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Modifica del sito d'impianto

5 LA FITORIMEDIAZIONE DEI SUOLI INQUINATI E LA DEPURAZIONE DELLE ACQUE

6.2.4 Tecniche e substrati nella messa a dimora degli alberi in ambiente urbano

6.2.4.2 Modifica del sito d'impianto

È noto che l’attecchimento e la crescita di un albero sono direttamente correlati all’estensione, alle condizioni e alla capacità di crescita del suo sistema radicale (Tattar, 1997). Nell’ambiente urbano le radici degli alberi si trovano a vivere, in linea generale, in un ambiente inospitale che, nel caso inneschi un anello di retroazione negativa, può ridurre, talvolta fortemente, le potenzialità vegetative delle radici stesse e, conseguentemente, della parte aerea della pianta.

La creazione di un ambiente favorevole alla crescita radicale è, perciò, la conditio sine qua non per il buon esito di un impianto in ambiente antropizzato. Gli interventi per migliorare le caratteristiche del terreno d'impianto possono essere molti e, talvolta, non economicamente o tecnicamente proponibili: i più comuni sono l’apporto di terreno alloctono (topsoil), l’uso di ammendanti e di prodotti organici capaci di stimolare la crescita radicale e la creazione di mix artificiali. Qui di seguito sono illustrate, in sintesi, le caratteristiche peculiari di questi materiali (Ferrini, 2002).

Topsoil

“Topsoil” è la definizione che viene data allo strato di terreno apportato nella zona d'impianto al fine di migliorarne le caratteristiche chimico-fisiche. Spesso, tuttavia, questo suolo aggiunto non è di qualità tale da giustificarne l’uso in situazioni non eccessivamente avverse. Il topsoil è, infatti, molto costoso (valore intrinseco + trasporto); inoltre, il terreno del luogo d’impianto potrebbe raggiungere le caratteristiche di un topsoil solo con l’aggiunta di ammendanti o con la semplice rimozione dello strato superficiale ed una lavorazione che ne migliori le caratteristiche fisiche. Infine, non è infrequente che il topsoil aggiunto provenga da scavi compiuti per i lavori di costruzione di edifici o

per l’apertura di cave e sia, quindi, per la maggior parte un sottosuolo, con tutte le caratteristiche sfavorevoli che questo tipo di substrato può presentare, non ultima la necessità di aggiungere elevate quantità di ammendanti per consentire una crescita adeguata alle piante.

Qualora il substrato originale sia fortemente compromesso, tuttavia, l’aggiunta di terreno di riporto, anche se di qualità scarsa, può rendersi necessaria per evitare insuccessi delle piantagioni dovuti alle avversità chimico-fisiche del substrato. Il topsoil ideale dovrebbe essere prelevato dal luogo d’origine ed immediatamente utilizzato; nel caso questo non fosse possibile, esso dovrebbe essere conservato in cumuli alti meno di 2 metri e, qualora il periodo di sosta sia lungo, seminato con un mix appropriato di specie che riduca l’erosione e la lisciviazione, mantenga la struttura e stimoli l’attività biotica (Bradshaw et al., 1995). Questa pratica può essere utile anche per ridurre la flora infestante potenzialmente presente nei topsoil e che, soprattutto in aree urbane, può creare problemi negli anni successivi.

Ammendanti organici per il suolo

Con il termine ammendante si indica qualsiasi sostanza in grado di migliorare la struttura del terreno. L’aggiunta di materiali organici nelle buche d’impianto di arbusti e alberi ornamentali è una pratica vecchia di centinaia di anni, basata sull’evidente scopo di creare un ambiente favorevole alle radici in quanto viene migliorata la struttura del terreno, l’aerazione e la ritenzione idrica, così da diminuire lo stress da trapianto e facilitare la crescita delle piante.

I siti disturbati delle città sono, perciò, i luoghi tipici dove gli ammendanti del suolo possono essere usati, in quanto possono migliorare le proprietà chimiche (fertilità e pH), fisiche (struttura, porosità, capacità di trattenere acqua) e biologiche (microflora e microfauna) del suolo (Rose, 1997). C’è un crescente interesse nell’uso di materiale organico come fertilizzante o ammendante del suolo, attribuibile alla volontà di ridurre l’impiego di sostanze chimiche, con l’obiettivo di diminuire il potenziale inquinamento dell’ambiente e la necessità di conservare energia. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni Autori hanno messo in discussione il valore dell’aggiunta dell’ammendante organico al terreno di riempimento della buca d’impianto, sostenendo che, alla luce delle ricerche condotte negli ultimi 20 anni, i problemi derivanti dall’uso degli ammendanti organici (minor crescita di chioma e radici, aumento subsidenza della zolla, maggior spiralizzazione delle radici, ecc.) siano tali da sconsigliarne l’uso (Bergeman, 1997). In accordo con Watson e Himelick (1997) è, invece, a nostro parere, da ritenere che l’aggiunta di materiali organici ben decomposti e omogeneamente miscelati

nella buca d’impianto o, in casi particolari interrati su tutta la superficie destinata alla piantagione, eserciti effetti positivi sulla struttura, sul drenaggio e sulla fertilità chimica del substrato, con riflessi sulla fisiologia della pianta, soprattutto in terreni le cui caratteristiche di base sono scadenti. Questi positivi effetti possono, tuttavia, non essere sempre evidenti nel breve termine poiché gli ammendanti agiscono migliorando la fertilità fisica del suolo e la loro azione può essere rallentata dalle concimazioni d’impianto o dal fatto che le piante messe a dimora impiegano 1-2 anni per completare l’attecchimento e riprendere un adeguato tasso di crescita (Ferrini et al., 2000, 2005). Riguardo alla quantità di ammendanti da aggiungere esistono alcuni riferimenti in letteratura che indicano una percentuale variabile in funzione del substrato di origine, ma comunque non inferiore al 35% per volume di suolo, relativamente all’aggiunta di compost (5-10% in peso) e 50-60% (o anche più) nel caso di aggiunta di sabbia. Se la quantità di ammendante, soprattutto sabbia, è limitata, il risultato ottenuto potrebbe essere anche peggiore del substrato originale (Spomer, 1983; Watson e Himelick, 1997; Harris et al., 2004). Nei casi in cui la percentuale di argilla sia superiore al 35%, anche l’aggiunta di elevate quantità di ammendante potrebbe rivelarsi inefficace.

Esistono diversi tipi di ammendanti variabili per composizione e per gli effetti che essi determinano sul substrato di piantagione.

Compost

Per quanto riguarda l’uso di compost in ambiente urbano, i riferimenti bibliogarfici indicano una risposta ai vari tipi di compost non sempre significativamente positiva, perché questi sembrano essere un fattore di minore importanza rispetto alla preparazione della buca d’impianto e alle cure post-trapianto. È tuttavia da sottolineare che i risultati positivi ottenuti sono soprattutto relativi a piantagioni in zone degradate, dove questo gruppo di sostanze ha mostrato una certa efficacia, per lo meno nel breve termine3(Ferrini et al., 2005). Da ricerche in corso in Italia è emerso che l’aggiunta di compost alla buca d'impianto ha determinato effetti positivi soprattutto nella stagione seguente l’impianto, probabilmente dovuti alla maggior capacità di trattenuta dell'acqua che consente di mitigare gli stress idrici particolarmente esiziali nelle prime fasi di crescita a dimora.

3

Un’ottima e sintetica disamina sull’argomento, con numerosi riferimenti bibliografici è presente in Watson e Himelick (1997).

Acidi umici e leonardite

Verso la fine degli anni ‘90 una certa attenzione è stata rivolta agli acidi umici e ai loro derivati naturali e sintetici come ad esempio la leonardite. La leonardite è una forma ossidata di carbone lignitico: un vecchio lavoro sulla sua composizione chimica ha evidenziato che è composta principalmente – 80% circa – da acidi umici.

Secondo alcune teorie, sembra che questi prodotti, entrando nella pianta in stadi precoci di sviluppo, rappresentino una fonte supplementare di polifenoli, i quali, funzionando come catalizzatori della respirazione, stimolano l’attività enzimatica, per cui la divisione cellulare è accelerata ed i processi metabolici aumentano di velocità. È stata inoltre verificata nelle piante una maggiore resistenza alla siccità, al gelo e un maggior accumulo di sostanza secca. Le ricerche sugli effetti determinati da questi prodotti sono, tuttavia, relative soprattutto a specie ortive ed erbacee, mentre resta ancora da provare la loro efficacia in ambiente urbano. Alcuni dati relativi ad una sperimentazione in corso non hanno finora evidenziato differenze significative sulla fisiologia dell’albero derivanti dall’uso di questi prodotti (Ferrini et al., 2005).

Inoculi micorrizici e biostimolanti

In suoli naturali o scarsamente antropizzati sono presenti una enorme quantità di microrganismi, alcuni dei quali sono agenti patogeni, altri sono indifferenti, altri ancora benefici per i vegetali che occupano il medesimo areale. Tra questi ultimi, le micorrize sono funghi in grado di instaurare con la piante rapporti di simbiosi mutualistica. Secondo alcuni autori, l’associazione simbiotica pianta – micorriza è uno dei principali successi della natura in oltre 460 milioni di anni di storia e di evoluzione. Ciascuna specie arborea presenta, in ambienti naturali, associazioni mutualistiche con una o più specie di micorrize specifiche, con cui il vegetale si è co-evoluto. È ormai risaputo come la simbiosi con le micorrize incrementi, per effetto delle ife fungine, la superficie assorbente radicale e come questo, a sua volta, migliori la tolleranza della pianta allo stress idrico. La simbiosi modifica profondamente la morfologia degli apparati radicali e la fisiologia dell’assorbimento di acqua e minerali, inducendo anche alcune positive alterazioni funzionali della rizosfera, ovvero la zona di suolo direttamente influenzata dall’attività della radice. Gli effetti della micorrizazione sull’assorbimento minerale sono, in parte, già abbondantemente studiati: di primaria importanza è il miglioramento della nutrizione fosfatica a causa dell’aumento del fosforo disponibile per la pianta. Questo elemento, fondamentale per il metabolismo energetico, è spesso presente nei nostri suoli, ma

si trova, in larga parte, in forma non disponibile per la pianta a causa di fenomeni di insolubilizzazione dovuti in larga parte al pH. Numerosi studi evidenziano come le piante micorrizzate possono utilizzare forme di fosforo, che, in assenza di simbiosi risultano non disponibili. Oltre al fosforo, le ife fungine svolgono un importante ruolo nell’incrementare l’assorbimento di macro- e microelementi, come NH4+, NO3-, Ca2+, K+, SO4-, Fe, Zn, Cu. Il migliore assorbimento di acqua e minerali genera, secondo alcuni autori, effetti positivi anche a livello degli scambi gassosi fogliari e della produzione di biomassa. Di non secondaria importanza è l’aumento della tolleranza delle piante micorrizate a stress osmotici: giovani alberi di olivo si sono dimostrate molto più tolleranti alla salinità nel terreno in seguito alla micorrizazione con Glomus mossae, che ha determinato un aumento del tono osmotico cellulare in seguito a miglior assorbimento di calcio e potassio.

Le modificazioni fisiologiche che avvengono nella rizosfera in seguito all’infezione micorrizica, quale, per esempio, una differente produzione di essudati radicali, generano cambiamenti nelle popolazioni microbiche della rizosfera stimolando, generalmente, quei componenti della microflora batterica che sono antagonisti ai patogeni radicali e riducendo, così, in modo naturale, l’insorgenza di fitopatie.

A fronte di quanto detto sembra che le micorrize siano un prezioso alleato naturale in grado di migliorare alcuni aspetti fisiologici fondamentali per gli organismi vegetali. In suoli fortemente antropizzati, come quello urbano, o artificiali, come i substrati alleggeriti comunemente utilizzati in florovivaismo, esse, però, non sono presenti o lo sono in quantità estremamente scarsa. La pianta, non potendo beneficiare della simbiosi, vede alcune sue performance fisiologiche ridotte. Per mantenere una buona vigoria e un soddisfacente stato di salute, è necessario ricorrere, in vivaio, a composti chimici (fertilizzanti, anticrittogamici) con conseguente run-off di prodotti di sintesi e problemi ambientali che essi determinano. L’inoculo artificiale di micorrize in vivaio, sia di piante allevate in pieno campo, sia in contenitore potrebbe ripristinare la naturale simbiosi ed incrementare lo stato di salute delle piante, riducendo nel contempo l’input di sostanze chimiche e di acqua richiesto per l’ottenimento di un prodotto vendibile. Inoltre, la pianta conserva le micorrize anche dopo il trapianto e queste costituiscono un valido aiuto per un migliore attecchimento ed una veloce ripresa dopo l’impianto in ambienti difficili. In letteratura, tuttavia, si ritrovano pareri discordanti a proposito. In particolare, l’uso di prodotti commerciali e di cocktail contenenti micorrize generiche, fertilizzanti e biostimolanti, fornisce risultati generalmente poco soddisfacenti. Altri autori,

utilizzando sia micorrize commerciali, sia micorrize specifiche, hanno ottenuto un elevato tasso di infezione e misurato incrementi di crescita, di area fogliare e di scambi gassosi rispetto alle piante non micorrizate. La “specificità” di un inoculo micorrizico si riferisce al fatto di inoculare, in vivaio, una data specie vegetale utilizzando funghi ottenuti dalla medesima specie cresciuta in un ambiente naturale con condizioni ambientali e podologiche simili a quelle in cui è situato il vivaio. I prodotti commerciali, al contrario, non si basano sulla specificità del rapporto pianta – fungo, ma utilizzano ceppi fungini ad alta infettività, a prescindere dalla specie da inoculare. Agendo così, però, non viene considerata la specificità del rapporto co-evolutivo tra specie vegetale e specie fungina e, in molti casi, si assiste ad una ridotta infezione del fungo nelle cellule radicali ed a benefici del tutto trascurabili. Sebbene l’esame di risultati ottenuti in letteratura indichi la necessità di ulteriore ricerca, questa va indirizzata verso l’uso di inoculi specie - specifici, piuttosto che verso preparati commerciali generici.

Sull’uso di inoculi micorrizici sono in corso alcune sperimentazioni volte a verificare la loro reale efficacia in ambiente urbano i cui risultati saranno disponibili nel giro di qualche anno.

Per quanto riguarda l’uso dei cosiddetti biostimolanti, è da sottolineare che esistono in commercio formulati di vario tipo – batterici o micorrizici o batterici e micorrizici – ai quali sono aggiunti acidi umici, aminoacidi, zuccheri naturali, estratti di alghe e di Yucca solubili, ecc. Tali prodotti sono, in genere, “specie-specifici”, cioè adatti a determinate piante ospiti e a determinate situazioni ed appaiono in grado di migliorare la crescita dell'albero. In particolare, alcuni incrementano la capacità di ripresa dell’apparato radicale soggetto a trapianto o danneggiato, favorendone l'aumento della massa e la resistenza a vari fattori, come gli stress – idrico e da temperature elevate – e il freddo. Essi, inoltre, aumentano anche la disponibilità degli elementi nutritivi, con un minore rischio di fallimento dell'impianto di alberi adulti, cosa piuttosto frequente nell’ambiente urbano. Risultati preliminari di ricerche condotte nel nostro Paese hanno evidenziato un’influenza positiva di questi prodotti sul superamento dello stress da trapianto, sulla crescita e sulle caratteristiche ecofisiologiche delle piante soprattutto in aree particolarmente sfavorite, dove la loro azione può esplicarsi in un aumento degli scambi gassosi delle foglie con riflessi positivi sulla crescita vegetativa di alberi di Quercus robur L. (Ferrini e Nicese, 2002), mentre la loro applicazione su altre specie non ha fornito risultati soddisfacenti (Ferrini, 2006).

Substrati artificiali (soil mixes)

La compattazione del suolo, necessaria per creare un sufficiente supporto alle pavimentazioni stradali ed ai marciapiedi, è un fattore che, come ampiamente dimostrato, deprime la crescita degli alberi fino a comprometterne, in casi estremi, la vitalità. Per questa ragione alcuni studiosi hanno messo a punto dei substrati artificiali che, pur mantenendo una elevata capacità di carico, consentano allo stesso tempo la crescita delle radici.

Già alla fine degli anni 50, l’Università di California pubblicò un manuale in cui venivano forniti alcuni suggerimenti sulla composizione dei susbstrati artificiali che, tuttavia, consistevano essenzialmente di una combinazione di sabbia grossolana (0,5-1 mm) e materiale organico (50:50 o 75:25) con l’aggiunta di piccole percentuali di argilla o limo (max 5%). In Francia, venti anni fa, fu realizzato un substrato fatto di un miscuglio di terra, per il 50%, e di ghiaia, per l'altro 50%: tra la terra fine e la ghiaia si verifica “rottura di granulometria”, che è il primo modo di ridurre la compattazione. Attualmente la ricerca si è orientata verso altri tipi di “mixes” che, oltre a creare un buon substrato per le piante, costituiscono una solida base per pavimentazioni e per marciapiedi. Questi “mixes” sono, in linea generale, costituiti da una matrice sassosa, da suolo che si insinua fra i pori della matrice e da un legante artificiale costituito da un idrogel artificiale. I risultati ottenuti confermano che a parità o, addirittura, con densità del terreno maggiori, si riesce ad ottenere uno sviluppo radicale notevolmente maggiore, il che ha, chiaramente, riflessi positivi sulla crescita delle piante (Grabosky e Bassuk, 1995; Randrup, 1997; Kristoffersen, 1998).

I substrati artificiali hanno, infine, dimostrato che, qualora si provveda un adeguato rifornimento idrico, non si ha alcun effetto deprimente sull’attività delle piante, dovuto a problemi di siccità causati da un eccesso di percolazione delle acque. In ambienti fortemente urbanizzati è applicata una tecnica interessante, cioè la costituzione di un piano radicale; a tale scopo viene eseguito uno sbancamento del marciapiede per 2 m di larghezza e per 60-80 cm di profondità; la fossa viene riempita con una miscela di terra e pietre, viene passato sopra il rullo compressore ed il piano viene strutturato a norma di legge per sopportare carichi in transito. Fatto questo, si scava una fossa di un metro cubo nella quale si posiziona l’albero, poi si riempie con terra normale. In questo modo, l’apparato radicale in 2-3 anni avrà colonizzato il metro cubo e comincerà ad accrescersi sotto tutta la superficie del marciapiede. Quando avrà colonizzato anche questo volume, all’età di 8-10 anni, si arrangerà da sola: raggiungerà le condotte di acqua pluviale, quelle fognarie, le altre condutture della

luce, del gas, ecc. A questo punto l’albero avrà “preso confidenza” con il suo ambiente e potrà svilupparsi equilibratamente (Raimbault, 1996).

Negli Stati Uniti sono stati condotti degli studi al fine di creare un nuovo suolo per gli alberi urbani – tale da aumentare il volume di diffusione delle radici delle piante – pur restando un compatto e sicuro supporto di marciapiedi e pavimentazioni. Ciò è stato compiuto modellando una matrice di roccia e trattenendo il suolo all'interno dei pori della matrice con l'aiuto di un agente collante fatto di polimeri idrofili cristallizzati.

Usando tre tipi di pietra e diverse proporzioni tra pietra e suolo il substrato suolo-pietra compatto – con densità maggiore di 1,7 g/cm³ – faceva aumentare la crescita delle radici fino al 320% rispetto al controllo di argilla sabbiosa compatta, con densità di circa 1,3 g/cm³ (Grabosky e Bassuk, 1995).