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Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale in Italia si era ormai ampiamente costituito un solido sistema sportivo il quale, seppur privo di un organismo guida centralizzato, aveva consolidato i processi di sportivizzazione sviluppatisi, a loro volta, in parallelo a quelli di costruzione della nazione e di nazionalizzazione delle masse. Lo sport agonistico, nato formalmente slegato da implicazioni utilitaristiche, da fenomeno elitario si era andato popolarizzando, specialmente nelle discipline professionistiche. A livello politico, istituzionale, associazionistico e scolastico restava comunque predominante un’enfasi sull’educazione fisica e sportiva, funzionale alle esigenze dell’esercito e alla creazione di «figli della patria pronti a morire per essa»264.

Fin dalle sue origini il movimento sportivo italiano aveva evidenziato «due tendenze difficilmente conciliabili»; da un lato si reclamava «la completa astensione da ogni intromissione di natura verticistica, dirigistica, burocratica» da parte dello Stato, al quale però si richiedevano «riconoscimenti ufficiali, appoggi morali e regolari supporti finanziari», dall’altro, sulla scia delle imprese coloniali e della corsa agli armamenti, si cercava di «sfoggiare le benemerenze acquisite nella “preparazione fisica e nel miglioramento della razza” per allacciare relazioni indissolubili con i centri di potere»265.Queste contraddizioni emersero anche nella composizione del CONI, organo che, pur sostenendo la propria indipendenza, vedeva comunque rappresentate le anime politiche dell’Italia liberale.

La Prima Guerra Mondiale si rivelò un autentico acceleratore per lo sviluppo della pratica sportiva a livello nazionale e internazionale. Il conflitto contribuì infatti ad accelerare quei processi che, in un certo qual modo, si erano già avviati intorno agli anni Dieci, quando – specialmente in seguito all’impresa libica – il mondo sportivo italiano passò da una cultura risorgimentale, ancora legata all’idea di «nazione armata» e ispirata da principi democratici, ad una più marcatamente nazionalistica, che si legò a istanze militariste, nazionaliste e colonialiste266.

3.2) Sport, militarismo ed esercito

Fin dall’età risorgimentale le attività fisiche proto-sportive e sportive avevano ottenuto forme di sostegno istituzionale e politico poiché, seppur con concezioni e finalità talvolta opposte, avevano sviluppato forti legami con l’esercito; esse, non solo confluirono nel bagaglio tecnico dell’addestramento del soldato, ma spesso si svilupparono nella società in funzione militarista267. Da un lato si registrava l’esigenza di garantire ai propri soldati una preparazione militare che permettesse all’Italia di partecipare a una nuova guerra europea, ritenuta inevitabile e al tempo stesso indispensabile perché il nostro paese raggiungesse i suoi obiettivi di grande potenza, dall’altro la «promozione dirigistica e paternalistica di un associazionismo sportivo in grado di

264 Cit. in F. FABRIZIO, Storia dello sport in Italia, cit., p. 27. Cfr., A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi, cit., p. 47. 265

Cit. in F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., p. 62.

266

Ibid. Cfr. C. PAPA, Borghesi in divisa, in «Zapruder», maggio-agosto, 2004, p. 34.

267 Cfr. E. LANDONI, Il contributo delle istituzioni militari, cit., p. 51, e P.M ULZEGA – A. TEJA, L’Addestramento ginnico- militare, cit.

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impartire ai giovani una forma rudimentale di istruzione para-militare, coincideva in pieno con i principi del liberalismo italiano, che incoraggiava e sosteneva l’iniziativa privata, per manovrarla poi a sostegno di quelli che venivano definiti i supremi interessi della patria»268.

Negli anni Settanta dell’Ottocento queste tendenze si rafforzarono. Dopo le preoccupanti prove offerte nella guerra del 1866 e sulla scia della vittoria prussiana a Sedan, il generale Ricotti avviò un’importante ristrutturazione dell’esercito, che portò all’adozione del modello prussiano. In relazione a questa riforma gli organi centrali dell’esercito portarono l’addestramento premilitare nella scuola sotto le spoglie di ginnastica educativa e incoraggiarono l’associazionismo fisico e sportivo per quelle discipline ritenute funzionali alla preparazione militare269. Del resto tra i principali ginnasiarchi, istruttori, allenatori, tecnici e dirigenti, espressi dal movimento sportivo italiano è possibile ritrovare un gran numero di ufficiali dell’esercito270.

Nella convinzione che la ginnastica e l’educazione fisica fossero fondamentali nella preparazione del cittadino al servizio militare, a partire dal 1890, sulla scia di una relazione del Colonnello Bertet, si sviluppò l’idea di una Lega per la nazione armata mediante le palestre marziali, che ricevette il sostegno di ginnasiarchi dello spessore di Baumann, Reyer e Gallo. Le palestre marziali tuttavia stentarono a diffondersi sul territorio nazionale soprattutto a causa dell’avversione della FGI. L’evoluzione di tale progetto, rimasto per lo più sulla carta, fu la proposta di costituire un Brevetto di attitudine militare che permettesse ai ginnasti che avessero dimostrato di possedere i requisiti di ridurre la ferma militare da tre a due anni271.

L’azione dei volontari ciclisti, nati nei primi anni del secolo per servire la Patria attraverso l’uso della bicicletta, venne istituzionalizzata nel 1908 con la nascita del Corpo nazionale volontari ciclisti automobilisti, sotto la vigilanza del Ministero della Guerra, con lo scopo di concorrere alla difesa della patria preparando forze ciclistiche e automobilistiche mediante un’organizzazione a carattere civile. Essi fungeranno da modello per la successiva nascita dei:Volontari Tiratori Alpini (1907), dei Volontari Guide a Cavallo (1909), dei Volontari Aerostatieri (1912), dei Volontari Ciclisti Alpini (1913), dei Volontari Motonauti (1914) e dei Volontari Costieri (1914)272.

Nel 1909 la nascita della Federazione Nazionale «Sursum Corda» si inserì a sostegno dell’indirizzo ultra-militaristico conferito all’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole dalla legge Rava- Daneo. L’esperienza degli studenti volontari, che non aveva fatto altro che riproporre sostanzialmente il già fallimentare modello francese dei bataillons scolaires, naufragò immediatamente tra polemiche di gestione amministrative e proteste per i metodi brutali usati

268

Cit. in F. FABRIZIO, Storia dello sport in Italia, cit., p. 21.

269 La riforma Ricotti portò all’adozione dell’“esercito numero” con il quale si riduceva il periodo di ferma effettiva, ma

in caso di mobilitazione l’esercito si sarebbe allargato attraverso i riservisti, il volontariato e il reclutamento su scala nazionale. Cfr. S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., pp. 36-7, FABRIZIO, Storia dello sport in Italia, cit., pp. 20-1.

270 Tra questi possiamo citare Federico Caprilli, Luigi Capello, Carlo Montù, Cesare Tifi, Francesco Saverio Grazioli,

Vittorio Pozzo. Cfr. M.P. ULZEGA – A. TEJA, L’addestramento ginnico-militare, cit., pp. 9-10 e E. LANDONI, Il contributo

delle istituzioni militari, cit., p. 51.

271 Cfr. A. TEJA, Educazione e addestramento militare, cit., pp. 58-71, P.M ULZEGA – A. TEJA, L’Addestramento ginnico- militare, cit., pp. 26-7, M. DI DONATO, Storia dell’educazione fisica, cit., p. 154 e F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., p.

151.

272 Cfr. A. TEJA, Educazione e addestramento militare, cit., F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., p. 170, F. FABRIZIO, Storia dello sport in Italia, cit., pp. 31-2 e D. MARCHESINI, L’Italia del Giro d’Italia, cit., pp. 82-3.

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dagli istruttori273. Di fronte alla crescita delle istanze nazionaliste il Ministro della Guerra Spingardi cercò di dare una sistemazione istituzionale a queste disarticolate iniziative, rifacendosi nuovamente al modello ormai decadente di «nazione armata». Tuttavia l’esito di fatto inefficace di questi sforzi, che trovarono una certa strutturazione solo nell’ottobre del 1914, da un lato segnalava la crisi del modello associazionistico, dall’altro ne confermava anche la sua vischiosità a livello istituzionale274.

A partire dagli anni Dieci, infatti, il Ministero della Guerra e l’esercito rafforzarono ulteriormente il proprio legame con il mondo ginnico e sportivo. L’esercito seppe «cogliere e riadattare alle proprie esigenze strategiche l’importante contributo tecnico e formativo fornito alla causa dello sport italiano dai pionieri del ciclismo, del canottaggio e del calcio», e inoltre «stimolò la diffusione nel Paese di importanti discipline quali la scherma, le arti marziali, la lotta greco- romana, il nuoto e la pallacanestro, proponendo peraltro un nuovo approccio tecnico e culturale nei riguardi della ginnastica»275.

3.3) Sport, irredentismo e le «Italie fuori dall’Italia»

Particolarmente delicata, fino alla vigilia della Grande Guerra, rimase la questione dell’associazionismo proto-sportivo e sportivo italiano nelle cosiddette “terre irredente”. Le società italiane nei territori dell’Impero austroungarico – e in misura di gran lunga inferiore pure in Francia e Svizzera – segnate da una forte impronta nazionalistica, dalla volontà di difendere la propria italianità e dal desiderio di riunirsi all’Italia, svolsero un ruolo di autentiche teste di ponte evidenziando in maniera palese le ambivalenze diplomatiche dell’alleanza italo-austriaca firmata nel 1882 nel quadro della Triplice Alleanza.

Le società trentine, giuliane, istriane e dalmate di cultura italiana vissero, prima della guerra, vicende estremamente travagliate dovendo fare i conti con ripetuti scioglimenti da parte delle autorità austriache, che non vedevano di buon occhio la loro azione eversiva. Nell’attività quotidiana non mancavano mai i riferimenti alla bandiera nazionale italiana; il tricolore non era solo un «simbolo dell’identità nazionale», ma diventava soprattutto una «provocazione», talvolta esplicita, talvolta mimetica, nei confronti della polizia austroungarica. Il tricolore poteva quindi fasciare, seminascosto, i mazzi di fiori che venivano offerti in occasione delle cerimonie ginnastiche, oppure capeggiare nelle sale delle palestre in occasione dei raduni sociali. La loro azione era spesso coordinata con il movimento irredentista, basti pensare al loro contributo finanziario alla costruzione dei monumenti dedicati a Dante Alighieri a Trento e al monumento al musicista Tartini a Pirano. Ciononostante l’aspetto che più preoccupava la polizia austriaca erano i contatti che le società sportive delle terre irredente mantenevano con quelle italiane; data la contiguità territoriale e gli ideali condivisi, erano frequenti le visite di cortesia e gli incontri

273

Cfr. F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., p. 170, A. TEJA, Educazione e addestramento militare, cit. Sui Bataillons

scolaires cfr. P. ARNAUD, Les Athlètes de la République, cit.

274 Cfr. S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., pp. 64-9 e F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., p. 70. 275

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agonistici o turistici con le consorelle italiane. Inoltre, in maniera palesemente provocatoria, le società italiane nelle terre irredenti erano affiliate alla FGI o alle rispettive FSN italiane276.

Il movimento ginnastico nazionale fu estremamente sensibile alle istanze irredentiste, basti pensare che nel dicembre 1887, in occasione del Congresso ginnastico di Roma, Baumann richiese che nello statuto alla frase «possono far parte della Federazione le associazioni ginnastiche» fosse aggiunta la parola «italiane» intendendo così includere le società in cui «si parla e si comandano gli esercizi in lingua italiana», un impegno per le «sorelle irredente di Trieste e del Trentino»277.

Nel Trentino, quasi esclusivamente composto da abitanti di lingua e cultura italiana, il movimento associazionistico sportivo si sviluppò soprattutto nei principali centri urbani. La Società ginnastica di Trento, per esempio, fondata all’inizio del 1871 a cui aderì pure Cesare Battisti, pur partecipando a incontri e feste nell’Impero austroungarico, rifiutò di far parte della Federazione Ginnastica Tirolese aderendo invece a quella italiana; le trasferte in terra italiana, specialmente se legate ad un anniversario patriottico o politico, potevano costare addirittura lo scioglimento278. L’alpinismo ebbe, nella regione, un ruolo centrale. La Società degli Alpinisti Tridentini, sciolta nel 1876, due anni dopo la nascita e rifondata l’anno successivo, aveva come obiettivo l’appropriazione culturale e la presa di possesso materiale dei territori considerati italiani. I suoi membri, rischiando arresti e condanne, durante le attività raccoglievano dati sulle installazioni belliche austriache e le inviavano ai comandi militari italiani. Il CAI svolgeva un ruolo di raccordo; nel 1913 un’escursione collettiva di quattro giorni nel Cadore si trasformò in una manifestazione patriottica con l’itinerario che si snodava «lungo l’ingiusto confine»; l’anno successivo sul Cevedale i «fratelli irredenti», giunti dalle terre soggette all’Austria, si strinsero attorno agli alpinisti della «vecchia Italia» prima di riguadagnare «l’infausto confine». Non sempre queste iniziative erano viste di buon occhio da parte della diplomazia italiana, per esempio quando il CAI di Milano segnalò delle incongruenze sulla frontiera italo-svizzera il MAE, pur ringraziando, mise in guardia con una certa irritazione dagli eccessi di zelo, sostenendo che le rettifiche di confine fossero una materia delicata da lasciar trattare al personale diplomatico di competenza279.

Inoltre proprio mentre l’intervento austriaco diventava più aggressivo, l’appoggio del governo del Regno d’Italia alle società nelle terre irredenti si faceva sempre più fiacco, per non entrare in contraddizione con la firma della Triplice Alleanza280. La Società triestina di ginnastica, autentico centro vitale e modello del movimento sportivo irredentista, tra il 1863 al 1916 fu sciolta

276 Per quanto riguarda le istanze irredentistiche nel Canton Ticino, a Nizza e in Savoia non assunsero mai le

dimensioni di quelle trentine, giuliano, istriano, dalmate; è comunque significativo notare che il Chiasso FBC optò, nel 1914, per la partecipazione al campionato italiano di prima categoria. Per delle riflessioni generali sugli aspetti politici dell’irredentismo sportivo e proto-sportivo italiano cfr. F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., pp. 48-9, S. PIVATO, Far

ginnastica e far nazioni, cit., pp. 38-43 e A. ZANETTI LORENZETTI, Olympia Giuliano-Dalmata, ASAI, Rovigno-Trieste,

2002.

277

Cit. in S. GIUNTINI, Nascita di una federazione, cit., p. 57.

278 Cfr. S. PIVATO, Far ginnastica e far nazioni, cit., pp. 38-43 e N. PORRO, Identità, nazione, cittadinanza, cit., p. 48. È

significativo, per esempio, che il giorno del suo assassinio per mano di Gaetano Bresci, Umberto I, non solo avesse partecipato alle premiazioni di un concorso di ginnastica organizzato al parco di Monza dalla Forti e Liberi, ma si fosse congratulato con la squadra trentina dichiarando ad alta voce «Sono lieto di stringere la mano a degli italiani».

279

Cfr. A. PASTORE, Alpinismo e storia d’Italia, cit., pp. 57-60. Sul CAI cfr. anche S. MOROSINI, Sulle vette della patria.

Politica, guerra e nazione nel Club alpino italiano (1863-1922), Milano, Angeli, 2009.

280 L’attenzione della stampa del Regno d’Italia le attività sportive degli italiani delle terre irredente fu generalmente

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per ben sei volte dalla polizia austriaca. A questa società appartennero Guglielmo Oberdan, condannato a morte per aver progettato un attentato all’imperatore Francesco Giuseppe, Gregorio Draghicchio, arrestato per «offesa alla Maestà Sovrana», e quei soci impegnati nella congiura organizzata da Ricciotti Garibaldi per effettuare un’azione violenta a Trieste nel 1904 e fallita proprio per il ritrovamento delle bombe nascoste nella palestra della società ginnastica da parte della polizia austriaca281.

Più in generale l’irredentismo sportivo italiano nelle regioni giuliane, istriane e dalmate, sviluppò soprattutto società ginnastiche, di canottaggio e atletiche e si caratterizzò per un’impronta, non soltanto anti-austriaca, ma anche anti-slavista, che rafforzava la dicotomia dell’Adriatico orientale in cui le città erano sostanzialmente abitate da italiani e le campagne da slavi282. In queste terre l’associazionismo italiano presentava «un’identità ed appartenenza linguistiche e culturali molto marcate» e, per quanto non mancassero situazioni d’apertura, erano generalmente rari i rapporti con persone e istituzioni di lingua e cultura slava o tedesca283.

L’atleta simbolo dell’irredentismo italiano fu senza dubbio il lottatore Giovanni Raichevich, nato a Trieste nel 1881, vinse il titolo mondiale di lotta nel 1907 e nel 1909, oltre a numerosi titoli europei e internazionali. Egli non nascose mai l’amore per l’Italia e Trieste tanto che allo scoppio della Prima Guerra Mondiale partì volontario venendo decorato al valore militare, mentre sul versante opposto veniva condannato a morte in contumacia per diserzione284.

Proprio lo scoppiò della Grande Guerra, ancor più con il ritardato ingresso dell’Italia a fianco dell’Intesa ribaltando lo schema d’alleanza dei trent’anni anni precedenti, rappresentò il periodo più complesso per le società sportive in quelle terre. Il movimento irredentista, che fece da contrappunto alla politica estera italiana e che, allo scoppio del primo conflitto mondiale, si fuse col movimento nazionalista a favore dell’intervento, fu in buona sintesi una sorta di laboratorio delle potenzialità dell’educazione fisica posta a servizio della causa patriottico-nazionalista285.

Oltre le “terre irredente” esistevano anche altre «Italie fuori dall’Italia»; le ondate migratorie italiane avevano portato allo strutturarsi di importanti comunità: nel nord Europa, nel bacino del Mediterraneo, nelle Americhe e persino in Asia e Oceania. In molte delle città in cui esisteva una forte comunità italiana si formarono società proto-sportive o sportive sui modelli sorti in patria. In questi territori l’associazionismo sportivo italiano si sviluppò in maniera spontanea, sulla spinta delle élite desiderose di spazi simbolici e di prestigio sociale, oppure per l’impegno di istituzioni culturali e degli ambienti diplomatici preoccupati che la progressiva assimilazione nei paesi di destinazione potesse ridurre gli importanti flussi delle rimesse. Le società italiane rivendicavano una separatezza culturale, ma si confrontavano attraverso la competizione con le comunità locali e quelle degli altri immigrati. Fino che fu possibile la partecipazione

281

Ibidem, p. 36.

282

Ibid. Cfr. anche S. DORIGO, Italianità prima e dopo la grande guerra. Il caso dell’atletica istriano-fiumano-azartina

(1905-1924), in Sport e identità. Atti del II Convegno Nazionale SISS – Firenze 5 maggio 2012, «Quaderni della Società

Italiana di Storia dello Sport», n° 1, 2012, pp. 24-33, e 39 e F. STENER, Canottaggio, cit., pp. 116-7.

283

Cit. in S. DORIGO, Italianità prima e dopo la grande guerra, cit., pp. 24-33.

284Cfr. L. TOSCHI, Giovanni Raicevich. Il re della forza: nella vita e sui tappeti di lotta si batte per Trieste italiana, in

«Rassegna storica del risorgimento», 90, n. 1, 2003, pp. 87-96, R. BASSETTI, Storia e storie dello sport in Italia.

Dall’unità ad oggi, Venezia, Marsilio, 1999, p. 48 e S. MARTIN, Sport Italia. The Italian love affair with sport, I.B.

Taurus, 2011, p. 38-9.

285

80

individuale, furono diversi gli emigrati italiani appartenenti a queste società che decisero di partecipare ai Giochi Olimpici difendendo i colori dell’Italia286.

Per quanto il tema dell’associazionismo etnico sia rimasto in gran parte inesplorato, le ricerche di Domenico Elia sull’azione dei Comitati coloniali dell’INIEF hanno svelato un ruolo abbastanza attivo della diplomazia culturale italiana287. Questi comitati, a partire dal 1908, divennero un punto di riferimento sia per la promozione delle attività fisiche e sportive sia per la preservazione della lingua e della cultura italiana all’estero. Grazie al decisivo apporto dei consolati e ai sussidi del MAE, della Banca d’Italia o di associazioni come quella Filarmonica, ne sorsero in diverse città. I Comitati coloniali erano animati da: «notabilati del luogo, alti ufficiali, funzionari amministrativi e professionisti» e, tra le iniziative culturali, organizzarono anche diverse attività sportive – soprattutto ginnastica, atletica e tiro – ovviamente accompagnate da simboli nazionali, tricolori e inni ufficiali. Essi si distinsero inoltre per azioni di beneficenza. Quello di Tunisi, per esempio, promosse una festa sportiva il cui ricavato fu donato per gli aiuti dopo che il catastrofico terremoto del 1908 aveva distrutto le città di Messina e di Reggio Calabria e causato oltre centomila vittime. All’esibizione dei ginnasti furono inviate e «presero parte con nobile slancio di solidarietà anche le valorose società francesi del Club Gymnastique Français e Orientale: così che oltre che un riuscitissimo esperimento della vigoria dei giovani ginnasti e una bella festa della carità, riuscì pure una grande manifestazione franco-italiana»288.

3.4) Sport e colonialismo

Oltre al militarismo e all’irredentismo il movimento ginnastico e sportivo offrì una valida spalla anche ai sostenitori delle imprese coloniali. Intorno agli anni Settanta cominciò a concretizzarsi una prima forma di interesse coloniale dell’Italia in Africa. Nel dicembre 1884 un accordo italo- inglese spianò la strada per l’occupazione del territorio tra Massaua e Assab. Dopo il massacro di Dogali del gennaio del 1887 la politica africana, fortemente voluta da Crispi, una volta tornato al potere, subì un’ulteriore accelerazione. Pur non beneficiando del consenso di gran parte dell’opinione pubblica, fu ampiamente sostenuta dal movimento ginnastico il quale ebbe un ruolo di primo piano nelle campagne di propaganda coloniale; basti pensare che nel corso del Congresso

Ginnastico Nazionale svolto a Roma dal 18 al 21 dicembre 1887 fu inviato un telegramma di auguri

al generale San Marzano a Massaua e ai «valorosi fratelli Esercito che tengono alto in Africa onore Bandiera Italiana»289. La leggerezza con cui fu condotta la vicenda coloniale in Abissinia portò – a seguito dell’ambigua firma del Trattato di Ucciali (1889) con la quale l’Italia credeva di aver imposto un protettorato sulla regione – alla disastrosa sconfitta di Adua (1896), la quale non solo segnò la fine della carriera politica di Crispi, ma anche della prima fase dell’espansionismo coloniale italiano.

286 Felice Fabrizio, individuando proprio nell’associazionismo etnico un tema ancora poco esplorato dalla storiografia,

ha proposto un primo elenco cfr., F. FABRIZIO, Fuoco di bellezza, cit., pp. 51-3.

287

Cfr. D.F.A. ELIA, L’azione dei comitati coloniali dell’istituto nazionale per l’incremento dell’educazione fisica, in Sport

e identità. Atti del II Convegno Nazionale SISS – Firenze 5 maggio 2012, «Quaderni della Società Italiana di Storia dello