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I Luoghi del displacement ebraico in Italia

II. 2 I campi profughi per Displaced Persons ebree (1945-1951)

II. 2.2 I centri di prima accoglienza

Nel triennio successivo alla fine del conflitto, come ha chiaramente illustrato Cinzia Villani nella sua tesi di dottorato, circa 50.000 DPs ebree giunsero clandestinamente nella

penisola italiana98. Nonostante non vi siano ancora studi che affrontino l‘argomento in modo

comparato, è necessario tenere presente che il loro arrivo s‘inserì all‘interno di un più massiccio, eterogeno e sovente clandestino spostamento di profughi, rifugiati e reduci verso l‘Italia99. In questo contesto, un‘importanza centrale assumevano gli arrivi frutto della ridefinizione dei confini e conseguenza del nuovo assetto geopolitico100; come ha affermato lo studioso Matteo Sanfilippo, in quegli anni,

97 L‘appello, scritto in yiddish e tradotto in inglese, è disponibile in AJ DC Archive, Records of the Geneva Office of the American Jewish

Joint Distribution Committee, 1945-1954; Countries and Regions: Italy, Records of the Geneva Office of the American Jewish Joint

Distribution Committee, 1945-1954; Countries and Regions, Italy: Camp Cinecitta 1947.

98 C. Villani , Infrangere le Frontiere, p. 13. Tra il 1945 e il 1946, gli arrivi furono almeno di 25.000 unità, cfr Yehuda Bauer, Out of the

Ashes: The Impact of American Jews on Post-Holocaust European Jewry, Pergamon Press, Oxford/New York, 1989, pp. 245-25; Proudfoot, op. cit , pp. 318-368.

99 Per un quadro d‘insieme: M. Colucci, op. cit., pp. 17-25.

100 M. Sanfilippo, Per una storia dei profughi stranieri e dei campi di accoglienza e di reclusione nell‟Italia del secondo dopoguerra, «Studi Emigrazione/Migration Studies», XLIII, n. 164, 2006, pp. 838-839. Per una prima mappatura dei campi profughi attivi nell‘Italia del secondo dopoguerra, cfr M. Sanfilippo, I campi in Italia nel secondo dopoguerra, in ―Profughi‖, 2016, op. cit. Sui reduci: A. Bistarelli, La storia del

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[…] la Penisola stava divenendo meta di una massiccia immigrazione. Prima di tutto era aumentata a dismisura quella interna, perché gli italiani che durante la guerra avevano abbandonato i luoghi aviti cercavano una sistemazione. Poi era iniziato il rientro dei connazionali espulsi dalle colonie africane e dalle isole greche e dei soldati prigionieri in Europa, in Africa, in Asia, in Nord America e in Australia. Infine fuggirono in Italia gli abitanti di lingua italiana dei territori ceduti alla Iugoslavia. Nel frattempo, dato che i porti della Penisola funzionavano ancora, arrivarono profughi dalla Germania e dall‘Austria; dalle ex enclavi tedesche e dall‘Est europeo finito progressivamente nella sfera d‘influenza dei sovietici; dai Balcani sconvolti dall‘affermazione comunista in Iugoslavia e Albania e dalla guerra civile in Grecia; da paesi come Belgio, Olanda e Francia nei quali l‘occupazione nazista era stata appoggiata da collaborazionisti ora timorosi per la propria vita. Molti non intendevano rimanere, ma salpare da Genova; altri speravano d‘insediarsi nella penisola italiana101.

Le migliaia di profughi stranieri che si trovavano nella penisola italiana, spesso in condizione di clandestinità, costituirono uno dei principali problemi con cui non solo le autorità militari alleate, ma anche – come si vedrà più approfonditamente - il governo italiano e le autorità locali, già alle prese con i principali problemi della ricostruzione, dovettero confrontarsi. Per quanto riguarda le DPs ebree, si profilarono due principali vie attraverso le quali esse potevano superare clandestinamente la frontiera italo-austriaca: il valico di Tarvisio, da sempre importante snodo di confine, e il Passo del Brennero. A partire dall‘estate del 1947, cominciò ad essere utilizzato l‘ancora più difficoltoso Passo dei Tauri, in Alto Adige. In queste circostanze, la Gasthof Kasern, una pensione situata a Casere in Valle Aurina, diventò una sorta di centro di prima accoglienza102.

Nell‘immediato dopoguerra, a Tarvisio era stazionata la Brigata ebraica (Jewish

Infantry Brigade Group). I soldati che ne facevano parte ebbero un ruolo fondamentale nel

ritorno, i reduci italiani del secondo dopoguerra, Torino, Bollati Boringhieri, 2007. Sull‘esodo giuliano esiste una variegata storiografia,

perciò si vedano almeno: M. Cattaruzza, M. Dogo, R. Pupo (a cura di), op. cit., G. Crainz , R. Pupo, S. Salvatici, op. cit.; G. Crainz, Il dolore

e l'esilio: l'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, Roma, 2005. Sui campi profughi del dopoguerra si veda anche: C. Di Sante, (a cura

di), Il campo per gli “indesiderabili. Documenti e immagini del “centro raccolta profughi stranieri” di Fossoli (1945-1947), Torino, Ega Editore, 2008. Rimando altresì a P. Audenino, op. cit..

101 M. Sanfilippo, op. cit., p. 838.

102 C. Villani, op. cit. Questa route, situata a quota 2633 metri, era stata individuata da Marko Feingold, un ebreo austriaco sopravvissuto alla

Shoah e membro della Bricha. I profughi erano soliti partire dall‘ultimo rifugio prima del confine, il Krimmler Tauernhaus, situato in

Austria, e, a gruppi di 150 individui circa, venivano accompagnati, con i furgoni, fino alla Gasthof Kasern, che era diventata una base della

Bricha . Qui, i profughi potevano riposare dopo la lunga traversata, che impegnava anche per quattro o cinque ore, prima di essere smistati

verso altri campi profughi o verso i convogli navali in partenza. Per una testimonianze diretta: L. Righi e S. Wallish, Lungo i confini dell‟Alto

Adige, op. cit.. Il Passo dei Tauri, in cui avveniva questa lunga marcia è tuttora ricordato, soprattutto dagli anziani del luogo, come il ―Passo

degli ebrei‖. Ogni anno varie associazioni che promuovono turismo di interesse storico, ricordano questi avvenimenti con una marcia della pace che ripercorre esattamente la stessa tratta attraversata dai profughi, cfr http://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/la-fuga-degli-ebrei-torna-a-101-anni-1.94846.

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trasportare qui i «sopravvissuti ai campi, ma pure [gli] ebrei polacchi condotti dalla Brichah in Austria attraverso l‘Ungheria»103

, tra cui numerosi ragazzi e bambini orfani. Si trattava sia di sopravvissuti ai Lager, che di individui scampati alla deportazione, i quali avevano trascorso gli anni della guerra nei nascondigli più impensabili. Per far fronte a questi arrivi, a Pontebba (Udine) venne allestito un campo di prima accoglienza. Qui i profughi, oltre ad essere curati e assistiti, potevano seguire attività culturali e religiose; un‘attenzione particolare era inoltre data alla cura e all‘istruzione dei bambini104

. Nei mesi successivi, lo spostamento della brigata da Tarvisio in Belgio e in Olanda non comportò affatto la fine delle attività clandestine. Da un lato infatti continuò il trasporto degli ebrei stranieri verso Italia, dall‘altro ripresero le partenze verso la Palestina, soprattutto dalle coste della Liguria105.

Dopo il rallentamento avvenuto durante l‘inverno del 1945 - dovuto soprattutto alle temperature rigide - in primavera il flusso in entrata riprese106. Anche per far fronte a questi nuovi arrivi, presso il Sanatorio di Merano venne allestito un altro centro di accoglienza, che rimase in funzione fino all‘estate del 1947107. In quei mesi l‘Alto Adige era diventato il crocevia di una massa ben più eterogenea di profughi e reduci108. Per gestire questa ondata, dal giugno del 1945, gli alleati allestirono diversi luoghi di raccolta sia presso il confine, a Malles e a San Candido, che in città, il campo IT 30, presso l'Istituto della Previdenza Sociale in Piazza Domenicani, e il campo IT 23, presso l'ex "Polizei- und Durchganslager Bozen" (KZ Bozen) in via Resia109. Stando all‘attuale stato delle ricerche, è difficile calcolare quanti profughi ebrei transitarono da questi luoghi. Si tenga presente che, come ha spiegato Cinzia

103 Villani, op. cit., p. 65.

104 Villa, op. cit., p.152; Villani, op. cit., in particolare pp. 60-90. 105 Sereni, op. cit., pp. 57-131; Villani p. 66 e seguenti. 106 Villani, op. cit., pp. 108-111.

107 Per un approfondimento si veda: Villa, op. cit., p. 166-174; Villani, op. cit., p.113.

108 «Negli anni del dopoguerra in Sudtirolo c'era un brulichio di rifugiati e fuggiaschi che volevano valicare clandestinamente le montagne per recarsi oltremare: profughi, prigionieri di guerra, ebrei in fuga, ma anche criminali », cfr Steinacher G.,―L'Alto Adige come regione di transito dei rifugiati (1945-1950)‖, University of Nebraska-Lincoln, Faculty Publications, Department of History, 2006,12.

http://digitalcommons.unl.edu/historyfacpub/112, p. 829.

109 Ivi, pp. 825-827. Il Campo di Gries - Bolzano, di cui restano alcune baracche e il filo spinato che ne segnava il perimetro, è stato negli ultimi anni al centro di un processo di recupero; solo nel 2012 è però stato inaugurato il Passaggio della Memoria, che si articola attraverso l‘esposizione di alcuni pannelli fotografici affissi lungo i muri del campo. Sul campo di Bolzano, aperto dopo lo smantellamento di Fossoli, rimando a C. Villani, Va una folla di schiavi. Lager di Bolzano e lavoro coatto (1944–1945), in Geschichte und Region/Storia e regione, nº 2, 2005, pp. 113-146. Un altro campo venne aperto anche a Vipiteno, cfr Villani, Infrangere…, op. cit. p. 69.

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Villani, si trattava di «strutture che sarebbero state dismesse a fine estate, tranne l‘ex Lager, che risultava ancora funzionante nel mese di settembre»110.

Il più importante centro d‘accoglienza per profughi ebrei era situato a Milano, in via Unione 5, presso palazzo Erba Odescalchi. La storia di questo luogo, a lungo rimasto nelle memorie personali dei profughi111, deve essere collocata nel contesto della rinascita delle comunità ebraica milanese, a cui venne affidato lo stabile, e di cui si dirà più approfonditamente nel quarto capitolo di questa tesi. Il centro, di cui Raffaele Cantoni fu l‘anima112

, entrò in piena funzione nell‘estate del 1945. Si trattava di un luogo organizzato in modo da provvedere alle esigenze di base, ma anche alla ricostruzione sociale, culturale e religiosa dei profughi113. Anche a causa del suo perenne sovraffollamento, entro la fine del 1947, grazie all‘opera congiunta di Sally Mayer – altro esponente di spicco della comunità milanese- e del Joint, venne aperta una succursale del centro, in un‘ex caserma di Chiari, vicino Brescia114.