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Michael Foresius copista erudito

1.3 Il mercato del libro di lusso a Roma e la cultura degli studioli

1.3.4 Michael Foresius copista erudito

Nel considerare la produzione di passaggio tra il sesto e il settimo decennio del secolo, va inoltre segnalata l’importanza rivestita dalle invenzioni di un miniatore d’eccezione per il panorama dell’Urbe degli anni cinquanta, a conferma della pluralità di stimoli, non solo italiani, che pervennero alla corte dei papi, ma soprattutto della particolare congiuntura creata dalla presenza romana di Piero della Francesca.

Si tratta dell’erudito copista francese Michael Foresius,231 noto per aver trascritto due

codici della biblioteca di Francesco del Borgo. 232 L’umanista e matematico che in funzione di architetto papale attraversa ben quattro pontificati della metà del Quattrocento, fu un bibliofilo collezionista di codici classici, soprattutto di materia scientifica.233 Particolarmente a cuore dovette essergli infatti il recupero latino di trattati tecnici e teorici come l’Archimede urbinate (Urb. lat. 261; fig. 70) e due codici di Euclide, Vat. lat. 2224 e Urb. lat. 1329, scritti a distanza di un solo anno da Michael Foresius. Secondo Frommel, questi sarebbe da identificarsi anche come autore delle miniature, 234 mentre sull’attribuzione è stata più cauta Silvia Maddalo, che ha il merito di averne evidenziato la portata innovatrice.235

Il Vat. lat. 2224 (figg. 94-97),236 la Geometria di Euclide nella traduzione latina di Adelardo di Bath, fu scritto a Roma nel 1457. Sebbene lo spazio per accogliere lo stemma !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

231 E.CALDELLI, Copisti cit., pp. 130-131. Si è indicato Michael Foresius anche come il responsabile della

scrittura del Urb. lat. 261, ma per Caldelli l’Archimede è realizzato da altra mano.

232 È stato edito l’inventario dei beni, redatto dopo la morte avvenuta tra 1467 e 1468, che comprende

diciasette libri, ma, essendo descritte le sole legature, risulta troppo generico per permettere identificazioni. Si specifica solamente che possedeva un “officiolo” e “uno astrolabio”. V. A.SPOTTI TANTILLO, Inventari

inediti di interesse librario tratti da protocolli notarili romani (1468-1523), «Archivio della Società romana di storia patria», 98 (1975), pp. 86-87.

233 Marshall Clagett collegava a Francesco altri cinque codici di Archimede, tutti privi di decorazione: i mss.

Nouv. acq. lat. 1538, Latin 7220 e 7221 della Bibliothèque nationale de France, il Marciano Lat. 327, e il ms. 106 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, cfr. M.CLAGETT, Archimedes in the Middle Ages, I. The Arabo-

Latin Tradition, Madison 1964 (Studies in Medieval Science), pp. 12-13. Al gruppo è stato aggiunto l’Urb. lat. 985 con il De re militari di Giovanni Sofiano, cfr. C.STORNAJOLO, Codices Urbinati latini, II, Codices 501-1000, Romae 1912 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, codices manuscripti recensiti), p. 662.

234 C.L.FROMMEL, Francesco del Borgo cit., pp. 133-134.

235 S.MADDALO, In figura Romae. Immagini di Roma nel libro medievale, Roma 1990 (Studi di arte

medievale, 2), pp. 183-199; EAD., Progettare una biblioteca, disegnare la città. Francesco del Borgo nella Roma di metà Quattrocento, in Roma e il papato nel Medioevo. Studi in onore di Massimo Miglio, II. Primi e tardi umanesimi: uomini, immagini, testi, a cura di A. Modigliani, Roma 2012 (Storia e Letteratura. Raccolta di Studi e Testi, 276), pp. 111-128.

236 S.MADDALO, I prototipi delle vedute di Roma: dal maestro del Vat.lat. 2224 ad Etienne Dupérac, in

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, II, Città del Vaticano 1988, pp. 153-185; Vedere i classici cit., cat. 104, pp. 394-398, figg. 390-395, scheda di A.BARTOLA e G.STABILE; E.CALDELLI, Copisti cit., pp.

entro la decorazione a c.1r sia rimasto vuoto, il colophon vergato in oro a c. 222r, dichiara: «EXPLICIT GEOMETRIA EUCLIDIS CUM COMENTO CAMPANI PER ME MICHAELEM FORESII GALLICUM IN ROMA URBE SUB ANNO M.CCCC.LVII. FELICITER PRO DOMINO FRANCISCO DE BURGO S. SEPULCHRI APOSTOLICO SCRIPTORE ET CALISTI III PAPE FAMILIARI». Lo scriba francese si firma inoltre a c. 221r all’interno di una delle ultime iniziali minori, dove ancora si legge la scritta in biacca «MICHAEL.OPVS».237 In apertura dei quindici capitoli il codice presenta una gran quantità di cornici miniate dai motivi più disparati, ma non per questo c’è ragione d’ipotizzare l’intervento di più mani, trattandosi di esecuzioni accumunate dallo stesso fecondo estro inventivo quanto da una certa difficoltà, evidente soprattutto nella stesura dei colori, quasi che l’arte del pennello non fosse così familiare per l’artefice, più a suo agio invece con l’elemento grafico. Con grande varietà si alternano frontespizi ornati da un generico motivo vegetale di foglie d’acanto policrome su foglia oro (cc. 1r (fig. 94), con Euclide che regge il compasso indicando al tavolo di studio con libro aperto e sfera armillare, 92r iniziale con la figura di Euclide in cattedra e tre alunni con i libri, 201r), talvolta mutato in cornici a barra con larghi intrecci di nastri geometrici, di probabile ispirazione ferrarese (cc. 23r e 216r), accanto a pagine allestite con il motivo dei bianchi girari, rialzati da ombreggiature in acquerello rosa o grigio (cc. 17r, 36r, 44r, 65r, c. 98r con vignetta della veduta panoramica di Roma, 168r entro clipeo una donna con compasso e libro siede su un muretto di mattoni in un paesaggio e tra i girari il ricordo di matrice pisanelliana del paggio con cavallo visti di tergo, c. 184r) oppure pagine interamente illustrate attorno allo specchio di scrittura (cc. 77r e 148r; figg. 96-97). Come risulta evidente dalla popolazione dei tralci e dalla fantasia tardogotica espressa in particolare dagli animali che ne animano la composizione (a c. 65r ad esempio dei putti cacciano un naturalistico drago alla catena che azzanna i tralci da cui è originato), si può facilmente assumere la provenienza transalpina dell’artista. Ciò che spinge però a ricondurre alla paternità di Michael Foresius anche l’apparato decorativo sono i richiami di fascicolo che, abbandonata la consueta posizione defilata, conquistano il centro del margine inferiore del verso di pagina, venendo spesso inclusi all’interno di disegni anche complessi e talvolta non finiti, eseguiti non posteriormente alle scritte. Gli inserti grafici sono infatti realizzati, quasi volutamente, a suggerire un’ideazione coerente, vergando in certi casi le prime parole della pagina successiva inclinate entro cartigli, come a c. 90v dove si legge il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

237 A partire da c. 161 si alternano lettere in oro riquadrate su fondo blu e viceversa blu su fondo in lamina.

richiamo “volumus” su di un filatterio svolto da un putto, posto entro un’edicola architettonica voltata a crociera, con pavimento scaccato e rifinita nei dettagli delle modanature. Sono invenzioni che per atipica originalità rispecchiano l’unicum illustrativo dei frontespizi, ma soprattutto sono condotti a penna con lo stesso inchiostro nero e ocra rosso utilizzato per le miniature. Lo conferma il particolare ductus dei tralci in risparmiato che appare in uno di questi divertissement grafici a c. 208v (fig. 102), dove l’incipit della pagina successiva, “EQUALES”, compare con le lettere ridotte di modulo, per principio di diminuzione prospettica, entro una pergamena affissa su di un banco di lettura. Il libro aperto sullo scrittoio è consultato da un uomo in neri abiti moderni, raffigurato di profilo a mezzo busto, quasi si trattasse di un ritratto di medaglia, probabilmente nell’intento di immortalare lo stesso Francesco del Borgo. In più di un caso, invece, le invenzioni grafiche suggeriscono scopertamente l’identità tra l’ideatore delle illustrazioni e lo scriba, che a c. 50v (fig. 103) arriva a descriversi in vesti contemporanee nell’atto di vergare sul muro di un cubicolo il richiamo, illusionisticamente sempre in diagonale, «IN ISTO QUINTO». Ancor più significativo è il fatto che il copista ritragga sé stesso con in mano lo strumento del compasso, attestandosi quindi anche come l’esecutore dei disegni geometrici, o forse alludendo a responsabilità che ne facevano più di un semplice scriba di professione o miniatore dilettante.

Finora la critica non si è mai pronunciata espressamente sulle miniature del codice e secondo Silvia Maddalo solo parte della decorazione potrebbe ascriversi alla mano dello stesso copista, mentre la sorprendente veduta di Roma a c. 98r (fig. 98) potrebbe essere un’ideazione dello stesso Francesco. 238 Certo è che la concezione progettuale

dell’immagine si dimostra assolutamente innovativa ed anticipatrice nei tempi.

Per la prima volta nell’iconografia dell’Urbe la città ci appare infatti in una visione realistica e non più idealizzata come nel modello di tradizione medievale, ancora ad esempio fedelmente osservato da Jacopo da Fabriano nel Reg. lat. 1882, decorato nel 1456 per Gilforte Bonconti (fig. 99). Parlando di immagini di Roma non si può non menzionare l’imago Urbis apparsa in un altro De civitate Dei (Parigi, Bibliothèque Sainte-Geneviève, ms. 218; fig. 100), miniato questa volta nel 1459 da Niccolò Polani per il vescovo di Teano Niccolò Forteguerri, che è stata una delle opere d’esordio fondamentali per ricostruire il catalogo del miniatore. Anche qui la città è riconoscibile grazie agli edifici simbolo della sua storia imperiale e cristiana, tuttavia, nonostante la riproduzione verosimigliante !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

dell’inquadratura da nord-ovest, la valenza dell’immagine è ancora quella di un generico riferimento e non una reale mappatura: ciò che interessava era la rappresentazione dell’unione ideale dell’età classica con quella moderna.239 Come osserva Massimo Miglio

a proposito di questi anni di mutamento, si stavano poco a poco superando le strumentalizzazioni dei focolai repubblicani medievali, l’ultimo dei quali fomentato da Stefano Porcari durante il pontificato di Niccolò V, e all’idea municipale di Roma si sostituiva finalmente la memoria dell’antico.240 Non sembra tuttavia che questo debba significare per l’immagine dell’Urbe uno svuotamento dei contenuti politici, la città del Polani è anzi il risultato diretto dell’orientamento pontificio di restaurazione monarchica. Emerge cioè in accezione propagandistica l’esaltazione della città dei papi quale perfetta integrazione tra la Roma pagana e quella cristiana, prefigurazione della civitas Dei, essa stessa quale nuova Gerusalemme in terra. In questo senso si tratta ancora di una descrizione compendiaria dal valore puramente simbolico, frutto di un’operazione meditata che rovescia la tradizione iconografica fedele al testo di Sant’Agostino, che aveva da sempre personificato Roma come la civitas diaboli.241 Lo si nota ancora ad esempio nel frontespizio dell’opera del vescovo d’Ippona miniato dal Miniatore dei Piccolomini per Gregorio Lolli nel citato Borghesiano 366 (fig. 101). Nel margine inferiore la figura centrale di Sant’Agostino addita a sinistra un’apertura con la «SUPERNA CIVITAS | HYERVSALEM CAELESTIS», che angeli in volo e sulle impalcature stanno costruendo, contrapposta sulla destra dall’«VRBS INFERNALIS | ROMA YDOLATRA», la città in rovina, abitata da diavoli.

Ad annunciare il rapido mutamento nella sensibilità di un’intera epoca, la dettagliata veduta a volo d’uccello del codice di Francesco del Borgo rappresenta invece il moderno risultato empirico di un’osservazione diretta, grazie alla quale Roma cessa di essere un’idea e diviene realtà. Per la prima volta ci viene infatti tramandato il panorama urbano come doveva apparire ad una precisa angolazione, dall’alto di uno dei colli, grazie ad un vero e proprio rilevamento topografico. Tale raffigurazione ha comunque valore in !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

239 Per l’identificazione dei monumenti:A.GEFFROY, Une vue inédite de Rome en 1459, in Mélange G. B. de

Rossi. Recueil de travaux publiés par l’Ecole française de Rome en l’honneur de M. le commandeur Giovanni Battista de Rossi. Supplément aux Mélanges d’archéologie et d’histoire publiés par l’École française de Rome, XII, Paris-Roma 1892, pp. 361-381; F.EHRLE, Due nuove vedute di Roma del secolo XV, in Atti del II Congresso internazionale di Archeologia Cristiana tenuto in Roma nell'aprile 1900, Roma 1902, pp. 257-263.

240 M.MIGLIO, Immagini di Roma: Babilonia, Gerusalemme, «cadaver miserabilis urbis», in Cultura e

società nell'Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, Roma 1988, II (Studi storici, 192), p. 515.

241 Elisa Brilli leggeva invece il canonico contrasto di matrice agostiniana anche tra le due città raffigurate

dal Polani, cfr. E.BRILLI, Le attualità umanistiche della «città di Dio»: la ricezione del De ciuitate Dei

relazione al contenuto del testo stesso, visto che i fondamenti di geometria solida trattati dal capitolo erano la base propedeutica per la pratica architettonica. In questo senso la visione Urbis Romae è probabilmente un omaggio implicito al «responsabile delle costruzioni papali a Roma».242 Per la vignetta non sembra comunque indispensabile invocare necessariamente l’intervento del committente, che ad ogni modo immaginiamo supervisionasse da vicino la realizzazione dell’opera, dal momento che Michael Foresius appare perfettamente in controllo della materia del trattato. Non solo egli traduce visivamente con cognizione le dimostrazioni dei teoremi attraverso i diagrammi tecnici e i disegni geometrici, ma le stesse illustrazioni provano che egli non fu certo una personalità priva di istruzione e di rudimenti scientifici.

Una stretta dipendenza dal testo si evince in particolare nel frontespizio a c. 77r (fig. 96) che correda l’incipit del VII libro «Unitas est unaquaeque res dicitur una», dove, alludendo al concetto euclideo di Unità, espresso nella trattazione dei numeri primi, è concepita una visione metafisica del “Tutto” universale. La figura ritta sull’iniziale sembra infatti inchinarsi in ammirazione della riproduzione del globo terrestre portato in trionfo dalla molteplicità di enti entro un firmamento popolato di putti alati, che potrebbe quindi costituire la sfera delle stelle fisse.

Si osservi poi la rappresentazione che circonda i margini di c. 148 (fig. 97) a principio del libro XI in cui Euclide passa alla descrizione dei corpi solidi, «Corpus est quod longitudinem et latitudinem et altitudinem habet». Se dietro l’iniziale è la figura della Fortuna che regge un libro e una sfera, la più perfetta delle forme geometriche, l’intero specchio di scrittura è accluso entro un illusionistico sfondamento prospettico, quasi si trattasse di una precoce idea embrionale di frontespizio architettonico. L’espediente, ancora libero dalle codifiche della prassi decorativa, è qui dispiegato dal miniatore con particolare freschezza narrativa, descrivendo il prospetto di un edificio aperto in vari ambienti, ciascuno abitato da figure colte nelle più diverse attività. Dalla scena pedagogica della lezione ex cathedra con gli alunni seduti ai banchi, si passa alla disputa tra dotti durante un’esplicazione pratica degli elementa euclidei, disegnati sul muro, fino all’applicazione strumentale della teoria, destinata al tetto del palazzo, dove alcune figure sono intente a misurazioni contro il cielo azzurro per mezzo di astrolabi. Tutto concorre a restituire lo spaccato dischiuso su di un fervido clima intellettuale, mediante descrizioni di grande spontaneità come i colloqui tra i corridoi, accanto alla figura che sale le scale sotto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

242 Le Vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, a cura di G. Zippel, Città di Castello 1904-

il peso dei libri, mentre si aggiungono vividi dettagli quotidiani come l’uomo che guarda in basso dalla finestra, il gatto nel sottarco o quello che si intravede in un ambiente più interno, denunciando una spazialità d’ispirazione fiamminga.

Sicuramente la qualità della resa pittorica è piuttosto discutibile, soprattutto evidente è la scarsa attitudine rispetto all’uso del colore. È interessante evidenziare invece la familiarità nella raffigurazione di un’architettura d’ispirazione classica, magari desunta dall’osservazione reale, evidente nel loggiato ad ordini sovrapposti con l’ampio corridoio voltato a botte, l’arco di scarico con centinatura in mattoni, o nella stessa presenza dell’erba infestante come si trattasse di rovine romane. L’edificio antico è però rappresentato in alzato, ripopolato dalle figure dei nuovi umanisti con i loro libri, eredi attuali della sapienza greca e latina. Anche se non si trattasse di un frontespizio intenzionalmente programmatico a celebrare il clima di rinascita edilizia e di studi scientifici che certamente si iniziava a respirare dopo gli anni della renovatio urbis niccolina, è suggestivo immaginare che uno spaccato così vivido possa documentare un contesto intellettuale reale, a cui partecipasse lo stesso Foresius.

L’anno successivo lo scriba francese ultimò, il 23 ottobre 1458, il codice Urb. lat. 1329 (figg. 104-105),243 con l’Optica di Euclide (cc. 19v-42v) trascritta insieme ad una silloge di opere di Tolomeo (Libellus de iis quae in caelo aspiciuntur. De algebra et almuchabala; cc. 43r-63r). Sebbene nuovamente lo stemma di Francesco di Borgo Sansepolcro non compaia nello spazio previsto in calce a c. 1r, la sua commissione è confermata sempre dal colophon. A c. 19r all’explicit di Euclide: «[…] PRO DOMINO FRANCISCO DE BURGO SANCTI SEPULCRI APOSTOLICO SCRIPTORE», cui segue entro un cartiglio «MICHAELIS FORESII OPUS»; nuovamente a c. 42v: «PRO DOMINO FRANCISCO DE BURGO SCRIPTORE APOSTOLICO ET S.D.N. PAPE PII SECUNDI FAMILIARI OPTIMO»; ed infine in oro, in chiusura dell’ultimo foglio 63r, con la data topica: «Ego Michael Foresii Gayensis hunc librum scripsi pro domino Francisco aostolico scriptore de Burgo S. Sepulchri nuncupato in Roma urbe die XXIII octobris anno MCCCCLVIII feliciter».

Come nel Vaticano latino per i due frontespizi decorati sui quattro margini si adotta un ornato a foglie d’acanto dai colori accesi per c. 1r, sostituiti dai motivi a bianchi girari a c. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

243 Per bibliografia cfr. Vedere i classici, cit., cat. 97, pp. 380-382, figg. 375-377, scheda di A.BARTOLA e G.

STABILE; E.CALDELLI, Copisti, cit., pp. 130, 175 e fig. 18. A c. 30 come per il Vat. lat. 2224 il richiamo è

19v con la raffigurazione di Tolomeo. A c. 43r (fig. 104) i viticci in risparmiato si sono affinati e si sviluppano precocemente su di un impianto a doppie barre in oro pausate da intrecci geometrici a grata. L’effetto finale della pagina è di grande raffinatezza, difficilmente raggiungibile nel contesto romano degli stessi anni. Nonostante siano qui indubbiamente più evoluti, alla base dei tralci, lumeggiati in azzurro e ocra, si ritrova la stessa costruzione del Vat. lat. 2224, ancora priva di raffronti italiani, mentre avvalora la paternità dell’opera la presenza della peculiare sigla della mosca con i tre cardellini, motivo-firma che già era apparso nel Vaticano latino a margine di c. 152v tra le foglie di un ramo con una rosa fiorita.

A ricordare il primo volume euclideo è in particolare la raffigurazione del riquadro posto nel margine esterno del foglio d’apertura, dove si apre una visione prospettica di una via centrale di un borgo, a dir poco innovativa (fig. 105).244 In coincidenza con la capacità di resa lenticolare del dettaglio architettonico, evidente eredità dall’arte fiamminga, colpisce la capacità pierfrancescana di restituire la precisa condizione di luce del sole al meriggio. Provenienti da sinistra, i raggi riflettono sulle facciate silenziose degli edifici mentre l’oscurità inizia a calare allungandosi sulla piazza deserta. Sono ombre curiosamente colorate, che generano un effetto di dissolvenza delle forme degno di uno studio d’impressionismo, sebbene sia da ascrivere probabilmente alla scarsa dimestichezza con la tavolozza già riscontrata. Il risultato è nondimeno affascinante, soprattutto per la presenza della forma pura del pozzo blu ottagonale, ribadita dalle sfaccettature dei gradini, che ci attrae lungo la linea di fuga verso lo scorrere di un fiume tra le indistinte macchie di colore dei campi, le montagne azzurre e le nuvole appena arrossate. Non è quindi un caso che il trattato di Euclide presentasse proprio la concezione ottica della piramide visiva, che è rappresentata, quale didascalia, nel grafico a cono proprio al di sotto della vignetta. Più che la figurazione di una città ideale, o del nativo Borgo del committente, come è stato asserito, l’immagine funge quindi da esemplificazione concreta della teoria, al pari dei tanti diagrammi che ancora una volta corredano il testo. Tutti questi indizi portano dunque a supporre che il copista-miniatore fosse anche un capace conoscitore della materia trattata, al pari del committente, e non sarà quindi difficile ipotizzare che si trattasse di un familiare o di una personalità vicina al suo seguito, magari con ruoli d’assistenza presso i cantieri papali, di cui Francesco era il supervisore incaricato.

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244 Cfr. A.DE MARCHI, Fra Carnevale, Urbino, le Marche: un paradigma alternativo di Rinascimento,

in Fra Carnevale. Un artista rinascimentale da Filippo Lippi a Piero della Francesca, catalogo della mostra di Milano e New York a cura di M. Ceriana, K. Christiansen, E. Daffra e A. De Marchi, Milano 2004, pp. 67- 95, spec. pp. 86-87, fig. 35.

Riguardo alla personalità innovatrice del Foresius, capace di sperimentare la tipologia dell’illusionistico frontespizio architettonico a piena pagina già dal 1457, anche monsignor Ruysschaert ne aveva colto l’interesse, avviando delle ricerche che non risulta abbiano poi avuto seguito editoriale. Presso l’archivio della Fondazione Ezio Franceschini si conservano infatti le bozze preliminari, forse propedeutiche alla pubblicazione di un intervento, intitolate «Une vue inédite de Rome en 1457 du copiste-miniaturiste Michael Foresii».245 Ad una data imprecisata lo studioso proponeva già il confronto dell’immagine dell’Euclide Vat. lat. 2224 del 1457 con le due vedute di Roma dei De civitate Dei miniati da Jacopo nel 1456 (Reg. lat. 1882) e da Polani nel 1459 (Bibliothèque Sainte-Geneviève,