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Le Maître du paon e Clemente da Urbino

1.3 Il mercato del libro di lusso a Roma e la cultura degli studioli

1.3.3 Le Maître du paon e Clemente da Urbino

La personalità artistica del Miniatore dei Piccolomini, in cui trova quindi particolare espressione l’eredità di Jacopo da Fabriano, è stata inizialmente ricostruita da Josè Ruysschaert,193 che radunava un nutrito gruppo di manoscritti per ricondurli sotto il nome del monaco camaldolese Giuliano Amadei, apparso nei pagamenti pontifici.194 In seguito Silvana Pettenati195 mise in dubbio il riconoscimento, preferendo distinguere le due figure e suggerendo di riferire ad un anonimo miniatore il corpus di codici, costituito soprattutto da commissioni della famiglia dei Piccolomini, da cui il nome critico tuttora corrente. Infine, il catalogo venne definitivamente scorporato da quello di Giuliano Amadei, grazie alla ricostruzione del pittore e miniatore fiorentino, collaboratore occasionale di Piero della Francesca, compiuta da Andrea De Marchi.196

L’attività nota del miniatore si concentra interamente a Roma, dove fu capace di una produzione a bianchi girari sterminata che, alla pari di Gioacchino de’ Gigantibus, inondò il mercato locale degli anni sessanta, divenendo presto seriale nonostante si distingua sempre per tratti d’estrema peculiarità. Nondimeno gli è stata riconosciuta la realizzazione di manoscritti di pregio, come l’Urb. lat. 261, dotato di un ricchissimo apparato illustrativo (fig. 70-75).197 Il codice, che significativamente Serafini riteneva «un magnifico prodotto della bottega di Giacomo di Fabriano»,198 tradisce l’Opera di Archimede secondo la versione latina commissionata a Iacopo da San Cassiano († 1453-1454) da Niccolò V. La scritta in oro «D(ominus) FRANCISCUS DE BURGO» che appare sull’asta orizzontale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

193 J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes cit., pp. 245-282.

194 S.MARCON, Amadei Giuliano, Pseudo Amadei, in DBMI, pp. 10-13.

195 S. PETTENATI, La biblioteca di Domenico della Rovere, in Domenico della Rovere e il Duomo nuovo di

Torino. Rinascimento a Roma e in Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1990, pp. 48-49.

196 A.DE MARCHI, Identità di Giuliano Amadei miniatore, «Bollettino d’arte», 80 (1995), 93-94, pp. 110-

158.

197 Attribuito la prima volta da J.RUYSSCHAERT, Miniaturistes cit., p. 263, nt. 21. Per bibliografia cfr. Vedere

i classici cit., cat. 109, pp. 408-413, scheda di A.BARTOLA e G.STABILE.

198 A.SERAFINI, Ricerche cit., p. 433-434. Alla bottega riconduceva peraltro una serie di Urbinati latini tutti

della A di Archimedis a c. 115v, rivela il committente del codice, Francesco di Borgo Sansepolcro,199 come indicato dal colophon a c. 130v, «Finis librorum Archimedis quos

transcribi iussit dominus Franciscus Burgenis semmper Deo laus» e in accordo con la presenza del suo stemma sul frontespizio: d’azzurro alla fascia di verde nero e rosso accompagnata da tre stelle d’oro a otto punte, due in capo e una in punta. Il concittadino di Piero della Francesca, scriptor apostolicus, nonché familiare dei papi Callisto III e Pio II, fu l’architetto di tre papi, di Niccolò V, di Pio II e di Paolo II, che gli affidò la ricostruzione della propria residenza romana cardinalizia, il Palazzo San Marco (oggi Venezia), per destinarlo quale nuova sede Apostolica.200

Il lussuoso frontespizio del codice apre con l’immagine dell’autore in vesti contemporanee, intento a disegnare i grafici del suo trattato entro uno studiolo dalla foggia rinascimentale,201 mentre sui quattro margini il miniatore dimostra di dominare un aggiornato linguaggio d’ispirazione antiquaria (fig. 70). La realizzazione soddisfa pienamente i nuovi canoni ornamentali del libro umanistico, non solo nell’associazione di entrambi i motivi dei tralci bianchi e dei cappi policromi, rispettivamente trattenuti dai cordoni d’alloro variopinto e mediante una cornice lapidea a motivi plastici, ma soprattutto arricchendo la fascia decorativa con citazioni di sapore classico, come la suppellettile di vasi ed anfore, i clipei-medaglia con busti di profilo o le effigi di imperatori laureati. Le targhe marmoree quadrangolari dalle cornici con motivi lapidei all’antica, ma soprattutto le iniziali a cappi annodati per larghe maglie elastiche secondo forme geometriche, rieditano chiaramente le invenzioni originate nello scriptorium malatestiano (figg. 76-77), assimilate tramite Jacopo, ma più probabilmente, sostrato formale legato ad un’autonoma gestazione. Così come la qualità luminosa e l’impianto prospettico degli studioli, di spazialità quasi fiamminga, adombrano un ascendente urbinate, sebbene l’influsso di Piero possa ormai spiegarsi con le novità romane, oltre che, per via secondaria, con il legame al Borgo nativo dello stesso committente. Nonostante però tali mature ricezioni, la pagina continua comunque ad essere immersa in una profusione esornativa dal sapore ancora tardogotico. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

199 Per la biografia cfr. C.FROMMEL, Francesco del Borgo cit., per bibliografia P.N.PAGLIARA, Francesco di

Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro, in DBI, XLIX, Roma 1997, pp. 692-696.

200 Paolo II fu particolarmente legato al suo famigliaris e commensalis continuus, come ci tramanda Gaspare

da Verona, il biografo del papa veneziano, che «eiusdem morte audita, dolore quodam affectus est, quod vix ei par comperiri posset architectus ingeniosissimus»; A.ANDREWS, The Lost Fifth Book of Pope Paulus II by Gaspare of Verona, «Studies in the Renaissance», 17 (1979) p. 42.

201 Si è sostenuto anche che si trattasse dell’effige del committente,ma se quest’interessante ipotesi può

valere per una delle altre figure che appaiono nelle iniziali istoriate interne, come ad esempio c. 44v, è forse più difficile che lo spazio del capolettera d’incipit non fosse riservato all’autore stesso. Cfr. S.MADDALO,

La carriera del miniatore, che come si è visto può risultare già attivo almeno all’altezza del pontificato di Callisto III (cfr. il Vat. lat. 390 per Jean Jouffroy, fig. 28), fiorisce in particolare negli anni sessanta, quando diviene l’artista di riferimento per l’entourage curiale dei cosiddetti “pieschi”, fatto che gli valse appunto il battesimo convenzionale di Miniatore dei Piccolomini. Nelle schedature e negli appunti conservati presso l’archivio della Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, Ruysschaert vi si riferiva in realtà inizialmente con l’appellativo di “Maître du paon”, essendo il pavone una sigla peculiare tra gli elementi che caratterizzano il suo esuberante lessico ornamentale. Grazie ad una precisa individuazione dei sintetici e codificati girali, il monsignore belga fu capace di articolare il ricco catalogo dell’anonimo miniatore, riconoscendo tra i principali committenti, oltre a Francesco di Borgo Sansepolcro, i familiari di Pio II, Francesco Todeschini Piccolomini, nipote e futuro Pio III e Gregorio Lolli Piccolomini, cugino e suo segretario personale, sebbene fosse di condizione laica.

La fortuna del Miniatore sul mercato romano si protrarrà poi negli anni del pontificato di Paolo II (1464-1471) e di Sisto IV (1471-1484), divenendo un’insostituibile riferimento per le gerarchie ecclesiastiche curiali, distinguendosi in particolare al servizio dei vescovi Marco Barbo, Domenico Dominici, Angelo Fasolo, Pietro Ferriz, Jean Jouffroy, Juan de Torquemada e Jacopo Zeno. Insieme a Gioacchino de’ Gigantibus egli fu inoltre uno dei primi miniatori cui si ricorse per la decorazione minimale che inaugura gli incunaboli editi dai primi stampatori romani, ravvisabile forse, ad esempio, nei bianchi girali che impreziosiscono la copia della Bodleian Library dell’Aulo Gellio, Noctes Atticae, pubblicato da Swynheym e Pannartz nel 1469 (Oxford, Bodleian Library, Auct.L.2.2).202

Negli anni di Pio II l’attività del Miniatore si segnala soprattutto per la realizzazione di una serie di codici per Gregorio Lolli Piccolomini (†1478) in una singolare collaborazione continuativa con il copista Petrus Honestus, alias Petrus ser Nicolai Honesti de Pescia, noto per la precoce adozione dell’umanistica corsiva.203 Come ricostruisce José Ruyscchaert204 questi trascrisse per il curialista, appassionato collezionista dei classici, almeno quattro codici: tre nel 1462 (i BAV, Borgh. 366 e Chig. I.VIII.280, Paris, BNF, Latin 5819) e uno datato 1464 (BAV, Chigi H.V.155), tutti decorati dal Miniatore dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

202 O.PÄCHT ,J.J.G.ALEXANDER, Illuminated Manuscripts in the Bodleian Library cit., p. 106 n. Pr. 5, tav.

LXXXVI.

203 E.CALDELLI, Copisti cit., pp. 66-67 e 134.

204 J. RUYSSCHAERT, Miniaturistes cit., p. 263. L’attribuzione degli apparati decorativi è quindi riferita

Piccolomini con lussuosi frontespizi a bianchi girari o con doppio registro decorativo: i viticci racchiusi entro listelli d’oro e festoni di alloro dai colori alternati, accanto ai cappi policromi custoditi invece da cornici a dentelli e fusarole, mentre spesso il tema della filigrana con fiori e foglie interviene come interlinea tra le prime righe di testo scritte in capitale maiuscola. In realtà si tratta di un gruppo di cinque esemplari, se aggiungiamo al catalogo dell’artista anche il ms. IV C 21 della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, una miscellanea con testi di Tacito e Svetonio, che secondo Caldelli risulta copiato sempre da Petrus Honestus.205

Alla lista di codici realizzati dal Miniatore dei Piccolomini per il Lolli deve poi aggiungersi il famoso Plinio, Historia Naturalis del Victoria & Albert Museum di Londra (ms. L. 1504-1896; figg. 78-81),206 realizzato in collaborazione con Gioacchino de’ Gigantibus, che però, per l’illustrazione delle sue iniziali a bianchi girari, a sua volta cooperò con un terzo maestro indubbiamente di qualità superiore, per il quale Hans- Joachim Eberhardt ha recentemente fatto il nome di Liberale da Verona (fig. 81).207

I codici del Lolli si caratterizzano in particolare per la presenza dei doppi stemmi, quello della famiglia, rosso al palo d’oro caricato di due leoni di nero e quello Piccolomini, alla croce azzurra con crescenti, acquisito insieme al cognome con l’ingresso nella famiglia adottiva del papa.208 Proprio il motivo araldico diviene per il miniatore spunto per ingegnose invenzioni dal sapore vignettistico, come nel Plinio londinese dove nella scena istoriata nell’iniziale d’apertura del celebre libro XXXV, sui colori minerali e il loro uso nell’arte, è raffigurato un pittore nella sua bottega intento a ricopiare su di un cassone nuziale i due stemmi di Gregorio, appesi alla parete (fig. 89). Il tema della celebrazione del committente diviene per il miniatore pretesto per giocare con gli artifici decorativi del frontespizio, facendo delle armi gentilizie il sotteso centro focale da cui si dipana l'ingegno della pagina miniata, nonché l’intesa con il committente e lettore.

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205 Tacito (cc. 1-86v, Annalium libri XI-XVI; 87r, Historiae; 184-202, Dialogs de oratoribus; 202v-213v, De

origine et situ Germaniae) e Svetonio (cc. 214-220, De grammaticics et rhetoribus). Vi è la presenza di due stemmi erasi, probabilmente di Gregorio Lolli, secondo la scheda di catalogo di Fossier risultano infatti «de gueules à la bande d’or et d’or à la croix d’azur». A c. 1r il ricco frontespizio a bianchi girari è contornato da semplici listelli d’oro e si apre nel bas de page con una vignetta in cui si dispiega la verve narrativa tipica del miniatore. L’attribuzione del curatore della scheda è in favore di Giuliano Amadei ma sulla base dell’erronea identificazione di José Ruysschaert. Cfr. F.FOSSIER, Palais Farnèse. III, 2. La bibliothèque Farnèse. Étude de manuscrits latins et en langue vernaculaire, Roma 1982, pp. 138-139, tav. I; E.CALDELLI,

Copisti cit., p. 134.

206 J.I.WHALLEY, Pliny the Elder. Historia Naturalis, London 1982. 207 H.-J.EBERHARDT, Liberale da Verona, in DBMI, pp. 378-387. 208 Cfr. infra pp. 127.

Nel De civitate Dei di Sant’Agostino, Borgh. 366 (fig. 82),209 datato 12 giugno 1462, i due blasoni, retti con disinvoltura dai putti entro la cornice fittamente gremita dai tralci in risparmiato, vengono raddoppiati: quello Piccolomini portato in volo da angeli nel margine superiore, mentre lo stemma Lolli ricompare dipinto sullo scudo del putto-candelabra, che ha assunto per sostituzione la forma dell’iniziale.

Nel Chigi H. V. 155,210 Stratagematicon liber di Sesto Giulio Frontino, firmato da Petrus il 26 marzo 1464, se lo stemma senese con i cinque montanti si staglia al centro dell’iniziale ornata, quello Lolli, ora eraso, doveva invece figurare nello scudo del guerriero miniato entro una losanga al centro del bas de page, ad interrompere il dinamico viluppo di bianchi girali.

Lo sfarzoso frontespizio della Geographia di Strabone, tradotta da Gregorio Tifernate nel Chigi J. VIII. 280 (fig. 84),211 finito di scrivere a Roma il primo ottobre 1462, presenta invece solamente l’arma Piccolomini che compare laureata entro la canonica ghirlanda nel margine inferiore e duplicata in quello esterno per essere retta da due tritoni.

Lo sdoppiamento delle imprese araldiche si nota invece ancora una volta nel parigino Latin 5819 (fig. 83),212 un Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri XVII, datato il 21 luglio 1462, dove diviene espediente per un curioso divertissement nel bas-de-page. Tra le volute dei bianchi girari è ospitata la scena di giostra tra due cavalieri lance in resta, ciascuno a rappresentare uno dei due stemmi portati da Gregorio Lolli, appesi sul tralcio: il contrasto con le inserzioni classiche non può risultare più singolare. Nella pagina si osserva infatti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

209 E.CALDELLI, Copisti cit., 161. Copiato nell’arco di tre mesi di lavoro come annota il copista nel colophon

a c. 320v: «EXPLICIVNT LIBRI DE CIVITATE DEI DIVO AB AVGVSTINO COMPILATI:QVOS EGO PETRVS HONESTVS CAVSA DOMINI GRAEGORII POCOLOMINEI TRANSCRIPSI NEC NON ET ABSOLVI IN TRIVM MENSIVM INTERCALATIONE. II YDVS IVNIAS ANNO DOMINICAE INCARNATIONIE M.CCCC.LXII. REGNANTE PIO ROMANOR(UM) PONTIFICE».

210 Insieme allo stemma è abraso il nome del committente nel colophon. Secondo Caldelli il codice dovette

passare a Pio II per la presenza dello stemma Piccolomini inserito tra i girari dell’iniziale miniata Q (Qvom) ma si tratta in realtà del secondo stemma utilizzato dal Lolli dopo aver acquisito il diritto di portare il cognome del mecenate. Petrus Honestus si firma e data a c.73 v: “IVLII FRONTINI DE RE MILITARI QVARTVS ET VLTIMVS CLAVDITVR LIBER QVEM VNA CVM RELIQVIS TRIBVS IN SEPTEM DIERVM DECVRSIONE EGO PETRVS HONESTVS TRANSCRIPSI GRATIA MAGNIFICI VIRI DOMINI [2 linee abrase] PIO II PONTIF. MAX. SVI PONTIFICATVS ANNO SEXTO SEDENTE FOELICITER M CCCC LXIIII VII KL. APRILIS”; E.PELLEGRIN, Les manuscrits classiques cit., I, pp. 313- 314; A.MARUCCHI, Stemmi cit., p. 41, n. 22; E.CALDELLI, Copisti cit., p. 162.

211 Il codice risulta copiato da Petrus Honestus in 32 giorni: «Telos. Finis Geographiae Strabonis quam ego

Petrus Honestus transcripsi magnifici viri gratia et amore domini Graegorii Piccholominei finemque clausi duobus et triginta diebus decursis a die prima qua sum opus ipsum aggraessus. Kalendis octobris anno Dominico millesimo quadringentesimo sexagesimo [è aggiunta la data 1463]. Pio Aenea summo antisitite Senense sedente pro Dei gratia sui pontificatus anno V» (c. 188r); E.CALDELLI, Copisti cit., p. 164.

212 Petrus Honestus, dichiara di averlo completato in 34 giorni: c. 237v «Finis postremi libri ab Ammiano

Marcellino cum reliquis aediti ad rerum gestarum enucleationem, quos ego Petrus Honestus, magnifici viri gratia domini Gregorii Piccolominei, stilo membranis impraessi in quattuor trigintaque dierum

interkalatione ac poenitus absolvi die XIIIma kalendarum augustarum, anno Dominico millesimo CCCCmo XLII, sedente Pio summo pontefice»;E.CALDELLI, Copisti cit., p. 212.

anche un altro confronto, perfettamente equilibrato, quello tra la cultura cavalleresca tardogotica e il nuovo gusto culturale rinascimentale che trapela dagli inserti posti tra la decorazione a viticci in risparmiato. Ritta innanzi ai girali dell’iniziale è la figura dello storico romano coronato d’alloro, effigiato in vesti contemporanee con il manto porpora foderato di vaio e un rotolo in mano, mentre, sul lato opposto, un generico profilo all’antica simboleggia gli imperatori romani di cui il testo promette di narrare le gesta. Subito al di sopra, un guerriero con armatura loricata, stante in posa statuaria con tanto di piedistallo, viene a rappresentare l’impero romano attraverso però la comune connotazione moderna. Sullo scudo appare infatti l’aquila bicipite, di nero in campo d’oro, identificando il vessillo imperiale di tradizione medievale. Parimenti anche il simbolo per eccellenza della Roma antica è divenuto elemento decorativo: la lupa capitolina è colta mentre gremisce un agnello e i gemelli, già sfamati, sono saliti sul dorso quali putti musici.

In questa accezione ludica si nota come il prestito antiquario, ben lungi dall’essere una citazione filologica e archeologica, sia ancora trattato in funzione accessoria, come un mero indizio di gusto. Il prestigioso riferimento all’antichità è puramente decorativo e si inserisce ad alimentare una sensibilità di fatto ancora gotica e cortese, sia nelle scene cavalleresche di combattimenti, sia nella predilezione stessa per la drôlerie fantastica. A questo mondo continua ad afferire la presenza di mostruose creature ibride, insieme all’impiego della tipologia di iniziale figurata per principio di sostituzione. Poco importa se il corpo della lettera è costituito da due esseri marini uniti per le estremità, dal corpo di una sirena dalla coda doppia (Chigi. I. VIII.280, c. 1r, capilettera V (Vndecimus), E (Europae); fig. 84), piuttosto che da elementi scultorei all’antica con incastonati dei cammei dai profili imperiali (v. Borgh. 366, c. 1r, I (Interea); fig. 82). La presenza marginale delle floride figure, dispiegate in una gran varietà d’attitudini tratte dal quotidiano, conferma poi la spigliata verve narrativa del miniatore. Sono le apparizioni di nudi putti in lotta o alla caccia di bestie selvatiche, spesso ritratti in scene di sottile ironia, ma sono anche animali fantastici partoriti dai tralci, a loro volta generati da protomi in un’infinita rivendicazione della priorità di discendenza, a rieditare quel tradizionale conflitto dell’iniziale miniata medievale che opponeva il mondo vegetale al regno animale. Se l’elemento classico fa la sua comparsa, è chiamato dunque non già a sostituirsi, bensì a partecipare della feconda fantasia gotica. In queste realizzazioni di transizione si può così apprezzare un’inventiva che, nella libertà da codifiche di genere troppo vincolanti, ancora permette all’immaginazione di spaziare sulle pagine con un vivo senso di spontaneità creativa.

Con il compito di recuperare ex-novo un secolo di sostanziale silenzio della produzione romana, tali esecuzioni non subiscono i condizionamenti imposti da una precedente tradizione, mentre rimane per ora lontana la solennità della futura miniatura all’antica. Questa in realtà si incaricherà presto di ammantare la letteratura latina e greca di un degno equivalente visivo, mediante tutta la compostezza garantita del frontespizio architettonico, giungendo ad un’ideale ricongiunzione tra contenuto testuale e forma libraria.

Al momento tuttavia la percezione dell’autorità classica non sembra sia sentita con tale gravità reverenziale e rimane un prestigioso pretesto per arricchire di nuovi spunti visivi il sottile gioco d’intesa tra l’opera e il lettore, tra l’artista e il committente.

Questa predilezione della committenza del Lolli verso le due stesse figure di copista e miniatore può spingere a domandarsi se non si trattasse invero di familiares in casa, alle dipendenze dello stesso Gregorio, né sembrerebbe un problema il fatto che Petrus Honesus lavorasse simultaneamente anche per Biondo Flavio, dato che questi era in stretti rapporti con il segretario personale di Pio II.213 Come tuttavia nota Caldelli, almeno per quanto riguarda lo scriba, «spingerebbe a negare l’esistenza di un rapporto di familiarità l’insistenza con la quale questo copista specifica i tempi di lavorazione dei suoi mss.: questa prassi, infatti, come ha spiegato P. Supino Martini, sembrerebbe sottintendere l’esistenza di un contratto scritto tra copista e committente nel quale veniva fissato il tempo di copia. Specificare dunque nella sottoscrizione il tempo impiegato varrebbe ad avere il valore di una garanzia, per il copista, del rispetto dei termini contrattuali».214Analoghe considerazioni valgono probabilmente anche per l’attività del nostro miniatore, che non presta un servizio esclusivo per nessuna delle figure di curialisti che ricorrono al suo pennello.

La vicinanza dell’artista alla cerchia ristretta di Pio II suggerisce inoltre di proporne l’identificazione con uno dei rari nomi dei miniatori attestati dalle fonti alla corte papale, che ancora attendono d’essere riconosciuti. Tra le note di pagamento della tesoreria di Pio !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

213 Elisabetta Caldelli segnala la sottoscrizione di Petrus Honestus a c. 57r del Ottob. lat. 1279, testimone

della Roma instaurata realizzato per lo stesso autore, Biondo Flavio (ante 1463†), il cui stemma appare a c. 1r (troncato nel primo d’azzurro al grifo nascente d’oro, nel secondo d’oro pieno, cfr. A.MARUCCHI, Elenco

stemmi cit., I, c. 64, nr. 8; II, c. 11r, nr. 7). Il dubbio che potesse esistere una qualche forma di sodalizio tra copista e il Miniatore dei Piccolomini sembra andare piuttosto in favore di una spiegazione fondata sui rapporti di committenza, come proverebbe la semplice decorazione a girari dell’ottoboniano, che ci sembra ascrivibile ai modi di Andrea da Firenze o comunque del suo atelier.

214 E.CALDELLI, Copisti cit., p. 134; cfr. P.SUPINO MARTINI, Il libro e il tempo, in Scribi e colofoni: le

sottoscrizioni di copisti dalle origini all’avvento della stampa. Atti del Seminario di Erice (X Colloquio del Comité international de paléographie latine, 23-28 ottobre 1993), a cura di E. Condello e G. De Gregorio, Spoleto 1995, pp. 24-25

II si cita infatti un Clemente da Urbino215 che in data 31 agosto 1462 riceve «mantellum ciambellotti foderatum panno pavonatio et unum birretum pro laboribus suis miniature nonnullorum librorum pro ipso quondam thesaurario».216 Il defunto tesoriere papale non è

altri che Gilforte Bonconti da Pisa, deceduto il 2 agosto dello stesso anno, evidentemente senza saldare i debiti con questo artista. Secondo Ruysschaert, Pio II intervenne a saldare il