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L’atto di messa in mora

Nel documento L'esecuzione delle sentenze tributarie (pagine 82-91)

3. Il giudizio di ottemperanza

3.5. La disciplina del giudizio di ottemperanza dopo le modifiche introdotte dal d.lgs.

3.5.7. L’atto di messa in mora

Un ulteriore effetto nella disciplina dell’articolo 70, dovuto alla riforma interve- nuta, riguarda l’atto di messa in mora, da sempre considerato uno dei presupposti processuali per il giudizio di ottemperanza.

192 L’articolo 44, comma 2, d.lgs. 546/92 dispone che: “Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spe- se alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della Sezione o dalla Commissione con ordinanza non impugnabile”. Il d.lgs. n. 156/2015 ha eliminato l’ultima parte del

comma 2 che faceva riferimento all’efficacia di titolo esecutivo dell’ordinanza. La ragione di tale elimi- nazione, è stata data dalla stessa Relazione illustrativa la quale ha affermato che l’eliminazione deriva dalla circostanza che il giudizio di ottemperanza è l’unico strumento che il contribuente può utilizzare per l’esecuzione delle sentenze.

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Con la riforma degli articolo 68 e 69 del d.lgs. 546/92, l’atto di messa in mora non è più considerato come presupposto processuale per l’ammissibilità del ri- corso per il giudizio di ottemperanza.

L’articolo 70, secondo comma, dispone che: “Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento (…) o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla messa in mora”. Prima il presupposto dell’inerzia qualificata era collegato, quasi sempre, al de- corso dei trenta giorni della messa in mora dell’ente debitore perché era raro che vi fosse una disposizione che dettasse un termine per l’adempimento.

Grazie alla riforma, tuttavia, sono stati introdotti due riferimenti193 che prescrivo- no come termine entro il quale l’amministrazione deve adempiere, novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In tal modo è stato introdotto il termine al qua- le si riferisce lo stesso articolo 70, secondo comma.

Il presupposto è, quindi, il decorso del termine di novanta giorni; il mancato ri- spetto di tale termine comporta la non procedibilità del ricorso per l’ottemperanza.

Infine, come è stato osservato in dottrina e dalla stessa Agenzia delle Entrate, la previsione del termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza com- porta che quest’ultima faccia de corretta il termine breve di sessanta giorni per l’impugnazione della sentenza.

Le modifiche commentate sono entrate in vigore il 1° gennaio 2016 e per quanto non diversamente disposto, rimane ferma la precedente disciplina in precedenza commentata.

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Conclusioni

La novellata disciplina dell’esecuzione delle sentenze tributarie mette in risalto l’intento del legislatore di risolvere il problema della disparità di trattamento, da sempre sollevato dalla dottrina, tra contribuente e amministrazione finanziaria.

L’introduzione, ex novo dell’articolo 67-bis da parte del legislatore delegato, è stata in parte inadeguata poiché si è assistito ad un distaccamento da quello che era l’effettivo intento del legislatore. Difatti, con l’inserimento di tale articolo si è assistito ad una limitazione delle sentenze per le quali opera l’esecutorietà imme- diata poiché il riferimento letterale dell’articolo 67-bis è alle sentenze emesse dalle Commissioni tributarie contenute nel capo IV dove vi sono le sentenze a favore del contribuente da un lato, e le sentenze concernenti il pagamento del tri- buto in forma frazionata dall’altro.

Il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi all’espresso obiettivo contenuto nella legge delega n. 23/2014, nella quale era sancita la volontà di estendere l’immediata esecutorietà a tutte le parti in causa, senza che vi fosse alcuna limi- tazione oggettiva.

L’articolo 68 del d.lgs. 546/1992 fa ora espresso riferimento alla possibilità per il contribuente di attivare il ricorso per l’ottemperanza qualora l’amministrazione risulti inadempiente, ovvero non provveda alla restituzione delle somme versate dal contribuente in pendenza di giudizio, risultate indebite in base alla decisione del giudice.

La novità attiene al fatto che l’esperibilità si ha anche con riferimento alle sen- tenze non definitive.

La previsione appare positiva, avendo colmato la lacuna legislativa preesistente dato che non era espressamente previsto un mezzo di tutela attraverso il quale il contribuente potesse vedere soddisfatto il rimborso; al contempo, però, si sarebbe dovuto eliminare l’assetto, tuttora vigente, della riscossione frazionata del tributo poiché lo stesso produce effetti negativi sul contribuente, in particolare qualora lo stesso abbia ragione.

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All’interno del d.lgs. n. 546 del 1992, l’articolo 69 è quello che ha subito una completa ristrutturazione ed ha introdotto, per il rafforzamento della tutela del contribuente, il principio di immediata esecutività delle sentenze a lui favorevoli, considerando tra queste anche le sentenze, precedentemente disciplinate dall’abrogato articolo 69-bis, aventi per oggetto i ricorsi avverso gli atti catastali. Il principio introdotto permette di avvicinarsi a quello che è sempre stato definito come giusto processo, allineando la posizione del contribuente con quella dell’amministrazione.

Tuttavia, non può non rilevarsi l’attuale difficoltà di applicazione del principio per le controversie aventi per oggetto il pagamento di somme di importo superio- re a euro diecimila, qualora il giudice ritenga necessario la prestazione di una ga- ranzia a favore dell’amministrazione.

Il freno disposto dallo stesso articolo 69 per l’immediata esecutività delle senten- ze attiene principalmente a due fattori: il primo concerne la possibile difficoltà da parte del contribuente di prestare la garanzia eventualmente richiesta dal giudice poiché se così fosse il contribuente si troverebbe costretto a rinunciare all’esecuzione provvisoria della sentenza e dovrebbe attendere la conclusione del giudizio, assistendo così ad una vanificazione del principio di immediata esecuti- vità della sentenza a suo favore, riversando nuovamente in una disparità di trat- tamento tra lo stesso e l’amministrazione.

Il secondo fattore che crea riflessi negativi, al principio sancito nell’articolo 69, attiene al fatto che il contenuto della garanzia dipende da un decreto del Ministe- ro dell’economia e delle finanze che ad oggi, nonostante i molteplici solleciti, non è ancora stato emanato.

Si ritiene ragionevole l’applicazione del principio nonostante la mancanza del decreto suddetto, tuttavia l’applicazione dello stesso non può che dirsi differita con riferimento alle sentenze per le quali sia richiesta la garanzia.

Per quanto riguarda la disciplina del giudizio di ottemperanza non si ravvisano particolari difficoltà per l’applicazione della stessa. Alcuni profili critici rilevano con riferimento all’eliminazione della possibilità di accedere all’esecuzione for- zata della sentenza di condanna dell’amministrazione, come altresì confermato

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dalla modifica intervenuta nell’articolo 69. Nonostante, infatti, lo strumento dell’esecuzione forzata civilistica fosse di difficile attuazione visti i limiti di pi- gnorabilità dei beni dello Stato, non è pienamente giustificabile la riduzione di tutela dovuta all’eliminazione di tale diritto soggettivo da sempre riconosciuto al contribuente; eliminazione addirittura non prevista da principi e criteri direttivi da parte del legislatore delegante.

Complessivamente, la riforma può definirsi positiva ma allo stesso tempo parzia- le dal momento che il regolamento atto a definire le caratteristiche e il contenuto della garanzia non è ancora stato emanato e nonostante la novellata disciplina si sia avvicinata al concetto di parità di trattamento tra contribuente e amministra- zione finanziaria e a quello che viene definito giusto processo, restano aperte le problematiche sopra evidenziate.

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