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Prima dell’ufficiale costituzione delle truppe d’assalto, nell’esercito italiano si verificano vari e differenti tentativi di creazione di truppe scelte all’interno della fanteria per compiere particolari azioni. Azioni che vengono svolte da reparti di esploratori reggimentali formati nel 1914 per la guerra di movimento, squadre di guastatori per la distruzione dei reticolati durante il 1915 o da distaccamenti per la guerra di montagna o dai militi arditi istituiti mediante una circolare del Comando Supremo del luglio 1916 che prevede il rilascio di un distintivo onorifico ai soldati segnalatisi per coraggio. Questi particolari reparti, squadre o distaccamenti possono essere considerati a buon titolo i precursori degli Arditi. La differenza sostanziale che li separa nettamente dal corpo degli Arditi è il fatto che esploratori, guastatori e militi arditi rientrano tutti nella categoria delle truppe scelte, soldati selezionati per le loro particolari doti di coraggio adatti per operazioni di elevato rischio o difficoltà sulla base di fattori fisici e morali, mentre gli Arditi rappresentano un corpo a sé stante, distaccato sia dalla fanteria tradizionale che dalle truppe scelte, con caratteristiche peculiari (addestramento ed impiego). Questa è l’interpretazione che Giorgio Rochat desume dall’opera di Salvatore Farina a cui abbiamo già accennato in precedenza. Rochat scrive «Le truppe scelte, in sostanza, devono trascinare una fanteria che non riesce più a svolgere il suo ruolo di regina delle battaglie, ma non devono modificarne realmente le caratteristiche di impiego»105. È certamente vero che le truppe scelte non modificano le caratteristiche di impiego della fanteria mentre le truppe d’assalto sono concepite e realizzate per cambiare l’organizzazione della battaglia offensiva, ma lo stesso ruolo di “trascinamento morale” lo attuano sia le truppe scelte che gli Arditi: entrambi i corpi, uno inserito nella fanteria e l’altro distaccato, dimostrano come dopo tre anni di immani massacri sia possibile continuare l’opera di aggressione e distruzione umana perpetuata sui cambi di battaglia. Anche se tra gli Arditi ed il resto dell’esercito si crea una netta separazione, la loro creazione è la chiara dimostrazione di come il soldato possa continuare a combattere in maniera molto più aggressiva e rapida rispetto alla fanteria tradizionale, giustificando quindi l’utilizzo della truppa come pura carne da macello ed allo stesso tempo privilegiando chi si dimostra ardito e sprezzante del pericolo. Non credo che inizialmente gli alti comandi dell’esercito avessero costituito il corpo degli Arditi per uno scopo di “trascinamento morale” dell’esercito, ma anzi, è ampiamente dimostrato che vi siano alla base delle motivazioni di ordine militare. Dopo i successi

sui campi di battaglia le truppe d’assalto vengono impiegate sempre più frequentemente nei momenti di difficoltà bellica; inoltre danno prova – soprattutto tramite i racconti e le glorificazioni degli Arditi da parte delle alte cariche militari - a tutti i soldati che è possibile continuare a combattere con grande “entusiasmo”, avendo così la funzione indiretta - probabilmente non prevista - di spronare i soldati a combattere, dimostrando così che si può attaccare con grande decisione e coraggio cacciando l’invasore. Diventano quindi uno strumento di propaganda interna all’esercito in mano agli alti comandi con la chiara funzione, oltre che bellica, di “trascinamento morale” dell’esercito italiano, come ad esempio dopo la ritirata di Caporetto e la riconquista del Piave. Un’altra spiegazione della nascita degli Arditi è narrata dal maggiore Cristoforo Baseggio che, partito come volontario nel 1915, riesce a far valere il proprio passato di fascista antemarcia imponendosi come il creatore degli Arditi ed autoproclamandosi “padre spirituale”106. La sua Compagnia Esploratori Volontari Arditi «forte di 13 ufficiali e 450 fra graduati e soldati, [è] dotata di due sezioni mitragliatrici, una colonna di salmeria e 120 muli, il 6 aprile del 1916, però, [viene] quasi annientata nell’attacco al colle Sant’Osvaldo [in Valsugana] ed il 12 dello stesso mese, contando appena 54 superstiti, [è] ufficialmente disciolta»107. Il simbolo della compagnia è una stella nera ed all’interno del suo organico si trovano «un’accolta svariata di militari di tutte le Armi e Corpi, d’ogni età e d’ogni classe sociale, tutti pieni d’ardire e di fede»108. Gli scritti di Baseggio sono una pura autocelebrazione storicamente errata che equipara tutte le truppe scelte agli Arditi. Elemento contestato e dimostrato non corrispondente alla realtà dei fatti da diversi autori come Giorgio Rochat, Ferdinando Cordova, Mario Rossi e Luigi Balsamini.

Se si vuole invece cercare un precursore nell’opera di Farina, questi è il colonnello Bassi che crea «la dottrina ardita, rivoluzione psico-tecnica della quale il Baseggio non ha la più pallida idea»109. Ma anche in questo caso le opinioni di questi militari vanno prese con la dovuta cautela date le numerose inimicizie proprio tra quelli ufficiali che hanno scritto sugli Arditi. Ad esempio il racconto di Mario Carli su Baseggio sembra corrispondente al vero; il futurista lo considera a pieno titolo un precursore:

106 Con le sue opere La compagnia arditi Baseggio 1915-1916, ed. Pangrazzi e Pallavicini, Milano 1923 e quella del

1929, si autoproclama creatore degli arditi. La sua compagnia viene ribattezzata nel dopoguerra da Baseggio stesso “compagnia esploratori volontari arditi” ed in seguito “compagnia arditi Baseggio” e nominata “Compagnia della morte” dagli stessi soldati. Nel 1919 Baseggio si presenta alle elezioni nella lista fascista assieme al capitano Piero Bolzon e l’aiutante di battaglia Edmondo Mazzucato (redattore del giornale “L’Ardito”). Inoltre, il 27 marzo 1922, si scontra in duello con Benito Mussolini a causa del suo schieramento col fascismo intransigente di Pietro Marsich. Il duello si conclude con la riconciliazione dei due avversari dopo il settimo assalto in cui Baseggio riporta una ferita al dito medio che gli impedisce di continuare. Mussolini non riuscirà mai a digerire il carattere poco conformista di Baseggio.

107 Cordova Ferdinando, Arditi e…, cit. p. 14.

108 Balsamini Luigi, Gli arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo dalle violenze fasciste, Galzerano,

Salerno giugno 2002 (Iª edizione), cit. p. 18.

In questa stessa guerra, una anno prima che fossero create le Fiamme, un ufficiale di spirito garibaldino, di grande fegato e fascino personale, e di profondo fiuto psicologico, il capitano Baseggio, mentre il nemico nella primavera del 1916 scendeva baldanzosamente di monte in monte verso la pianura maliosa del vicentino, mentre i nostri reggimenti accorrevano a ricacciarlo e cozzavano disperatamente contro la marea straripante, pensò di organizzare un’azione di volontari coi quali pungere, irritare senza tregua i fianchi dell’invasore, e raccolse per questa specie di guerriglia una banda varia e pittoresca di uomini di ogni arma ed età, a cui fu dato il nome di « Compagnia Esploratori della Morte ». Poca disciplina formale, nessuna burocrazia, un’approssimativa gerarchia. Una squadra di sottoufficiali poteva essere comandata da un soldato, il più ardito ed astuto. La compagine della banda era saldata unicamente dal fascino personale del Comandante, e l’onore individuale, l’orgoglio del successo, la sete di gloria, e soprattutto l’amor di patria, tenevano il posto del senso del dovere. Era in quegli uomini, oltre a uno sfrenato bisogno di libertà, un enorme disprezzo per il nemico e per la propria vita, un bisogno di battersi volontariamente, senza costrizioni, senza sanzioni: l’unico premio a cui aspirassero era il «bravo!» del loro Baseggio, e, se scampavano, tre giorni di permesso per andare a bere un litro di

valpolicella al focolare di qualche bella tosa, giù in retrovia. Ma al nuovo appuntamento nessuno mancava110.

Al contrario Giudici non menziona il tenente colonnello Baseggio e dichiara che il padre degli Arditi è il Bassi, descrivendolo in questi termini:

Nostro padre, nostro capo, gran maestro dell’ordine nostro, fu il Colonnello Giuseppe Bassi […] taciturno, austero, diritto, d’acciaio più che di carne, fornito di tutte le doti di un condottiero, fu il nostro Garibaldi. E noi lo amammo e lo venerammo […] noi siamo stati sempre i suoi arditi anche quando altri capi ci comandavano e dopo un anno risuona sempre, come un giuramento di amore e di devozione, la canzone:

Se non ci conoscete guardate i nostri passi: siamo le fiamme nere del Colonnello Bassi111.

Oltre a Baseggio anche altri militari hanno dato vita ad esperienze simili. Il generale Alberto Cavaciocchi, comandante la 5ª divisione, costituisce in Valtellina ed in Val Camonica reparti di alpini scelti, denominati centurie e trasformati in seguito in battaglioni sciatori; mentre nel giugno del 1916 il generale Grazioli forma diversi plotoni speciali armati di pistole mitragliatrici con mansioni di pattuglia, di prelevamento di posti avanzati nemici, di esplorazione e di tagliafili, chiamati “arditi reggimentali” e fregiati del distintivo speciale formato dalle lettere V.E. (Vittorio Emanuele) intrecciate e sovrapposte al nodo dei Savoia.

Queste esperienze interessanti per comprendere lo sviluppo e la nascita degli Arditi ci informano dell’esistenza di truppe scelte destinate a particolari compiti, ma inserite nel proprio corpo e senza particolari privilegi. Solo con la creazione degli Arditi durante il 1917 si verifica la trasformazione dell’esercito in rapporto all’organizzazione della battaglia offensiva.

110

Mario Carli, Noi Arditi, Facchi Editore, Milano 1919, pp. 13-14.