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L’Ottocento si prolunga sui campi di battaglia

Tra il 1830 ed il 1850 l’impostazione classica dell’attacco e fatta propria da molti eserciti dei paesi europei è quella secondo cui la fanteria ha il compito di eseguire un assalto alla baionetta cacciando i nemici dalle proprie posizioni in seguito all’azione di fuoco svolta a distanza ed in ordine sparso. Sono le formazioni di bersaglieri o cacciatori che rispondono a questo nuovo schema di attacco che dà rilievo all’abilità nel tiro e mette in primo piano l’attività ginnica. Questa è la concezione descritta da Clausewitz, il quale aveva compreso che dopo alcune ore le due parti in lotta avrebbero esaurito capacità e volontà di combattere con conseguente perdita di coesione ed ordine nei reparti. Anche il colonnello T. R. Bugeaud – futuro maresciallo di Francia – fa propria questa stessa concezione vedendo la soluzione in una scarica di fucileria seguita da un assalto alla baionetta. Bugeaud pur attuando delle modifiche e preferendo impiegare colonne d’attacco precedute da uno scudo di tiratori, rigetta qualsiasi ipotesi di combattimento preliminare a lunga distanza. Questo pensiero, sviluppatosi intorno alla metà del XIX secolo, domina fino al 1914 e crea non pochi problemi di strategia militare. I comandi degli eserciti non risolvono la problematica del rapporto tra potenza di fuoco ed irruenza d’attacco e quando ci riusciranno sarà ormai troppo tardi. Nella campagna di Crimea e in quella d’Italia del 1859 vengono utilizzati gli schemi propugnati da Bugeaud e «sui campi di battaglia italiani la risposta alla crescente efficacia delle armi da fuoco [sembra] poter venire da una combinazione di fattori morali e rapidità di movimento che si concretizza nell’azione irruente di piccole colonne d’attacco»99. Ma nonostante queste intuizioni il conflitto tra Prussia e Danimarca del 1864, quello tra Italia e Prussia contro l’Austria del 1866, quello franco-prussiano del 1870 e quello tra Russia e Turchia del 1877-1878 vengono impostati secondo il classico schema precedentemente descritto, con assalti alla baionetta che riescono a sortire l’effetto desiderato nonostante le perdite quasi sempre elevatissime. Nello scontro russo- turco del 1877 il generale russo Skobelev comprende, grazie alla tenace resistenza dell’esercito turco (costituito di coscritti sommariamente addestrati), che l’assalto all’arma bianca non produce l’effetto ricercato se non si impiega una massa ancora maggiore di uomini con la tecnica delle ondate d’attacco “successivamente rincalzantesi”: viene così lanciato un secondo reparto di fanti armati di baionetta, quando il primo vacilla o inizia ad arrestarsi. In questo modo il generale russo riesce, nonostante le forti perdite, a farsi strada tra le trincee turche. Questa tattica, utilizzata durante la prima guerra mondiale, non sempre ottiene gli effetti previsti e proprio per questo vengono creati speciali reparti con il compito di aprire un varco all’interno delle trincee nemiche.

99 Basilio Di Martino, Trincee-reticolati e colpi di mano nella Grande Guerra. Val Posina – Altopiano di Asiago –

Piave, Gino Rossato Editore, Vicenza aprile 2000, pp. 7-8. Questa affermazione credo sia la prima che testimonia l’uso

di piccole compagnie per particolari esigenze belliche e possiamo considerarli gli avi degli Arditi anche se non abbiamo notizie precise su queste formazioni.

A questo punto una osservazione sorge d’obbligo: perché ostinarsi in azioni di sfondamento massiccio e frontale, invece di addestrare piccoli reparti specializzati in codeste azioni?

Le risposte sono molteplici. Il giudizio che gli alti comandi hanno della truppa, determinata dalla differente estrazione sociale tra ufficiali e soldati precedentemente evidenziata è una delle ragioni. Gli ufficiali di alto grado, quasi sempre di estrazione nobiliare, considerano il fante del proprio esercito come vera e propria carne da macello. È la lontananza sociale ed economica – in questo caso potremmo anche dire di classe – che determina le scelte di tattica militare da parte delle alte sfere dell’esercito. Inoltre gli alti comandi non hanno ancora acquisito consapevolezza della guerra moderna e dello specifico impatto distruttivo dei nuovi armamenti a causa degli elementi di cultura militare ottocenteschi che portano loro ad attuare scelte errate di tattica militare come gli attacchi frontali della cavalleria e l’utilizzo incessante della baionetta. Il fante, in particolare durante il primo conflitto mondiale, viene semplicemente sfruttato all’interno del sistema di guerra che, nonostante sia innovativo e travolgente rispetto al passato, continua a riproporre gli schemi di metà Ottocento, proprio per la peculiare caratteristica delle forze armate ed in particolare di quelle italiane. L’esercito italiano «si [isola] sempre di più dalla società civile fino ad assumere una ideologia non autonoma, ma specifica. L’ideologia che [sembrava] - e sembra tuttora - anacronistica [nasce] e si [riproduce] come alternativa all’ideologia delle masse e svolge – come svolge oggi - la duplice funzione di mezzo di consenso interno (coercitivo) e di autodifesa, nel senso di porsi come mezzo per mantenere le Forze armate staccate dalla società civile, quindi più facilmente utilizzabili da parte della classe dirigente»100.

A fine Ottocento nonostante il modello più utilizzato sia quello delle ondate d’attacco “successivamente rincalzantesi”, si nota che l’aumentare della potenza di fuoco causa paura e confusione sul campo di battaglia dimostrando che l’addestramento e l’indottrinamento non riescono ad indurre nel soldato lo spirito combattivo sperato. Viene così teorizzato da un ufficiale francese caduto in combattimento nel 1870, Ardant du Picq, un approccio che favorisce la coesione delle unità attraverso vincoli così solidi ed elastici da sopportare le prove più dure. Il soldato doveva essere addestrato più realisticamente e soprattutto non essere vessato continuamente, ma al contrario avere una «forma di disciplina meno rigida tale da incoraggiare il soldato ad agire in modo autonomo nel quadro di formazioni sempre più allentate e meno controllate dall’alto. Dedizione, convinzione nei propri mezzi, fiducia in sé stesso, in una parola “morale” come risposta all’efficacia delle nuove armi»101. Neppure gli inequivocabili segnali scaturiti dalla guerra russo-giapponese del 1904-1905 vengono interpretati correttamente dagli alti comandi; la carica alla baionetta preceduta

100

Giulio Massobrio, Bianco rosso…, p. 51.

da uno scambio di colpi a distanza viene ritenuto il mezzo più efficace. Infatti il Réglement de Manoeuvre d’Infanterie emanato in Francia il 20 aprile 1914 lo conferma:

La baionetta è l’arma suprema del fante. Essa gioca un ruolo decisivo nell’assalto, a cui tutti gli attacchi dovrebbero risolutamente mirare e che solo può mettere definitivamente fuori combattimento l’avversario102.

Nessun esercito fa propri gli insegnamenti di Clausewitz, che aveva individuato nella difensiva la forma più forte di combattimento, o quelli di Moltke, che già nel 1865 aveva elaborato una concezione che univa all’offensiva strategica la difensiva sul piano tattico dando un vantaggio decisivo costringendo l’avversario ad attaccare una posizione prestabilita così da logorarvi le sue forze.

Allo scoppio della prima guerra mondiale tutti i paesi credono che la guerra sia di breve durata e le prime settimane danno ragione ai sostenitori dell’offensiva non facendo altro che rafforzare questa impostazione. Ma ben presto tutti i paesi si ricredono di fronte all’esaurirsi della “corsa al mare” in ottobre. Si stabilisce così un lunghissimo fronte che partendo dal confine svizzero raggiunge le spiagge del mare del Nord. Ma ancora una volta questo non basta a far cambiare strategia bellica agli eserciti in campo e dopo la “pausa” invernale che permette una riorganizzazione interna dell’esercito si crede nuovamente in una guerra di movimento. Non è così. Proprio la “pausa” permette, assieme al nuovo potenziale industriale ed agli effetti della mobilitazione, di schierare su tutti i fronti masse di uomini mai concepite prima non lasciando spazio ad ipotesi di manovra di tipo tradizionale, data l’aumentata capacità difensiva che annulla quasi totalmente il potere risolutivo della baionetta. «La dottrina non [tiene] il passo con l’evoluzione tecnologica e con la crescita del mondo industriale»103.

I primi a rendersi conto dell’inutilità degli assalti alla baionetta, condotti contro le postazioni nemiche armate di mitragliatrici e fucili a tiro rapido, sono i tedeschi durante la prima battaglia di Ypres (20 ottobre - 18 novembre 1914) in cui ben 80.000 tedeschi perdono la vita a causa della scarsità di munizioni per l’artiglieria ed essendo costretti ad affidare così le sorti alla enorme ondata di fanti104. In seguito sono gli alleati dell’Intesa a rendersi conto che i sostenitori dell’offensiva si sbagliano, e infine gli italiani. Tutti i paesi in guerra cercano di ovviare a questa situazione tramite l’innovazione tecnica, quali gas e carri armati o con l’adozione di nuovi procedimenti tattici; ma niente riesce a rovesciare le sorti degli avvenimenti: la Grande Guerra si trasforma rapidamente in

102

Idem, cit. p.10.

103 Idem.

104 Nella prima battaglia di Ypres le reclute della 4ª armata, costituita in gran parte da volontari provenienti dalle fila

della gioventù studentesca - per questo soprannominata “la strage degli innocenti -, assieme ai veterani della 6ª armata attaccano ripetutamente le ben organizzate postazioni franco-britanniche venendo falcidiati in maniera impressionante dall’artiglieria avversaria.

una guerra di attrito e logoramento. L’Italia cerca così di puntare sul morale di specifici reparti per tentare di volgere a proprio favore le sorti delle battaglie combattute su più fronti.