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Esempi di collezionismo librario alla corte pontificia

1.3 Il mercato del libro di lusso a Roma e la cultura degli studioli

1.3.1 Esempi di collezionismo librario alla corte pontificia

Una particolare preferenza per i mini di Andrea da Firenze è dimostrata soprattutto da Filippo Calandrini, arcivescovo di Bologna e cardinale dal 1448 (†1476).140 Nonostante il

fratello uterino di papa Parentucelli fosse in possesso di una ben fornita raccolta libraria, sono scarse le informazioni a riguardo e andranno raccolte caso per caso, qualora compaia nei frontespizi il suo stemma: d’azzurro alla croce di Sant’Andrea d’oro accompagnata in campo dalla calandra, spesso inscritto in una fascia blu con la scritta in capitali dorate «Philippus cardinalis bononiensis», secondo l’uso inaugurato da Niccolò V per i suoi manoscritti. 141 Agli anni del pontificato del fratellastro risale probabilmente la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

139 Cento codici Bessarionei, catalogo della mostra (Venezia, Libreria Vecchia del Sansovino, 31 maggio –

30 settembre 1968), a cura di T. Gasparrini Leporace, E. Mioni, Venezia 1968, p. 82, fig. 47; E.CALDELLI, Copisti cit., p. 99.

140 C.GENNARO, Calandrini, Filippo, in DBI, XVI, Roma 1973, pp. 450-452.

141 Alcuni suoi manoscritti sono citati da A.MARUCCHI, Stemmi cit., pp. 80-81 nr. 111 e 84 nr. 121; A.

MANFREDI, I codici latini cit., pp. 73-74: «La biblioteca di Filippo Calandrini non è stata finora fatta oggetto

di studio: codici suoi affiorano dal fondo antico e il suo nome torna ad indices tra i possessori nei cataloghi a stampa dei codici vaticani», l’autore cita i Vat. lat. 200, 287, 290, 481, 577, 1206, 2557, 1744. Manfredi inoltre riconosce nel Vat. lat. 4760 il Breviario del Calandrini, che era stato studiato in precedenza senza

realizzazione del Messale personale, oggi conservato in Vaticana con la Segnatura Arch. Cap. S. Pietro B 68 (fig. 32), che risulta decorato secondo i modi caratteristici della produzione avviata alla corte del Parentucelli.

Riconducibile ad Andrea da Firenze è invece un gruppo di codici trascritti con ogni probabilità a Roma per il Calandrini da Georgius Kynninmonth, che si definisce Scotus. Sono il Vat. lat. 200 (fig. 33)142 con l’Opera di Cipriano, datato dal copista il 5 giugno 1456, che apre con c. 1r incorniciata dai girali abitati da putti e uccelli, ancora privi di cornici di contenimento; sicuramente successivo, il Vat. lat. 481 (fig. 35), 143 Sant’Agostino, Tractatus in Evangelium Iohannis, dotato di numerosissime iniziali interne con sviluppo marginale racchiuso in listelli in lamina d’oro, mentre di grande eleganza è la pagina 1r divisa in due colonne, nella seconda delle quali appare l’autore nello studio entro una vignetta; il Vat. lat. 1744,144 con Cicerone, Orationes, miniato nel frontespizio sui quattro margini con putti e animali, realizzati probabilmente da un aiuto, mentre sicuramente ad un secondo miniatore spetta la scena, ospitata nello spazio circolare dell’iniziale Q (Quanquam), con l’adlocutio dell’autore rivolto entro uno studio a quattro soldati; un Sant’Agostino, De civitate Dei, presso la Biblioteca Oratoriana dei Gerolamini di Napoli (ms. C.F.3.9.1; fig. 34),145 in cui curiosamente lo stemma Calandrini compare a c. 441r; infine presso la Bodleian Library si conserva un Lattanzio, Divinae Institutiones, Canon Pat. Lat. 139 (fig. 36)146 pure trascritto dal copista insulare,147 ma con stemma eraso, mentre il frontespizio è decorato sui quattro lati dai girali in risparmiato che intrappolano nel margine superiore un grande uccello dall’espressione corrucciata, motivo firma caratteristico di Andrea da Firenze.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! identificarne il possessore, cfr. P.SALOMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane I, Città del Vaticano 1968 (Studi e testi 251), p. 175; realizzato da più mani prive di vertici di qualità,

esemplifica la situazione romana riguardo la decorazione liturgica che non ricevette alcun impulso

rinnovatore. Nella decorazione di c. 118, realizzata da un miniatore probabilmente non italiano, una seconda mano interviene ad introdurre il ritratto genuflesso del cardinale Calandrni all’interno del margine inferiore, dominato dal volo delle vittorie reggistemma entro un crudo paesaggio.

142 E.CALDELLI, Copisti cit., p. 177.

143 A.MANFREDI, I codici latini cit., p. 73. Non è finora riferito al catalogo del copista, ma è da lui

sottoscritto a c. 129v: «Quod Georgius de Kynninmonth Scotus Scriptor».

144 E.CALDELLI, Copisti cit., p. 177.

145 Codici miniati della Biblioteca Oratoriana dei Girolamini di Napoli, a cura di A. Putaturo Murano et al.,

Napoli 1995, cat. 15, pp. 70-72 e tav. 24. Si propone una data intorno al 1450 e si ritiene la miniatura fiorentina.

146 O.PÄCHT ,J.J.G.ALEXANDER, Illuminated Manuscripts in the Bodleian Library, Oxford. II. Italian

school, Oxford 1970, nr. 347, p. 34 e tav. XXXII, dove senza attribuzione si riconosce però la parentela con il Vat. lat. 200; E.CALDELLI, Copisti, cit., p. 107.

147 Un ulteriore volume che è stato aggiunti al catalogo del copista sono le Historiae di Erodoto, S.XIV.1

della Biblioteca Malatestiana di Cesena, scritto in collaborazione con Iohannes Hornsen Monasteriensis (cfr. E.CALDELLI, Copisti cit., p. 106) e pure ci sembra decorato con una collaborazione che affianca un anonimo

I bianchi rameggi di Andrea accompagnano inoltre la scrittura umanistica di altri copisti romani che eseguirono dei volumi per il Calandrini: nel Vat. lat. 530 (fig. 37),148 San

Cirillo d’Alessandria, Thesaurus adversus hereticos, traduzione di Giorgio Trapezunzio, che presenta molte iniziali con sviluppo marginale a piena pagina e frontespizio con il classico modulo su tre lati a c. 5r; nel Vat. lat. 577 (fig. 38)149 con i Moralia di San Gregorio Magno, aperti a c. 10r con cornice sui quattro margini percorsi dalla barra d’oro raddoppiata per i lati maggiori e pausata da aperture con putti e serafini; e nel Vat. lat. 1199,150 le Vitae Patrum, un codice umanistico di fine fattura per un contenuto patristico, possibilmente copiato dallo stesso Georgius Kynninmonth, con titoli rubricati in oro, buona pergamena con i tagli dorati e un ricco apparato decorativo, a c. 1r (fig. 40) con i quattro margini continui di bianchi girari bordati di lauro policromo entro cornici in foglia d’oro. Una prima iniziale istoriata, V (Vere), all’incipit de Verba seniorum dello Pseudo Rufino, illustra il colloquio di tre monaci seduti entro un paesaggio mentre il più anziano sulla sinistra, da identificarsi con Sant’Antonio Abate, fa sgorgare l’acqua a ricordo del miracolo nel deserto; un secondo capolettera, I (Igitur), a c. 10v (fig. 39) è poi affiancato da una vignetta che raffigura nuovamente l’eremita, riconoscibile grazie agli attributi dell’iconografia tradizionale: il bastone a Tau con campanella, il fuoco, il maiale ai piedi, mentre alle spalle sono gli edifici di un monastero.

Un altro membro della curia romana che ricorse con frequenza all’opera di Andrea da Firenze fu Gaspare da Sant’Angelo, che fu evidentemente un bibliofilo dignitario della corte di Pio II, ma di cui non si hanno notizie documentarie, se non la sola attestazione scritta «D. Gaspar. de S. Angelo» o «G. de sanctoangelo» che correda gli stemmi apposti sui volumi che gli appartennero. La raccolta iniziò ad essere studiata da Giovanni Mercati151 attorno ad alcuni esemplari che ne presentano l’arma, d’oro alla croce d’azzurro caricata all’incrocio da un crescente d’oro, cantonata da quattro ali di rosso.152 All’articolo

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148 Non sembra essere stato ancora considerato dagli studi di miniatura. 149 A.MANFREDI, I codici latini cit., p. 73.

150 Sembra non essere ancora noto agli studi di miniatura.

151 G.MERCATI, Paralipomeni Perottini, II, in Opere minori. Raccolte in occasione del settantesimo natalizio

sotto gli auspici di S.S. Pio XI, IV (1917-1936), Città del Vaticano 1937 (Studi e Testi 79), pp. 351-57. Elenca i Vaticani latini: 1025, 1525, 1563, 1695, 1740, 1742, 1786, 1914, 1990, 2064, 4505, individuando inoltre le sue note di possesso nel Vat. lat. 457, che fu un acquisto senese del 1472 e nel Vat. lat. 1510, rimasto senza decorazione e quindi privo di stemma.

152 Talvolta appare la variante alla croce di nero e così è descritta per il Vat. lat. 1742 in A. Marucchi,

Stemmi, cit., p. 80 nr. 110 e tav. IV, fig. 6. Come nota Mercati a p. 357, ritenendo Gaspare un senese, forse la modifica dello stemma può essere corrisposta ad un particolare privilegio ricevuto nel frattempo con la

del cardinale Prefetto della Vaticana seguono solo brevi menzioni mentre, come per molti altri casi di importanti collezionisti di libri, manca uno studio che ne rivendichi la rilevanza. A lui sono riconducibili almeno trentasette codici, molti di bella fattura e alcuni splendidamente miniati, a testimoniarne le disponibilità finanziare assieme ad un accorto gusto estetico. I volumi si rintracciano nel fondo antico della Vaticana dal momento che la sua biblioteca venne incamerata nella raccolta pontificia di Sisto IV non più tardi del 1481, probabile anno del decesso. Come ricostruisce Mercati, dal libro delle entrate e delle uscite della Camera Apostolica per gli anni 1481-1482 risultano pagati l’8 gennaio 1482 «flor. centum octuaginta auri de camera de mandato facto die XVII decembris heredibus quondam d. Gasparis de sancto Angelo pro precio quorumdam librorum ab eis habitorum ad usum bibliotece palatii in qua positi fuerunt».153 Lo studioso collega il pagamento con l’ingresso in Vaticana di ben trentasette codici pergamenacei principalmente di autori classici o umanisti, tre con opere di Enea Silvio, registrati dai custodi il 27 novembre 1481 sul secondo volume dell’inventario del Platina.154

Dall’esame indiziario di alcuni di questi manoscritti emerge che Gaspare predilesse rivolgersi con continuità ai mini di Andrea da Firenze, che come sempre seppe realizzare raffinate impaginazioni a bianchi girari, sapientemente ordinate per esaltare lo specchio di scrittura. La sua mano può individuarsi ad esempio nel Vat. lat. 1025 (fig. 41),155 Repertorium aureum Bibliae di fra Bindo da Siena, con il motivo a bianchi girari su tre margini, percorsi da una doppia barra in oro interrotta dallo stemma con cornice inscritta, retta da due putti; nel Vat. lat. 1563, De lingua latina di Lorenzo Valla, con l’arma incastonata entro la cornice a viticci mediante due losanghe rosa e verde di cappi intrecciati attorno ad una circonferenza in oro, secondo gli stilemi propri della miniatura malatestiana; nel Vat. lat. 1786 (fig. 42), una copia delle Epistulae secularum di Enea !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! nomina papale di Pio II, che ha consentito a Gaspare di adottare la croce d’azzurro e uno dei crescenti del blasone Piccolomini.

153 G.MERCATI, Paralipomeni Perottini cit., p. 353, trae l’informazione da Archivio segreto Vaticano,

Introitus et exitus, 505, c. 194v; M.BERTOLA, I due primi registri di prestito della Biblioteca apostolica vaticana: codici vaticani latini 3964, 3966 , Città del Vaticano 1942 , p. XI nt. 4: la studiosa pubblicando dal Vat. lat. 3952 a c. 83v la lista di codici che Sisto IV mandò in biblioteca nel 1482 riconosceva che alcuni «sono i codici appartenuti a Gaspare da Sant’Angelo» con riferimento bibliografico a Mercati; A.MANFREDI, I codici latini di Niccolò V cit., p. 296, semplicemente riferisce che «la raccolta di volumi di Gaspare da S’Antangelo, forse dignitario della curia di Pio II, passo nella biblioteca papale quattrocentesca

probabilmente sotto Sisto IV».

154 E.MÜNTZ,P.FABRE, La Bibliothèque cit., dal codice Vat. lat. 3952, c. 83v. Mercati dalla lista individua

undici codici con stemma di Gaspare che corrispondono per contenuto.

155 È l’unico dei dodici codici identificati da Mercati a non trovare corrispondenza nella lista dei registri

vaticani. Il copista è Georgius Kynninmonth, che lavorò principalmente a Roma per Filippo Clandrini, cfr. E. CALDELLI, Copisti, cit., p. 106-107.

Silvio, con la grande iniziale I (Iulianus) in oro interrotta dalla vignetta con la mezza figura di Pio II, raffigurato con piviale e tiara mentre presenta il libro aperto sulle prime righe di testo; in basso i putti reggistemma rivelano, come per l’immagine dell’autore, qualche difficoltà nella resa, trattandosi evidentemente di un aiuto; nel Vat. lat. 1914, Vitae Caesarum di Svetonio, inquadrato a c. 1r dai bianchi girari lungo una barra continua, con due putti e pappagalli verdi affacciati alla ghirlanda con lo stemma.

Ai volumi della biblioteca di Gaspare riconosciuti da Mercati aggiungiamo anche il Vat. lat. 4034 (fig. 43), la famosa Retractatio libelli coloniensis di Pio II, con un’elegante cornice a tralci in risparmiato su tre lati e il consueto motivo dei putti tenenti il serto di alloro porta stemma. Segnaliamo inoltre che il Vat. lat. 1565 (fig. 307-309), un raffinato codice con il De Rebus Gestis Ferdinandi I di Lorenzo Valla miniato da Niccolò Polani, databile intorno al 1470, è probabilmente un libro d’omaggio al re di Napoli finanziato da Gaspare da Sant’Angelo, il cui stemma compare due volte ai lati di quello del destinatario, ai pali aragonesi di rosso e di giallo, sormontato da corona.

Tra i codici commissionati da Gaspare156 va sicuramente ricordato lo splendido Vat. lat. 1742 (fig. 45),157 con le Orationes di Cicerone, copiato da Petri de Middleburgh e noto per accogliere l’intervento di Sano di Pietro, a riprova forse delle origini senesi del committente.

Il Vat. lat. 1525, con il De agricoltura di Columella, apre invece con un notevole frontespizio fiorentino, ornato di numerosi putti e una gran varietà di animali, in particolare un pavone e un cervo di grandi dimensioni trattati con resa naturalistica, nel quale si può forse riconoscere i modi di quel Battista di Niccolò da Padova, stilisticamente vicino a ser Ricciardo di Nanni.158

Sull’esempio dei codici miniati di committenza pontificia, ad una composta e sobria decorazione a bianchi girari d’ispirazione fiorentina, nel giro di pochi anni a Roma si !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

156 Per gli altri codici di cui si è preso visione segnaliamo che il Vat. lat. 457, Tractatus de modo orandi o

Scala paradisi (A. Manfredi, I codici, cit., p. 247), acquistato a Siena, presenta iniziali riconducibili al lessico del Magister Vitae Imperatorum. Il Vat. lat. 1550, De verborum significatu di Pompeo Festo, dalla semplice decorazione a bianchi girari e due putti reggistemma di fattura modesta, reca la sottoscrizione di un miniatore «Stephanus ex Capitaneis de Sephara Iminiavit [sic]» per ora sconosciuto, a cui sarà da attribuire pure il povero intervento decorativo del Vat. lat. 2064, Leonardo Aretino, e forse il Vat. lat. 1740, Cicerone, pure posseduti da Gaspare da Sant’Angelo.

157 Vedere i classici, cit., cat. 98, p. 384 e fig. 378, scheda di M. Buonocore.

158 Lo stesso miniatore decora anche il Vat. lat. 1695 con Opera di Cicerone. Per Battista, in origine

erroneamente identificato da Garzelli come Giovanni Varnucci, cfr. A.DILLON BUSSI, Battista di Niccolò da Padova e Giovanni Varnucci: lo scambio delle parti? (e alcune note su Ricciardo di Nanni), «Rivista di Storia della Miniatura», 3 (1998), pp. 105-114; EAD., Battista di Niccolò da Padova, in DBMI, pp. 72-74.

sostituì un gusto esornativo sempre più fastoso, finalizzato nell’esaltazaione del possessore del codice a portarne in massimo risalto le imprese araldiche. In un tripudio di sfarzo ornamentale, la funzione della decorazione si piega dunque sempre più alle esigenze autocelebrative del proprietario. Così anche Andrea da Firenze, solitamente inamovibile nel riproporre sempre identiche le soluzioni stilistiche del repertorio ornamentale appreso in gioventù, mostra di accogliere almeno in un caso le influenze esterne che rapidamente giungevano a rinnovare il panorama romano. Lo si constata ad esempio nel manoscritto della British Library, Burney 270 (fig. 44),159 un Virgilio con l’Eneide con stemma Strozzi, giustamente ricondotto ai modi del miniatore da Albinia de La Mare. Se la decorazione interna è a bianchi girari, il lussuoso frontespizio a fondo oro con tralci vegetali policromi verdi, blu e rosa, intrecciati a costituire una cornice a cappi intrecciati, tradisce l’influenza di una diversa matrice formale, probabile prestito dalla coeva produzione di Jacopo da Fabriano, che fu uno dei maggiori tramiti del linguaggio sviluppato alle corti del Rinascimento padano.

Se già dagli anni sessanta le botteghe fiorentine ripetevano ormai con stanchezza gli stessi motivi dei tralci in risparmiato, divenuti presto appiattiti fondali per stereotipati, seppur raffinati, prodotti di routine, contemporaneamente a Roma si sopperiva al ritardo sperimentando inedite creazioni. In assenza di linguaggi autoctoni, nella città erano confluite tendenze artistiche eterogenee che si fusero presto in un precipuo prodotto romano, sebbene creato da miniatori che, al pari dei copisti, avevano ricevuto una formazione artistica al di fuori dell’Urbe. A fondarlo furono così i diversi artisti d’adozione: la levità faceta delle vivaci riprese dall’antico di Jacopo, assieme alle fantasie antropozoomorfe della sensibilità decorativa di fatto ancora medievale del Miniatore dei Piccolomini, contemporaneamente ai composti quadri di pierfrancecana memoria del maturo Amadei, o le fresche invenzioni antiquarie introdotte con precocità assoluta dal prete Niccolò Polani.

L’innesto di nuove correnti stilistiche, garantito dalla forza attrattiva intrinseca alla corte papale, permise dunque una continua innovazione della pagina miniata, nell’elaborazione di uno stile originale che trovò una fortunata legittimazione proprio in quanto espressione visiva dell’indirizzo culturale avviato dai papi umanisti.

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159 Catalogue of Manuscripts in The British Museum, New Series, I, part 2: The Burney Manuscripts, London 1830, pp. 68-69.