Sebbene il regime fascista e i suoi «aedi» abbiano cercato di attribuirgli un’origine in «camicia nera», il sistema sportivo italiano si era già ampiamente strutturato prima della marcia su Roma. Alla vigila del 28 ottobre 1922 infatti le discipline sportive organizzate nelle rispettive FSN erano ben ventuno e sport professionistici come il calcio, il ciclismo, il pugilato e l’automobilismo godevano di autonomia finanziaria e grande popolarità369.
Fino alla svolta autoritaria del 1925 Mussolini e i suoi faticarono a sviluppare una visione coerente; le incertezze di una linea politica oscillante fra le spinte sovversive e quelle favorevoli al compromesso politico-istituzionale si riflessero anche nelle prime contraddittorie iniziative prese in tema di educazione fisica, addestramento premilitare e attività sportivo-agonistica370.
Anche successivamente in ambito sportivo il passaggio dall’Italia liberale a quella fascista vide prevalere gli elementi di continuità su quelli di discontinuità. Il Regime infatti pescò a piene mani dal bagaglio culturale risorgimentale, nazionalista e futurista e conservò buona parte delle strutture pre-esistenti. L’auspicata Corporazione dello sport rimase allo stato progettuale e fallì miseramente il tentativo di “inventare” uno “sport italiano” che potesse entrare in concorrenza con i games britannici. Nel 1929 Augusto Turati ci provò con la volata, un misto tra calcio e rugby che si rifaceva idealmente a nobili “antenati” come l’harpastrum e il calcio fiorentino. Promossa soprattutto nei dopolavoro, naufragò ben presto tra l’indifferenza generale malgrado i tentativi della propaganda371. Tanto la distinzione fra «sport fascisti» e «sport anglosassoni», quanto il motto «molti partecipanti, pochi spettatori», finirono per perdersi in nome di un pragmatismo che portò il fascismo ad accettare le logiche dello sport spettacolo e professionistico, inizialmente osteggiate372.
Le principali innovazioni del fascismo in ambito sportivo riguardarono soprattutto l’intervento diretto dello Stato, il quale ampliò le proprie funzioni di controllo e coordinamento. Con lo sviluppo del disegno totalitario, infatti, si affermò l’idea che l’intera società andasse irreggimentata e che il tempo libero degli italiani non dovesse essere un affare privato. L’educazione fisica e lo sport divennero così degli strumenti pedagogici e rigeneratori attraverso i quali politicizzare i «corpi» dei cittadini, «migliorare la razza» e formare un «uomo nuovo» che fosse contemporaneamente lavoratore e soldato. Il fascismo favorì gli sport, non solo per controllare la società e contribuire a perpetuare una visione che superasse le divisioni di classe e
369 Solo i più recenti lavori della storiografia sportiva stanno andando verso il superamento della tesi secondo cui il
fascismo fu l’origine della nascita di un sistema sportivo italiano. Cfr. F. FABRIZIO, Introduzione, cit., pp. 9-12.
370
Cfr. N. PORRO, Identità, nazione, cittadinanza, cit., p. 76.
371 La parabola della volata finì per ricalcare quella di Augusto Turati. Cfr., F. FABRIZIO, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976, p. 27, M. IMPIGLIA, The Volata Game: When Fascism Forbade Italians To Play Football, translation of paper presented at CESH Conference, Rome, 1996. M. IMPIGLIA, Volata, rapida a crescere, rapida a morire, «Sport Italiano», Aprile 1997 e A. BEACOM, Indigenous sport and the search for belonghing, «The sports Historian», n° 18, 2 Nov, 1998, pp. 50-77.
372
Per un tentativo di definizione di «sport fascisti» cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., pp. 132-6. Il motto «molti partecipanti, pochi spettatori» è citato in V. DE GRAZIA, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Roma e Bari, Laterza, 1981, p. 199.
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promuovesse un’immagine di nazionale unitaria, ma anche per costruire un’autentica «fabbrica del consenso»373.
Al contrario dei governi nell’Italia liberale, restii a interferire con il settore privato, il fascismo non lesinò importanti investimenti in campo sportivo – inizialmente inteso come esercizio fisico ed esibizione del corpo, poi sempre più come agonismo e spettacolo – cercando di utilizzarlo come uno strumento di rigenerazione fisica, di nazionalizzazione autoritaria, di controllo, di propaganda e di prestigio internazionali. Nel farlo si diede un peso notevole alla dimensione simbolica ed estetica che introdusse anche nello sport quei riti e quelle liturgie proprie di una nuova «religione civile», funzionale a rendere più comprensibile la dottrina e l’azione fascista374.
Il «modello sportivo fascista» comunque non fu il risultato di un progetto coerente sviluppato con rigore nel corso degli anni, ma l’esito di una burrascosa navigazione a vista segnata sia da lucide intuizioni, sia da notevoli incoerenze dovute soprattutto a conflitti interni fra i gerarchi. La dimostrazione più lampante dello sviluppo a singhiozzo del «modello sportivo fascista» sta nel fatto che tra il 1922 e il 1944 al vertice del CONI si siano succeduti ben dodici presidenti.
4.2) I primi passi
All’indomani della marcia su Roma il fascismo non aveva idee ben chiare sull’assetto da dare all’organizzazione sportiva italiana. Sebbene nel novembre 1922 Mussolini, ricevendo il marciatore Ugo Frigerio, non avesse esitato a dichiarare «Noi del governo siamo tutti sportivi», la presidenza del CONI era ancora saldamente in mano al cattolico Francesco Mauro; un simpatizzante ma non certo un fascista375.
Nell’aprile del 1923, nei giorni caldi dell’approvazione della legge Acerbo, nell’impossibilità di dare una coerente preparazione olimpica in vista dei Giochi parigini 1924, Mauro diede le dimissioni e fu sostituito da Aldo Finzi, Sottosegretario agli Interni, stretto collaboratore di Mussolini e parlamentare fascista fin dal 1921. La riunione del CONI in cui ottenne l’incarico si svolse nelle stanze del Viminale, una sede tutt’altro che neutra, scelta per simboleggiare il ruolo sempre più attivo dello Stato fascista, tuttavia, in segno di continuità, i componenti della Commissione esecutiva rimasero in gran parte gli stessi della presidenza Mauro. Durante il suo mandato, Finzi trasferì la segreteria generale nelle stanze della Presidenza del Consiglio (PCM) e cominciò quel processo che sotto il fascismo porterà il CONI a svilupparsi come l’ente gerarchicamente superiore nel sistema sportivo italiano. L’azione del CONI risultò comunque ancora incerta, contraddittoria e fu limitata dal coinvolgimento di Finzi, che si dimise il 18 giugno 1924, nel delitto Matteotti376.
373
Sul concetto di “fabbrica del consenso” cfr. P.V. CANNISTRARO, La fabbrica del consenso, Roma e Bari, Laterza, 1975.
374 Cfr. A. LOMBARDO, Il fascismo alle Olimpiadi, in Sport e fascismo, cit., pp. 52 e 65, A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi moderne, cit., p. 44, G.L. MOSSE, La Nazionalizzazione delle masse, cit., e E. GENTILE, Il culto del littorio: la sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, Roma, Laterza, 2001.
375 Mussolini riceve l’olimpionico Frigierio, «La Gazzetta dello Sport», 24 nov. 1922, cit. in A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi moderne, cit., p. 215. Nel luglio del 1923 Francesco Mauro fu espulso dal gruppo parlamentare del PPI per
essersi opposto alla linea di Sturzo.
376 Finzi era l’ispiratore politico del giornale fascista «Corriere Italiano», diretto da Filippo Filippelli, colui che fornì ad
100
Nel marzo del 1923 si era costituito l’Ente Nazionale Educazione Fisica (ENEF), un’istituzione in assoluta continuità con modelli liberali, il cui obiettivo era coordinare la cultura fisica giovanile in Italia. L’ENEF stentò a decollare e dovette fronteggiare problematiche tipiche del passato, come l’annosa questione della formazione degli insegnanti. Il fallimento nel convogliare i giovani verso l’attività fisica portò già sul finire del 1924 a un ripensamento dell’ente che fu definitivamente soppresso nel 1927377.
La crisi del sistema sportivo, sviluppatasi in parallelo a quella politica seguita all’omicidio di Matteotti, pose il problema di una sua coerente fascistizzazione. Essa verrà attuata tra il 1925- 1928 grazie all’impulso del più importante ideologo dello sport di Regime, Lando Ferretti, deputato, giornalista sportivo, con un passato da volontario in guerra e console della Milizia, che in quel triennio diresse il CONI378.
In questa fase lo sport fascista, alla ricerca di un ruolo egemonico nella società italiana, fronteggiò con piglio violento e autoritario le sfide provenienti dalle subculture operaista e cattolica.
L’avvento del fascismo tarpò le ali al movimento sportivo operaio nel suo momento di massima spinta propulsiva; basti pensare che Giuseppe Tonani, «ercole proletario», ottenne un prestigioso oro nella categoria dei massimi di sollevamento pesi alle Olimpiadi di Parigi del 1924, diventando l’emblema dell’APEF e dello sport antifascista. La stretta operata dal regime fu comunque facilitata dalla conflittualità interna allo sport operaio fra la componete comunista e quella riformista, che in ambito internazionale facevano riferimento a due organizzazioni sportive differenti: la RSI e la LSI379.
Costretti alla clandestinità o all’esilio, le opposizioni antifasciste costituirono una rete di relazioni che permise di continuare a partecipare al movimento sportivo operaio internazionale o di sobillare il pubblico contro gli atleti italiani – simboli del fascismo – impegnati all’estero, provocando talvolta veri e propri scontri con i supporter fascisti. Per quanto, come emerge dalle memorie, gli esuli fossero spesso scissi fra la volontà di tifare la propria nazione e la necessità di prendere le distanze dal regime politico avverso, la loro azione riuscì ad essere efficace. Nel 1930, per esempio, Turati era talmente preoccupato dal movimento antifascista di Parigi, che scrisse una circolare altamente confidenziale, allertando il segretario del GUF, affinché gli atleti universitari non venissero in contatto con la propaganda antifascista all’estero380. Numerosi furono poi gli esuli politica, nel 1938 prese le distanze dalle leggi razziali, nel 1943 aderì al movimento partigiano e un anno più tardi morì nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Cfr., A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi moderne, cit., p. 226-38, A. LOMBARDO, Il
fascismo alle Olimpiadi, cit., pp. 57-59, e F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 83-4. 377
Cfr. S. FINOCCHIARO, L’educazione fisica, lo sport scolastico e giovanile durante il regime fascista, in Sport e
fascismo, cit., pp. 122-4 e F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 83-4. 378
La scelta di Ferretti come presidente del CONI nel dicembre del 1925 trovò consenziente persino il liberale Montù T. FORCELLESE, L’Italia e i Giochi Olimpici, cit., p. 91. Sulla presidenza di Lando Ferretti cfr. F. BONINI, Le istituzioni
sportive italiane, cit., 2006, p. 106, A. LOMBARDO, L’Italia e le Olimpiadi moderne, cit., p. 217. 379
Sullo sport proletario in Italia durante il fascismo cfr. L. ROSSI, Per la montagna contro l’alcool. Sei anni di alpinismo
proletario in Italia (1921-1926), «Lancillotto e Nausica», n° 2, 1988, pp. 30-5, L. ROSSI, Attilio Maffi, cit., pp. 136-40, N.
PORRO, Identità, nazione, cittadinanza, cit., pp. 73-5, S. GIUNTINI, Sport e Movimento Operaio, cit., p. 152 e F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., p. 148.
380
Cfr. A. TEJA, Italian sport and international relations under fascism, in Sport and International politics, cit., p. 153. Sulla complessità identitaria degli antifascisti nell’approcciarsi allo sport di Regime cfr. G. PANICO, Il calcio, cit., pp. 95- 6.
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italiani che si recarono a Barcellona per prendere parte all’Olympiada popular del 1936 aggregandosi a Parigi con quella della Fédération sportive et gymnique du travail. L’Olimpiade popolare non si svolse a causa del colpo di stato franchista, ma molti degli atleti italiani giunti a Barcellona restarono a difendere la Repubblica381.
L’associazionismo sportivo cattolico, nonostante il suo atteggiamento più conciliante successivo all’ingresso del PPI nella scena politica nazionale, fra il 1924 e il 1925 fu esautorato dalla collaborazione ai programmi di formazione premilitare dalla Milizia fascista. Lo sport cattolico fu costretto ad un’azione puramente difensiva e di sopravvivenza, specialmente dopo il 1927, quando la FASCI e la Young Men's Christian Association (YMCA) furono soppresse. La firma dei Patti Lateranensi (1929) diede qualche piccolo margine di manovra per lo meno su un piano teorico. Nel 1931, infatti, Luigi Gedda nel volume Lo Sport criticò violentemente la strumentalizzazione fascista dello sport, cercando di elaborare una concezione alternativa: all’eroe fascista veniva contrapposto l’atleta cattolico che sarà perfettamente rappresentato dalla figura di Gino Bartali382. Fervente cattolico, il ciclista toscano divenne talmente popolare da permettersi di dedicare le sue vittorie, non a Mussolini ma alla Madonna o allo stesso Pio XI, da cui sarà ricevuto sia nel 1938 che nel 1940, affermandosi così come la figura più nitida di sportivo non fascista383. Resta tuttavia ancora da scrivere, relativamente allo sport, una storia sistematica di quella che Togliatti ha definito la «resistenza silenziosa» al fascismo384.
4.3) La fascistizzazione dello sport
Una volta raggiunta la stabilità politica anche lo sport entrò in una fase più istituzionale. Nemmeno la svolta autoritaria, che si diramò tra il 3 gennaio 1925, quando Mussolini proclamò la dittatura, e il 9 dicembre 1928, quando la stessa venne istituzionalizzata, portò comunque allo sviluppo di un modello sportivo culturalmente originale; la nascita del CONI e le prime esperienze di associazionismo giovanile o dopolavoristico risalivano infatti al periodo precedente il conflitto mondiale. In questa fase, tuttavia, facendo riferimento a queste pregresse esperienze, investendo un considerevole quantitativo di risorse e sfruttando il monopolio dell’informazione, il Regime elaborò un sistema sportivo dal carattere centralistico, statalistico e gerarchico, che trovò attenti imitatori all’estero385.
Nel corso del triennio 1925-28 furono costituite o implementate quelle organizzazioni, funzionali a sviluppare una presenza sempre più capillare nella società, le quali trovarono il 30 dicembre 1928 una loro sistemazione piramidale nella Carta dello sport. Questo documento, che segnò il definitivo passaggio di priorità dall’educazione fisica di massa allo sport di competizione, fu una prima importante sistemazione del continuo «bricolage istituzionale» fascista, che vide in
381
Cfr. S. GIUNTINI, L’Olimpiade dimezzata, cit., pp. 72-8.
382
Cfr. L. GEDDA, Lo Sport, Milano, Vita e Pensiero, 1931. Su Gedda e lo sport cattolico cfr. E. PREZIOSI, Gedda e lo
sport. Il Centro sportivo italiano: un contributo alla storia dell'educazione in Italia, Molfetta, La meridiana, 2011 e F.
FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., p. 149.
383
Dopo la vittoria del Tour de France nel 1938 Bartali rifiutò di farsi fotografare in camicia nera. Ricevette una medaglia d’argento, e non d’oro, al valore atletico e Mussolini non volle riceverlo a Palazzo Venezia. Cfr. D. MARCHESINI, Fascismo a due ruote, in Sport e fascismo, cit., pp. 88-9 e S. PIVATO, Sia lodato Bartali. ideologia, cultura
e miti dello sport cattolico (1936-1948), Roma, Lavoro, 1996.
384 Si segnala un primo tentativo di S. GIUNTINI, Sport e Resistenza, Milano, Sedizioni, 2013. 385
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Mussolini il solo punto fermo, e offrì una prima divisione di competenze fra le tre principali anime del settore sportivo: (1) l’attività giovanile; (2) quella dopolavoristica; (3) quella d’alta competizione386.
Fin dal 1920 il fascismo aveva prestato attenzione all’attività fisica giovanile formando delle Avanguardie studentesche divenute poi Avanguardie giovanili. La svolta si ebbe il 3 aprile 1926 quando, al posto dello svuotato ENEF, venne istituita l’Opera Nazionale Balilla (ONB). La «pupilla del Regime», attraverso un sistema gerarchico di tipo premilitare, aveva il compito di provvedere all’educazione fisica e morale della gioventù. Grazie all’impulso del Sottosegretario per l’Educazione Fisica e Giovanile Renato Ricci, l’ONB riuscì a imporsi come organizzazione di massa, raggiungendo nel 1936 la considerevole quota di 5.510.815 iscritti387.
Sfruttando l’esperienza dell’Olimpiade studentesca romana, nel 1926 nacquero i Gruppi Universitari Fascisti (GUF), ognuno dai quali dotato di una sezione sportiva. Rispetto all’ONB, i GUF erano maggiormente orientati allo sport agonistico prendendo regolarmente parte a competizioni internazionali ma anche nazionali, come gli Agonali e i Littoriali388.
Nel 1930 videro la luce i Fasci giovanili di combattimento, che radunavano quella maggioranza di giovani tra i 18 e i 21 anni non iscritti all’Università. Nella pratica sportiva i Fasci giovanili si distinsero per un attivismo frenetico e un’esasperazione dei toni agonistici, che rispondeva all’esigenza di sviluppare le tendenze aggressive nei ragazzi giunti alle soglie del servizio militare389.
Fra le organizzazioni giovanili l’ONB rappresentò certamente l’antagonista più netto allo sport di competizione; secondo Ricci infatti lo sport non doveva essere praticato per il profitto ma per ragioni morali come l’amore per la patria. Fu proprio questa visione, invisa al presidente del CONI Achille Starace, sommata alla percezione di Ricci come un pericoloso autonomista, a scatenare una «guerra tra gerarchi» che provocò la soppressione dell’ONB. Il 27 ottobre 1937 un decreto legge riunì tutte le organizzazioni giovanili nella Gioventù Italiana del Littorio (GIL) alle dirette dipendenze del PNF il cui segretario, Starace, era allo stesso tempo anche Presidente del CONI. La GIL promosse una pratica fisica e sportiva molto orientata alla preparazione premilitare390.
Mentre venivano esautorate o represse la associazioni di matrice non fascista, il 1 maggio 1925 nacque l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND). L’ente, assumendo il monopolio delle attività ricreative e sportive dei lavoratori italiani, venne così a colmare la necessità di soddisfare le esigenze dei lavoratori nel settore del tempo libero in un ambiente che garantisse allo stesso
386
Cfr. F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 91-2.
387 Ibid. Cfr., F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., pp. 31-5 e 83-6, S. FINOCCHIARO, L’educazione fisica, cit., pp. 124-7 e
M. IMPIGLIA, Dopolavoristi e balilla, in Coroginnica, cit., p. 206.
388
Gli Agonali erano competizioni fra gli studenti della stessa facoltà, i Littoriali tra università. Sui GUF e lo sport universitario fascista cfr. L. RUSSI, Lo sport universitario e il fascismo, cit., pp. 99-118, F. BONINI, Le istituzioni sportive
italiane, cit., pp. 91-2, F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., 1976, pp. 36 e 96-9 e M. IMPIGLIA – P. LANG, Goliardi in gara,
cit., pp. 8-39.
389 Cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., pp. 94-5. 390
Cfr. A. TEJA, Le fascisme entre éducation physique et sport, in E. Trangbaek & A. Kruger, The history of Phisical
Education and sport from European Perspectives, Proceedings of 3rd CESH Congress Internationale, Copenhagen, 2-6
December 1998, Copenhagen, CESH, 1999, pp. 249-66, A. TEJA, Italian sport and international relations, cit., p. 151 e S. FINOCCHIARO, L’educazione fisica, lo sport scolastico, cit., pp. 124-32.
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tempo consenso e controllo. Per questo furono favorite le attività collettive e non competitive391. Lo stesso Palmiro Togliatti, analizzando i limiti del movimento operaio italiano, riconobbe l’importanza del ruolo svolto dall’OND: «Un’organizzazione centralizzata per soddisfare i bisogni educativi, culturali, sportivi delle masse non esisteva, non era mai esistita, in Italia, nel campo di classe»392.
L’ONB e l’OND furono luoghi in cui il fascismo poté costruire importanti aree di consenso, tuttavia l’istituzione che assunse una posizione dominante all’interno del sistema sportivo italiano fu senza dubbio il CONI. Sotto la guida di Lando Ferretti, il CONI proseguì l’opera di fascistizzazione cominciata da Finzi, sviluppando in qualità di “Federazione delle federazioni” un ruolo di coordinamento e controllo sulle FSN, sui livelli locali e sulle società sportive. Fu eliminato il sistema elettivo per le cariche sportive ed assicurato un contributo statale prelevato dalla tassa sugli spettacoli sportivi. Sotto l’aspetto formale il CONI rimase un ente di natura privata, anche se di fatto divenne un organo alla dipendenze del partito, visto che direttamente o indirettamente il PNF ne nominava il Presidente e i membri. Non senza difficoltà Ferretti cercò di mediare tra le tendenze accentratrice del nuovo regime con l’esigenza di conservare le istituzioni esistenti e tra la volontà di una sportivizzazione di massa e le esigenze di centrare nel più breve termine possibile risultati sportivi di rilievo. I successivi statuti del 1932 e del 1934 non fecero altro che ampliare i compiti e rafforzare la funzione totalitaria e centralizzatrice del CONI che, agendo in sostanziale simbiosi con il PNF, rese di fatto inutile l’esigenza di creare un Ministero dello Sport393.
Così come avvenne per il CONI, il PNF penetrò lentamente ma con efficacia all’interno delle FSN che negli anni Trenta furono accentrate nella capitale. Nel 1935 le dodici FSN olimpiche erano capeggiate da «sei deputati (Barisonzo, Ridolfi, Ricci, Mazzini, Riccardi e Salvi), due Consoli Generali (Le Metre e Bevilacqua) e quatto uomini di sicuro affidamento (Momo, Giovannetti, il barone Fassini-Camossi ed il marchese generale Airoldi di Robbiate)» e lo stesso poteva dirsi delle quindici non olimpiche394.
Un’importante innovazione del fascismo nello sport italiano fu comunque rappresentata dalla creazione delle Accademie nazionali di educazione fisica, istituite con lo scopo di formare gli istruttori che avrebbero agito nelle strutture fasciste; quella maschile venne inaugurata nel 1928 a Roma, quella femminile nel 1932 a Orvieto.
Oltre al livello istituzionale lo sport italiano sotto il fascismo accrebbe ulteriormente la propria funzione nazionalizzante grazie soprattutto a tre grandi competizioni che si disputavano regolarmente nel suo territorio: il Giro d’Italia, la Mille Miglia e il Campionato di calcio.
Sebbene il ciclismo non fosse lo sport più amato dalla propaganda fascista, il Regime vi introdusse lentamente elementi fascistizzanti come il fascio littorio sulla maglia rosa dal 1931, la tappa di Forlì
391
Cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., pp. 36-8, F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane, cit., pp. 91-2, N. PORRO,
Identità, nazione, cittadinanza, cit., p. 77-8 e M. IMPIGLIA, Dopolavoristi e balilla, in Coroginnica, cit., pp. 204-19. 392 P. TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo, in Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 168, cit. in S. GIUNTINI, Sport e Movimento Operaio, cit., pp. 125-57.
393
Sul ruolo istituzionale del CONI sotto il fascismo cfr. F. FABRIZIO, Sport e fascismo, cit., A. e I. MARANI TORO, Storia