo e organizzare colpi di mano. Risorge così, la famigerata infausta

75 D. Bidussa, S. Levi Sullam, Alle origini dell‟antisemitismo moderno, op. cit., p. 81.

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scuola di Corrado Rocchi e suoi abbietti seguaci, che per oltre un anno nella nostra Ancona poté compiere impunemente sul ―Corriere Adriatico‖ e l‘approvazione e il plauso dei dirigenti di allora, un complesso di reati continuati di eccitamento all‘odio e al crimine con i terribili effetti di deportazioni, uccisioni, e dolori di ogni genere che tutti sanno‖77

.

La critiche sollevate dal presidente della Comunità ebraica di Ancona Vito Terni nei confronti dell‘autore dell‘articolo in questione erano molto pesanti; a suo avviso infatti quelle del giornalista nei confronti dei profughi ebrei allora presenti in puglia erano accuse gravissime. Innanzitutto Terni stigmatizzava la generica criminalizzazione di cui essi erano stati oggetto nell‘articolo, a causa della quale tutti i profughi venivano indiscriminatamente ritenuti responsabili dei disordini e degli atti di vandalismi che si stavano verificando in quel momento nelle zone ad alta presenza di DPs. In secondo luogo Terni considerava strumentale la supposta stretta collaborazione per fini illeciti, avanzata dal giornalista, tra questi e i profughi slavi presenti nelle stesse zone. Infine vennero sollevate anche questioni più delicate; in particolare, Terni accusava infatti il giornalista di diffondere calunnie e galvanizzare lo scontro tra i profughi e la popolazione italiana, utilizzando un vecchio pregiudizio caro all‘antisemitismo moderno: il cospirazionismo. Il linguaggio e le immagini utilizzate dall‘autore dell‘articolo furono considerate così gravi da far risvegliare nel presidente della Comunità ebraica di Ancona il recente ricordo del giornalista Corrado Rocchi. Durante il fascismo, egli stato il direttore del ―Corriere adriatico‖, cuore propulsivo di una densa e velenosa propaganda antisemita, in merito della quale Rocchi stesso ricevette diversi riconoscimenti nazionali, anche da parte dello stesso Mussolini78. Anche l‘Unione delle Comunità Israelitiche entrò nella questione sollevata dal precedente documento, derubricando però quanto manifestato dalla comunità ebraica locale ad una polemica non di primaria importanza e cercando dunque di abbassare i toni:

77 AUCEI, Attività dell‘UCII dal 1934″, serie: Manifestazioni politiche e della stampa sugli ebrei 1934-1947, b. 85G, fascicolo: 85G-12, Manifestazioni della stampa sugli ebrei e sull‘Ebraismo, 1945-1946.

78 Per un approfondimento su questo aspetto: E. Sori, Ancona 1922 - 1940. Dall'avvento del fascismo all'entrata in guerra, Bookstones, Rimini, 2017.

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Abbiamo letto gli articoli pubblicati […] e per quanto siano deplorevoli ed antipatici non ci pare debbano suscitare esagerata apprensione. Essi sono i postumi d‘una grave malattia che ha colpito le nazioni d‘Europa e una conseguenza od un‘appendice dell‘aberrazione che ha condotto i popoli agli odi scambievoli ed alla guerra»79.