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L’esercito italiano ed il suo utilizzo politico: la repressione interna

«Fin dalla sua costituzione (1861), l’esercito italiano si [qualifica] come uno strumento politico insostituibile per la classe dominante che [vede] in esso uno dei mezzi più efficienti per mantenere e rafforzare il proprio dominio»88. Dall’unità fino alla prima guerra mondiale l’esercito è utilizzato come efficiente strumento di repressione interna89 e gli episodi che confermano questa tesi sono numerosi: repressione della rivolta contadina nel mezzogiorno continentale (il brigantaggio del 1861-67)90; repressione del fenomeno della renitenza alla leva in Sicilia del 1862-6391; repressione della rivolta popolare di Palermo del 16-22 settembre 186892; e repressione dei moti provocati dalla “tassa sul macinato” del 1869 in quasi tutta l’Italia settentrionale e centrale93 sono solo alcune delle più tragiche vicende avvenute nel primo decennio dell’unità d’Italia. In breve tempo si determina una spaccatura tra società civile e apparato militare che si amplia nei decenni seguenti a causa della politica fatta propria dell’esercito, politica di repressione interna e non di crescita qualitativa e quantitativa degli effettivi. A questa separazione si somma quella tra soldati e ufficiali: questi ultimi al di fuori di ogni controllo politico si costituiscono a sé come una casta chiusa e privilegiata lontana dalla truppa. Anche l’addestramento ricevuto dai reparti dà modo di confermare che esso sia stato creato e sviluppato per la repressione interna, difatti è legato alle necessità della guerriglia e dello scontro di piazza piuttosto che ad operazioni belliche tradizionali. Elemento confermato dalla clamorosa disfatta dell’esercito italiano ad Adua che mette fine al primo periodo di espansione imperialistica italiana, nonostante la riorganizzazione dell’esercito in senso quantitativo nel 187294. Nel 1898 il generale Fiorenzo Bava-Beccaris – insignito da Umberto I della Croce di Grande

88 Giulio Massobrio, Bianco rosso e grigioverde. Struttura e ideologia delle forze armate italiane, Bertani Editore,

Verona, 1974, p. 41. Con questo libro Massobrio dimostra la continuità dell’uso “repressivo ed antidemocratico delle Forze armate nazionali, in modo tale da evidenziare non solamente il loro ruolo politico, ma soprattutto la falsità di certe interpretazioni che definiscono le Forze armate come un’entità al di sopra delle parti”.

89 È dimostrabile la stessa tesi anche per il periodo che va dalla prima guerra mondiale fino ai nostri giorni, ma esula da

questa trattazione.

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Secondo i dati ufficiali quasi la metà della forza complessiva di circa 265.000 soldati viene impiegata annualmente. Vengono fucilati o uccisi in combattimento 5212 “briganti”, 5044 gli arrestati e 3597 quelli che si arrendono all’esercito, per una stima complessiva di 13.583 ribelli “sconfitti”; a ciò vanno aggiunti sicuramente alcune migliaia dato che il computo ufficiale si arresta al 31 dicembre 1865.

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«[…] intere province [sono] poste in stato d’assedio. La consegna [è] di arrestare “tutti quanti s’incontra[no] per la campagna coll’età apparente del renitente e col viso dell’assassino, circondando i paesi e facendo perquisizioni in massa”»(p.46).

92 Il capoluogo siciliano viene colpito da una durissima repressione che causa un numero altissimo di morti, mai

calcolato, e circa 2000 arresti; non si placa il 22 settembre, ma continua con esecuzioni sommarie e crudeli sevizie ai prigionieri.

93 La repressione si abbatte su quasi tutta l’Italia settentrionale e centrale: le truppe sparano sui contadini in rivolta.

Anche in questo caso il computo delle vittime non viene calcolato.

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«Nel 1872 l’esercito italiano si [trasforma] in esercito di quantità, simile per struttura a quello prussiano, ma con differenze sostanziali che [limitano] le sue capacità belliche, senza però limitarne l’efficienza repressiva» (p.48).

Ufficiale – durante la tristemente famosa manifestazione di piazza del 6, 7 e 8 maggio a Milano decide di utilizzare perfino i cannoni contro la folla, armata di sassi, tegole e suppellettili95.

Gli alti comandi96 costituiscono un capitolo a parte all’interno della storia dell’esercito: sono alti ufficiali di provenienza aristocratica od alto-borghese e sono parte integrante della classe che detiene il potere economico e politico in Italia fin dall’Unità. Infine il sovrano, «centro ideale», simboleggia la ferrea fedeltà degli alti comandi. Il termine di mezzo tra le alte gerarchie e la truppa è costituito dai quadri intermedi composti maggiormente da piccoli e medi borghesi in cerca dello

status sociale proprio degli ufficiali più alti. «La saldatura tra vertice, base e quadri intermedi

[viene] così ad essere determinata dalla comune volontà di mantenere il più possibile inalterata la struttura sociale del paese. […] In altre parole l’interesse della grande borghesia, rappresentato dal mantenimento dell’ordine sociale, si [salda] con l’esigenza della piccola borghesia soprattutto meridionale, rappresentata dalla necessità di superare il processo di declassamento, inserendosi in una struttura in grado di garantire uno status sociale ed economico superiore»97. Legame tra grande e piccola borghesia che è reso manifesto dalla campagna di Libia del 1911-1912. Anche in questo caso l’esercito si trova in una situazione di impreparazione rispetto agli schemi classici di battaglia: le operazioni militari condotte senza alcuna preparazione si impantanano di fronte all’inaspettata resistenza delle truppe arabe comandate da ufficiali turchi. Affermazioni ancora una volta confermate dall’essenza dell’occupazione italiana in Libia (come poi anche quella fascista) che non riesce ad avanzare in profondità arrestandosi sulle zone costiere, instaurando una rigida legge marziale e procedendo a rappresaglie, esecuzioni sommarie e deportazioni di massa98.

Questa breve descrizione dell’esercito italiano chiarisce la situazione con cui giunge alla vigilia della prima guerra mondiale; neanche quest’ultima, nonostante la grande carica di innovazione che porta con sé, determina un riassetto dell’esercito. Gli effettivi delle Forze armate aumentano a dismisura rispetto al passato, ma non generano un radicale rinnovamento e conseguente adeguamento alle nuove necessità; l’unica risposta in questo senso è la creazione delle truppe d’assalto.

95 Tra soldati, carabinieri e poliziotti le forze dell’esercito ammontano a circa 20.000 effettivi e le cifre ufficiali danno

un totale di 118 morti e 450 feriti. Inoltre si verificano 129 processi, 828 arresti e 688 condanne da tribunali militari per un totale di 1480 anni di reclusione, 207 anni di sorveglianza speciale e 33.952 lire di multa.

96 Per gli alti comandi dell’esercito bisogna sottolineare una caratteristica, a mio avviso, essenziale: la fedeltà politica

delle Forze armate è scambiata con l’autonomia tecnica delle alte gerarchie che così possono – anche tutt’oggi - gestire liberamente ed al di fuori di qualsiasi controllo politico l’organizzazione tecnica dell’apparato, confermato dal fatto che i ministri della Guerra – eccettuati alcuni casi durante il periodo fascista – sono sempre militari di grado elevato, ma non così alto da potersi esentare da qualsiasi tipo di controllo essendo quindi a garanzia del controllo esercitabile gerarchicamente su di essi da parte degli alti gradi delle Forze armate.

97 Giulio Massobrio, Bianco rosso..., pp. 50-51. 98

Ad oggi credo che il miglior lavoro di ricostruzione storica dell’occupazione italiana in Africa sia il lungo libro di Labanca Nicola, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, oltre agli studi di Del Boca Angelo.