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L’ASSORBIMENTO E LA RIDUZIONE DEL RUMORE

Biotecnologie Agrarie (DiBA)

Testo redatto in collaborazione con: Giacomo Lorenzini, Cristina Nali. Università di Pisa, Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “Giovanni Scaramuzzi”

4.1 RILEVANZA DELL’ARGOMENTO

Tra i differenti agenti di inquinamento presenti nel mondo moderno, tutti con influenza negativa sulla vita umana, il rumore (suono non desiderato e non armonico) è forse uno dei più subdoli (Grossoni, 1994). Gli agenti inquinanti “tradizionali”, quali i gas presenti nell’atmosfera e le sostanze tossiche disperse nel terreno e nell’acqua, provocano una serie di danni con un preciso quadro sintomatico sugli organismi vegetali, i quali possono così funzionare da campanello di allarme. Gli effetti provocati dal rumore, invece, si manifestano principalmente sull’uomo e sugli animali. La fisiologia acustica individua malattie, che vanno dal livello psichico a quello uditivo (Cosa, 1980, 1992; Lenzi et al., 1988), quando i livelli di rumorosità variano fra 66 e 85 dB. Considerando che i rumori registrati nei centri urbani, in prossimità di aeroporti o delle grandi arterie stradali e ferroviarie sono uguali o superiori a quanto indicato, si comprende la gravità della situazione e l’urgenza di mettere a punto sistemi di intervento; fermo restando che il livello di rumorosità non è di per sé l’aspetto più rappresentativo del disagio, che va valutato, invece, in base alla durata dell’esposizione ad un determinato rumore.

Esiste una ampia letteratura di riferimento riguardante il rumore, la sua propagazione ed i mezzi di intervento per il suo abbattimento; la sua riduzione avviene per attenuazione “normale”, a seguito dell’attrito tra le molecole dell’atmosfera durante l’avanzamento dell’onda sonora, e questo fenomeno è il cosiddetto “effetto distanza”; inoltre, l’impatto con ostacoli e barriere di qualsiasi natura (e dimensione) determina riflessione, rifrazione, dispersione ed assorbimento e, quindi, in ultima analisi, comporta una ulteriore attenuazione definita “in eccesso” o “aggiuntiva”.

Da tempo viene proposto l’impiego della vegetazione (siepi, alberate, piccoli boschi, etc.) come elemento naturale per l’attenuazione dei rumori in campo aperto, in grado di interrompere il collegamento diretto fra la fonte di emissione del suono ed il luogo di ricezione dello stesso. Infatti,

la crescente sensibilità nei confronti dell’ambiente da parte sia della popolazione sia del mondo dei ricercatori, ha portato, negli ultimi anni, ad un’attenzione via via maggiore verso quei sistemi di minimizzazione degli impatti ambientali che contemplano un contenuto di “naturalità” sempre più prevalente. Così, la protezione dal suono e dai suoi effetti indesiderati è oggi oggetto di studio in molti settori tecnici ed anche in quelli di ricerca e applicazione della paesaggistica. Le barriere vegetali sono strutture lineari che in ambiente urbano e stradale possono svolgere funzione di protezione nei confronti del rumore ed assumono importanza strategica all’interno di una logica di corretta gestione del territorio. La conoscenza delle loro proprietà fonoisolanti è fondamentale in fase di progettazione urbanistica, autostradale, ferroviaria e/o di impianti industriali. L’utilizzo di questo tipo di barriere ha sicuramente anche un ruolo ornamentale, ma ha anche altri effetti positivi collaterali quali l’abbattimento delle polveri, l’azione climatizzante (su temperatura e umidità) e frangivento, che concorrono alla creazione di un microclima più salubre.

4.2 STATO DELL’ARTE DELLA RICERCA

La scelta delle specie vegetali da impiegare comporta la conoscenza preventiva delle loro capacità di attenuare il rumore, le quali dipendono, a loro volta, dalle caratteristiche fonoisolanti delle singole piante, cioè dalla loro attitudine ad ostacolare e riflettere la propagazione del rumore e dalle caratteristiche fonoassorbenti dei tessuti vegetali. Questi ultimi, infatti, assorbono l’energia sonora e successivamente la trasformano in calore in seguito al movimento dell’energia stessa sulle superfici delle foglie, dei rami, dei fusti ed ai conseguenti moti oscillatori smorzati. L’assorbimento e la dissipazione dell’energia, sotto forma di calore, dipende dalla consistenza dei tessuti fogliari (Gervasio, 1998). Specialmente ad alte frequenze, l’azione di riduzione del rumore avviene anche mediante la deviazione dell’energia sonora.

Il contributo dato alla riduzione del rumore da parte delle foglie è più facilmente quantificabile con prove di laboratorio, lontano da interferenze ambientali (umidità, temperatura, vento, etc.) e territoriali. In questa direzione si sono effettuati numerosi studi per la determinazione della reale capacità di abbattimento delle piante nel loro insieme e scomposte nelle diverse parti quali tronco, rami e foglie. Diverse esperienze in camera anecoica hanno identificato nelle foglie lunghe una decina di centimetri la parte della pianta più attenuante alle frequenze con lunghezza d’onda tra 8-16 cm (2000-4000 Hz). Le latifoglie decidue, soprattutto quelle di grandi dimensioni, coriacee e con

lungo picciolo, hanno normalmente maggiore efficacia nei confronti della riduzione del rumore; questa combinazione, infatti, permette un maggior grado di vibrazione e di flessibilità. Il fogliame, tuttavia, costituisce un’efficace barriera acustica solo per le frequenze superiori a 1000-2000 Hz. Le latifoglie decidue, però, non essendo dotate di un fogliame persistente, hanno una efficacia limitata al solo periodo di attività vegetativa. L’azione di riduzione del rumore avviene in parte anche ad opera del terreno, sede “ospitante” della barriera, mediante l’assorbimento di onde dirette radenti ad esso o la riflessione dell’onda sul suolo con conseguente perdita di energia. È importante, quindi, conoscere la morfologia del terreno, se pianeggiante, rilevata o in trincea. Un buon risultato si ottiene con suoli coperti da erbe o comunque morbidi; al contrario, terreni pietrosi, sabbiosi o ghiacciati anziché assorbenti risultano riflettenti. Ruolo fondamentale è quello svolto dalle radici che, insidiandosi tra le particelle del terreno, mantengono il contenuto in aria ottimale e impediscono la compattazione della massa di terreno, garantendo la giusta porosità del substrato, sia in termini di assorbimento acustico sia di ritenzione idrica. Quest’ultima risulta uno dei fattori a cui deve essere dedicata grande attenzione per la nutrizione e, quindi, la sopravvivenza delle piante.

Nella progettazione di una barriera verde si dovrà tenere conto sia delle condizioni ecologiche in cui si deve operare, sia della disponibilità di materiale vegetale. La scelta delle piante deve essere condotta in primo luogo in base alla loro rusticità e adattabilità all’ambiente, ma è anche necessario tenere presente le condizioni in cui si agisce. Per buona parte del territorio italiano sono interessanti specie xerofitiche del clima mediterraneo. Tuttavia, dal momento che la maggior parte degli studi sulle barriere verdi sono stati effettuati nel Nord Europa e negli Stati Uniti, dati su queste specie sono molto rari. Ricerche svolte presso l’Università del Nebraska, hanno fornito dati sperimentali circa il potenziale impiego di alcuni alberi e arbusti come riduttori del suono. Valori di attenuazione di 5-8 dB sino a 10 dB sono stati riscontrati per cinture di alberi ad alto fusto e ad elevata densità di impianto. Inoltre, impiegando combinazioni di alberi, arbusti e tappeti erbosi, sono stati raggiunti valori di attenuazione 8-12 dB (Cook & Haverbeke, 1974).

La maggior parte degli studi preliminari sulla riduzione del rumore da parte delle barriere vegetali, tratta, tuttavia, l’effetto operato da latifoglie decidue e conifere (Embleton, 1963; Aylor, 1972; Cook & Haverbeke, op.cit.; Kragh, 1979, 1981). In realtà le potenzialità maggiori potrebbero essere fornite da siepi costituite da sempreverdi, caratterizzate quindi da un fogliame persistente. Assai scarsi risultano i lavori che descrivono in termini scientifici il ruolo delle singole specie, dell’altezza, densità, larghezza e lunghezza dei popolamenti vegetali. Degno di particolare attenzione appare un

dettagliato studio condotto da Fang e Ling (2003), sull’efficacia nella riduzione del rumore da parte di 35 specie a foglia larga, di cui 19 sempreverdi. Di questo studio vengono riassunte le conclusioni, riferite a rumori di media frequenza, cioè quelli meglio percepibili dall’orecchio umano. Il problema del disturbo da rumore, infatti, presenta elementi di soggettività relazionati alla frequenza e risulta, perciò, necessario tradurre le quantità fisiche misurate in accordo alla sensibilità percettiva dell’orecchio umano. A parità di pressione sonora, i suoni alle più alte frequenze tendono ad essere percepiti come più forti di quelli alle basse frequenze. A questo scopo l’intensità del rumore viene misurata utilizzando il cosiddetto metodo “A-filtering”, che consiste in una procedura con la quale si dà meno peso alle basse frequenze, rispetto a quelle alte. Quando le misure di pressione sono misurate ed elaborate con tale metodo, l’unità di misura utilizzata corrisponde al dBA.

L’altezza delle piante che costituiscono la barriera è un fattore irrilevante al di sopra dei 4 m; l’effetto diventa stabile – rispetto ad un singolo recettore – quando la lunghezza della siepe supera i 50 m; le varie essenze non si comportano alla stessa maniera, ma molto rilevante è il ruolo della densità e della larghezza (profondità) del popolamento vegetale.

In passato già altri Autori avevano evidenziato che bassi valori di visibilità ed elevati valori di larghezza della siepe permettono una maggiore riduzione dell’energia sonora da parte di foglie e branche, grazie ad una maggiore dispersione dell’effetto (Aylor, 1972; Cook & Haverbeke, op. cit.). Nello studio di Fang e Ling (2003), il parametro visibilità è risultato essere quello principale nella riduzione del rumore, e mostrava una correlazione negativa altamente significativa (R2 = 0,82) con l’attenuazione “aggiuntiva” (o “in eccesso”), calcolata come media dei valori di attenuazione relativa – rispetto all’aria – per 20 m, ed espresso in dBA/20 m (Fig. 4.1).

y = - 1,93 ln (x) + 8,98 R2 = 0,82 A tt enu az io ne a gg iu n tiv a d el ru mo re (dB a/ 20 m ) Visibilità (m)

Fig. 4.1 – Regressione tra visibilità ed attenuazione aggiuntiva del rumore, rispetto a quella dell’aria, considerata come valore medio per 20 m (dBA/20) (da dati di Fang e Ling, op. cit.).

La larghezza delle siepi è l’altro fattore significativo che ha un ruolo fondamentale nella riduzione del rumore: con siepi più larghe il cammino acustico all’interno del popolamento vegetale viene allungato e ciò determina, in ultima analisi, un maggiore assorbimento e una maggiore diffusione (Cook & Haverbeke, 1974). Barriere vegetali di ampiezza di almeno 30 m sono più efficaci nella riduzione del rumore (Reethof, 1973; Cook & Haverbeke, op. cit.). Anche l’altezza è un importante fattore da tenere in considerazione: siepi più alte forniscono superfici maggiori e, quindi, più capacità di diffondere o assorbire l’energia sonora (Cook & Haverbeke, op. cit.). Infine, nel caso di barriere vegetali più lunghe, la dispersione dell’onda sonora aumenta, producendo fenomeni di diffrazione maggiori e determinando un positivo effetto sulla riduzione del rumore. Secondo studi condotti da Reethof e Heisler (1976), il popolamento vegetale dovrebbe avere una lunghezza di almeno 60 m per assicurare la massima riduzione del rumore.

Fra tutte le essenze vegetali analizzate da Fang e Ling (op. cit.), quelle di tipo arbustivo risultavano le più efficaci nella riduzione del rumore, grazie ad una maggiore dispersione operata dal loro denso fogliame e dai rami. Fra queste, quelle che fornivano la massima riduzione erano quelle che presentavano un’altezza maggiore del ricevente. Le barriere vegetali caratterizzate da una certa altezza, infatti, permettevano una più alta diffusione e un maggiore assorbimento del rumore.

Una barriera polispecifica risulta, nella maggior parte delle situazioni, più versatile di una monospecifica e nello studio di Fang e Ling viene messo in evidenza come le barriere pluristratificate forniscano i migliori effetti: negli strati più bassi sono preferibili specie a chioma raccolta, di tipo arbustivo, posizionate al di sotto di altre essenze arboree più alte.

Gi Autori hanno potuto dedurre una serie di relazioni tra l’attenuazione relativa, la visibilità e la larghezza, riassunte in parte in Fig. 4.2. Il parametro visibilità è da intendersi inversamente proporzionale alla densità e viene valutato semplicemente analizzando, in una serie di transect, la distanza alla quale un essere umano all’interno della siepe diventa invisibile ad un osservatore esterno (risultati analoghi si ottengono determinando la caduta di intensità luminosa di un fascio di luce artificiale proiettato all’interno). La Fig. 4.2 individua 4 regioni:

• D, corrispondente ad un abbattimento pari al massimo a 3 dB A; si tratta delle condizioni meno favorevoli, dominate da siepi relativamente poco profonde (sino a circa 10 m);

• C, con campo di abbattimento tra 3 e 6 dB A: la larghezza raggiunge anche 25 m, in corrispondenza dei maggiori valori di visibilità (e quindi minore densità);

• B, tra 6 e 10 dB A: con siepi larghe 3 m; si consideri che un abbattimento di 6 dBA equivale a raddoppiare la distanza tra sorgente e recettore;

• A, con livelli di attenuazione pari o superiori a 10dB A: in queste condizioni il ruolo della visibilità è marginale e prevale la larghezza, che comunque non è inferiore a 10 m.

È quindi possibile correlare i parametri indagati, così che, ad esempio, si ottengano risultati analoghi con una barriera larga 5 m e con visibilità di 1 m (cioè molto fitta), oppure 10 m di visibilità e 18 m di profondità, e così via. Una barriera vegetale deve comunque presentare requisiti di continuità, cioè assenza di finestrature. D’altra parte, densità elevate garantiscono una continuità rapida da ottenere, ma difficile da difendere nel tempo. Infatti l’ombreggiamento dovuto a densità troppo elevate e/o a potature sbagliate, può indurre in molte specie lo svuotamento della parte bassa della chioma e la formazione di finestre molto ampie, soprattutto con specie non pollonifere (cioè

non in grado di ricacciare germogli dal ceppo o dalle radici e quindi di ricostituire la continuità). La scelta di una densità ottimale e di una corretta potatura riveste, quindi, una ruolo non solo estetico, ma anche di efficienza della barriera stessa.

4.3 GRADO DI TRASFERIBILITÀ DELLE RICERCHE

Lo stato dell’arte delle conoscenze è elevato e pertanto dal punto di vista teorico esiste un elevato tasso di trasferibilità delle ricerche. Mentre in molti Paesi si è verificato uno sviluppo tecnico regolare e parallelo per la popolazione lungo strade di grande traffico, ferrovie ed aeroporti, in Italia si tende ad ignorare, quasi del tutto, il problema dell’isolamento acustico a livello paesaggistico. Lo studio di Fang e Ling (op. cit.), invece, mostrando chiaramente come si possano ottenere riduzioni del rumore attraverso idonee barriere vegetali, fornisce dati molto importanti che possono essere utilizzati nel campo della progettazione ambientale.

Larghezza (m) 0 5 10 15 20 25 V is ib il ità (m ) 0 2 4 6 8 10 12 14 16 3dBA>D 6dBA>C≥3dBA 10dBA>B≥6dBA A≥10dBA Larghezza (m) 0 5 10 15 20 25 V is ib il ità (m ) 0 2 4 6 8 10 12 14 16 3dBA>D 6dBA>C≥3dBA 10dBA>B≥6dBA A≥10dBA 3dBA>D 6dBA>C≥3dBA 10dBA>B≥6dBA A≥10dBA 3dBA>D 6dBA>C≥3dBA 10dBA>B≥6dBA A≥10dBA

Fig. 4.2 – Ruolo della visibilità (e cioè della densità) e della larghezza di siepi monospecifiche sulla attenuazione del rumore, rispetto all’aria (da dati di Fang e Ling, op. cit.).

4.4

CONCLUSIONI

In sintesi, l’effetto di abbattimento del rumore da parte di barriere vegetali è ben dimostrato, ma le condizioni necessarie per il conseguimento di risultati particolarmente significativi sembrano non facilmente realizzabili in ambito urbano, in considerazione delle specifiche richieste in termini di larghezza e densità delle siepi. Le piante e i sistemi piante-terreno (terrapieni, muri verdi, etc.) possono essere una valida soluzione nel contenimento dell’inquinamento sonoro solo in particolari contesti. Le barriere vegetali, infatti, se costituiscono indubbiamente la soluzione più corretta, sotto il profilo ambientale, per il problema dell’inquinamento acustico, non sono però applicabili ovunque: la loro effettiva convenienza ed efficacia risulta limitata alla protezione di insediamenti che si trovano immediatamente a ridosso della strada, oltre che ai casi limite dei viadotti autostradali. Inoltre, la ricostituzione della vegetazione richiede sia spazi adeguati sia l’esistenza di condizioni tali che ne assicurino la sopravvivenza

Le esperienze italiane riguardanti installazioni di barriere verdi, seppur sporadiche rispetto alla rete infrastrutturale di trasporto presente sul territorio, testimoniano un crescente interesse verso questo tipo di protezione antirumore. È evidente, tuttavia, l’ampio margine di sviluppo di tali tecniche e la conseguente necessità di iniziative tese a colmare le carenze conoscitive in materia.

La consapevolezza che tali sistemi sono preferibili nella riduzione degli specifici impatti ambientali dovrà determinare indirizzi per ulteriori approfondimenti relativi non solo alle tecniche di realizzazione delle opere, ma anche, e soprattutto, alla loro contestualizzazione nell’ambito territoriale. In particolar modo occorre indagare sulle modalità pianificatorie degli interventi che devono tenere in debito conto il corretto inserimento nel contesto naturale ed antropico del sito in cui si viene ad operare. Per far questo bisogna mettere a punto un approccio metodologico interdisciplinare teso ad includere ogni aspetto naturalistico, ingegneristico e socio-economico, connesso a progetti di bonifica acustica. Solo così, ciò che oggi viene ancora considerato un problema tecnico da risolvere - il rumore - potrà rappresentare un’occasione di sviluppo sostenibile e di effettivo miglioramento ambientale.

4.5

BIBLIOGRAFIA

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5 LA FITORIMEDIAZIONE DEI SUOLI INQUINATI E LA