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Sciolta l’Associazione non si hanno tracce dell’attività di Argo Secondari. Francescangeli – il più documentato sull’organizzatore antifascista – non si occupa di questo periodo e nel suo libro fa un salto temporale di quasi un anno, arrivando direttamente all’estate 1921. Anche altri autori – Rossi, Cordova, Fuschini - non danno notizie di alcuna riorganizzazione in seno all’arditismo romano prima dell’estate del 1921. Due eventi occupano le cronache - e non solo – dei quotidiani e dei settimanali italiani: per quanto riguarda la politica estera l’occupazione della città di Fiume; per la politica interna, su di un piano economico più che politico, l’occupazione delle fabbriche. Gli eventi che portano all’occupazione sono ormai noti, importante è, a mio avviso, evidenziare gli effetti economici, sociali e soprattutto politici che determinano il clima infuocato del settembre 1920. È appurato che i socialisti – ancora una volta non memori dei moti del caro vita – negano il sostegno sperato dagli operai per un’uscita armata dalle fabbriche al fine di occupare i centri di potere, nonostante continuino ad alimentare il clima infuocato di quei mesi con articoli sull’“Avanti!” e su altri organi di stampa socialisti locali inneggianti alla rivoluzione311. Gli unici soggetti politici che premono per una insurrezione armata sono il movimento anarchico e i sindacalisti più combattivi, Usi compresa. In occasione del convegno di tutte le organizzazioni sindacali della Liguria - 7 settembre 1920 - per decidere «l’estensione dell’occupazione e creare, anche in una sola zona, il fatto compiuto del passaggio visibile e dimostrato dalla fase economica a quella politica»312, Colombini – delegato confederale – getta acqua sul fuoco, convincendo i presenti a rimandare la decisione. I presenti non sanno però di essere già stati traditi dagli accordi segreti stipulati tra i vertici confederali e Giolitti, tramite il nuovo Prefetto di Milano, Lusignoli. Nonostante questi accordi segreti gli anarchici – non fidandosi troppo delle promesse di Colombini – incoraggiano gli occupanti a non cedere le fabbriche, a non consegnare le armi e ad organizzarsi in vista di un prossimo scontro armato. Gli appelli e gli articoli incitanti alla risposta armata, in caso di una improvvisa repressione governativa sono numerosi e si susseguono sulla stampa sovversiva locale e soprattutto su “Umanità Nova” durante il settembre 1920. L’azione degli operai è esemplare: non mollano un centimetro del terreno conquistato e resistono alla situazione – non certo facile – di necessario asserragliamento nelle fabbriche. Ma il potere e l’astuzia di Giolitti non sono di poco peso. Dopo aver fatto firmare l’accordo segreto tra confederali e governo, riesce a piegare gli industriali all’accordo con la CGdL. «A questo punto la partita per gli anarchici [è] persa»313.

311 Anche gli stessi storici di stampo socialista hanno ammesso il comportamento non certo trasparente del PSI e della

CGdL.

312

Borghi Armando, Mezzo secolo di anarchia, cit., p. 249.

Giolitti, dal canto suo, inizia una repressione in grande stile colpendo gli unici soggetti in grado di far continuare la lotta al proletariato.

La sera del 12 ottobre, sfruttando un vecchio mandato per oltraggio, fa arrestare Borghi a Milano. Il 14 le sue guardie sparano sui manifestanti a Brescia e a Bologna dove parlava Malatesta, che scampa per miracolo alle pallottole, mentre a Trieste coprono l’assalto dei fascisti contro la sede del «Il Lavoratore». A Milano, in Galleria, sono gli anarchici a far fuoco sui fascisti che si apprestano a un pestaggio. L’intervento dei carabinieri trasforma la scaramuccia in una sparatoria generale. In nottata in Piazza Cavour, esplodono due bombe. La mattina dopo vengono arrestati tutti i redattori di «Umanità Nova», meno Frigerio e Damiani e un centinaio di anarchici veri e presunti. Malatesta viene arrestato con Frigerio il giorno dopo, 17 ottobre, al rientro da Bologna. Il 18 vengono presi Fabbri e gli esponenti emiliani, paralizzando la CdC dell’UAI. Contemporaneamente a Torino, memori del volantino Soldato fratello, si tenta di arrestare Galleani per istigazione alla rivolta militare. Il 21 a Bologna è la volta di quasi tutti i segretari regionali dell’USI, che D’Andrea, facente ora funzione di segretario, aveva convocato in tutta fretta. In questo caso non si trattava di anarchici in quanto tali ma in quanto esponenti del secondo sindacato della sinistra italiana! Nel giro di pochi giorni il movimento anarchico e quello sindacalista libertario sono decapitati e una volta messi in galera i principali esponenti viene per loro formulata la nuova accusa di complotto insurrezionale contro i poteri dello Stato314.

Quali sono le reazioni della variegata sinistra italiana? Nessuna. Tutto accade nell’indifferenza più totale: i socialisti descrivono gli avvenimenti appena accorsi come semplice cronaca e Serrati crede che l’arresto di Malatesta sia passeggero. A questo punto sorge spontaneo domandarsi come sia possibile che in un clima infuocato come quello del 1920 i socialisti ora non sostengano a sufficienza i loro “alleati” più combattivi. Probabilmente Giolitti ha ragione quando, rispondendo a capitan Giulietti in merito all’arresto di Malatesta e ai non pochi problemi che avrebbe avuto alla Camera così “ricca” di socialisti, risponde a chiare lettere: «“forse i primi ad essere scontenti se lo mollassi sarebbero non pochi di essi […] in Italia c’è troppo disordine. Appena possibile sarà scarcerato.”»315. Turati già l’anno precedente «si rallegrava delle “pedate che i nostri cari massimalisti-anguilla hanno preso dai ‘compagni’ anarchici”. Nella sua logica, la repressione degli anarchici era solo un fatto che poteva aiutare l’ingresso dei riformisti al governo»316. È in relazione a questi rapporti politici tra le varie forze della sinistra e, in particolare, all’essenza antianarchica dei socialisti che Borghi utilizza l’espressione “freccia nel fianco” in riferimento alle posizioni tenute dai socialisti: liberi così di aspettare la rivoluzione senza le ingerenze degli anarchici. Ma né la rivoluzione verrà, né tantomeno la reazione si arresterà e come “Umanità Nova” avverte:

314 Idem, pp. 87, 88. 315

Idem, p. 88.

La reazione è rivolta, per ora, solo contro di noi [ma] se il proletariato italiano lascia passare senza reagire questa prima ondata, […] sconvolte le nostre forze, la reazione si volgerebbe contro gli altri gruppi e partiti sovversivi e risalirebbe man mano fino a i più rosei socialisti317.

Queste parole sono una vera e propria profezia dato che il fascismo e la reazione colpiranno, di lì a poco, anche gli estranei di socialismo, come il circolo cattolico di Capezzano Camaiore (Lucca) la sera del 24 agosto 1922. «Il Messaggero Toscano, organo cattolico pisano così [commenta] la notizia [due giorni più tardi]:

Non abbiamo parole per biasimare questi atti isolati che vogliamo sperare non abbiano l’approvazione dei capi. I circoli cattolici sono patriottici e non da oggi.

L’invito dell’organo cattolico ai fascisti a far distinzione tra circoli socialisti e cattolici [è] piuttosto evidente»318. Ma come quasi sempre accade gli avvertimenti non vengono ascoltati. Scrive Carlo Sforza a proposito anni più tardi:

Il vecchio Errico Malatesta voleva la rivoluzione, era forse il solo a volerla subito […]. Egli disse […] se lasciamo passare questo momento favorevole dovremo pagare con lacrime di sangue un giorno la paura che oggi incutiamo alla borghesia. Malatesta fu l’unico che previde il fascismo319.

La situazione sociale peggiora: i fascisti, rimasti nascosti durante il periodo dell’occupazione delle fabbriche, ritornano a popolare le cronache dei giornali. Come ha scritto giustamente Di Lembo, la conclusione degli avvenimenti del settembre 1920, salutati dai socialisti come una grande vittoria sindacale del proletariato, sono invece per gli anarchici e soprattutto per gli operai la sconfitta del movimento operaio. «Il risentimento [lascia] il posto alle disillusioni e all’apatia, l’acuirsi della crisi economica nel 1921 avrebbe fatto il resto. Otto mesi prima, la reazione popolare aveva imposto la liberazione di Malatesta nel giro di qualche ora. In ottobre, lo sciopero di protesta [coinvolge] solo le zone a netta egemonia libertaria: lo Spezzino, il Carrarese, il Valdarno e l’area di Piombino. Non ci [vuole] molto a capire che la fine delle occupazioni non era stata una sconfitta ma rischiava di essere la sconfitta, e gli anarchici ne erano pienamente coinvolti e responsabili»320. Sia gli storici – Bianco, Cerretti, etc. – che Fabbri e Malatesta sono d’accordo con le affermazioni di Di Lembo: i

317 “Umanità Nova”, 17 ottobre 1920.

318 Renzo Vanni, Fascismo e antifascismo in provincia di Pisa dal 1920 al 1944, Giardini, Pisa, luglio 1967 (prima

edizione), p. 96.

319 Carlo Sforza, L’Italia dal 1914 al 1944, quale io la vidi, Roma, Mondadori, 1945, p. 77, in Luigi Di Lembo, Guerra

di classe e lotta umana. L’anarchismo in Italia dal biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939), BFS, Pisa, p. 54. Sforza riferisce queste parole di Malatesta all’inizio del 1920, poco dopo il rientro dell’anarchico, il quale aveva già compreso i pericoli della possibile controrivoluzione preventiva fascista.

socialisti si comportano da traditori e gli anarchici come degli ingenui che si fidano delle promesse degli alleati al fronte unico. Borghi non è dello stesso parere e imputa le colpe più gravi all’ostilità aperta e decisa dei socialisti, in particolare dei riformisti. La ricerca delle responsabilità è certamente interessante, ma credo che ancora di più - come accennato all’inizio del paragrafo – sia l’individuazione e la comprensione delle conseguenze che il fallimento dell’azione rivoluzionaria determina sulla realtà dei primi anni venti. Dopo la fiammata rivoluzionaria del settembre gli operai, stanchi e disillusi, indietreggiano mentre il movimento fascista si prepara al contrattacco, alla controrivoluzione. I moti per il caro-viveri prima, le “degenerazioni” di sinistra verificatesi a Fiume, le vittorie socialiste nel campo elettorale, ed ora l’occupazione delle fabbriche incutono una grande paura nei borghesi, negli industriali, nei nazionalisti, nei governanti, nei conservatori, negli organi di Pubblica Sicurezza e negli istituti bancari; insomma tutti gli attori dell’economia capitalistica italiana, e non solo, hanno una folle paura del “pericolo rosso” e ciò li porta ad utilizzare il movimento dei Fasci di Combattimento come difesa dei propri interessi economici e sociali. Scrive Fabbri – testimone oculare dell’avvento del fascismo - a proposito delle conquiste operaie raggiunte dopo anni di lotte durissime:

[…] i salari operai eran troppo alti per lasciare ai padroni il margine di guadagno desiderato; ed era insostenibile altresì la posizione dei padroni stessi come tali di fronte agli operai, dato il contegno irriverente e insubordinato di questi che limitavano e diminuivano sempre più l’autorità di quelli, e con l’autorità il prestigio e il profitto.

Anche le altre conquiste operaie, data la crisi, diventavano un impaccio insostenibile per la classe padronale, una limitazione, una erosione tale del diritto di proprietà, da somigliare ad un lento strozzamento. Le otto ore di lavoro, le commissioni interne di fabbrica, gli scioperi parziali o generali, gli uffici di collocamento, i turni obbligatori, la limitazione dei cottimi, la proibizione della produzione di guerra, le multe per le contravvenzioni ai patti, ecc. ecc. e insieme a ciò le tasse governative, i calmieri sui generi alimentari e gli alloggi, finivano col dare ai padroni l’impressione di non essere più tali321.

A livello nazionale l’occupazione delle fabbriche del settembre 1920 non fa altro che dare credito ai timori di gran parte degli italiani. La paura della perdita dei privilegi da sempre detenuti decide le sorti dell’Italia.

321

Fabbri Luigi, La controrivoluzione preventiva (riflessioni sul fascismo), Lucinio Capelli, Bologna - Rocca S. Casciano - Trieste 1922, p. 20.