5 LA FITORIMEDIAZIONE DEI SUOLI INQUINATI E LA DEPURAZIONE DELLE ACQUE
5.2.2 Selezione, progetto e sviluppo di un sistema di fitorimediazione
Esistono tutta una serie di informazioni che dobbiamo prendere in considerazione se decidiamo di rendere operativo un sistema di fitorimediazione; infatti questa tecnica deve essere basata su una attenta e rigorosa valutazione di diversi parametri, quali:
• considerazioni sul tipo di inquinanti presenti nel sito da bonificare e loro relative concentrazioni,
• specie di piante da utilizzare e loro caratteristiche,
• considerazioni sul sito sul quale vogliamo agire e parametri ambientali della zona.
L’applicabilità della fitorimediazione è stata studiata per alcune delle più significative e diffuse classi di inquinanti: gli organici, gli inorganici e le miscele di più contaminanti. La maggior parte della ricerca ha focalizzato l’interesse su classi individuali di contaminanti e non su miscele di questi. Sebbene ci siano alcune prove che le piante possano tollerare miscele di contaminanti organici e non, non è stato approfondito se una specie possa, con successo, rimediare siti in tal modo inquinati. L’uso di differenti specie, ciascuna delle quali usata per rimediare un diverso contaminante, potrebbe essere richiesta sia contemporaneamente che in sequenza. La fitorimediazione è più appropriata per aree molto vaste, con una concentrazione di inquinanti non troppo elevata; questo perché si potrebbero venire a creare problemi di tossicità sulla pianta o danni allo sviluppo e alla crescita. La concentrazione di contaminante limite per il successo della fitorimediazione deve essere determinata in paragone con quella che può essere rimediata da altre tecnologie di bonifica. Tuttavia le zone a più alta densità di contaminazione potrebbero venir trattate con altre tecniche più invasive come l’escavazione o altri trattamenti. Il terreno contaminato deve essere a contatto dell’apparato radicale, in modo tale che ci possa essere un impatto diretto radice-inquinante. Talvolta si può verificare che i composti inquinanti invecchiati nel suolo possono diventare meno disponibili per la pianta. Questo fenomeno può, da una parte, diminuire la loro fitotossicità, ma dall’altra ridurre l’efficienza delle tecnologie di fitorimediazione basate sull’assorbimento dei contaminanti da parte delle specie vegetali. Quindi, per giudicare le effettive potenzialità di un sistema di fitorimediazione, è necessario che le prove siano fatte su suoli contaminati provenienti dal sito da bonificare e non su terreni puliti contaminati solo in seguito. Il tipo di contaminante, il suo pH, la sua forma fisica, la densità e la miscela con altri contaminanti hanno un ruolo fondamentale sui movimenti dell’acqua e dell’aria e sull’assorbimento dei nutrienti necessari per la crescita della pianta (EPA, 2000).
L’obiettivo del processo di scelta delle specie vegetali è quello di utilizzare piante che: • siano dimostrate adatte o promettenti per la fitorimediazione;
• siano specie capaci di crescere ed adattarsi alle condizioni locali;
• siano piante con caratteristiche simili a quelle locali, selezionate attraverso ricerche, studi in laboratorio o serra.
Per quanto riguarda l’apparato radicale quello che meglio si presta per la bonifica è di tipo fibroso, esteso, che presenta numerose fini radichette a stretto contatto col suolo. La profondità delle radici può variare molto tra specie e specie, ma ci possono essere anche differenze all’interno della stessa specie dovute alle condizioni locali, quali la quantità di acqua e la sua profondità nel suolo, la struttura, la densità e la fertilità del terreno, la pressione della massa vegetale ed altri fattori.
La maggior parte della massa delle radici si trova nella zona superficiale del terreno, mentre una parte meno consistente si spinge più in profondità. La zona di suolo da bonificare generalmente non dovrebbe superare la profondità delle radici; un’eccezione può essere fatta se si verifica che i contaminanti subiscano un movimento verso l’alto e che gli essudati radicali possano essere trasportati più in profondità. L’effettiva profondità di fitorimediazione della maggior parte di piante erbacee sembra essere solo di 30-60 centimetri, mentre per quanto riguarda specie legnose si arriva anche fino a 3-6 metri.
L’andamento della crescita di una pianta è direttamente connesso con le sue capacità di rimediazione e varia a seconda della tecnica di fitorimediazione che si intende utilizzare. Per la rizodegradazione, rizofiltrazione e fitostabilizzazione, per esempio, è auspicabile avere una crescita veloce in termini di profondità radicale, densità, volume ed estensione laterale. Per la fitoestrazione, invece, si preferisce avere una veloce espansione della parte aerea. Un grande sviluppo radicale ed un’ampia biomassa sono desiderabili per aumentare l’assimilazione, l’accumulo e l’eventuale metabolizzazione dei contaminanti, per avere una più abbondante traspirazione e per la produzione di quantità più consistenti di essudati ed enzimi. Una crescita veloce, inoltre, diminuisce il tempo richiesto per ottenere un ampio sviluppo della biomassa della pianta e quindi una più veloce rimediazione del suolo. Le piante iperaccumulatrici di metalli sono capaci di accumularne alte concentrazioni; tuttavia la loro normalmente ridotta biomassa e la crescita piuttosto lenta, hanno il risultato di rimuovere in definitiva solo basse quantità di inquinanti.
Nella fitoestrazione è quindi importante considerare sia la quantità di metalli accumulati nella pianta, sia la quantità di biomassa prodotta in un determinato intervallo di tempo. Una pianta che estrae
basse concentrazioni di metalli ma che è dotata di una biomassa superiore a quella di molte iperaccumulatrici è da preferire in quanto, alla fine, la quantità totale di metalli rimossi è più alta nel secondo caso. Infatti per la fitorimediazione le scelte sulle piante da utilizzare si stanno sempre più orientando verso specie legnose quali, per esempio, il pioppo che cresce piuttosto velocemente arrivando anche fino a 2,5-5 metri l’anno.
Da valutare anche il “fattore di accumulazione” (BAF, biological adsorbtion factor) che indica la quantità di metallo contenuta nei tessuti della pianta in relazione a quella del suolo. La quota di traspirazione della vegetazione è anch’esso un parametro importante, che deve essere preso in considerazione soprattutto per quelle tecniche di fitorimediazione che implicano l’assorbimento di sostanze inquinanti. La traspirazione dipende da fattori quali la specie, l’età, la massa, le dimensioni, l’area fogliare, la copertura e tutti i fattori legati alle condizioni ambientali. È importante fare una stima accurata della quantità di acqua traspirata dalle piante; un metodo può essere quello di calcolare la dose di acqua consumata in una data area di vegetazione.
Un altro fattore da considerare durante la selezione delle piante o dei semi utilizzati è la loro fonte di provenienza. È importante che questi abbiano un’origine geografica piuttosto ampia ed è consigliabile utilizzare semi o piante (e varietà) che siano locali o provenienti dalle regioni da bonificare, in modo tale che siano già ben adattate alle particolari condizioni climatiche. Inoltre il materiale utilizzato deve essere di alta qualità e certificato. Tra le specie considerate si possono verificare fenomeni di allelopatia. Questo fenomeno si riferisce all’inibizione della crescita di una pianta, dovuta alla presenza di composti chimici prodotti dalle differenti specie di piante. Gli effetti dell’allelopatia devono essere investigati quando abbiamo la convivenza di molte specie diverse, per garantire che una non impedisca la crescita dell’altra. Gli effetti dell’allelopatia possono anche essere dovuti a residui di piante, incorporati nel terreno, in attesa di aumentare la fertilità del suolo. Il fenomeno dell’allelopatia serve inoltre per avere indizi utili su particolari specie di piante. I composti chimici prodotti dalle piante sono studiati per determinare se idonei al substrato chimico per i cometaboliti microbici dei suoli contaminati.
La zona che ospita un progetto di fitorimediazione deve essere sufficientemente spaziosa e non devono essere presenti su questa strutture o altre costruzioni, che potrebbero interferire con la vegetazione. In caso contrario dovremmo provvedere ad eliminare materiale e detriti non desiderati. Tutto intorno al perimetro dovrà essere eretta una struttura di protezione, in modo tale che eventuali animali non possano danneggiare suolo e vegetazione.
È molto importante, prima di avviare un progetto, conoscere quale sarà la destinazione del sito rimediato e quali devono essere i tempi di esecuzione. Se l’utilizzo del terreno deve essere a breve termine utilizzeremo piante a crescita veloce e che possano esplicare le loro doti di accumulatrici nel minor tempo possibile. Sul sito vengono applicati diversi criteri di rimediazione e diversi tipi di controllo a seconda che il terreno sia destinato ad uso industriale, residenziale, oppure agricolo. Infatti nel secondo caso bisogna prestare maggiore attenzione alla completa rimediazione, in modo tale che non permangano residui di contaminanti, che potrebbero facilmente entrare nella catena alimentare. I fattori climatici non possono essere previsti e quindi, di conseguenza, nemmeno controllati completamente. Come un complesso sistema biologico anche un sistema di fitorimediazione può essere duramente colpito da agenti climatici estremi; questa possibilità deve essere considerata durante il progetto delle attività di bonifica.
Precipitazioni: la quantità e la frequenza di pioggia e neve influiscono sulla preparazione del suolo, sul periodo di piantagione e sulla necessità o meno dell’irrigazione.
Temperatura dell’aria: la media, gli estremi e le fluttuazioni della temperatura dell’aria possono interferire con la crescita della pianta.
Luce solare: la quantità di luce è un fattore fondamentale per la crescita delle piante, la temperatura dell’aria e l’evapotraspirazione. Condizioni di ridotta lunimosità possono influire sui processi di crescita ( si pensi alla presenza di ombra in prossimità di fabbricati o di altra vegetazione)
Ombra: la quantità di ombra dovuta alla presenza di fabbricati vicini o altra vegetazione può influire sulla crescita.
Lunghezza del periodo vegetativo: il processo di fitorimediazione è più attivo durante il periodo di crescita della pianta, quindi la lunghezza del periodo vegetativo è un fattore determinante per la scelta della zona.
Vento: la quantità di vento influisce sull’evaporazione, può danneggiare le piante e disperdere sostanze volatili o detriti. In caso di vento molto forte devono essere installati dei frangivento.
Il drenaggio dell’acqua superficiale ed i suoi movimenti influiscono sul periodo delle lavorazioni, sulla temperatura del suolo e sulla stabilità di piante, suolo e semi. Lo smaltimento delle acque sotterranee invece è determinante per la temperatura del suolo e per le riserve idriche dell’appezzamento. Un drenaggio artificiale potrebbe rendersi necessario per il successo delle
tecniche di fitorimediazione. Anche l’irrigazione è spesso necessaria durante la bonifica, per cui il volume, il costo, la qualità e la quantità dell’acqua sono tutti fattori che devono essere considerati. Tutti i parametri che normalmente vengono presi in considerazione per la corretta riuscita di un sistema agricolo, devono essere considerati anche per la fitorimediazione. Nel secondo caso, inoltre, bisogna considerare anche la presenza delle sostanze inquinanti che rendono sicuramente più difficile e critico il controllo di questi fattori.
Prima di fare la selezione delle piante dobbiamo considerare:
• il suolo deve avere un pH idoneo alla crescita delle piante; se così non fosse dobbiamo modificarlo con l’utilizzo di ammendanti chimici;
• il suolo deve essere fertile ed avere un contenuto di nutrienti elevato;
• la struttura del terreno, lo strato di suolo coltivabile, la salinità, il contenuto in acqua e la porosità, che influenza l’areazione;
• la tessitura del suolo, che determina il contenuto di vapore acqueo e il drenaggio; • la temperatura del suolo, che è strettamente collegata con la germinazione dei semi.
La quantità di massa vegetale da asportare dipende dal tipo di fitorimediazione utilizzato. Per un sistema che prevede una lunga permanenza delle specie vegetali sul sito (per esempio l’uso di specie arboree) non è necessario stilare un piano annuale di rimozione del materiale. Tuttavia in ogni sistema di fitorimediazione è necessario rimuovere occasionalmente piante morte o malate, foglie, rami caduti e materiali di potatura, in modo da mantenere alta l’operatività del sistema.
Il materiale contaminato ha bisogno di essere raccolto, accumulato e stoccato se necessario. Questo è importante per confermare che i residui vegetali non contengano nessuna sostanza pericolosa. In seguito vengono compostati o lavorati possibilmente sul posto; se questo non fosse possibile vengono trasportati altrove. L’efficienza di alcune tra le tecniche di fitorimediazione, come la fitoestrazione e la rizofiltrazione, dipende dalla periodica rimozione di materiale vegetale. In questi casi una corretta raccolta, lo stoccaggio e lo smaltimento della biomassa contaminata saranno necessari per prevenire potenziali rischi, quali l’entrata di sostanze tossiche nella catena alimentare. La fitorimediazione potrebbe anche essere considerata come una parte della sequenza di trattamenti che vengono fatti su un sito contaminato. Pretrattamenti di suoli ed acque potrebbero essere necessari prima dell’applicazione di questa innovativa forma di bonifica. Potrebbe anche essere usata come lo scalino finale per diminuire le concentrazioni di contaminanti preventivamente ridotte da altre
tecniche di rimediazione quali, per esempio, l’escavazione di suoli altamente inquinati. Inoltre sarebbe necessario disporre di altre tecniche alternative alla fitorimediazione da poter prontamente utilizzare ogni volta che questa non possa essere garantita come, per esempio, nel corso dell’inverno, quando la crescita delle piante è rallentata o nel caso di danni dovuti a malattie o animali.In generale, tuttavia, per adesso la fitorimediazione è stata studiata come una tecnica a se stante, che ancora si integra poco o per niente con altri metodi di rimediazione (EPA., 2000).
5.3 GRADO DI TRASFERIBILITÀ DELLE RICERCHE
Fra i trattamenti di bonifica in situ si distingue la fitorimediazione che, come già detto, fa ricorso all’utilizzo di specie vegetali per decontaminare suoli, sedimenti ed acque inquinanti (Chaney et al., 1997) da sostanze di natura organica ed inorganica (Salt et al., 1995a). Molti lavori hanno dimostrato che specie selezionate di piante hanno la capacità di rimuovere, degradare, metabolizzare o immobilizzare una vasta gamma di contaminanti rendendole potenzialmente applicabili al risanamento di siti inquinati (Bresciani et al, 2004).
La scelta delle specie vegetali da impiegare nella fitorimediazione è subordinata a diversi fattori che includono l’efficacia decontaminante e il buon adattamento alle condizioni del sito su cui si interviene. Per questo motivo, avere a disposizione una vasta gamma di specie adatte a questo scopo è fondamentale per la fitorimediazione che si sta sempre più diffondendo grazie anche ai costi vantaggiosi rispetto alle altre tecnologie disponibili.
Ultimamente un forte interesse è stato rivolto allo studio di piante legnose (alberi ed arbusti) con sviluppo elevato, grande produzione di biomassa ed un apparato radicale sviluppato e profondo con maggiori capacità di entrare in contatto con i contaminanti del terreno, soprattutto anche in vista di un ritorno economico con lo sfruttamento della biomassa prodotta (Kumar et al., 1995; Raskin et al., 1997; Bridgewater et al., 1999; Blaylock e Huang, 2000; Garbisu e Alkorta, 2001; Iyer et al., 2002; Singh e Ghosh, 2003).
Le ricerche portate avanti nell’ambito del progetto RISVEM, oltre a soffermarsi sullo studio di nuove specie adatte alla fitorimediazione, hanno cercato di prendere in considerazione piante che bene si adattano alle condizioni pedo-climatiche del nostro ambiente.
La prima sperimentazione ha avuto lo scopo di esaminare l’efficacia di due specie aromatiche (Hyssopus officinalis L. e Satureja montana L.), diffuse nell’ambiente mediterraneo, nella rimozione
di zinco e cadmio in terreni contaminati da questi metalli pesanti. Ricerche sul contenuto di inquinanti nelle piante ad uso alimentare hanno infatti evidenziato come le erbe aromatiche presentino spesso livelli di metalli pesanti superiori a quelli di altre piante (Sovljanski et al., 1992; Dwivedi e Dey, 2002). In più, qualcuna di queste specie ha mostrato buoni gradi di tolleranza crescendo in suoli contaminati, suggerendo la possibilità di un loro utilizzo nella fitorimediazione (Scora e Chang, 1997; Jeliazkova e Craker, 2002; Zheljazkov e Barman, 2003; Zheljazkov et al., 2005). Attualmente non esistono studi sulla potenzialità di impiego delle aromatiche nella fitorimediazione, ma la buona resistenza alle avversità ambientali che caratterizza queste specie potrebbe comprendere la capacità di tollerare i metalli pesanti.
Partendo da queste considerazioni, la sperimentazione è stata sviluppata per valutare l’accumulo di zinco e cadmio in piante di Hyssopus officinalis L. e Satureja montana L., a concentrazioni diverse dei due metalli pesanti, iniziando ad esplorare la possibilità di impiegare queste due specie mediterranee per scopi fitorimediativi anche utilizzando chelanti organici come l’acido citrico.
Dai risultati ottenuti si può affermare che le due specie non hanno mostrato sintomi particolari di tossicità o diminuzioni di crescita. La misura della biomassa prodotta dalle piante è infatti un valido strumento per valutare lo stato di salute delle piante quando crescono in presenza di metalli pesanti rispetto al controllo. Questo primo risultato è già interessante, in quanto mostra un’elevata tolleranza delle due specie ai contaminanti e quindi la possibilità di utilizzarle in ambienti inquinati o comunque soggetti a difficili condizioni ambientali.
Inoltre, issopo e santoreggia, hanno mostrato una capacità di assorbimento ed accumulo, in quantità interessanti, sia di zinco che di cadmio, senza attuare quei meccanismi di esclusione degli inquinanti, tipici invece di numerose specie vegetali.
I risultati hanno permesso di ricavare informazioni utili sia in vista di sperimentazioni future, sia per possibili applicazioni su scala reale. Il processo di accumulo è risultato relativamente lento, mentre l’aggiunta di acido citrico al substrato ha incrementato notevolmente l’assorbimento del metallo, soprattutto ad alte concentrazioni di cadmio nel substrato, confermando i dati ottenuti da diversi studi condotti su piante aromatiche e medicinali (Al-Saleh e Chudasoma, 1994; Scora e Chang, 1997; Zheljazkov et al., 2005; Mamani et al., 2005) che mostravano alte concentrazioni di metalli tossici se cresciute spontaneamente in suoli contaminati.
Il calcolo del Coefficiente di Assorbimento Biologico (concentrazione totale dell’elemento nella pianta in rapporto alla quantità dello stesso nel suolo (Kovalevsky, 1969)) ha poi fornito un’idea
sulla capacità di assorbimento delle due specie testate. I valori del BAC indicano che issopo e santoreggia hanno un assorbimento di tipo intermedio verso zinco e cadmio. La presenza di citrato ha fatto quasi raddoppiare il valore del Coefficiente di Assorbimento Biologico confermando l’effetto positivo dell’acido nel rendere disponibile il metallo all’assorbimento da parte delle piante.
Se la prima sperimentazione ha preso in considerazione specie perenni tipiche dell’ambiente mediterraneo, con basso fabbisogno idrico e poco esigenti in cure colturali, il lavoro è proseguito con la ricerca di specie vegetali che più si avvicinassero alle caratteristiche necessarie per un impiego nella fitorimediazione. Per questo motivo sono state condotte prove di accumulo e traslocazione di zinco in piante appartenenti alla specie Paulownia tomentosa Steud.
In Italia P. tomentosa è prevalentemente coltivata con finalità ornamentali, anche se negli ultimissimi anni si sta espandendo la coltivazione orientata alla produzione di legno di pregio (Mezzalira e Brocchi Colonna, 2002). Sebbene non sia disponibile per questa specie la vastità di ricerche in ambito fitorimediativo propria di altre piante, P.tomentosa risulta comunque molto promettente per l’impiego in siti contaminati da metalli pesanti: alla capacità di tollerarli ed assorbirli unisce infatti tassi molto elevati di crescita (in 5 anni raggiunge i 2 – 3 m, in 20 – 25 anni i 10 – 12 m); non si tratta di un iperaccumulatore, ma la grande produzione di biomassa in breve tempo rende possibile un’asportazione degli inquinanti non trascurabile. L’ampio sviluppo del sistema radicale consente di raggiungere i contaminanti in profondità, e l’elevata traspirazione dalla chioma rende la pianta un’efficiente “pompa” capace di trasportare al suo interno grandi quantitativi di acqua, e di depurarla.
Le prove sono state condotte presso il dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze, a Sesto Fiorentino (FI). Piantine di Paulownia tomentosa sono state allevate in idroponica in vasche a differenti concentrazioni di zinco. Dalle analisi di crescita è stato riscontrato che le piante cresciute nella soluzione contenente zinco non hanno mostrato differenze significative rispetto al controllo fino a concentrazioni di zinco pari a 1000 µM. Lo stesso per quanto riguarda area fogliare, lunghezza degli internodi e scambi gassosi.
Dai risultati ottenuti con le analisi chimiche dei tessuti vegetali possiamo affermare che la Paulownia mostra una spiccata tolleranza verso la presenza dello zinco in soluzione, evidenziando anche una buona capacità di assorbimento del metallo nell’apparato radicale e una buona attività di traslocazione dello stesso nella parte area della pianta. Analizzando, infine, i valori del Coefficiente
di Assorbimento Biologico tutte le piante di Paulownia, cresciute alle diverse concentrazioni di zinco, hanno indicato un assorbimento di tipo forte.
Al termine della ricerca, i risultati hanno mostrato come Paulownia tomentosa possa considerarsi una specie utilizzabile in siti contaminati da metalli pesanti. Inoltre, risponde in maniera soddisfacente ai