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L’Atlantico portoghese

L’Atlan ti co portoghese presenta caratteristiche diverse da quello spagno- lo. In primo luogo perché, già dalla metà del Cinquecento, i portoghesi avevano stabilito insediamenti in tre continenti: Africa, Asia e America. Si trattava naturalmente di insediamenti molto diversi l’uno dall’altro e le loro caratteristiche dipendevano essenzialmente dagli obiettivi dell’espan- sione, ma anche dalle varie realtà politiche, culturali e sociali che i lusitani trovarono nei vari territori. In Asia, ad esempio, i portoghesi entrarono in contatto con grandi imperi, sofisticate forme di governo, potenti leader locali, religioni già affermate, capacità tecnologiche, sistemi articolati di commercio locale e oceanico e con società già differenziate da complesse divisioni e gerarchie. In America, invece, i portoghesi incontrarono popo- lazioni nomadi o seminomadi, i cui metodi di governo, costumi, gerarchie e pratiche religiose erano sconosciuti e soprattutto incomprensibili per gli europei. Inoltre, come abbiamo già visto, tali popolazioni si rivelarono vulnerabili, contrariamente agli asiatici e agli africani, alle malattie euro- pee. Tuttavia, la diversità tra gli insediamenti dipendeva anche da alcune caratteristiche della madrepatria: il Portogallo era infatti un piccolo paese con un numero ridotto di emigranti e coloni, con finanze limitate e di conseguenza senza una politica coloniale chiara e lungimirante da parte della corona. Quest’ultimo aspetto permise comunque ai portoghesi di rispondere con estrema flessibilità e adattabilità alle diverse situazioni e sfide che incontrarono nei vari territori e di mantenere buona parte del loro impero per quattro secoli23.

La varietà degli insediamenti lusitani caratterizza l’Atlan ti co portoghe- se rispetto a quello spagnolo. I portoghesi, infatti, oltre a occupare il Brasi- le possedevano numerose colonie nelle isole e arcipelaghi atlantici e alcuni insediamenti in Africa e, come vedremo, tutti questi territori – grazie alla produzione economica, al commercio, alle migrazioni – erano strettamen- te integrati tra di loro. Il sistema delle donazioni fu lo strumento preferito dai portoghesi per la colonizzazione delle isole atlantiche (Madeira, Az- zorre, Capo Verde, São Tomé) nel xv secolo e del Brasile e dell’Angola nel secolo successivo. Il territorio fu diviso in capitanie (territori molto estesi che andavano dalla costa verso l’interno del paese) assegnate a un dona- tario e ogni donatario era responsabile per lo sfruttamento agricolo delle terre, la riscossione delle tasse, la nomina di giudici, l’istituzione di città e villaggi e la concessione di terre (sesmarias) a individui idonei. Mentre tale

sistema funzionò abbastanza bene nelle isole atlantiche, il suo successo fu molto limitato in Brasile e ancora di più in Angola. A partire dal 1549 la corona portoghese decise quindi di inviare nei territori americani un pro- prio apparato burocratico ed ecclesiastico, ma dovette attendere circa due secoli per recuperare definitivamente il controllo sui territori ancora nelle mani dei donatari e dei loro discendenti.

A causa del fallimento del sistema delle donazioni, la corona decise di inviare in Brasile una flotta composta da sei vascelli. Della spedizione, di 320 persone, facevano parte un governatore, giudici e funzionari del teso- ro, sei gesuiti, oltre che soldati, artigiani e detenuti. La capitale fu stabilita a Salvador, il governo fu finalmente insediato e venne nominato un ve- scovo nel 1551. A tali misure ne seguirono altre volte a promuovere l’im- migrazione, lo sfruttamento agricolo, l’evangelizzazione e pacificazione degli amerindiani. Nella seconda metà del Cinquecento altri insediamenti urbani furono stabiliti lungo la costa da nord a sud; l’unico insediamento interno, San Paolo, doveva la sua esistenza all’iniziativa dei gesuiti. I por- toghesi lasciarono l’esplorazione delle zone interne generalmente ai ma- melucos o mestiços, persone di discendenza europea e amerindiana. Come

nel caso spagnolo, le città furono dotate di consigli municipali (câmaras municipais) che, data l’assenza di istituzioni rappresentative del territorio,

finirono per acquisire un’importanza politica fondamentale, difendendo gli interessi locali, sfidando le autorità coloniali, negoziando con queste l’implementazione delle politiche reali e dirigendo i propri reclami e ri- vendicazioni direttamente al re. Contemporanea a una maggiore istitu- zionalizzazione della colonia fu l’importazione dalle isole atlantiche della produzione della canna da zucchero, per la quale inizialmente si cercò di schiavizzare gli indigeni, mentre in seguito si ricorse in modo sempre più massiccio a manodopera proveniente dall’Africa.

L’unione tra le due corone, portoghese e spagnola, in seguito alla crisi dinastica in Portogallo, fece coincidere le loro rispettive esperienze colo- niali, che per circa sessant’anni andarono così di pari passo. Sebbene il Portogallo rimase un regno separato, conservando quindi le proprie leg- gi e privilegi, fu governato dagli Asburgo spagnoli dal 1580 al 1640 come parte di una monarchia composita “universale”, la cui estensione eccedeva ampiamente i confini dell’Atlan ti co. Anche se le rivendicazioni di Filippo ii sul trono portoghese erano state appoggiate da gruppi interni interes- sati al commercio con l’impero spagnolo e, in special modo, all’accesso all’argento americano, il monarca spagnolo era maggiormente interessato

al commercio delle spezie e all’ubicazione strategica di Lisbona, piuttosto che ai possedimenti atlantici portoghesi, dove l’industria dello zucchero era ancora di modeste dimensioni.

Nonostante i due regni fossero formalmente separati, ci furono nu- merosi contatti e influenze che contribuirono di fatto alla creazione di un vero impero globale24. La riforma asburgica dell’amministrazione e

delle leggi portoghesi portarono infatti alla creazione di un nuovo co- dice giuridico, le Ordinanze Filippine (1603), e le riforme furono estese alle colonie con la creazione di un tribunale simile alle Audiencias ispa-

no-americane. La conquista e colonizzazione delle coste settentrionali e dell’estuario delle Amazzoni fu promossa da Filippo ii in seguito agli attacchi e minacce sempre più pressanti di inglesi, francesi e olandesi. Al- cune truppe spagnole che dovevano raggiungere il Cile e il Río de la Pla- ta si fermarono invece in Brasile per prendere parte ad alcune campagne, come quando nel 1625 una forza composta da truppe portoghesi, spagno- le e napoletane riconquistò la capitale, Salvador, agli olandesi. Minacce comuni meritavano risposte collettive e, per migliorare la sicurezza del Perù, fu fondata nel 1614 Belém. Le speranze di scoprire nuove ricchezze minerarie portò a nuove esplorazioni sia nell’America portoghese che in quella spagnola. Allo stesso modo, le nuove richieste di forza lavoro per le piantagioni brasiliane di zucchero dettero luogo a anomale spedizioni (bandeiras) da San Paolo verso le regioni interne spagnole delle missioni

gesuitiche in Paraguay e nel Río de la Plata, dove furono catturati nume- rosi indigeni guaraní.

I due imperi iberici dell’Atlan ti co furono strettamente legati dall’e- conomia oltre che dalle istituzioni. Il boom dell’economia saccarifera in Brasile avvenne tra il 1580 e il 1630 grazie soprattutto ai legami con i porti africani e le isole atlantiche. I portoghesi o i luso-africani che risiedevano nei porti dell’Angola rifornivano di schiavi Veracruz, Cartagena e Buenos Aires. I contatti tra l’Africa portoghese e l’America spagnola si regolariz- zarono dopo il 1595 grazie alla concessione di una serie di asientos, ossia

contratti esclusivi concessi ai mercanti portoghesi per il rifornimento di schiavi all’America spagnola. Nonostante le lamentele dei commercianti di Siviglia, circa un migliaio di navi evitarono il porto di Siviglia per por- tare schiavi in America e i livelli di contrabbando furono addirittura tre volte più elevati. Sia nell’America spagnola che in quella portoghese, il ra- pido declino della popolazione indigena e i divieti contro la loro schiavitù aumentarono notevolmente la domanda di forza lavoro africana. Durante

questo periodo, circa 750.000 schiavi raggiunsero il Brasile e l’America spagnola come parte di un sistema commerciale più ampio, controllato dai portoghesi, di cui due terzi erano probabilmente “nuovi cristiani”, os- sia ebrei o discendenti di ebrei convertiti al cristianesimo. A partire dalla fine del Cinquecento, infatti, i membri di questa comunità avevano creato un sistema di vincoli familiari ed economici che trascendevano i confini nazionali25.

Se da un lato i portoghesi trassero numerosi benefici commerciali dall’unione con la Spagna, dall’altro ci furono anche dei costi. La guerra con l’Inghilterra (1585-1603) produsse numerose perdite in navi e carichi; quella con i Paesi Bassi determinò invece il divieto di commercio con gli olandesi, tradizionali partner commerciali dei portoghesi. Dopo l’istitu- zione della Compagnia olandese delle Indie occidentali nel 1621, le imbar- cazioni e gli insediamenti portoghesi divennero i principali bersagli degli attacchi olandesi e inglesi. Inoltre, la creazione di una dogana all’interno del Río de la Plata, sempre nel 1621, rese il contrabbando dell’argento più difficile per i commercianti portoghesi. Ma furono soprattutto la con- quista olandese di Pernambuco e del Brasile del nord-est e l’occupazione dei porti schiavisti di El Mina (1641) e Luanda (1641-48) a convincere i portoghesi a ribellarsi all’unione dinastica. Nel 1640, una rivolta guidata da una fazione nobiliare collocò il duca di Braganza sul trono portoghese con il nome di Giovanni iv. La guerra con gli spagnoli, che nel frattempo avevano dovuto far fronte a rivolte anche in altri territori – Catalogna, Napoli, Palermo –, continuò fino al 1688, quando la monarchia spagnola finalmente riconobbe l’indipendenza portoghese. In un certo senso, la vit- toria portoghese fu resa possibile grazie all’industria saccarifera brasiliana e alla tratta atlantica che, anche durante la guerra, producevano ricchezza per il Portogallo e garantivano a quest’ultimo il sostegno delle altre poten- ze europee. Il sistema atlan ti co portoghese sopravvisse quindi al periodo dell’unione delle due corone, ma al costo di concessioni commerciali a favore di Inghilterra e Olanda. Anche se la forza dei due imperi iberici nell’Atlan ti co meridionale si indebolì a vantaggio di altre potenze euro- pee, gli sforzi portoghesi per riconquistare l’indipendenza e salvare così le proprie colonie dimostrarono chiaramente che ormai erano il Brasile e l’Atlan ti co meridionale e non le rotte commerciali dell’oceano Indiano il nucleo strategico dell’impero lusitano26.

A partire dalla metà del Seicento il Brasile divenne dunque il centro de- gli interessi portoghesi. Come vedremo, però, il territorio sudamericano

non può essere separato dagli altri insediamenti portoghesi nell’Atlan ti co poiché gli arcipelaghi, i territori africani e americani e lo stesso Portogallo erano strettamente interdipendenti. Innanzitutto, i portoghesi emigrava- no in tutto l’Atlan ti co e, contrariamente alla prima fase dell’espansione atlantica, tra la metà del xvii secolo e quella del xviii, gli emigranti non erano solo agricoltori o artigiani, ma provenivano da settori con compe- tenze tecniche più specifiche, come commercianti, farmacisti, medici e av- vocati. Inoltre, le famiglie metropolitane inviavano spesso i propri membri nelle città portuali atlantiche con l’obiettivo di far loro acquisire esperien- za e costruire network. Per persone che possedevano capitali o capacità tecniche e professionali, le colonie rappresentavano l’opportunità per conquistare una posizione finanziaria più solida, per acquisire prestigio e rafforzare il proprio status sociale: nei territori coloniali, infatti, coloro che erano nati in Portogallo godevano di un prestigio considerevole, che li aiutava a contrarre matrimonio con i membri delle famiglie più ricche o ad accedere più facilmente alle cariche pubbliche. Il luogo di nascita, l’or- todossia religiosa e la purezza razziale o di sangue (ossia essere bianchi da parte di madre e di padre per più di tre generazioni) erano spesso più im- portanti nelle colonie che nella stessa madrepatria. In Brasile e nell’Africa portoghese, infatti, la gerarchia sociale si basava su un complesso intreccio di fattori tra cui il colore della pelle, le qualità personali e la percezione da parte degli altri27.

Dato l’ambiente ostile degli insediamenti dell’Africa occidentale e cen- trale – a causa del clima e delle malattie – e il sovraffollamento delle isole atlantiche, come Madeira e le Azzorre, molti emigranti portoghesi decise- ro di stabilirsi in Brasile che, durante il xviii secolo, divenne così, nell’im- maginazione popolare, la terra delle opportunità. Tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, i racconti sull’oro brasiliano spinsero molti portoghesi a lasciare la madrepatria e le isole atlantiche per stabilirsi nella colonia sudamericana. Il risultato di queste ondate migratorie fu l’incre- mento della popolazione urbana del Brasile – le città brasiliane erano or- mai paragonabili a quelle portoghesi – e un forte sviluppo del paese. Tra i migranti vi erano anche gruppi e individui ai quali era stata formalmente negata una piena partecipazione nell’impresa coloniale. I nuovi cristiani, ad esempio, perseguitati nella madrepatria, avevano formato importanti comunità in Brasile e in Angola: si trattava di mercanti, uomini di affari, proprietari di piantagioni e di miniere. A volte i loro discendenti si spo- savano con vecchi cristiani; altri divennero addirittura sacerdoti cattolici

o funzionari pubblici. Alcuni di loro, come abbiamo visto, costruirono importanti legami economici e commerciali tra l’Atlan ti co portoghese e quello spagnolo. Anche numerose famiglie rom, perseguitate e non desi- derate in Europa, formarono delle comunità in Brasile e Angola. Separati dal resto della popolazione, a causa della lingua e della cultura, vivevano in comunità nomadi e fisse nella zona costiera e nel sertão.

Naturalmente, lo sviluppo dell’Atlan ti co portoghese, come di quello spagnolo, fu possibile grazie all’utilizzo di manodopera coatta indigena o importata, con la sola eccezione di Madeira e le Azzorre dove le persone nate in Europa o i discendenti degli europei costituivano la vasta maggio- ranza della popolazione e dove il suolo e il clima favorivano l’agricoltura e l’allevamento. A Capo Verde, nell’Alta e Bassa Guinea e in Africa centrale, dove i portoghesi erano un’esigua minoranza, gli insediamenti si costru- irono grazie alla collaborazione con le autorità locali: in questi territori, quindi, le economie locali erano nelle mani degli africani. In Brasile, inve- ce, gli schiavi africani, dopo il crollo demografico degli indigeni, divenne- ro la fonte più importante di manodopera. In alcune regioni di frontiera, dove i nativi svolgevano la funzione strategica di aiutare i portoghesi nella difesa del territorio, gli schiavi africani o afro-brasiliani vivevano a stret- to contatto con gli indigeni. Le donne africane o di discendenza africana venivano spesso utilizzate come amanti e concubine dai portoghesi e dai luso-brasiliani; il risultato di queste unioni fu la nascita di un elevato nu- mero di mulatti che svolsero un ruolo di primo piano nella società brasi- liana, diventando soldati, miliziani28, mercanti, agricoltori e imprenditori

del settore minerario.

Le componenti amerindiane e africane erano assolutamente necessarie alla colonizzazione portoghese in Africa e in America. Africani e amerin- diani erano indispensabili come esploratori, guide e conoscitori della flora e fauna locale. I portoghesi dipendevano dagli amerindiani per quel che riguardava la loro competenza in fatto di mietitura e uso delle piante indi- gene come cibo e per il loro potenziale commerciale; mentre alcuni africa- ni possedevano conoscenze circa l’estrazione dei minerali e le lavorazioni metallurgiche cruciali per i proprietari di miniere. In alcune regioni del Brasile, poi, i mercati locali erano completamente dominati dagli africani e dai loro discendenti. Il tasso di manomissione, ossia il raggiungimento della libertà da parte degli schiavi grazie all’acquisto o alla disponibilità del padrone, era abbastanza elevato in Brasile, ragion per cui vi erano, già dalla fine del Seicento, numerosi africani o discendenti di africani liberi29.

In Africa, i mestiços svolgevano un ruolo fondamentale nelle transazio-

ni commerciali delle zone interne, compreso il commercio degli schiavi. Questi gruppi condividevano alcune caratteristiche importanti: oltre al portoghese dominavano altre lingue; possedevano tradizioni culturali forti e ben radicate; avevano infine fedi religiose che esistevano in modo indipendente, parallelo o sincretico rispetto al cattolicesimo.

Le isole dell’Atlan ti co, la cui importanza è spesso limitata dalla storio- grafia all’età delle scoperte geografiche, costituirono una parte integrante dell’Atlan ti co portoghese anche nei secoli successivi. Durante il xvii e xviii secolo erano i luoghi più densamente popolati, più commercialmen- te sfruttati e più facilmente accessibili di tutti gli insediamenti portoghesi nell’Atlan ti co. La loro ubicazione geografica era strategica sia dal punto di vista commerciale che militare e giocarono un ruolo fondamentale nel- la tratta degli schiavi. Furono infatti la linfa vitale degli scambi tra l’emi- sfero settentrionale e meridionale e tra l’Europa, l’Africa e le Americhe30.

Madeira e le Azzorre attrassero molti migranti dal Portogallo – in genere coppie e famiglie, perlopiù di agricoltori o commercianti – a causa delle condizioni climatiche e del suolo. In seguito all’incremento della popola- zione, già dal xvi secolo furono fondati sulle isole numerosi insediamenti urbani e diocesi. Terminato il boom dello zucchero, durante il xvii e xviii secolo Madeira divenne famosa per l’agricoltura e i vini di alta qualità31. In

due secoli, la popolazione crebbe del 60%, a causa, tra l’altro, dell’incre- mento dell’immigrazione dal Portogallo. Anche nelle Azzorre si assiste, nello stesso periodo, a un aumento della popolazione, anche se più ridotto rispetto a Madeira (25%). Le città portuali di Ponta Delgada e Angra dos Reis divennero centri politici e commerciali importanti e annoveravano monasteri, case ed edifici pubblici maestosi. La produzione delle Azzorre, sia per il mercato interno che per il commercio estero, includeva cerea- li, ortaggi, frutta, coloranti, legname, prodotti dell’allevamento oltre che della pesca e della caccia. Gli immigrati provenienti da Madeira e dalle Az- zorre svolsero un ruolo fondamentale nello sviluppo economico e sociale del Brasile tra Sei e Settecento, in quanto, oltre a portare in America intere famiglie, vi trasferirono anche tecniche e conoscenze agricole oltre a una forte etica del lavoro. Alcuni di loro riuscirono a occupare posizioni di alto rango nella scala sociale, diventando mercanti e proprietari di piantagioni e ricoprendo cariche importanti nell’amministrazione coloniale.

Se ci spostiamo verso gli arcipelaghi di Capo Verde e São Tomé e Prínci- pe, l’aspetto dell’Atlan ti co portoghese cambia notevolmente. Le quattor-

dici isole che formano i due arcipelaghi erano disabitate prima dell’arrivo dei portoghesi, i quali decisero quindi di importare manodopera africana dal continente. L’insediamento degli europei era problematico a causa delle malattie e del clima, per cui entrambi gli arcipelaghi ebbero una po- polazione principalmente nera e mulatta che parlava creolo e altre lingue africane. Le isole di Capo Verde producevano ortaggi, fagioli, zucchero di canna, cotone e tabacco, anche se spesso venivano colpite da epidemie e carestie. Le tensioni interne e la corruzione da un lato e gli attacchi inglesi e francesi dall’altro resero il governo delle isole estremamente complicato e spinsero la corona ad aprire i porti al commercio internazionale. Le isole di São Tomé e Príncipe producevano meno zucchero rispetto al passato, ma ne esportavano ancora in Europa così come il riso, il legno, i coloranti vegetali e il sale, mentre il sapone era esportato in Angola, Brasile e Porto- gallo. Piante di origine americana, quali il mais e la manioca, erano invece coltivate per uso domestico.

I due arcipelaghi avevano molti elementi in comune: erano centri stra- tegici per il commercio; erano situati più vicino all’Africa che all’America e all’Europa; avevano una popolazione prevalentemente africana; man- tenevano forti relazioni commerciali e culturali con la terraferma. Inol- tre, le isole fungevano da stazioni per le navi che viaggiavano dall’Europa all’America, per quelle che andavano dall’emisfero settentrionale a quello meridionale e infine per quelle che superavano il capo di Buona Speranza: la loro ubicazione e il sistema dei venti e delle correnti assicurava infatti un facile accesso al Portogallo, alle Azzorre e Madeira, all’Alta e Bassa Gui- nea, all’Africa centrale e al Brasile. Possiamo quindi comprendere la loro importanza strategica dal punto di vista commerciale: oltre ai prodotti locali, su queste isole venivano reimballati e distribuiti beni di importa- zione che giungevano in America dall’Africa e dall’Europa e che avevano come destinazione finale le Indie occidentali, l’America spagnola e l’Euro- pa settentrionale. Il ruolo giocato da queste isole dimostra quindi come il commercio atlan ti co fosse qualcosa di più complesso che un commercio triangolare, basato essenzialmente sulla tratta degli schiavi, e che ogni sin- golo porto o ogni singola regione poteva partecipare a molteplici network commerciali.

L’espansione portoghese in Africa centrale, alla ricerca soprattutto di rame e argento, si realizzò a partire da Luanda sia verso est che verso sud.