• Non ci sono risultati.

SPORT E GINNASTICA NELL’ITALIA LIBERALE (1861-1914)

2.1) Il sistema sportivo

Per quanto le radici del sistema sportivo italiano si possano far risalire al passato risorgimentale se non addirittura a quello medioevale e rinascimentale, fu evidentemente solo a partire dal 17 marzo 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, che tale sistema cominciò ad assumere un profilo pienamente nazionale135. La pratica fisico-sportiva dell’Italia post-unitaria vedeva protagonista «una sociabilità adulta e al maschile […] autonoma nelle fonti di finanziamento, nelle decisioni, negli spostamenti» in cui «l’incidenza quantitativa della presenza della donna nel settore delle attività fisico-sportiva appar[iva] davvero molto limitata»; ciononostante lo stadio di evoluzione del movimento sportivo nell’Italia post-unitaria è da considerarsi più avanzato di quanto la storiografia aveva sostenuto finora136. Tale sistema, pur venendo influenzato dai modelli provenienti dall’estero, finì comunque per costruire un modello nazionale proprio.

Quasi totalmente autonomo, parzialmente autoreferenziale debolmente auto poietico, il sistema [sportivo italiano] si viene formando alla confluenza di tre correnti, due di profondità e di lunga durata, la più recente e impetuosa di superficie. Il nucleo più remoto ha a che fare con i giochi radicati negli usi preesistenti delle comunità locali e reca con sé l’abitudine elementare all’esercizio fisico e alla competizione, un rudimentale impianto tecnico e normativo, prodromi di commercializzazione e professionalizzazione. L’autunno del Medioevo e l’età rinascimentale introducono discipline che perseguono finalità educative e di preparazione militare, la ginnastica, il tiro a segno, e, ai confini del

loisir aristocratico, la scherma e l’equitazione. Le pratiche costrittive, per usare la definizione cara alla

tradizione storiografica transalpina lasciano in eredità basi scientifiche, raffinate competenze tecniche, statuti culturali, contiguità con i centri di potere, tutto il prestigio che promana dal ceto aristocratico- militare destinato a dominare la scena fino al primo conflitto mondiale. Su queste basi si innestano gli elementi di novità introdotti dalla cultura sportiva di matrice britannica vittoriana, una cultura che conferisce significati e funzioni originali a forme preesistenti e dà origine a nuovi modelli caratterizzati da elementi sempre più accentuati di razionalizzazione, standardizzazione, istituzionalizzazione, specializzazione, spettacolarizzazione. Il sistema, nato su uno sfondo confuso di prestiti, scambi, interazioni, assimilazioni, imposizioni, adeguamenti, circolazioni, incontri e scontri, va concepito più che come un contenitore compatto ed uniforme, come un arcipelago di realtà interdipendenti fornite di logiche di vitalità e di comportamento diversificate137.

Delle tre correnti, la prima (quella delle attività ludiche popolari e carnevalesche) portava con sé un’eredità localistica, mentre la seconda (le pratiche utilitaristiche e costrittive) e necessariamente la terza (i giochi anglosassoni) furono fortemente influenzate da modelli stranieri. Per certi versi, quindi, il processo di insediamento e di istituzionalizzazione dello sport italiano riprodusse, sul versante della cultura sociale e degli schemi pedagogici, «le stesse linee di frattura che oppo[sero] sul piano strettamente politico le élite dirigenti del nuovo Stato Nazionale»138. Quest’ultime, a

135

Per sistema sportivo si intende «il complesso degli attori, delle istituzioni, degli elementi materiali e immateriali che concorrono a regolare il meccanismo della domanda e dell’offerta di attività motorie». Cfr. F. FABRIZIO, Fuoco di

bellezza, cit., p. 21. 136

Ibidem, pp. 18 e 24-39.

137 Ibidem, pp. 21-2. 138

48

seconda che fossero sostenitrici di una modernizzazione attraverso le cosiddette «via francese», «via prussiana» o «via britannica», si spesero in favore di uno sviluppo dell’attività fisica orientato verso (1) un’attività fisica funzionale all’idea di “nazione armata”, (2) la ginnastica-militarista tedesca (3) e gli sport di matrice anglosassone. In questa fase tuttavia nessuno di questi tre modelli riuscì a prevalere del tutto sugli altri.

Pur con tutti i suoi limiti e le sue carenze, il sistema sportivo italiano, sviluppatosi parallelamente alla costruzione dello Stato unitario, può essere considerato come uno degli strumenti funzionali alle due principali priorità della politica estera italiana post-unitaria: quella di «fare gli italiani», completando il rafforzamento interno dello Stato in modo da essere credibili nell’arena internazionale e quella di preparare giovani forti e vigorosi per completare il programma di costruzione nazionale attraverso l’acquisizione del Veneto, di Roma e delle Terre irredente.

2.2) L’associazionismo costrittivo e il caso della ginnastica

L’immediata post-unificazione italiana vide la consacrazione del modello di educazione fisica elaborato dal Piemonte sabaudo e funzionale al completamento dell’unità nazionale. In continuità ideologica con il periodo risorgimentale questo paradigma di matrice svizzero-giacobina trovò il suo apice nella cosiddetta «Primavera dei tiri a segno».

«Da marzo a giugno, con in mezzo il noto fatto di Sarinico, che arresta i preparativi d’invasione delle terre irredente e dirotterà il generale verso Sud e verso Aspromonte, è tutta una fioritura di inaugurazioni, di fervori patriottici, che nel simbolo del tiro al bersaglio si sottintendono e si esaltano, mentre anche il governo per bocca di Rattazzi comunica di aver dato a Garibaldi varie cedole di mille lire «per il suo viaggio pei tiri a segno». E nel simbolo del tiro a segno si rinsaldano anche le solidarietà internazionali: Garibaldi stesso il 3 maggio da Bergamo invita i tiratori italiani a mandare rappresentanze al tiro federale tedesco, che si terrà in luglio a Francoforte sul Meno»139.

Quella dei tiratori italiani nella capitale della Confederazione germanica fu una meta altamente simbolica, visto che la Terza guerra d’indipendenza italiana (1866), che porterà all’annessione del Veneto, intrecciò i propri destini con la nascita dello Stato tedesco.

Assecondando questo fermento risorgimentale, nel 1861 si costituì la Società del Tiro a Segno Nazionale, che può essere considerata a tutti gli effetti la prima federazione sportiva nazionale (FSN). Anche i governi liberali si adoperarono per promuovere attraverso incentivi economici la creazione di società di tiro; il ministro dell’interno Marco Minghetti stanziò un contributo annuale di 100.000 lire elevato a 150.000 dal governo Rattazzi. Già a partire dagli anni Settanta i processi di istituzionalizzazione propri di tutte le discipline utilitaristiche finirono tuttavia per depotenziare le spinte democratiche e volontaristiche a vantaggio delle forze conservatrici. Dal 1882 il tiro a segno venne inserito stabilmente nel quadro istituzionale pubblico sotto la vigilanza dei Ministeri della Guerra e dell’Interno; per quanto gli aspetti sportivi della disciplina fossero stati accentuati con la

139

49

costituzione a Milano nel 1894 dell’Unione Tiratori Italiani (UIT), la pratica rimase strettamente legata agli ambienti nazionalisti, specialmente nelle regioni frontaliere e nelle Terre irredente140.

Anche nella scherma, disciplina profondamente radicata nel territorio italiano e legata sia alle pratiche di duello sia alla “difesa della patria”, si assistette a fenomeni di centralizzazione. Nel 1868, in occasione dell’introduzione della scherma nei programmi dell’esercito, i conflitti su quale dovesse essere il migliore sistema di insegnamento fra le tanto numerose quanto litigiose sale d’armi della Penisola portarono alla decisione di accentrare tutto in un’unica sede nazionale nella capitale, rispetto alle tre inizialmente previste. Il concorso, indetto dal Ministero della Guerra, fu vinto, non senza sorpresa, da Masaniello Parise, un giovane maestro napoletano che «seppe ben amalgamare le varie tendenze italiane e francesi puntando […] anche sulle […] capacità psicologiche»141. La “nazionalizzazione della scherma” non inficiò tuttavia l’autonomia dei maestri d’arme e questa centralizzazione, capace di preservare le specificità locali, si rivelò decisiva, consentendo alla scherma di affermarsi come la disciplina che, fin dai primi decenni di vita dello Stato unitario, garantì il maggior prestigio all’Italia nelle competizioni internazionali.

Nello sviluppo del legame delle pratiche associazionistico-costrittive con i processi di nation

building nell’Italia post unitaria il caso paradigmatico per eccellenza è rappresentato dalla

ginnastica. Nella diffusione di questa disciplina, infatti, il ruolo egemone della Società Ginnastica di Torino andò di pari passo ai processi di «piemontesizzazione dall’alto» che segnarono il post- unificazione italiano142.

Nel 1861 il Ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis delegò alla società torinese l’organizzazione di un corso magistrale di ginnastica educativa e la messa a punto dei programmi scolastici. Il connubio istituzionale fra scuola e ginnastica fu certificato nel 1878 dalla legge De Sanctis che, legandosi alla legge Coppino, sancì l’obbligo d’insegnamento della “ginnastica educativa” nelle scuole a partire dalla seconda elementare con esplicito scopo di preparare gli studenti al servizio militare. Da un punto di vista metodologico la Legge De Sanctis rappresentò l’ultimo grande successo per la “Scuola di Torino” e per il metodo di Rodolfo Obermann, i quali avevano avuto un ruolo egemone, quantomeno fino al 15 marzo 1869, quando a Venezia su iniziativa di Costantino Reyer e Pietro Gallo si svolse il primo Congresso Ginnastico d’Italia e venne fondata la Federazione Ginnastica Italiana (FGI)143. La neonata federazione si proponeva di promuovere e migliorare l’educazione fisica degli italiani, ma dovette fare i conti con conflitti di

140 Nel 1910 la UIT divenne Unione Italiana Tiro a Segno. Sul ruolo del tiro nei processi di nazionalizzazione cfr. S.

GIUNTINI, Al servizio della patria, «Lancillotto e Nausica», 1987, n° 3, pp. 82-93, G. PÉCOUT, La nascita delle società di

tiro nell’Italia del Risorgimento 1861-1865, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 1992, n° 1, pp. 89-115, A.

BRUNI, Storia del tiro a segno, Danesi, Roma, 1983 e F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 38-9.

141 Cfr. L. ROSSI, Scherma, in Storia degli sport in Italia, cit., pp. 280-4. Sull’unificazione della scherma italiana cfr.

anche M. ARPINO, Il contributo della Grande Accademia Nazionale di Scherma alla scherma dell’Italia unita e G. RUSSO, La Fondazione dell’Accademia Nazionale di Scherma e l’Unità d’Italia, in Esercito e milizie a Napoli nel

passaggio all’Unità d’Italia. La funzione dell’Accademia Nazionale di Scherma, Atti del Convegno per i 150 anni dalla

fondazione dell’Accademia Nazionale di Scherma, Napoli, Scuola Militare “Nunziatella”, 4 maggio 2011.

142

Sulla ginnastica e sul legame con la “piemontesizzazione” cfr. P. FERRARA, L'Italia in palestra, cit., F. BONINI, Le

istituzioni sportive italiane, cit., pp. 29-36, S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., pp. 39-42 e M. DI DONATO, Storia dell’educazione fisica, cit., e D.F.A. ELIA, Lo sport in Italia, cit., pp. 51-66.

143

Ibid. Prima di quella data, infatti, senza che dall’epicentro torinese fosse stata svolta alcuna opera evangelica, erano nate in diverse città italiane palestre o società ginnastiche, le quali tuttavia, lungi dal controbattere il monopolio torinese, adottarono il metodo d’insegnamento di Obermann.

50

natura metodologica, campanilistica e soprattutto amministrativa, che portarono, nel giro di cinque anni, a una scissione. Alla linea torinese, legata al modello di Obermann e portata avanti dalla figura di Felice Valletti, si oppose quella “bolognese” di Emilio Baumann, il quale introdusse elementi mutuati dalla ginnastica svedese, riducendo il ruolo degli attrezzi e teorizzando una via “italiana” alla ginnastica. Le innovazioni si limitarono tuttavia al piano teorico, poiché sotto il profilo pratico anche la ginnastica di Baumann manteneva un forte afflato militarista e faticava a incrementare i propri adepti144. La sconfitta delle truppe francesi a Sedan segnò un’ulteriore svolta in senso militarista con l’adozione del modello prussiano, non solo da parte dell’esercito ma anche di molti educatori e ginnasiarchi. Dal 1870 quindi le finalità dell’attività ginnastica si legarono ancor più a finalità patriottico-nazionaliste e militariste, marginalizzando gli aspetti ludici145.

Intorno agli anni Ottanta si assistette al paradosso per cui, proprio nel momento in cui il mondo politico e quello ginnastico erano riusciti a definire un sistema integrato e complementare funzionale al quadro politico-istituzionale, culturale e ideologico dominante, la pratica della ginnastica era ormai entrata in una crisi profonda146. A livello scolastico le riforme non diedero i risultati sperati; le carenze strutturali e i limiti del personale portarono all’adozione della cosiddetta «ginnastica tra i banchi», pragmatica ma «scarsamente idonea ad infiammare gli animi patriottici»147. Più in generale le società ginnastiche, schermistiche e di tiro a segno, autentici capisaldi dell’educazione sportiva risorgimentale, avevano ormai perso lo slancio e l’entusiasmo delle origini. Del resto il modello utilitaristico legato al bagaglio ideologico della “nazione armata”, che aveva avuto una sua ragion d’essere in epoca risorgimentale, andava ormai perdendo la propria forza ideologica democratica, accentuando invece le derive conservatrici e militariste148. Di fronte alla crisi del movimento ginnastico il fisiologo Angelo Mosso, in polemica con Baumann, si fece promotore di un rinnovamento. Fin dal 1892 in un articolo titolato La riforma della

ginnastica, autentico manifesto per la politica fisica del periodo giolittiano, definì la ginnastica

«noiosa e antipatica», sostenendo invece i benefici dell’esercizio libero e dei giochi competitivi di matrice anglosassone149. Sebbene il tentativo di introdurre giochi agonistici all’interno dei programmi scolastici non ebbe successo per il mancato appoggio governativo, ancora legato al tradizionale quadro di riferimento patriottico-militare, essi finirono comunque per ottenere autonomamente notevoli successi e a radicarsi nella cultura italiana.

Così, dopo aver abbracciato il modello giacobino e della “nazione armata” nella fase risorgimentale e quello prussiano all’indomani della battaglia di Sedan, alcuni ginnasiarchi, al pari di una parte della classe dirigente italiana, volsero lo sguardo all’Inghilterra; i suoi sport, infatti, erano ritenuti sia degli autentici «ludi bellici», sia «una sorta di allenamento ai ritmi produttivi

144 Ibid. Sulla nascita della FGI cfr. anche S. GIUNTINI, Nascita di una federazione, in Coroginnica, cit., pp. 44-57. 145

Cfr. S. PIVATO, Far ginnastica e far nazioni, in Coroginnica, cit., pp. 34-5, P.M. ULZEGA – A. TEJA, L’Addestramento

ginnico-militare, cit., pp. 13-22, e G. BONETTA, Esercizi ginnici nelle scuole del regno, cit., pp. 101-2.

146 Il Ministero dalla Pubblica Istruzione si occupava della ginnastica nelle scuole, mentre la FGI dell’insegnamento

post-scolastico. Cfr., F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., p. 38.

147

Cit. in F. FABRIZIO, Storia dello sport in Italia, cit., p. 22.

148 Ibidem, pp. 21-22. Cfr. S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., p. 36. 149

A. MOSSO, La riforma della ginnastica, La Nuova Antologia, 15 gennaio 1892, cit. in S. GIUNTINI, Sport scuola e

caserma, cit., p. 60. Di Mosso cfr. anche L’Educazione fisica della gioventù, Milano, Treves, 1894; La riforma dell’educazione, Milano, Treves, 1898; Mens Sana in corpore sano, Milano, Treves, 1902. Sulla polemica con Baumann

51

della nascente industria italiana»150. Lo sport di matrice anglosassone in Italia ebbe quindi la sua culla all’interno del movimento ginnico. Già a partire dalla fine degli anni Settanta, infatti, le società ginnastiche avevano cominciato ad aprire sezioni sportive. Il loro sviluppo fu talmente impetuoso che ben presto l’asfissiante presenza della FGI, la quale malgrado il peso calante rivendicava un ruolo egemone per tutte le attività fisiche, divenne un freno alle possibilità di crescita. L’universo ginnastico, convinto che l’attività motoria dovesse essere concepita come un mezzo e non certo come un fine, contestava gli aspetti agonistici, ritenendo i giochi competitivi inutili rispetto agli obiettivi nazionali. Di conseguenza un po’ alla volta le diverse discipline – a partire dalla Federazione Italiana del Football (1898) e dall’Unione Pedestre Italiana (1899) – iniziarono non senza difficoltà un processo di affrancamento che si esaurì solamente alla vigilia della guerra151. Di fronte a quest’esodo la FGI si arroccò in un atteggiamento autoreferenziale, che ebbe ripercussioni in quello che fu il più importante sforzo della politica estera sportiva dell’Italia liberale nell’anteguerra: la candidatura olimpica di Roma nel 1908 (Si veda il paragrafo 4).

2.3) Le pratiche di loisir, l’associazionismo del tempo libero e il legame con le élites

Lo sviluppo del sistema sportivo italiano va anche inquadrato nei processi, comuni al contesto europeo, che videro l’emergere di una nuova socialità associata alla «scoperta del tempo libero»152. Espulsa dalle discipline utilitaristiche volte al miglioramento fisico e intellettuale del popolo, la dimensione ludica era sopravvissuta nelle pratiche proto-sportive di origine popolare e carnevalesca, le quali, nei decenni successivi all’unificazione, pur non scomparendo mai del tutto, persero gradualmente la loro preminenza. È il caso del gioco del pallone – che continuò fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale ad attirare folle di appassionati – delle bocce o di competizioni come il Palio di Siena e la Regata Storica, «tradizione», quest’ultima, interrotta dagli austriaci nel 1848 e «re-inventata» nel 1866 con il ritorno del Veneto all’Italia153. Fra le classi aristocratiche invece continuavano ad essere diffuse le battute di caccia – a piedi, a cavallo e coi cani – l’equitazione e le gare di tiro al volo. Influenzate da pregiudizi atavici, questi gruppi sociali cominciavano a disdegnare una disciplina sportiva non appena si diffondeva anche negli strati medio-bassi della popolazione, finendo così per arroccarsi nella pratiche che richiedevano

150

Cit. in S. PIVATO, Le pratiche ludiche in Italia fra l’età moderna e contemporanea, in Il tempo libero nell’Italia unita, Bologna, Clueb, 1992, pp. 11-20.

151 Sulla ginnastica come culla dello sport italiano cfr. F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 22, 42-3 e 48, P.

FERRARA, Ginnastica, cit., pp. 161 e 175-6, A. PAPA, Introduzione, in Coroginnica, cit., p. 21, D.F.A. ELIA, Lo sport in

Italia, cit., p. 62, A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi moderne 1894-1924, Roma, Nuova Cultura, 2009, p. 46. Sul

podismo cfr. S. GIUNTINI, Atletica Leggera, in Storia degli sport in Italia, cit., sul calcio cfr. A. PAPA – G. PANICO, Storia

sociale del calcio in Italia, cit., pp. 58-62, G. PANICO, Il calcio, in Storia degli sport in Italia, cit., p. 88 e S. GIUNTINI, I calciatori delle palestre. Football e Società ginnastiche in Italia, Torino, Bradipolibri, 2011.

152

Cfr. A. CORBIN, Introduzione, in A. Corbin (a cura di), L’invenzione del tempo libero 1850-1960, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 3-15, G. VIGARELLO, Il tempo dello sport, in L’invenzione del tempo libero, cit., pp. 215-43 e S. PIVATO, Le

pratiche ludiche in Italia, cit., pp. 11-20. 153

Ibid., Sul concetto di «invenzione della tradizione» cfr. E.J. HOBSBAWM – T. RANGER, L'invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987. Sulla regata storica si veda N. SBETTI, La Regata Storica di Venezia, tra sport e folklore, «Pianeta Sport», 5 settembre 2010 http://www.pianeta-sport.net/2010/09/la-regata-storica-di-venezia-tra-sport-e-folklore/

[accesso 7.11.2013]. Le stesse feste popolari finirono per incorporare quegli elementi celebrativi atti a rafforzare lo stato monarchico nazionale. Cfr., S. PIVATO, Far ginnastica e far nazioni, cit., p. 36 e S. CAVAZZA, Dimensione massa, cit.

52

un’elevata disponibilità finanziaria come l’equitazione, lo yachting e in seguito il tennis, il golf, gli sport motoristici e quelli invernali154.

Fu però specialmente fra le classi alto borghesi che l’accresciuta disponibilità di tempo libero portò allo sviluppo di nuove pratiche di loisir tra cui il turismo e l’escursionismo. La formula attraverso la quale si espresse questa nuova socialità, esattamente come era avvenuto per le pratiche utilitaristiche, fu l’associazionismo che, pur trattandosi di tempo libero, finì comunque per convogliare un ethos patriottico155.

È il caso del Club Alpino Italiano (CAI), fondato il 12 agosto 1863 da Quintino Sella – statista piemontese, esponente della Destra storica e in tre occasioni Ministro delle Finanze – e dal deputato calabrese Giovanni Baracco, dopo che assieme ad alcuni compagni di cordata avevano concluso con successo la scalata del Monviso. L’impresa sportiva assunse immediatamente un’importante valenza simbolica, visto che con la cessione della Savoia alla Francia quella cima contendeva al Gran Paradiso il titolo di «Vetta d’Italia». La nascita del CAI si rivelò funzionale, non solo ad incentivare i giovani italiani a fortificare il proprio fisico – «Le Alpi come scuola della nazione» – ma anche a sottolineare la valenza irredentistica – «Alpi libere e guardiane della patria» – e infine per partecipare alla sfida, dal marcato sapore nazionalistico, per la conquista delle vette alpine in atto con gli alpinisti del resto d’Europa, specialmente gli inglesi156.

L’8 novembre 1894 venne fondato a Milano il Touring Club Ciclistico Italiano, che nel 1900 semplificherà il proprio nome in Touring Club Italiano. Nato per tutelare quei ciclisti che, non essendo corridori, non erano tesserati in alcuna società, riuscì rapidamente ad ottenere una capillare diffusione nella società civile, assumendo inevitabilmente una valenza politica. L’apoliticità declamata nel proprio statuto serviva esclusivamente ad evitare che le faziosità partitiche non limitassero la funzione nazionalizzante. Quest’ultima non si limitava al vaglio del territorio italiano, ma comportava anche “trasferte patriottiche” fino a Nizza, alla Savoia, al Canton Ticino, al Trentino, al Tirolo meridionale, al Carso e a Trieste, in quei territori cioè considerati culturalmente italiani benché sottoposti a dominazione straniera157.

Obiettivi analoghi portarono nel 1898 alla nascita dell’Audax italiano che, attraverso un programma di marce podistiche di resistenza unito all’uso dei nuovi mezzi meccanici, legava l’esperienza associazionistica alle istanze irredentistiche e patriottiche. Anche per questo entrò a far parte del Corpo Nazionale dei Volontari Ciclisti e Automobilisti costituito nel 1908 presso il Ministero della Guerra (Si veda la pagina 54)158.

154

Cfr. F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., p. 73.

155 Ibidem, p. 41. Sull’associazionismo del tempo libero declinato in funzione nazionalistico-patriottica cfr. anche N.