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7 LA PROTEZIONE FITOSANITARIA

7.2.3 Defogliatori

Appartengono a questo gruppo gli animali che si nutrono degli organi verdi assimilanti delle piante. La sottrazione di foglie, di giovani cortecce e di germogli altera le condizioni fisiologiche del soggetto attaccato e causa varie anomalie, quali una riduzione dell’attività di fotosintesi, interferenze con i processi di traspirazione, modificazioni nel trasferimento della sostanza elaborata e degli ormoni, squilibri nella termoregolazione a livello della chioma, a causa della ridotta presenza o della mancanza delle foglie (Tiberi, 1991).

Tra i defogliatori sono incluse anche le specie che scavano gallerie nelle foglie, nei germogli o nella corteccia di rametti non lignificati; i così detti “minatori”; infatti anch’essi sono utilizzatori della materia verde e quindi degli organi necessari alle piante per le importanti funzioni prima ricordate. A differenza di quanto si verifica negli ambienti di foresta, dove i defogliatori rivestono un ruolo determinante nella trasformazione della sostanza vegetale in animale e quindi nel trasferimento dell’energia attraverso i successivi livelli della catena alimentare, in ambienti urbani sono da considerarsi quasi sempre dannosi. Infatti, anche parziali defogliazioni deturpano la chioma delle piante e ne alterano la funzione estetico-ricreativa. Inoltre la caduta di escrementi, di esuvie e di

individui morti, insieme alla presenza di larve al suolo o sugli oggetti sottostanti, acuisce il senso di repulsione che gran parte delle persone nutre nei confronti degli insetti.

Le latifoglie, soprattutto quelle decidue, sopportano assai meglio delle conifere le defogliazioni, anche intense, in quanto dispongono di maggiori quantità di sostanze di riserva che, tra l’altro, vengono immagazzinate nel tronco e nelle radici, cioè in sedi inaccessibili ai fillofagi. Le conifere, con poche eccezioni, dispongono di minor quantità di riserve, che sono per lo più localizzate nelle parti verdi e quindi negli organi attaccati dai defogliatori (Tiberi et al., 1993).

Nell’ambiente urbano gravi conseguenze alle persone e agli animali domestici possono ricollegarsi alla presenza di peli urticanti, di cui sono provviste le larve di alcuni lepidotteri defogliatori di conifere e di latifoglie. I taumetopeidi Thaumetopoea pityocampa (Denis et Schiffermüller) e T. processionea (L.) insieme al limantriide Euproctis chrysorrhoea (L.) rappresentano le specie più temibili. Le larve di T. pityocampa possono svilupparsi, oltre che sui pini, anche a carico di aghi dei cedri, mentre quelle di T. processionea e E. chrysorrhoea sono legate a latifoglie; la prima attacca solo le querce, la seconda è polifaga. A partire alla terza età, le larve di questi lepidotteri presentano sui segmenti addominali minuti peli riuniti in apposite tasche tegumentali. Detti peli, di forma lanceolata, sono provvisti di barbule laterali che agevolano l'ancoraggio alla superficie con la quale vengono in contatto e possono penetrare negli strati sottostanti. Essi si distaccano dalle larve con estrema facilità e si diffondono rapidamente nell'ambiente, dove possono rimanere per lungo tempo e conservare inalterate le loto proprietà irritanti. Se penetrano nella pelle dell'uomo, danno luogo a dermatiti per azione meccanica e chimica; se invece il contatto avviene a livello di mucose respiratorie o degli occhi, le conseguenze sono più gravi. Nel primo caso si possono avere forti infiammazioni e alcuni casi reazioni allergiche anche gravi fino a episodi di soffocamento, soprattutto a danno di animali che sostano in prossimità delle piante infestate. Invece, il contatto con gli occhi, può dare origine fenomeni di riduzione della capacità visiva a vario livello.(Niccoli e Tiberi, 1985)

Da ciò deriva la necessità di prestare la massima attenzione alla presenza dei tre lepidotteri negli ambienti urbani, nelle aree allestite per fini turistico-ricreativi, nelle aziende faunistiche e venatorie e nei centri agricoli, compresi quelli che svolgono attività silvo-pastorali. Occorre, pertanto, esercitare una continua sorveglianza, anche nelle fasi di latenza delle popolazioni, dei tre lepidotteri per poter intervenire tempestivamente al momento opportuno (Covassi, 1985).

Piuttosto che considerare il comportamento dei defogliatori indigeni presenti in ambienti urbani, sembra più opportuno soffermarsi, pur se brevemente, su alcune specie di recente introduzione nel nostro Paese e che già si sono rese responsabili di gravi danni, in questo favorite anche dalla scarsa concorrenza per la nicchia ecologica da parte di entità indigene. È il caso di ricordare le pesanti defogliazioni prodotte in ambienti urbani e periurbani di molte regioni centro-settentrionali dall’Ifantria americana (Hyphantria cunea Drury), specie polifaga a spese di svariate latifoglie, ma che trova negli aceri e nei gelsi gli ospiti preferenziali. Come pure da non sottovalutare sono i minatori delle foglie della robinia, vale a dire due piccoli lepidotteri: Parectopa robiniella (Clemens) e Phyllonorycter robiniellus (Clemens). I due gracillarididi comparsi di recente in Italia settentrionale, in pochi anni si sono diffusi in molte altre regioni causando notevoli deturpazioni alla chioma della pianta ospite con le gallerie che le larve scavano nel mesofillo fogliare.

Un altro fillominatore di recente introduzione è la Cameraria ohridella (Deshka e Dimic), si tratta di un microlepidottero monofago dell’ippocastano. Le larve, minatrici, si sviluppano a spese delle foglie scavando ampie gallerie di forma irregolare, generalmente comprese tra due nervature. Il danno arrecato consiste nella progressiva distruzione del mesofillo e nella conseguente riduzione dell’attività fotosintetica svolta dalle foglie. Non sono inoltre da trascurare le ripercussioni di natura estetico-ricreativa: aspetto quest’ultimo particolarmente importante nell’ambiente urbano. Infatti le larve del fillominatore, con la loro attività trofica, deturpano l’estetica degli ippocastani e in presenza di forti infestazioni sono capaci di causare, entro la fine del periodo estivo, una defogliazione, anche totale, della chioma.

Dall’andamento delle catture delle trappole a feromoni si può rilevare che a Firenze C. ohridella svolge quattro generazioni all’anno con le crisalidi dell’ultima che sostengono lo svernamento. Sono stati infatti registrati tre picchi degli sfarfallamenti, il primo in giugno, il secondo, il più consistente, in luglio, mentre meno evidente risulta il terzo picco che si è verificato in agosto. Nel corso dell’indagine è stato osservata anche una 5ª generazione, ma nella maggior parte dei casi le larve sono destinate a non completare lo sviluppo.

Gli adulti della generazione svernante compaiono tra fine marzo e aprile e di conseguenza le larve della 1° generazione si alimentano a spese delle foglie nei mesi di aprile e maggio; gli adulti compaiono in giugno. La seconda generazione si sviluppa tra giugno e luglio, con una presenza massima di larve delle prime età alla fine di giugno, e si completa con lo sfarfallamento degli adulti in estate. Le larve della terza generazione si osservano dai primi di agosto fino a metà settembre; la

maggior presenza di individui delle prime età si è registrato prima decade di agosto; lo sfarfallamento degli adulti avviene entro la fine di settembre. La 4° e ultima generazione dell’anno si sviluppa da metà settembre a fine ottobre e sono le crisalidi a svernare. Le osservazioni condotte fino a dopo la metà di novembre hanno evidenziato ancora la presenza di alcune larve in attività. Quasi tutte le larve di questa generazione, probabilmente la quinta nell’arco dell’anno, sono destinate a morire prima di completare lo sviluppo per effetto delle basse temperature, che normalmente si registrano a Firenze nella 2ª metà dell’autunno.

Tramite l’osservazione delle crisalidi raccolte è stato messo in evidenza che la sex-ratio varia in relazione alle diverse stazioni considerate e in media, comunque, questo rapporto è risultato 1,1.