«Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo —, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.»70. Queste sono le parole scritte da Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del Futurismo pubblicato su “Le Figaro” il 20 ottobre del 1909. È il nono articolo del manifesto; manifesto che apre le porte all’avanguardia italiana. Questa breve frase è caratteristica del periodo ed interessante ai fini della nostra analisi introduttiva per poter capire la stretta relazione che si viene a creare tra il movimento futurista e la prima guerra mondiale in Italia. I futuristi saluteranno la guerra con entusiasmo, infatti molti di loro si arruoleranno come volontari nel conflitto mondiale71. Marinetti dopo il Manifesto si dedica alla scrittura de La battaglia di Tripoli che esce sul quotidiano di Parigi “L’Intransigeant” a puntate dal 25 al 31 dicembre 1911, edita in volume dalle Edizioni Futuriste di “Poesia” nel 1912. Sono scritti che si situano nel periodo di aggressione italiana alla Libia e da questo ambito non possono essere estrapolati per confermare la tesi della guerra come rigenerazione, ma prestando attenzione al testo si possono chiaramente individuare i caratteri che in seguito saranno sviluppati non solo dai futuristi, ma da gran parte della letteratura sulla Grande Guerra. «La guerra come suprema dissipazione di beni e d’energia procede congiuntamente a entusiastici apprezzamenti per gli aspetti propriamente tecnici e moderni, di massa […]. Un’adesione muscolare ed emotiva alla guerra come esuberante ginnastica, spazio-tempo ludico e agonale, match sportivo, «amore del pericolo e della violenza» in se stessi considerati; «sublime passione del pericolo», prova d’energia, slancio vitale, piena spesa di sé, dimostrazione d’esistenza: la guerra per la guerra apolitica e agnostica, se non alle sue origini sociali e oggettive, certo nella sua dimensione vissuta e soggettiva:
69
Francescangeli Eros, Arditi del popolo…, p. 23.
70 Manifesto del Futurismo, “Le Figaro”, 20 febbraio 1909.
71 Dopo l'attentato di Sarajevo Marinetti non esita a schierarsi a favore dell'intervento contro l'Austria e la Germania:
verrà arrestato per aver bruciato bandiere austriache in Piazza Duomo a Milano. Quando l'Italia entra in guerra, Marinetti, Sant’Elia, Boccioni, Russolo, Carrà, Funi, Erba, Sironi e Piatti si arruolano nel “Battaglione lombardo volontari ciclisti” e partono per il fronte. In settembre passeranno nel corpo degli Alpini. Marinetti ferito all'inguine nel 1917 durante la battaglia del Kuk, detta in convalescenza un piccolo manuale che ottiene un inatteso successo: Come si
seducono le donne. Torna quindi sul fronte e partecipa sia alla rotta di Caporetto che alla trionfale avanzata di Vittorio
Veneto - dove riceve una seconda medaglia al valore - al volante di un autoblindo (esperienza poi narrata nel romanzo
una forma di assicurato consenso e quindi una garanzia, nel momento in cui i gruppi capitalistici escono allo scoperto nella lotta internazionale e nella corsa alle colonie»72.
In questa ottica il futurismo si inquadra perfettamente nel clima di irrazionalismo che l’Italia stava vivendo all’inizio del secolo e si percepisce la forte presenza di Bergson e di Nietzsche. Di Bergson ne esaltano il processo della conoscenza intuizionistica che va all’essenza delle cose ripudiando l’itinerario logico razionale; di Nietzsche accolgono il senso agonistico del vivere che diventa, tramite un eccessivo semplicismo, culto della forza ed esaltazione della violenza. Il rapporto con D’Annunzio inizialmente non è affatto pacifico, dato che la protesta futurista, e più in generale tutta la letteratura del primo novecento, ne fa il proprio bersaglio. Nonostante il futurismo rifiuti tutte le complicazioni e le mitologie decadentiste di D’Annunzio, ne accetta però un certo senso del vivere: «l’esaltazione dannunziana di una ferina vitalità, del rischio e del bel gesto passano ai futuristi e, depauperandosi delle complicazioni letterarie dell’«Immaginifico», diventano vitalismo un po’ rozzo, grossolano attivismo, schiaffo e pugno»73.
Marinetti nello scritto relativo alla guerra coloniale italiana – a cui aderisce con convinzione, aggiungendo infatti due appendici in difesa della guerra e contro la stampa europea ostile all’Italia – anticipa due temi che in seguito saranno ripetuti costantemente negli scritti degli Arditi, i combattenti di tipo nuovo, i futuristi della guerra. Il primo tema si riferisce alla guerra: l’invettiva antipacifista riassunta nel motto futurista della guerra come igienica ed educatrice si costituisce come preordinata provocazione ideologica. Il secondo tema è quello della morte come costante compagna, continuamente presente come fatto e mai come problema nella visione di quello splendido massacro che è La Battaglia di Tripoli. Con una anticipazione tale, Marinetti diventa colui che meglio esprime l’irrazionalità nell’apologia della violenza e della morte. L’attesa della guerra è ricca di tensioni, di movimenti e di battaglie concettuali che allo scoppio della Grande Guerra tacciono per esaltare e glorificare la tanto attesa violenza sterminatrice che rigenererà il mondo e la società italiana. «L’operazione ideologica cui attendono i testi futuristi, come gli altri nel Novecento e congiuntamente quelli “lacerbiani”, si condensa in una riconsacrazione della violenza. Oggettivamente vale a preparare il terreno di legittimazione in chiave patriottica degli istinti “criminali” dell’uomo»74. Nella realtà questa rappresentazione – spesso non consapevole - della guerra e della violenza come benefattrice e creatrice non servirà altro che a scambiare per nuove quelle forze che invece rappresentano solo un nuovo modo di perpetuare vecchi interessi e vecchie mentalità. I futuristi, e più in generale le avanguardie del primo novecento, credono di poter creare qualcosa di nuovo attraverso la violenza e la guerra, mentre in realtà non ripropongono altro
72 Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Laterza, Bari 1970, pp. 22-23.
73 Salvatore Guglielmino, Guida al novecento, principato editore, Milano febbraio 1991 (quinta ristampa della quarta
edizione), p. 96.
che, in chiave moderna, la tragedia dell’umanità: la guerra e l’oppressione dell’uomo sull’uomo attraverso la violenza fisica e psicologica. «Esaltando la velocità e l’automobile [favoriscono] l’industrialismo capitalistico, esaltando la violenza [contribuiscono] a creare le premesse che [porteranno] ad una restaurazione reazionaria»75.