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Nel secondo dopoguerra lo sport italiano ripartì dalle strutture ereditate dal fascismo riadattandole, con dei piccoli aggiustamenti, alle esigenze del nuovo sistema democratico e repubblicano. Il CONI nella sua triplice funzione di comitato olimpico, federazione delle federazioni e ministero dello sport restò l’organismo centrale dello sport italiano. Tutte le FSN, comprese quelle non olimpiche e professionistiche, erano alle sue dipendenze. Come venne scritto su «La Gazzetta dello sport»: «Le federazioni fanno quello che vogliono, nel cerchio dei loro statuti e regolamenti, ma nel “riconoscimento” del CONI trovano l’antidoto contro gli squilibri, le dispersioni e il disordine»616. La gestione e la promozione dello sport di base, che ereditava la complessa macchina totalitaria fascista dell’OND e della GIL, venne invece fatta propria dai partiti politici o da altre forze sociali, attraverso la creazione degli enti di promozione sportiva.

Dal punto di vista della cosiddetta “diplomazia sportiva” il CONI poteva essere visto come una sorta di Ministero degli Esteri poiché – nonostante le FSN avessero piena autonomia tecnica – da esso dipendevano le principali strategie di “politica estera sportiva”. I membri italiani all’interno delle singole FSI, invece, agivano come degli “ambasciatori” impegnati a difendere le istanze nazionali presso le rispettive discipline di competenza. Più complesso era invece il ruolo dei membri italiani del CIO, in quanto la loro azione era biunivoca: per il CIO essi erano gli “ambasciatori” del movimento olimpico in Italia, per il CONI invece lo erano dell’Italia presso il CIO.

Nella sua proiezione internazionale l’ideologia sportiva dell’Italia repubblicana, pur mantenendo inevitabilmente alcuni elementi di continuità con il passato fascista, si adattò rapidamente al nuovo contesto democratico. Nell’agosto del 1945 in una lettera del CONI al Ministero dell’Interno, in cui si richiedeva il passaporto per permettere a Giovanni Mauro di recarsi alla prima riunione del dopoguerra del Comitato Esecutivo della FIFA, la necessità di riprendere e sostenere l’attività sportiva internazionale veniva così motivata:

Dopo la bufera bellica che ha imperversato, il problema dello sport è affiorato in tutti i Paesi democratici nel quadro generale delle attività, perché, […] il fattore sport, strettamente connesso alla ripresa turistica, si presenta particolarmente oggi in funzione di tutela della pacifica connivenza dei popoli civili e garante del risanamento fisico e morale delle generazioni che in linea generale hanno fortemente risentito degli eventi bellici. L’interesse che l’invito della Federazione Internazionale del Foot-ball ha rivolto per il riallacciamento delle relazioni sportive con il nostro Paese, riveste indubbiamente carattere della massima importanza per la normalizzazione dei nostri rapporti sportivi in tutti i settori dell’agonismo mondiale, i cui riflessi si estendono a campi più vasti, se si tien conto che lo sport, in ogni tempo, si è sempre manifestato un ottimo mezzo di intesa e di duratura amicizia fra i popoli617.

Nell’elogiare i benefici dell’attività internazionale le istituzioni sportive italiane tendevano retoricamente ad enfatizzare soprattutto il contributo alla pace, alla convivenza e all’amicizia internazionale, alla normalizzazione dei rapporti e alla ripresa turistica. Invece, per giustificare la

616 Cit., B. ROGHI, La nuova legge dello sport italiano, «La Gazzetta dello sport», 3 giugno 1946, p. 1. 617

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nuova “Italia sportiva” all’interno dei consessi internazionali, si insisteva sul fatto che le nuove istituzioni nazionali fossero state ricostituite su basi democratiche in modo da dare finalmente spazio ai cosiddetti “veri sportivi”. Forte era poi la presa di distanza formale verso gli eccessi del passato fascista, anche quando non corrispondeva necessariamente al vero. Alla vigilia degli Europei di atletica, per esempio, Gianni Brera scriveva: «L’Italia non sarà presente ai Campionati d’Europa per quelle ambiziose mire che trascendendo i limiti delle lecite aspirazioni sportive sottintendevano un tempo odiosi fini di politica nazionalista»618.

Allo stesso tempo però non mancavano gli aspetti di continuità, specie in relazione all’idea che i successi sportivi contribuissero a rafforzare il prestigio della Nazione, e che onorassero «le virtù fisiche e morali della gioventù d’Italia»619. Così, nell’agosto del 1951, sulla rivista ufficiale della Federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL) si poteva leggere:

Il nostro saluto agli atleti italiani è un consapevole, lieto saluto. Ricordino sempre essi, e maggiormente quando varcano i confini della Patria che lo sport non è un fatto accademico. Lo sport come l’arte è la sintesi di valori che hanno il fulcro più potente nel cuore ma che attingono forza non solo dai muscoli a soprattutto dall’intelligenza, dall’istinto dalla educazione e civiltà dell’uomo chiamato a rappresentare una bandiera. Lo sport sarà sempre come sempre è stato un fatto morale, un tratto di nobiltà, una documentazione di stile e di buon gusto. Solo i popoli che hanno doti di cultura e di cuore possono con fiera consapevolezza e con gioia vestire i propri atleti dei colori della Patria e lanciarli nella magnifica avventura della gara sportiva perché competere è mostrare l’anima620.

Resisteva poi la visione, radicatasi con forza in Europa nel corso del primo dopoguerra, secondo cui lo sport rappresentasse un efficace termometro per misurare la salute delle Nazioni. Peraltro seppur senza l’enfasi che aveva contraddistinto gli anni Trenta, non erano del tutto scomparse le analisi sportive che facevano riferimento a teorie eugenetiche razziste. Così alla viglia dei Giochi Olimpici del 1948, sulle pagine de «La Gazzetta dello Sport» li si poteva vedere descritti come: «La battaglia delle razze»:

Le Olimpiadi del ’48 non possono essere all’altezza di quelle del ’32 e del ’36 perché la guerra ha spazzato via i beni materiali e spirituali degli uomini ed ha affievolito il sentimento eroico che si accompagna ad ogni alta vicenda atletica. Ma questo benedetto sport non può rimanere paesano e casalingo e per andare innanzi deve cercare i confronti internazionali spronando gli orgogli ed esasperando le emulazioni. Le Olimpiadi sono battaglia delle razze con responsabilità nazionali più che individuali […]. Queste Olimpiadi non sono proprio un confronto ed una meta per i vinti né sono un affare per i vincitori […]. Escluse la Germania e il Giappone è anche molto dubbia la partecipazione della Russia […] saranno dunque prove circoscritte […]. Per noi italiani le Olimpiadi sono più che necessarie essenziali, poiché possiamo mostrare nello sport un notevole progresso anche se la Nazione sembra in regresso621.

Nella ripresa dello sport italiano nel secondo dopoguerra, quindi, il linguaggio e le istanze di cambiamento si confrontarono, non sempre con successo, con coloro i quali con motivazioni

618 Cit., G. BRERA, A Oslo, «La Gazzetta dello Sport», 12 agosto 1946, p. 1. 619

Cit., Telegramma di Onesti alla squadra azzurra dopo la vittoria di Zurigo, «La Gazzetta dello Sport», 24 settembre 1946, p. 1.

620 Cit., P. STASSANO, Stoccarda 1951, «Atletica», n. 24, 30 agosto 1951. 621

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talvolta pragmatiche e talvolta conservatrici, spinsero per mantenere all’interno del sistema sportivo una continuità sia nell’impalcatura istituzionale sia nelle persone che lo gestivano.

2.2) Il CONI e le sue discontinuità

Nel corso del Ventennio fascista il CONI si era definitivamente affermato come il vertice dello sport italiano. Dal punto di vista istituzionale lo statuto del 1942, depurato dagli aspetti più marcatamente fascisti con il decreto regio n° 704 dell’11 maggio 1946 e successivamente dal decreto legge n° 362 dell’11 maggio 1947, rimase il riferimento fondamentale dello sport italiano anche nel secondo dopoguerra622. Decisiva fu la fase commissariale gestita da una figura completamente nuova nel panorama sportivo italiano come quella dell’avvocato socialista Giulio Onesti, in quanto egli non operò quella discontinuità che gli era stata richiesta dal suo stesso partito. Pur essendo stato incaricato di liquidare il CONI, lo preservò e ne fece nuovamente il pilastro centrale del sistema sportivo italiano.

Come in tutte le fasi di transizione anche il passaggio dal CONI fascista a quello democratico ebbe necessariamente le sue continuità e le sue discontinuità. Questi processi sono stati interpretati in maniera ambivalente da una letteratura che non sempre è stata immune da condizionamenti di tipo ideologico.

Secondo la visione agiografica promossa e rilanciata dall’ente stesso, il CONI venne letteralmente «salvato» da Giulio Onesti623, descritto come «l’artefice della ricostruzione dello sport italiano e strenuo difensore della sua indipendenza»624. In sintesi:

Chiamato a liquidare quanto restava di un’organizzazione uscita turbata dal conflitto bellico, ignorando le indicazioni governative, un uomo si accinse all’impresa di comporre rivalità e contrasti e di gettare le basi della ricostruzione. L’Impresa riuscì, aprendo il lungo viaggio di Giulio Onesti alla guida di uno sport nazionale che ancora oggi di quella realizzazione conserva […], visibili, le tracce625.

Diametralmente opposto fu invece l’approccio “critico” di coloro che hanno descritto l’operazione compiuta da Onesti come un’opportunità persa se non addirittura un’autentica «restaurazione»626:

Nel passaggio dal fascismo alla democrazia […] lo sport non risente di alcuna rottura. Il suo assetto organizzativo, il suo impianto verticistico, l’ideologia di cui esso è portatore non conoscono soluzione di continuità. Anche dal punto di vista specificamente legislativo la legge istitutiva del CONI, voluta dal fascismo, rappresenta il primo legame organico tra la visione totalitaria del regime nei confronti dello sport, la sua futura fisionomia strutturale e la sua funzione ideologica627.

622 Cfr., F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Giappichelli, Torino, 2006, p. 127 e F. FABRIZIO, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976, pp. 77-8.

623

Cfr., A. OSSICINI, Come fu salvato il Coni, «30 Giorni», n° 4, 2002.

624 Cit., T. DE JULIS, Dal culto dell’indipendenza all’eredità rinunciata, Roma, Società Stampa Sportiva, 2000, p. 5. 625

Cit., A. FRASCA, Giulio Onesti. Lo sport italiano, Roma, Coni/Fondazione Giulio Onesti, 2012.

626

Cit., S. PROVVISIONATO, Lo sport in Italia. Analisi, storia, ideologia del fenomeno sportivo dal fascismo a oggi, Roma, Savelli, 1978, p. 37.

627

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Negli ultimi decenni tuttavia – malgrado la persistenza della letteratura agiografica – sulla scia del lavoro pionieristico di Felice Fabrizio sulla Storia dello sport in Italia, si è sviluppata una storiografia che ha approfondito la questione della continuità e del cambiamento istituzionale del sistema sportivo italiano in maniera più scientifica e obiettiva628. Senza entrare nel merito delle differenti interpretazioni sulla figura di Onesti e sulla risistemazione interna del sistema sportivo italiano durante la fase commissariale, è importante sottolineare che se il CONI sopravvisse fu soprattutto per due motivi. Il primo, come ebbe modo di evidenziare lo stesso Onesti, è che pur essendo stato fascistizzato non era una creazione fascista:

Appare così evidente che il CONI non è stato un ente creato dal fascismo, ma che invece ad esso preesisteva con la stessa struttura non però elefantiaca datagli dopo. Si può anzi affermare che lo sport italiano dal punto di vista dei risultati agonistici è stato una realtà che il fascismo può aver sfruttato ed etichettato, ma di cui non potrà mai attribuirsi i meriti senza falsare la verità629.

Il secondo, ancor più rilevante anche se spesso sottovalutato, riguardava il legame con il sistema sportivo internazionale. Senza un CNO, infatti, l’Italia sarebbe rimasta automaticamente esclusa dal Movimento Olimpico. Se il CONI fosse stato liquidato, come in un primo momento era stato richiesto, si sarebbe dovuto necessariamente provvedere a ricostruirne uno nuovo, pena l’emarginazione dall’intera attività sportiva internazionale.

Da un punto di vista meramente istituzionale, dopo la fase della gestione commissariale, la principale novità fu l’introduzione di un sistema elettivo delle cariche basato sui principi di democrazia, in cui i presidenti delle società eleggevano quelli delle FSN, i quali a loro volta sceglievano il Presidente del CONI. Accanto al Presidente operavano due Vicepresidenti e una Giunta Esecutiva, la quale si riuniva – generalmente a Roma – con una cadenza quasi mensile. Il Consiglio del CONI invece, formato da tutti i Presidenti delle FSN, veniva generalmente convocato una o due volte l’anno. A sua volta il CONI era formalmente posto sotto la tutela della PCM, la quale comunque concedeva al CONI una piena autonomia. Anche nel secondo dopoguerra il CONI mantenne e probabilmente accrebbe il suo ruolo di ente accentratore dello sport nazionale; nei fatti una sorta di vero e proprio Ministero dello Sport630.

Dal punto di vista ideologico il CONI di Onesti scelse di autorappresentarsi attraverso il motto «lo sport agli sportivi», una formula volutamente vaga che nel corso degli anni assunse diversi significati, ma che venne riproposta ogniqualvolta fosse necessario per «riaffermare l’autonomia del movimento sportivo a fronte di molteplici tentativi di inserimento […] da parte di organismi, correnti, parti politiche organizzate»631.

In realtà il termine era stato inizialmente introdotto dal Commissario del CONI per l’Alta Italia, Frigerio, in un’intervista de «La Gazzetta dello Sport» pubblicata nell’estate del 1945:

628 Cfr., F. FABRIZIO, Storia dello sport in Italia. Dalle società ginnastiche all’associazionismo di massa, Rimini-Firenze,

Guaraldi, 1977, F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Giappichelli, Torino, 2006, P. FERRARA,

L’Italia in palestra. Storia e documenti e immagini della ginnastica dal 1833 al 1973, Roma, La Meridiana, 1992. 629 Cit., La situazione sportiva in una relazione al governo, «Corriere dello Sport», 2 agosto 1944, p. 1.

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Per una storia istituzionale dello sport italiano si veda: F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Giappichelli, Torino, 2006.

631 Cit., M. MARCHIONI – F. CERVELLATI, La Giunta del CONI. Il traguardo delle 1000 riunioni, Centro di studi per

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Gli sportivi desiderano che tutte le norme restrittive e iugulatorie spariscano, che i vecchi statuti crollino e che sorga un ordinamento nuovo nel quale tutte le aspirazioni degli sportivi trovino pieno soddisfacimento. Una formula, se di formule si può parlare in un mondo come il nostro che ha in uggia le pastoie anche verbali è questa: lo sport agli sportivi. Dice tutto, dice in particolare che la politica in stretto senso non deve avere nessuna influenza sullo sport. Deve regnare la concordia nella distensione degli animi sì che sia possibile sempre agli onesti avversari politici di stringersi lealmente la mano sui campi sportivi632.

L’espressione venne fatta propria da Onesti nel corso di quella che egli stesso definì «la battaglia per la democratizzazione dei nostri istituti»633 e utilizzata per descrivere la peculiare «via italiana allo sport»634. Divenne ben presto la parola d’ordine e l’elemento fondante della concezione neutralistica dello sport promossa dal CONI onestiano. Allo stesso tempo però, l’idea che lo sport dovesse rimanere estraneo alla politica si rivelò a sua volta un’asserzione politica, tesa a preservare il potere e permise, per esempio, di avvallare la mancata attuazione di una seria epurazione sportiva, sostenendo la preminenza dell’appartenenza “sportiva” su quella fascista (si vedano le pagine 111-2).

Peraltro la pretesa di indipendenza dello sport nei confronti della politica non era assoluta. Da un lato, si desiderava che i politici non entrassero nel merito delle decisioni prese dalle istituzioni sportive, dall’altro però esse cercavano il pieno supporto del Governo per le loro iniziative. Il delicato equilibrio fra istituzioni politiche e sportive nell’Italia del secondo dopoguerra si sviluppò dunque cercando una mediazione fra chi sosteneva l’idea dello «sport agli sportivi» e chi invece affermava che: «lo Stato non può disinteressarsi dello sport»635. Un esempio di questa costante ricerca di bilanciamento fra la necessità di un sostegno politico, che non diventasse però ingerenza, fu espressa dal giornalista Gaetano De Luca, quando scrisse: «È sperabile che gli organi governativi si rendano conto con prontezza del significato propagandistico della scelta di Cortina, ma che nel contempo non finiscano col burocratizzare troppo la futura settima Olimpiade invernale»636. In effetti, come ammise anche il suo successore Franco Carraro, la filosofia del CONI di Onesti si fondava sì «sull’autonomia dello sport dalle influenze partitiche», ma allo stesso tempo doveva tener conto «del suo totale inserimento nella realtà socio-politica del nostro Paese»637. La sedicente apoliticità delle istituzioni sportive nazionali veniva pienamente garantita su un piano formale anche perché esistevano forti rapporti informali con diversi esponenti del Governo, nonché un’adesione valoriale alle sue politiche (si veda il paragrafo 3). Per questo motivo, man mano che si rafforzavano le relazioni informali fra le istituzioni sportive e quelle politiche e in special modo fra il CONI e la PCM, anche il Governo finì per sostenere l’ideologia de «Lo sport agli

632 Cfr., Sport agli sportivi, «La Gazzetta dello Sport», 6 luglio 1945. 633

Cit., Relazione generale del CONI al Consiglio nazionale del 25 novembre 1948. CONI, Cons. Naz., 25 novembre 1948.

634 Cit., in A. TEJA, S. GIUNTINI, L’addestramento ginnico-militare nell’esercito italiano (1946-1990), Roma, Ufficio

Storico SME, 2007, p. 119 Cfr. anche P. FERRARA, L’Italia in palestra. Storia e documenti e immagini della ginnastica

dal 1833 al 1973, Roma, La Meridiana, 1992. pp. 265-76.

635 Cit., B. ROGHI, Cosa dovrà fare il CONI?, «La Gazzetta dello Sport», 27 agosto 1945, p. 1. 636

Cit., G. DE LUCA, L’Importanza e il successo della sessione del CIO a Roma, «La Gazzetta dello sport», 30 aprile 1949, p. 1.

637 Cit., F. CARRARO, Viene dopo mio padre, in Giulio Onesti. Rinascita e indipendenza dello sport in Italia, Roma, Il

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sportivi». Per esempio nel 1952, in occasione di un discorso al Comune di Cortina, Giulio Andreotti sostenne che «“lo sport agli sportivi” rappresenti una conquista alla quale lo Stato italiano mai debba rinunziare»638:

Abbiamo lo sport affidato nella sua organizzazione in tutti i gradi agli sportivi stessi. Lo Stato […] non può disconoscere l’importanza del fatto sportivo, ma guai se nel mondo che ha le sue leggi, che ha le sue regole, che ha una sua morale nel mondo sportivo, guai se lo Stato e guai se la politica […] vuole intromettersi eccessivamente e se vuole sviare quello che è il corso naturale dei fatti sportivi per farlo negativamente o positivamente influenzare da altre idee. Mi ricordo in anni abbastanza lontani […] l’avvilimento di noi studenti in occasione di una partita internazionale, quando dei piccoli emissari, di un mondo politico organizzavano fischi, manifestazioni di contrasto verso la squadra avversaria perché in quel momento la politica verso quella nazione era piuttosto tesa e si voleva fargli una manifestazione di opinione pubblica. […] E noi, abbiamo in questo dopoguerra, raggiunto un equilibrio assai importante dando le Federazioni dando il Comitato Olimpico in mano agli sportivi che democraticamente eleggono i propri rappresentanti, li vigilano, li controllano. Credo che sia un passo avanti e mi auguro che sia una conquista a cui lo Stato italiano mai abbia a rinunciare Questo non indebolisce l’azione dei poteri pubblici ma la rinforza639.

A sua volta il CONI non mancava di rivendicare per l’attività sportiva internazionale un ruolo politicamente attivo. Secondo Onesti infatti: «Lo sport è un fenomeno sociale e quindi politico importante […] nei rapporti col resto del mondo, perché la rappresentanza sportiva all’estero ha sempre notevole efficacia e compiti di collaborazione alla fraternizzazione dei popoli»640. In un certo senso, dunque, per usare le parole del direttore de «La Gazzetta dello Sport», Bruno Roghi: «Lo sport [aveva] nel CONI il suo Ministero degli Esteri»641. Essendo l’organo guida centrale dello sport italiano, il CONI coordinò e promosse, pur nel rispetto dell’indipendenza delle FSN, tutte le principali iniziative della “diplomazia sportiva” italiana:

Se invero è pacifico che il CONI non debba sovrapporsi alle federazioni per ciò che riguarda il campo geloso delle rispettive autonomie, è sommamente opportuno che lo stesso CONI vigili e controlli affinché l’opera scabrosa dei rapporti con l’estero non sia affidata alle frettolose iniziative dei singoli, ma risponda a un piano organico di lavoro e di intese preventive642.

Del resto, in occasione delle riunioni del CIO e delle FSI la retorica e la concordia “sportiva”, che riecheggiavano nei comunicati ufficiali e negli stessi verbali, venivano messe momentaneamente da parte di fronte all’esigenza di supportare specifici interessi nazionali. Come sottolineò con un paragone pugilistico lo stesso Bruno Roghi:

638

Cit., Verbale della riunione del 9 marzo 1952 al comune di Cortina. Cfr., ACS, PCM 1955-58, Fasc. 3-2-5, n° 10024/79.

639

Cit., Discorso di Andreotti in occasione della riunione del 9 marzo 1952 al comune di Cortina. ACS, PCM 1955-58,