5 LA FITORIMEDIAZIONE DEI SUOLI INQUINATI E LA DEPURAZIONE DELLE ACQUE
5.2.1 Le tecniche
Come accennato in precedenza, la fitorimediazione è in realtà un insieme di specifiche tecniche che si differenziano fra loro in funzione dell'azione decontaminante svolta.
Tra queste possiamo individuarne alcune tra le più importanti: • fitoestrazione • fitodegradazione • rizofiltrazione • rizodegradazione • fitostabilizzazione • fitovolatilizzazione 5.2.1.1 Fitoestrazione
È una delle tecniche maggiormente utilizzate per la rimozione dei metalli pesanti. Essa utilizza specie capaci di assorbire gli inquinanti dal suolo per accumularli e concentrarli nella pianta, anche grazie all'azione di specifiche metalloriduttasi emesse dalle radici che incrementano l'assorbimento degli ioni metallici; la rimozione del contaminante dall'ambiente avviene asportando l'intera pianta. Si riduce così la quantità di biomassa da trattare con una concentrazione del metallo molto più elevata rispetto a quella del suolo. Questa tecnica può essere utilizzata anche per il trattamento di fanghi e di acque reflue. Alcune ricerche hanno evidenziato come la biomassa ottenuta possa arrivare ad essere una risorsa: piante con elevata concentrazione di selenio, elemento essenziale nella nutrizione, possono essere trasportate in aree dove questo elemento è deficitario, e utilizzate per il foraggiamento degli animali (Banuelos, 1997).
I principali svantaggi della fitoestrazione sono:
• le iperaccumulatrici sono generalmente piante di piccole dimensioni, a lenta crescita e con un apparato radicale superficiale;
• la biomassa della pianta deve essere asportata, stoccata come rifiuto speciale ed infine trattata per il recupero del metallo; il problema quindi viene trasferito e non risolto (anche se le ceneri ottenute possiedono un volume di stoccaggio contenuto);
• i metalli possono avere effetti fitotossici (Nanda Kumar et al., 1995); i coefficienti di fitoestrazione ottenuti in laboratorio sono spesso superiori a quelli ottenibili in prove di pieno campo (Nanda Kumar et al., l.c..).
5.2.1.2 Fitodegradazione
È una tecnica di bonifica basata sulla degradazione dei contaminanti all'interno della pianta, grazie a processi metabolici. Le tappe fondamentali del processo prevedono l'assorbimento radicale, la traslocazione, la degradazione del composto, ed infine, la formazione di sottoprodotti. Affinché ci sia un buon assorbimento radicale i composti, inevitabilmente di natura organica, devono essere molto solubili. Al momento sono state identificate numerose molecole organiche trattabili con questo processo, tra cui l'atrazina (Burken e Schnoor 1997), il TCE (Newman etal. 1997) il DDT (Komossa et al.1995). La fitodegradazione è utilizzata per il trattamento di suoli contaminati, o anche di fanghi. Uno dei suoi aspetti negativi è la possibilità di formazione di composti intermedi tossici alla pianta stessa (Komossa et al, l.c.). A differenza della rizodegradazione, risulta efficiente anche in suoli contaminati con concentrazioni tali da rendere impossibile la vita di microrganismi.
5.2.1.3 Rizofiltrazione
Sfrutta le radici delle piante per assorbire e/o adsorbire inquinanti, principalmente metalli, da acque inquinate; il contaminante può poi essere traslocato all'interno di altri organi della pianta, a seconda del tipo di molecola. Si può avere anche una immobilizzazione esterna alle radici, che ha tuttavia lo stesso effetto di sequestro del contaminante per impedirne un suo dilavamento. Anche in questo caso l'asportazione dell'inquinante avviene con la rimozione dell'intera pianta. La rizofiltrazione è particolarmente indicata per il trattamento di acque superficiali, acque di falda, acque reflue e fanghi; non funziona invece molto bene nei suoli perché i contaminanti devono essere in soluzione acquosa. Tra i principali vantaggi che offre ricordiamo la possibilità di essere utilizzata ex-situ con una semplice coltura idroponica. Per un funzionamento ottimale tuttavia richiede un costante controllo della soluzione circolante, specialmente in termini di pH, con forti effetti sulla disponibilità del metallo in soluzione. I metalli rimuovibili grazie a questa tecnica risultano per ora essere: Pb,Cd, Cu, Ni, Zn e Cr (EPA 2000).
5.2.1.4 Rizodegradazione
È l'azione sinergica di apparato radicale e microrganismi della rizosfera per la degradazione di contaminanti organici in molecole non nocive. La concentrazione e l'attività dei microrganismi che operano tale azione èinfluenzata dalla presenza degli essudati radicali (zuccheri, aminoacidi, acidi organici, enzimi ecc.) che agiscono sulle condizioni del suolo in termini di O2, CO2, pH, RH, ecc. Questa tecnica consente di lavorare in-situ mentre la degradazione avviene esternamente alla pianta. Per essere efficienti, le piante devono avere un apparato radicale esteso e profondo, e devono essere ben fertilizzate a causa delle competizione per i nutrienti coi microrganismi.
Con tale tecnica si sono ottenuti buoni risultati per il trattamento di suoli inquinati da idrocarburi TPH, idrocarburi policiclici aromatici PAI-Is, benzene, ecc. (Schwab, 1998; Ferro et al 1994; Jordahl et al. 1997; Anderson et al. 1994).
5.2.1.5 Fitostabilizzazione
È definita come l'immobilizzazione di un contaminante presente nel suolo, attraverso: • l'assorbimento e l'accumulo nelle radici;
• l'adsorbimento sulle radici grazie all'azione di chelanti organici prodotti da queste (fitosiderofori);
• la precipitazione nella zona circostante ad esse grazie all'azione di altri chelanti.
In ogni caso si ha una riduzione della biodisponibilità degli inquinanti nell'ambiente, prevenendo così la dispersione del contaminante per erosione, lisciviazione, ecc. Il trattamento avviene inevitabilmente in-situ. Studi effettuati già una decina di anni fa dimostrano che alcuni alberi, ad esempio i pioppi, sono in grado di immobilizzare l'arsenico bloccandolo nel terreno senza traslocarlo nelle foglie, arginando di conseguenza la contaminazione del suolo (Pierzynski et al. 1994).
5.2.1.6 Fitovolatilizzazione
Consiste nell'assorbimento dell'inquinante organico e nella sua degradazione all'interno della pianta, in composti innocui e volatili che vengono rilasciati nell'atmosfera durante il processo traspirativo. Tale tecnica è utilizzata non solo per il trattamento di acque ma anche di fanghi e di suoli inquinati. Il suo punto di forza consiste nel fatto che il problema viene risolto in maniera definitiva, in quanto si ha la completa degradazione della molecola in forme volatili, e meno tossiche. I nuovi metaboliti
rilasciati in atmosfera sono così esposti agli agenti meteorici che operano la totale degradazione (es. fotodegradazione). Tuttavia, nel caso in cui le molecole intermedie risultassero essere tossiche potrebbero verificarsi altri problemi ambientali. È opportuno quindi conoscere esattamente l'intero processo degradativo per poter garantire un sicuro ed efficace utilizzo di questa tecnica. Uno degli esempi più significativi dell'impiego di fitovolatilizzazione consiste nell'utilizzo degli ibridi di pioppo per la decontaminazione da TCE (Newman et al. l.c.).