Anche se, in alcuni contesti, gli europei furono costretti a negoziare e ad allearsi con gli africani o i nativi americani, la formazione del mondo atlan ti co fu caratterizzata da un uso intenso della violenza. La conquista, a iniziare dagli arcipelaghi atlantici (Canarie, Hispaniola), comportò mas- sacri e l’eliminazione di intere popolazioni. Benché le malattie trasmesse dagli europei abbiano giocato un ruolo importante, non bisogna tuttavia dimenticare che anche altre azioni – in alcuni casi affini al genocidio – condussero al crollo della popolazione indigena. Tuttavia, la violenza non caratterizza solo il Nuovo Mondo, ma l’intero spazio atlan ti co del Cin- quecento.
Mentre le società americane subivano un collasso politico e demogra- fico devastante a causa delle malattie, delle guerre e dell’avidità europee, le popolazioni dell’Africa occidentale erano catturate, vendute dagli stessi africani ai commercianti europei, che a loro volta li vendevano come schia- vi nelle piantagioni della penisola iberica, degli arcipelaghi atlantici e delle Americhe. Allo stesso tempo, guerre civili, guerre internazionali e guerre di religione scuotevano l’Europa, mettendo fine alla precedente unità cri- stiana. La scoperta della polvere da sparo e il conseguente aumento dell’u- so delle armi da fuoco cambiarono radicalmente i modi di fare la guerra. L’età moderna fu quindi un’epoca di intolleranza e di massacri in tutto il vecchio continente. Grazie alle numerose cronache e immagini sulla bru- talità e violenza della conquista che raggiungono l’Europa alla fine del xvi secolo, gli europei presero coscienza della propria “barbarie”, legando le loro esperienze dirette a quello che avveniva nel mondo atlan ti co: i due processi cominciavano a essere considerati come parti di uno stesso conti- nuum. La violenza in Africa e in America rifletteva così la violenza europea
e l’esistenza di una frontiera tra popoli civilizzati e selvaggi diventava sem- pre meno nitida. Il timore che il mondo entrasse in una nuova età oscura era ampiamente condiviso dai protagonisti coinvolti nella costruzione del mondo atlan ti co: non solo dalle principali vittime della brutalità e avidità europee, ma anche dagli stessi europei, fossero essi coloni, marinai, mer- canti, giudici o missionari36.
L’esistenza di una frontiera confusa tra civilizzazione e barbarie all’in- terno della stessa Europa è evidente se consideriamo i numerosi processi di conquista e colonizzazione interna che ebbero luogo tra la fine dell’e- poca medievale e l’inizio di quella moderna. I casi più conosciuti in Euro- pa occidentale sono quelli del regno di Granada e dell’Irlanda. L’ultimo principato musulmano della penisola iberica fu conquistato tra il 1482 e il 1492, a ridosso quindi del viaggio di Colombo. La Reconquista fu una lotta
durata per molti secoli per liberare il suolo della penisola iberica dal do- minio dei mori. Fu un’impresa militare e religiosa allo stesso tempo: una guerra per il bottino, le terre e i vassalli e una crociata per ridare ai cristiani i vasti territori perduti e conquistati dall’Islam. Tale processo coinvolse anche una migrazione massiccia di persone, dato che la corona concesse estese porzioni di terra ai singoli nobili, agli ordini religiosi coinvolti nella riconquista e ai consigli cittadini, ai quali fu data un’ampia giurisdizione sui territori circostanti. Attratti dalle nuove opportunità, artigiani e con- tadini dalla Castiglia centrale si spostarono verso sud per riempire gli spazi
vuoti. Dopo la conquista del regno di Granada, i musulmani che rimasero sul territorio furono massicciamente convertiti al cristianesimo; coloro che resistevano o tornavano alla loro fede tradizionale furono duramente perseguitati37. La situazione rimase estremamente tesa sino a quando, in
seguito all’attacco dei moriscos (ossia i cristiani discendenti da musulmani)
contro le comunità e le istituzioni dei “vecchi” cristiani, nel regno scoppiò una guerra civile. La repressione fu spietata: la società morisca fu annien- tata e i sopravvissuti deportati in altre parti della Castiglia.
Anche l’esperienza di colonizzazione dell’Inghilterra nelle aree non inglesi delle isole britanniche rappresentò un precedente importante nella conquista dei territori americani. Gli inglesi, infatti, durante l’epoca me- dievale, fecero la guerra ai vicini gallesi, scozzesi e irlandesi, istituendo co- munità di coloni che promossero i propri interessi e valori sul territorio celtico38. Tuttavia, tali tentativi di conquista ebbero risultati alterni: l’in-
successo in Scozia fu bilanciato dal successo finale in Galles che, nel 1536, fu formalmente incorporato alla corona d’Inghilterra. Al di là del mare, gli inglesi combatterono per secoli ottenendo, come successo parziale, la sottomissione dell’Irlanda gaelica e la sua occupazione da parte dei coloni inglesi. Molti dei territori conquistati dai normanni nel xii e xiii secolo furono riconquistati dagli irlandesi nel xiv e xv; l’autorità inglese rima- se inesistente al di fuori dell’area densamente popolata e fertile del Pale. Con la conversione dell’Inghilterra di Enrico viii al protestantesimo, l’affermazione effettiva dell’autorità su un’Irlanda risolutamente cattolica divenne una priorità per gli inglesi. Durante il regno di Elisabetta, l’isti- tuzione di nuove colonie sul suolo irlandese si intensificò, determinando l’inizio di una nuova guerra di conquista. Il processo di colonizzazione e sottomissione dell’Irlanda da parte dell’Inghilterra di Elisabetta, con- tinuato per molti decenni, assorbì le energie e le risorse che, altrimenti, avrebbero potuto essere destinate più massicciamente e prima all’insedia- mento di colonie sull’altro versante dell’Atlan ti co39. Tuttavia, Giacomo i,
successore di Elisabetta sul trono inglese, proseguì con la pratica di intro- durre nuovi insediamenti di coloni in Irlanda, invitando tanto gli inglesi che gli scozzesi protestanti a stabilirsi sulle terre confiscate agli irlandesi. Ma gli attacchi di questi ultimi all’insediamento di Munster alla fine del Cinquecento e la rivolta cattolica irlandese del 1641 alimentarono la rap- presaglia e la formazione di un’ideologia di sterminio contro coloro che si opponevano alla presenza britannica40. Sia il caso di Granada che quello
iniziati nel medioevo finirono per raggiungere un grado terribile di violen- za alla fine del Cinquecento: entrambi gli stati – quello spagnolo e quello inglese – adottarono delle soluzioni estreme per restaurare l’ordine, ossia il trasferimento di popolazione e l’espulsione.
La conquista e la colonizzazione di al-Andalus e dell’Irlanda erano an- cora del tutto incomplete quando gli europei intrapresero l’esplorazione delle isole dell’Atlan ti co. Ciò spiega il ruolo giocato da alcuni protagonisti al di qua e al di là dell’oceano, evidenziando la continuità tra le due espe- rienze. Cortés, ad esempio, era figlio di un hidalgo dell’Estremadura che
aveva combattuto contro i mori per la riconquista della Spagna meridio- nale. Lo stesso Cortés, dopo aver conquistato l’impero azteca, divenne, al suo ritorno in Spagna, uno dei capitani della flotta di Carlo v che nel 1541 mise sotto assedio la città corsara di Algeri. L’esperienza americana del
conquistador spagnolo servì dunque nel Mediterraneo per fare la guerra a
nemici “esotici”. Dal lato inglese, Thomas Hariot, che guidò la spedizione a Roanoke (1585) e che descrisse la popolazione nativa dell’isola, fu suc- cessivamente impegnato nell’insediare una colonia in Irlanda. Il celebre capitano John Smith, governatore di Jamestown e narratore delle sue espe- rienze in America, era stato in precedenza un viaggiatore, soldato e avven- turiero nell’impero ottomano. Questi esempi suggeriscono che, sin dalle fasi iniziali, lo spazio atlan ti co divenne un contesto di esperienze condivise di brutalità e violenza41.
Quella che sperimentarono i guanci delle Canarie e i taínos delle An- tille fu alla lunga anche quella dagli effetti più devastanti. All’inizio del Seicento, dopo centocinquanta anni di sfruttamento, schiavitù e deporta- zione, i primi vennero sterminati. Il processo fu addirittura più rapido nel- le Antille: negli anni quaranta del Cinquecento i taínos e i caribes erano scomparsi. Per avere un’idea dell’impatto della conquista sui nativi ame- ricani, occorre considerare che le stime della popolazione totale del conti- nente alla vigilia dell’arrivo degli europei variano enormemente, da meno di venti milioni a ottanta o più. Rispetto a questi venti-ottanta milioni, la popolazione del Nord America era tra uno e due milioni secondo le valu- tazioni più basse e di diciotto milioni secondo quelle più alte. Mentre le cifre totali saranno sempre argomento di dibattito, non si discute sul fatto che l’arrivo degli europei provocò una catastrofe demografica con perdite intorno al 90% nei cent’anni successivi al primo contatto42. Tuttavia, le
stime di coloro che tendono al rialzo implicano l’ipotesi di una catastro- fe e di un declino rovinosi: tanto più veloce il declino, tanto maggiore la
valutazione della popolazione al momento del contatto. Per giustificare la velocità del declino – che non sarebbe possibile imputare né alla spada dei pochi conquistatori né ad altre cause economiche e sociali, che agiscono gradualmente – risulta funzionale sposare la causa epidemiologica come principale fattore di spopolamento. Coloro che sostengono le stime al rial- zo della popolazione esistente prima dell’arrivo degli europei sono quindi indotti a sottovalutare gli altri fattori non naturali del declino43.
La misura in cui questa catastrofe fu il risultato delle atrocità commesse durante la conquista e del maltrattamento e dello sfruttamento successi- vi delle popolazioni indigene era già fonte di discussioni violente tra gli osservatori spagnoli nel periodo della conquista. La Leyenda Negra della
conquista non fu un’invenzione polemica di Las Casas, abilmente sfrut- tata dai protestanti e altri nemici per diffamare la Spagna, ma l’opinione comune tra gli intellettuali spagnoli coinvolti nei fatti. La Brevisíma rela- ción de la destrucción de las Indias, scritta probabilmente nel 1542, nota ai
circoli di corte e pubblicata a Siviglia nel 1552, fu popolarissima fuori della Spagna, con decine e decine di traduzioni in fiammingo, inglese, francese, tedesco e italiano. Questa opera si impresse infatti nelle coscienze europee come una testimonianza implacabile del comportamento barbaro dei suoi compatrioti. La tesi centrale è posta all’inizio del libro ed è citata per este- so nel capitolo precedente: le ragioni della catastrofe si riconducono a due grandi cause, la violenza diretta della guerra e l’oppressione della schiavitù. La catastrofe fu dunque provocata, oltre che dalle epidemie – vaiolo, morbillo, tifo, orecchioni, difterite –, dalle guerre di conquista, le scorrerie rapinatrici e i conflitti tra gli stessi indigeni. Ma oltre alle violenze dirette, le guerre causarono carestia e fame, poiché i campi venivano distrutti, i raccolti confiscati, gli indios impossibilitati a seminare e costretti alla fuga.
Il servaggio provocò disastri anche maggiori per lo sradicamento, l’oppres- sione e lo sfruttamento. La forma più estrema di dominio consisteva nel ri- durre in schiavitù gli indigeni sia con vere e proprie razzie, sia obbligando i cacicchi a pagare i tributi in schiavi. Un altro aspetto dell’impatto negati- vo della conquista fu lo spostamento più o meno forzoso di intere popola- zioni da una regione all’altra con cambi climatici e ambientali traumatici. Infine, il dominio europeo e la subordinazione personale degli indigeni ebbero un effetto demografico di grandissimo rilievo: la sottrazione più o meno forzata delle donne dal ciclo riproduttivo indigeno e l’emersione del meticciato. In una visione ampia delle vicende demografiche america- ne, il meticciato ha compensato il declino indigeno; ma lo squilibrio che
ingenerò nelle comunità indie determinò una caduta della riproduttività e ne indebolì la ripresa dopo le crisi demografiche44. Non bisogna dimenti-
care, infatti, che la formazione di una popolazione ibrida non deve tanto considerarsi il preludio del moderno multiculturalismo, quanto piuttosto il frutto di stupri e altri tipi di violenza perpetrati dagli europei sulle donne africane e amerindiane.
Di fronte a questa realtà e alle numerose denunce, vari furono gli sforzi della monarchia spagnola per limitare e controllare la violenza sui nativi. Carlo v promulgò una serie di leggi per proteggere gli indigeni, ma ra- ramente furono osservate. Anche se la schiavitù era in teoria proibita, il sistema dell’encomienda, utilizzato per sfruttare la manodopera indigena,
proseguì e fu una delle maggiori cause della distruzione di massa. Questo comportamento degli spagnoli suggerisce che la conquista dell’America fu ampiamente realizzata senza il controllo delle corone spagnola e por- toghese. L’arresto di Colombo e dei suoi fratelli, il processo di Cortés, la guerra civile tra conquistadores nel Perù, la caotica spedizione di Lope de
Aguirre sono tutti eventi che dimostrano che i conquistatori non erano tanto gli agenti di un’autorità statale quanto piuttosto imprenditori pri- vati. La monarchia non disponeva quindi di un controllo sulla violenza.
L’incontro con gli europei implicò per i nativi anche un’acculturazione alla guerra. I popoli indigeni, all’inizio terrorizzati dalle armi da fuoco europee, ben presto cominciarono a desiderarle ardentemente. Anche se per la legislazione spagnola e inglese, gli indigeni non potevano portare armi né montare a cavallo, nelle zone di frontiera fu impossibile rispettare tali divieti. I cavalli, come le armi, furono assorbiti nella cultura militare delle popolazioni native, in particolare degli araucani e degli apaches che scelsero la guerra come stile di vita. Emulando i metodi usati con tanto successo nelle guerre contro gli aztechi e i maya, gli europei chiesero aiuto ad alcuni gruppi indigeni nei conflitti contro altri indigeni, mettendo una tribù contro un’altra e tessendo una rete di alleanze incrociate. Gli uroni e gli irochesi, grazie alla loro alleanza con i francesi, incrementarono consi- derevolmente il loro potere nella regione. Nel caso del Brasile, i portoghesi utilizzarono una vigorosa tradizione guerriera per mobilitare le armate dei tupi, spesso formate da più di cento individui, per assaltare i forti delle potenze nemiche. Gli spagnoli reclutarono i loro alleati indigeni lungo la frontiera chichimeca, convincendo le tribù da poco riappacificate con doni e privilegi, come ad esempio l’esenzione dai tributi o la concessione di licenze per il possesso di armi e cavalli. Dal lato inglese, i virginiani cre-
arono una zona cuscinetto popolata da tribù indiane amiche, mentre gli abitanti del New England affidarono ai mohegan e ad altri clan amici il compito di appoggiarli nei conflitti contro altri gruppi. Nelle zone di fron- tiera, l’assenza di risorse militari da parte delle metropoli europee contri- buì a rendere il ruolo difensivo delle tribù native alleate fondamentale per la sopravvivenza degli insediamenti europei. Anche le tecnologie militari dei nativi furono profondamente alterate. Al di là dell’uso delle armi da fuoco e dei cavalli, furono adottate anche nuove tattiche di combattimen- to e la costruzione di fortificazioni. Inoltre, popoli che erano abituati a combattere soprattutto per ottenere qualche forma di supremazia simbo- lica, impararono a lottare per la terra e il possesso, così come impararono a combattere per uccidere. Da parte loro gli europei, per fronteggiare le tattiche di guerriglia dei nativi, come ad esempio le imboscate improvvise, dovettero apprendere i loro metodi di combattimento.
L’acculturazione degli indigeni riguardò ovviamente anche la religio- ne. Tutti gli europei – protestanti o cattolici – percepirono la loro missio- ne nel Nuovo Mondo allo stesso modo: conquistare i popoli selvaggi al cristianesimo e alla civiltà. Si trattava di popoli che dovevano essere portati alla conoscenza e alla comprensione della vera fede, idealmente attraver- so la persuasione, ma, se necessario, anche attraverso la costrizione. Gli spagnoli furono i primi ad affrontare il problema. La novità della sfida e gli obblighi loro imposti dalle bolle alessandrine – che in cambio del ri- conoscimento del dominio sui territori scoperti, obbligavano i monarchi a proteggere ed evangelizzare gli abitanti indigeni –, spinse le autorità ec- clesiastiche e statali a sviluppare quello che fu di fatto un programma di conversioni di massa. L’intensità di tale sforzo è comprensibile solo nel contesto della crisi che attraversò la cristianità tra la fine del xv secolo e l’inizio del xvi. La fame di rigenerazione e di rinnovamento spirituali in segmenti della Chiesa e del mondo laico scatenò un grande movimento di riforma che già alla fine del Quattrocento aveva segnato profondamente la civiltà europea. Questo movimento spesso possedeva sfumature millenari- stiche e apocalittiche, specialmente in Spagna, dove il completamento del- la Reconquista creò un clima di euforia spirituale. La sconfitta dell’Islam,
la conquista di Gerusalemme, la conversione del mondo – che era consi- derata un preludio alla sua fine – facevano parte della mentalità ossessiva di Colombo, il quale imbarcò la Spagna e i suoi monarchi in una missione messianica mondiale.
un contesto più ampio di intolleranza e di persecuzioni religiose. La ca- duta di Costantinopoli, con il conseguente insediamento di un impero musulmano nel cuore dell’Europa, e la scissione della cristianità, con la pubblicazione delle tesi di Lutero nella cattedrale di Wittenberg, contri- buirono alla formazione di questo clima di grave intolleranza. Uno dei principali meccanismi di persecuzione fu l’Inquisizione iberica e romana. In Spagna e in Portogallo, i tribunali reali del Sant’Officio, instaurati ri- spettivamente nel 1478 e nel 1536 con l’accordo del papa, condannarono a morte centinaia di ebrei e musulmani convertiti, oltre ai protestanti locali. Questo sistema di repressione e controllo fu replicato in America, dove numerosi nativi e schiavi di origine africana furono accusati di praticare la stregoneria o riti religiosi proibiti. Tribunali dell’Inquisizione furono cre- ati a Lima nel 1570 e a Città del Messico nel 1571, anche se in precedenza i frati francescani erano stati autorizzati a perseguire gli indigeni accusati di stregoneria45. Nel caso portoghese, era il tribunale di Lisbona a esercitare
giurisdizione sul Brasile e negli insediamenti portoghesi in Africa, dove vennero in particolar modo perseguitati i discendenti degli ebrei e gli afri- cani convertiti al cristianesimo ma sospettati di stregoneria.
I metodi violenti dell’Inquisizione vennero aspramente criticati fin dal xvi secolo, in particolar modo da autori francesi, inglesi e olandesi coin- volti nella propaganda contro la monarchia spagnola46. Le critiche enfatiz-
zavano il contrasto tra la completa segretezza della fase dell’inchiesta e lo spettacolo pubblico di umiliazione dell’esecuzione della pena. Nel corso del xvi secolo, numerosi portoghesi e spagnoli di discendenza ebraica si rifugiavano in Africa e nell’America meridionale per sfuggire alle perse- cuzioni dell’Inquisizione, ma anche in questi territori dovevano proteg- gersi dagli informatori47. La violenza dell’Inquisizione e dei suoi metodi
fu così trasportata dall’Europa all’America e all’Africa e le informazioni sui convertiti o i supposti eretici attraversavano l’oceano con un’efficienza incredibile.
Anche il movimento della riforma protestante non fu esente da brutali- tà e violenza. Senza soffermarsi sulle reazioni militari dei protestanti nelle guerre di religione che sconvolsero l’Europa del Cinquecento, occorre ri- cordare che le diverse anime del protestantesimo si sono aspramente com- battute, a cominciare dal soffocamento della rivolta degli anabattisti che si erano appropriati della città di Münster nel 1534. Nelle isole britanniche, la persecuzione religiosa acquista una dimensione centrale, come dimostra la lotta contro le sette protestanti puritane o la guerra religiosa in Irlanda.
La lotta contro il cattolicesimo non si limita all’Irlanda, data la presenza, tanto in Inghilterra che in Scozia, di numerose famiglie che non rinnega- vano la loro fedeltà alla Chiesa di Roma. La teoria del complotto cattolico, o popish plot, dominava infatti le paure collettive dell’Inghilterra del Sei-
cento. Tutto ciò dette vita a importanti fenomeni di diaspora: gli irlandesi e i cattolici inglesi si rifugiarono nei grandi paesi cattolici del continente, come la Spagna, la Francia e i Paesi Bassi del sud; i puritani, ad eccezione di coloro che raggiunsero le sette radicali in Olanda, scelsero piuttosto l’esilio americano, con la speranza di fondare nel Nuovo Mondo comunità religiose più adeguate alla loro spiritualità. Questi conflitti e i successivi fenomeni di diaspora condussero progressivamente alla creazione di reti di solidarietà non solo europee ma atlantiche48.
La lotta tra cattolici e protestanti si estese anche nello spazio atlan ti co e costituì il contesto dal quale emerse l’attività missionaria negli insedia-