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L’attività di copia per l’antico fondo dei Vaticani Latini

2. I LIBRI DI PIO II PICCOLOMIN

2.2 La biblioteca di Enea Silvio

2.2.2 L’attività di copia per l’antico fondo dei Vaticani Latini

Non avendo Pio II lasciato disposizioni testamentarie per iscritto, non possiamo realmente conoscere se fosse mai stato suo desiderio contribuire in alcun modo alla costituzione della nuova Biblioteca Vaticana sull’esempio del Parentucelli, consegnando magari ai posteri i lussuosi volumi dei suoi diversi scritti, che faceva allestire in più esemplari senza badare a spese, insieme ai codici raccolti fin dagli anni giovanili, in primis gli amati classici.

Sembra certo che durante il pontificato le raccolte rimanessero fisicamente disgiunte, dal momento che Enea Silvio conservava i propri libri presso le sue stanze a proprio uso, per servirsene negli studi e nella composizione delle sue opere letterarie. Un pagamento del 29 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

342 In riferimento a E.MÜNTZ P.FABRE, La bibliothèque cit.

343 J.RUYSSCHAERT, Une Annonciation p. 253 nt. 17; cfr. ID., Sixte IV, fondateur de la Bibliothèque

Vaticane, 15 juin 1475, «Archivum historiae pontificiae», VII (1969), pp. 513-524.

dicembre 1462 riporta ad esempio il compenso di «ducati nove dati … a magistro Giovanni di Pietro da Fiorenza magistro di legniame per uno armario nella drieto camera di Sua Santità per tenere libri di Sua Santità».345

In conseguenza alla tradizionale mobilità della corte pontificia, il tesoro pontificio doveva inoltre accompagnare il papa nei suoi viaggi, e così Pio II dovette parimenti provvedere alla biblioteca portatile, per non separarsi dai volumi di cui necessitava la consultazione. Ne risulta la commissione allo stesso Giovanni da Fiorenze di «quatro casse [… ] per mettere libri di Sua Santità quando va fuore, che si mandano in castello».346

Bisogna ricordare che era un uso invalso la distinzione tra gli ambienti di raccolta dei beni librari e dell’archivio, rispetto alla stanza di lavoro personale del papa, predisposta nel cubiculum. Tale distinzione funzionale, poi adottata dallo stesso Sisto IV, già caratterizzava ad esempio la magnifica raccolta, purtroppo dispersa, dell’antipapa del Grande Scisma Benedetto XIII de Luna (1394-1423) presso la residenza spagnola di Peñiscola che, come scrive Manfredi, «fu disposta in due sezioni: la biblioteca della curia, organizzata per argomenti su scaffali (domunculae), e quella dello studium pape, riservata direttamente al pontefice».347 Quest’ultimo ambiente, anche nel Palazzo dei Papi ad Avignone, si trovava comunque contiguo al tesoro pontificio, ed è chiaro, invece, come l’idea di una separazione tra le due raccolte divenisse ben più evidente ai tempi di Pio II dopo l’intercorsa fondazione dell’istituzione Vaticana. La nuova Biblioteca della Santa Sede era stata voluta da Niccolò V in apposite sale che fossero accessibili agli studiosi,348 «per comune uso di tutta la corte di Roma», come scrisse Vespasiano da Bisticci nella vita del pontefice. Anche il secondo biografo di Tommaso da Sarzana, Giannozzo Manetti, ci testimonia che «Ex hoc tanto et tam ingenti et graecoum et latinorum librorum numero … sigularem et praecipuam bibliothecam oportuno quodam palatii sui loco condere ac construere decreverat, ubi omnes simul congregatos ad communem cunctorum Romanae Ecclesiae raelatorum utilitatem et ad perpetuum quoque et aeternum sacri palatii ornamentum».349 Ma è soprattutto il citato breve di Niccolò V per Enoch d’Ascoli il

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345 TS, 1289, 1462-1464, c. 56v; cfr. E.MÜNTZ P.FABRE, 1887, p. 130.

346 15 giugno 1463, TS, 1289, 1462-1464, c. 86v; cfr. E.MÜNTZ P.FABRE, 1887, p. 131. 347 A.MANDFREDI, La nascita della Vaticana cit., p. 149.

348 Per la struttura fisica cfr. F.CANTATORE, La Biblioteca Vaticana nel Palazzo cit., pp. 383-412.

349 I.MANETTI, De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis, a cura di A. Modigliani, Roma 2005 (Fonti

documento decisivo cui si fa riferimento per ritenere fondata la nuova raccolta libraria di palazzo.350

Un importante segno di continuità rispetto all’impresa culturale di Niccolò V può in realtà essere testimoniato dalla presenza di alcuni volumi, in verità pochi, con lo stemma di Pio II, da subito confluiti nel primitivo nucleo della Biblioteca Vaticana.351 Sembrerebbe questo un dato contrastante rispetto a quanto si è finora detto, che ci attesterebbe il chiaro proponimento di Pio II di concorrere all’arricchimento del patrimonio librario raccolto dai precursori.

Accanto ai libri di dono e ai libri recuperati sul mercato o da altre raccolte, come il nucleo incamerato dal cardinale Antonio de la Cerda, vi sono i volumi fatti espressamente allestire dal papa. Secondo Antonio Manfredi352 si può dimostrare come alcuni di essi non fossero destinati alla personale raccolta del Piccolomini, bensì realizzati appositamente per la neocostituita Vaticana. La loro odierna collocazione all’interno dei Vaticani latini con segnature alte, sta infatti a significare che furono inseriti nel fondo antico in epoca precedente alla morte di Pio II, evitando così la dispersione del resto della collezione tra i nipoti.

Se alcuni di questi codici trasmettono tra le più importanti traduzioni latine di classici del Quattrocento, altri sono gli originali esemplari di presentazione di nuove versioni commissionate dallo stesso Enea Silvio alla cerchia di umanisti della sua corte. Il fatto che Pio II patrocinasse nuove trasposizioni di testi greci in latino rivela, di fatto, un atteggiamento tutt’altro che indifferente rispetto al progetto niccolino, di cui diviene semmai diretta prosecuzione.

Secondo Manfredi, che individua alcuni di questi manoscritti con le segnature alte grazie al riscontro degli inventari sistini a partire dal 1475, Pio II intese «portare a termine alcune imprese di traduzione, sia da classici pagani che da antichi autori cristiani, già avviate o auspicate dal predecessore Parentucelli, collocandone gli esemplari ufficiali nella biblioteca di palazzo, ed è probabile che uno studio più accurato del fondo antico permetta di rilevare altri volumi passati da Pio II alla raccolta papale, a conferma piuttosto di una continuità con il predecessore umanista che di discontinuità, secondo quanto affermato nei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

350 «Iamdiu decrevimus atque ad id omni studio operam damus ut pro communi doctorum virorum commodo

habeamus (…) bibliotecam condecentem pontificis et sedis apostolicae dignitati», cfr. E.MÜNTZ –P.FABRE,

La bibliothèque du Vatican cit., 1887, pp. 47-48 e 39.

351 Cfr. Guida ai fondi manoscritti, I, Dipartimento manoscritti, 2011, p. 623 ss, per i Vaticani latini curati da

A. Manfredi.

Commentarii. Una vicenda di testi e codici fra Niccolò V e Pio II, oggi meglio conosciuta, sembra dare conferma a questo pur parziale interesse per la raccolta di palazzo durante il pontificato del Piccolomini».353

Nel perpetuarsi del sostegno alle traduzioni è implicita una continuità anche nell’incoraggiare la presenza a corte di tutte quelle figure necessarie per realizzare i volumi in tutti i loro aspetti. Non solo quindi richiamando gli illustri intellettuali ad occuparsi delle nuove versioni dal greco, ma anche i revisori che supervisionavano la cura filologica dei testi emendati, assieme a copisti aggiornati sulla scrittura umanistica, cui spettava materialmente il lavoro di trascrizione, fino ad affidare la decorazione ai miniatori prediletti, con l’obbiettivo di imprimere trionfalmente lo stemma papale sull’intera operazione culturale.

Si tratta ad esempio dei due volumi Vat. lat. 1594-1595 (fig. 123),354 con opere di Ovidio, curati con annotazioni testuali da Pietro Odi da Montopoli.355 Questi, docente presso lo Studium Urbis, al cui magistero si lega la formazione dello stesso Pomponio Leto, fu amico di Giovanni Tortelli, che affiancò nel progetto della biblioteca pontificia. I due manoscritti sono entrambi copiati dallo stesso copista e decorati da Gioacchino de Gigantibus prima della morte del Montopolitano nel 1463.356

Il pisano Pietro Balbi,357 allievo di Vittorino da Feltre, familiare del Bessarione e vescovo di Tropea dal 1462 (†1479), è poi incaricato da Pio II della traduzione dal greco delle Omelie di San Giovanni Crisostomo, esemplate nel Vat. lat. 410 (figg. 164-165). Il frontespizio miniato è attribuito da Ruysschaert alla mano di Andrea da Firenze, con la collaborazione di Gioacchino per quanto riguarda la decorazione interna a bianchi girari.358

La versione di Lorenzo Valla di Erodoto compare nel Vat. lat. 1796, per il quale Ruysschaert identifica il copista, il prolifico Iohannes Hornses Monasteriensis,359 assieme alla nota del tesoriere pontificio del 8 gennaio 1463: «Ducati sei dati di commandamento di Sua Santità a Johannes che sta col Rev.mo Cardinale di Santa Anastasia (Iacopo Tebaldi), lo quale a scripto un libro chiamato Erodoto, lo quale e quinterni trenta otto»,360

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353 A.MANFREDI, La nascita della Vaticana cit., pp. 190-191. 354 A.MANFREDI, I codici latini cit., pp. 409-410.

355 M.G.BLASIO, Odo, Pietro, in DBI, LXXIX, Roma 2013, pp. 158-159. 356 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., p. 270.

357 A.PRATESI, Balbi, Pietro, in DBI, V, Roma 1963, pp. 378-379. 358 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., p. 255.

359 Ibid., p. 253, nt. 43-44; cfr. E.CALDELLI, Copisti a Roma cit., pp. 117-118.

360 Archivio di Stato di Roma, T. S., 1288, 1460-1462, c. 93v; cfr. E.MÜNTZ P.FABRE, La bibliothèque du

cui fa seguito il 13 gennaio il pagamento per la decorazione del codice a “Andrea da Fiorenza miniatore”: «2 ducati e 5 grossi … per dieci mini fatti grandi di Erodoto».361

Il manoscritto Vat. lat. 2060 (fig. 163) conserva invece la traduzione di Platone di Antonio Cassarino (†1447) sottoscritto e datato al 1463 da Giovanni Gobelini da Lynz,362 che pure risulta decorato, secondo Ruysschaert, da Andrea da Firenze. Il miniatore dimostra di aver ormai perfezionato la tipologia del fastoso frontespizio trionfale e, oltre al simbolo capitolino della lupa che allatta i gemelli, fa dispiegare ai suoi putti alati le insegne papali e il ritratto dello stesso Pio II con la tiara. In una delle collaborazioni tipiche dell’atelier papale, Jacopo da Fabriano partecipa invece alla decorazione del codice con inziali a bianchi girari.363

Come ricostruisce Manfredi, a collegare le commissioni di Pio II al periodo di Nicolò V è soprattutto il Vat. lat. 1816 (fig. 50-53), che tramanda la versione latina dei libri XI-XIV della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo, tradotta dall’abile grecista cremonese Iacopo da San Cassiano364 per volontà di papa Parentucelli, che gli aveva richiesto anche la traduzione dell’intero corpus di Archimede. Niccolò V fu il primo a commissionare la versione latina dell’opera di Diodoro, affidandone i primi dieci libri a Poggio Bracciolini, il cui archetipo è l’attuale Vat. lat. 1812 dedicato infatti al papa sarzanese, mentre la seconda (libri XI-XV) e la terza sezione (dal XVI libro), rispettivamente commissionate a Pier Candido Decembrio e a Iacopo, non furono ultimate per la sopraggiunta morte del pontefice e dell’umanista cremonese (†1454). La perduta versione originale di Iacopo da San Cassiano, insieme al Tortelli allievo a Mantova di Vittorino da Feltre di cui ereditò la biblioteca oltre che l’incarico alla direzione della Ca’ Zoiosa, ci è tramandata da due soli esemplari apografi: l’Harley 4916 realizzato nel 1469 per il vescovo Pedro Ferriz e appunto il Vat. lat 1816. A questo codice Elisabetta Caldelli ha recentemente ricollegato una lettera del 1458 in cui Pietro Odi informava il Tortelli che un copista Alemannus gli aveva proposto l’acquisto dell’exemplar con una traduzione di Diodoro utilizzata per una copia commissionata da Niccolò V, ma finita solo con Pio II.365 Secondo la studiosa, lo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

361 Archivio di Stato di Roma, T. S., 1288, 1460-1462, c. 60v; cfr. E.MÜNTZ P.FABRE, La bibliothèque du

Vatican cit., p. 125, nt. 8.

362 Colophon a c. 263v: « … PER IOHANNEM G. DE LYNS. DIVI PII SECUNDI PONTIFIICIS MAXIMI

LIBRARIUM, TRANSCRIPTUM ANNO EIUSDEM QUINTO ANNO DOMINI

M°CCCC°LXIII°ROMAE». Cfr. E.CALDELLI, Copisti a Roma cit., pp. 116-117, e per il codice nello

specifico p. 188.

363 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., pp. 255, 267 e fig. 2. 364 M.PALMA, Cassiano, Iacopo, in DBI, XXI, Roma 1978, pp. 478-479.

365 Cfr. E.CALDELLI,Copisti a Roma cit., pp. 21-22: «Itaque, cum diebus superioribus, immo mensibus iam

librarius Alemannus quidam ad me venisset pollicereturque si ei pecuniam darem, quam non adeo multam poscebat, qui dicessurus esset in curiam cum cardinali Sanctae Anastasiae, daturum se mihi dicebat

scriba di origine tedesca, familiaris del cardinale di Santa Anastasia Iacopo Tebaldi, che sottrae l’originale dalla biblioteca papale per darsi poi alla fuga quando gli viene ingiunto da Pietro di restituirlo, potrebbe riconoscersi proprio nel Iohannes Monasteriensis che copiò il Vaticano latino. Dalla vicenda traspare, secondo Rizzo,366 la necessità ormai diffusa tra i contemporanei di una biblioteca papale che fungesse da deposito culturale al servizio degli studi, facendosi garante della custodia di edizioni corrette e filologicamente emendate cui poter fare riferimento: «rem licet non pretiosam, utilem tamen quia ut primum exemplar est, sic etiam correctissimum». Una seconda considerazione può trarsi inoltre dallo stesso rivolgersi del Montopolitano al Tortelli, che costituisce per Pietro Odo il primo punto di riferimento al fine di recuperare il codice, quasi egli fosse ancora incaricato della custodia della raccolta niccolina. Non ci è in realtà dato sapere se l’umanista tornasse o meno ad occuparsi della gestione della biblioteca di palazzo durante il pontificato di Pio II, dopo essere stato sostituito nel ruolo da Cosimo di Montserrat nel 1455, per volere di papa Callisto III. Certo è ambigua l’interpretazione del passo in cui il mittente sembra forse più auspicare che constatare l’incarico del Tortelli negli anni del Piccolomini: «Tu pro tua prudentia et amore quo semper fuisti in pontificiam bibliothecam et reverendissima in Pium pontificem affectione curabis». Tanto che nella stessa lettera lo informa di volersi impegnare a proprie spese per realizzare una copia dell’opera principe del Tortelli, il De Orthographia, per farne dono al pontefice, che si era dimostrato interessato, chiedendo a Pietro Odo di procurargli un copista per quest’edizione.

Se il Vat. lat. 1816 è uno dei codici in cui Jacopo da Fabriano si firma in due dei quattro frontespizi riccamente miniati,367 è Andrea da Firenze il responsabile dell’apparato

decorativo del Vat. lat. 1815 (fig. 124), contenente invece la prima parte dell’Historia di Diodoro Siculo nella versione di Poggio Bracciolini, pure commissionata da Pio II. Secondo Ruysschaert è infatti suo lo stemma con triregno su cui si sovrappone l’arma di

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Diodorum Siculum aut potius eius partem Historiarum. Quaero unde codicem habet; a Nicolao inquit pontifice exemplar Diodori excribendi, quem modo Pio pontifici absolvi. Dixi ad pontificem exemplar quoque oportere redire. Negavi tille, et dum id legato significo, ille se istuc proripit cum cardinali suo. Tu pro tua prudentia et amore quo semper fuisti in pontificiam biliothecam et reverendissima in Pium

pontificem affectione curabis rem licet non pretiosam, utilem tamen quia ut primum exemplar est, sic etiam correctissimus». La lettera citata è ripresa da M.T. GRAZIOSI ACQUARO, Petri Odi Montopolitani carmina nunc primum e libris manu scriptis edita, «Humanistica Lovaniensia», 19 (1970), pp. 7-113: 30-31.

366 S.RIZZO, Per una tipologia delle tradizioni manoscritte di classici in età umanistica, in Formative Stages

of Classical Traditions: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance, ed. by O. Pecere, M.D. Reeve, Spoleto 1995, pp. 371-407: 387-388.

Giovanni Andrea Bussi, come indicato anche dal colophon: «Liber sextus et ultimus finit foeliciter per me Ioannem de Lumel 1459, Pii II» (c. 129r).368

Si può inoltre ricordare la presenza nel fondo antico di altre due traduzioni che erano state commissionate da Niccolò V, ma che vennero fatte allestire da Pio II in nuove copie di lusso, dove Ruysschaert riconosce rispettivamente i modi di Andrea da Firenze e Jacopo da Fabriano: il Vat. lat. 1566,369 un’Iliade di Omero nella versione di Lorenzo Valla e il Vat. lat. 2051 (fig. 125)370con la Geographia di Strabone (libri XI-XVII) tradotta da Gregorio Tifernate. Il codice, datato 1461 dal copista Antonius de Sarteanus, recherebbe marginalia in corsiva del Piccolomini.

I restanti volumi che si rintracciano tra i Vaticani latini sono manoscritti acquisiti da Pio II da altri proprietari, oppure copie di presentazione dedicate a vario titolo al pontefice. Come si è visto nel precedente capitolo, almeno tre volumi del fondo, i Vaticani latini 231, 362 e 4215, sono stati ricondotti alla biblioteca di Antonio de la Cerda, parzialmente acquisita da Pio II alla morte del cardinale spagnolo nel 1459.371

Una copia d’omaggio per il papa è, invece, il Vat. lat. 2050 (fig. 126, 128), donato da Bartolomeo Roverella, cardinale dal 1461 (†1476), di cui reca lo stemma accanto a quello, sovradimensionato, di Pio II. Entrambe le armi gentilizie appaiono anche nel Reg. lat. 1989 (fig. 127), che viene quindi a costituire un dittico, come ricostruito da Rino Avesani.372 Si tratta infatti di uno Strabone, Geographia nella traduzione di Guarino da Verona, esemplato in due volumi, con identità di copista e di miniatore, entrambi anonimi. Tale Maestro, che rivela suggestioni d’origine oltramontana, deve individuarsi in una delle tante mani romane, non ancora identificate, attive presso la curia ed è forse ad esempio riconoscibile per un Lattanzio del Fitzwilliam Museum di Cambridge (McClean 115; fig. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

368 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., p. 256 nt. 61, tav. 17; E.CALDELLI, Copisti a Roma cit.,

p. 186. Il Vat. lat. 1811, volume che conserva i primi sei libri di Diodoro Siculo tradotti da Poggio

Bracciolini, reca nel colophon la sottoscrizione datata 1461 del copista: «Scriptus autem fuit Dyodorus iste de | anno domini MCCCCLXI. pontificatus sanc|tissimi in Christo patris et domini | Pii divina providentia. PP. secundi. anno | quarto. manu propria mei Gerardi | del Ciriago civis Florentini. In civite Florentie. Laus. Deo. Amen.» presenta appunto una decorazione fiorentina mentre lo stemma del destinatario è rimasto vacante. Per l’iniziale istoriata raffigurante l’autore che offre la sua traduzione a Niccolò V, che costituirebbe un ritratto di Poggio Bracciolini v. E.WALSER, Poggius Florentinus. Leben und Werke, Berlin 1914, tav. II

(Beiträge zue Kulturgeschichte des Mittelalters und der Renaissance, 14); E.CALDELLI, I codici datati nei

Vaticani latini 1-2100, 2007, pp. 107-108.

369 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., p. 254 nt. 47, 255; A.STRNAD, Studia cit., p. 388 nt. 309;

A.MANFREDI, I codici latini cit., p. 436.

370 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romanins» cit., p. 254 nt. 50, tav. 5; A.STRNAD, Studia cit., p. 388 nt.

309; E.CALDELLI, Copisti a Roma cit., p. 188.

371 J.RUYSSCHAERT,Une Annunciation cit., p. 253; P. CHERUBINI, et al., Il costo del libro cit., pp. 364-365. 372 R.AVESANI, Per la biblioteca di Agostino Patrizi Piccolomini vescovo di Pienza, in Mélanges Eugène

129-130), finito di copiare da Johannes Gobelini de Lyns373 il 7 giugno 1460 per il cardinale Niccolò Forteguerri, stretto collaboratore di Pio II.

Viene quindi spontaneo interrogarsi sul perché anche volumi acquistati o ricevuti per la propria collezione personale siano invece confluiti precocemente nell’antico fondo della Vaticana insieme a quelli fatti appositamente allestire dal pontefice. La situazione libraria presso la Santa Sede era probabilmente ben più fluida di quanto immaginiamo, ed è pertanto difficile e forse superfluo tentare di trarre conclusioni troppo rigide. Certo si deve fare attenzione a non investire di considerazioni anacronistiche la lettura di un passato che rispondeva a ben altra sensibilità rispetto a quella odierna.

Il fatto che alcuni volumi, tra i più preziosi di quelli commissionati dal pontefice, sembrino essere stati approntati esplicitamente per la Biblioteca Vaticana, resta però un’evidenza che rivela un atteggiamento contradditorio, tutt’altro che indifferente rispetto al progetto niccolino. C’è da chiedersi se altri codici allestiti durante il pontificato Piccolomini fossero stati destinati alla raccolta fondata da Niccolò V per venire poi prelevati dai nipoti alla morte di Enea Silvio, magari le splendide copie delle sue stesse opere letterarie, attorno alle quali il cardinale Francesco Todeschini riunirà in seguito l’intero patrimonio librario della famiglia, edificando nella Libreria del Duomo di Siena un luogo degno della memoria dello zio.374

In assenza non solo delle volontà testamentarie, ma anche di inventari o di qualsiasi altra fonte documentaria contemporanea, nulla si può conoscere circa le reali intenzioni di Enea Silvio riguardo il futuro della sua raccolta personale. Per considerare programmato il lascito ai nipoti andrà ancora una volta ricordata la debolezza di Pio II nel favorire i compatrioti e in modo particolare i suoi congiunti, venendo così spesso accusato di nepotismo. Interessante è a questo proposito un singolare pagamento del 14 gennaio 1464 che attesta il conferimento di «ducati tre e grossi tre … a uno veturale di casa lo quale porto due some di libri di Sua Santità a Pientia che Sua Santità à mandati per li nipoti e una

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373 Familiare dapprima del card. Capranica, poi di Niccolò Forteguerri, per il quale copia il famoso De

civitate Dei della Bibliothèque Sainte-Geneviève, ms. 218 di Parigi, miniato da Niccolò Polani nel 1459, ed infine, qualificato come scriptore di Sua Santità, si sa realizza il Vat. lat. 2060 decorato da Andrea da Firenze. E.CALDELLI, Copisti cit., pp. 116-117.

374 Come fa notare A.A.STRNAD, Pio II e suo nipote Francesco cit., p. 76, nt. 143, Eugène Müntz e Paul

Fabre affermarono erroneamente che la Libreria «était destinée à recevoir les livres composés par Pie II, non