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LE ISTITUZIONI E GLI ATTORI DEL SISTEMA INTERNAZIONALE

La Seconda Guerra Mondiale – esattamente come lo era stata la Prima – fu un importante acceleratore per lo sviluppo e la diffusione globale dello sport. Le fondamenta del sistema sportivo internazionale, costruite nei decenni precedenti, si dimostrarono sufficientemente solide poiché tutte le sue principali istituzioni sopravvissero al conflitto senza traumi. Sostanzialmente quindi la struttura dello sport internazionale rimase quella precedente alla guerra, anche se si registrò comunque un importante e progressivo allargamento geografico e una crescente burocratizzazione.

Sotto la guida dello svedese Sigfrid Edström, il CIO si rilegittimò come il “vertice spirituale” dello sport mondiale, con l’obiettivo di promuovere una logica universalista che potesse riunire in maniera sempre più regolamentata all’interno del cosiddetto “movimento olimpico” il CIO, le FSI e i CNO. Peraltro questa autorevolezza morale del CIO veniva in un certo senso riconosciuta dalle stesse FSI; ad esempio, il Presidente della Fédération Internationale d’Escrime (FEI), Paul Anspach, ebbe modo di dichiarare: «Sebbene il CIO non sia superiore alle altre organizzazioni, ciononostante è colei alla quale le altre sono un po’ tributarie»514. Malgrado la gelosia delle FSI per la propria indipendenza, il CIO disponeva quindi di un certo potere di indirizzo, spesso indiretto, nei loro confronti, specie in relazione alle questioni politiche più spinose. In ogni caso le FSI erano pienamente autonome e indipendenti, soprattutto per quel che riguardava le competenze tecniche; oltretutto, occupandosi di un’unica disciplina sportiva, potevano agire in maniera più pragmatica e meno ideologica rispetto al CIO. L’influenza del CIO sul sistema sportivo internazionale faceva comunque riferimento all’attività dilettantistica, in particolar modo alle federazioni che sovrintendevano le discipline incluse nel programma olimpico, e – in misura minore – poteva estendersi anche a quelle FSI che, pur mantenendo il controllo sull’attività dilettantesca, avevano sviluppato anche competizioni semi-professioniste o professioniste. Gli sport esclusivamente professionistici (come quelli motoristici) o quelli che avevano costituito una FSI propria in concorrenza con quella dilettantistica (come il pugilato o la lotta) avevano invece un meccanismo di funzionamento pienamente indipendente e rispondente soprattutto a logiche di tipo economico. I nuovi rapporti di forza fra il CIO e le FSI vennero definiti a Losanna nel settembre del 1946 in un incontro apposito alla vigilia della prima sessione postbellica del CIO. In quell’occasione vennero affermati alcuni principi chiave condivisi: il CIO doveva tenere le FIS al corrente dei CNO ammessi, le FSI dovevano riconoscere una sola federazione per Paese e non doveva essere permessa la partecipazione agli atleti non affiliati ad esse, se non in presenza di un particolare e temporaneo permesso. Inoltre, sebbene una FSI potesse ammettere la FSN di un Paese privo di un CNO riconosciuto, si raccomandava «grande prudenza e circospezione» prima di compiere un simile passo515.

Come ribadito anche in una nota informativa riservata del CONI per il Presidente del Consiglio Mario Scelba del dicembre del 1954, il CIO era politicamente «poco influenzabile, perché non è

514 Cit., FEI, Verbale del XXVIII congresso del 23 maggio 1947, Bruxelles. 515

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formato da “rappresentanti” delle singole Nazioni ma da membri eletti a vita nei Congressi del Comitato stesso e quindi molto indipendenti»516. Lo stesso poteva dirsi per i membri delle FSI poiché il loro sistema di cooptazione era analogo. In realtà non tutti i membri del CIO o delle FSI erano dei fedeli e ferventi adepti dell’ideologia dello sport (si veda il paragrafo 1.3). Lo stesso Pierre de Coubertin ammise che il CIO, fin dalle sue origini, si era strutturato in tre cerchi concentrici: «un nucleo ristretto di membri attivi ed entusiasti; un vivaio di membri di buona volontà suscettibili di miglioramento; una facciata di persone più o meno utilizzabili, la cui presenza servisse a soddisfare le pretese nazionali, dando in più un certo prestigio all’insieme»517. Per un governo era dunque difficile influenzare direttamente il CIO o una FSI, mentre era possibile agire indirettamente attraverso i membri di queste organizzazioni, specie se occupavano posizioni di vertice. Questo tipo di operazioni comunque poteva essere tanto più efficace quanto più il linguaggio e le prassi adottate si allineavano con quelle della cosiddetto “mondo dello sport”. Dal punto di vista finanziario tanto il CIO quanto le FSI erano organismi estremamente precari. Questa rimase una caratteristica costante per le istituzioni sportive perlomeno fino agli anni Sessanta, quando l’avvento della televisione fece registrare una significativa crescita degli introiti. In particolare in molte FSI, specie in quelle più piccole, la gestione corrente veniva portata avanti in modo quasi personalistico dal Presidente coadiuvato dal Segretario Generale.

L’opera di raccordo fra il sistema internazionale e quelli nazionali era svolta dai CNO e dalle FSN; i primi facevano riferimento direttamente al CIO, i secondi alle rispettive FSI. Dal punto di vista della cosiddetta “diplomazia sportiva”, CNO e FSN erano i “ministeri degli esteri” dai quali partivano le direttive verso gli “ambasciatori”, ovvero i membri del CIO e delle FSI.

Nei Paesi non democratici i membri dei CNO e delle FSN tendevano ad essere una diretta espressione del governo, nei Paesi democratici invece le istituzioni sportive nazionali mantenevano un’indipendenza formale. Tuttavia i governi potevano influenzarle sia in maniera informale, sfruttando la vicinanza valoriale fra l’establishment sportivo e quello politico, sia minacciando di agire nei loro confronti sul piano economico.

Nel secondo dopoguerra faticò a ricrearsi quel clima di collaborazione fra istituzioni internazionali sportive e politiche che si era invece instaurato alla fine della Prima Guerra Mondiale fra il CIO e la Società delle Nazioni. Ci vollero diversi decenni prima che queste il CIO e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) instaurassero forme di collaborazione. Nonostante ciò ci furono diversi momenti di contatto fra l’ONU e il mondo dello sport internazionale. Il Segretario Generale dell’ONU Teggie Lie, per esempio, assistette ai Giochi di Londra e frequentava regolarmente gli ambienti tennistici di New York518. La stessa ONU poi patrocinava talvolta eventi

516 Cit., F. MAZZARINI, Per Roma Sessanta. Il sogno e la volontà di Roma olimpica, Annale Irsifar, Milano, Franco Angeli,

2011, p. 32.

517

Cit., P. DE COUBERTIN, Memorie Olimpiche, cit., p. 19.

518 Cfr., Festeggiamenti agli azzurri nel banchetto della “Davis”, «La Gazzetta dello sport», martedì 30 agosto, 1949, p.

5 e La “Davis” all’ONU. Il sorteggio 1950 affidato a Trygle Lie, «La Gazzetta dello sport», sabato 4 febbraio 1950. Mancano comunque ricerche sull’attività formale e informale dell’ONU nei confronti dello sport negli anni Quaranta e Cinquanta. Per esempio A. STELITANO, Le Olimpiadi all’ONU. Le Nazioni Unite e lo Sport dall’embargo all’Olimpismo, Padova, Cleup, 2012 non ne fa alcun accenno.

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sportivi internazionali, come ad esempio nel 1948 quando offrì una coppa al Concorso Equestre Internazionale di Parigi519.

Il cosiddetto “sport internazionale” guidato dal CIO e dalle FSI non gestiva interamente tutta l’attività sportiva internazionale. Esterni al suo controllo restavano lo sport universitario, lo sport militare (si veda il capitolo 4) e quelle federazioni sportive internazionali che rappresentavano una categoria lavorativa specifica come ad esempio i “postetelegrafonici” e i “ferrovieri”.

1.2) L’eredità della guerra

Dal punto di vista istituzionale la seconda guerra mondiale non rappresentò un momento di discontinuità visto che, salvo alcune eccezioni, il CIO e le principali FSI sopravvissero al conflitto. Tuttavia l’ascesa politica dei Paesi dell’Asse alla fine degli anni Trenta e nei primi anni di guerra ebbe un forte impatto anche sullo sport. Essi infatti cercarono di scardinare l’equilibrio geopolitico all’interno delle istituzioni sportive sfidando apertamente anche su questo piano le liberal- democrazie.

A partire dal 1937 attorno alla Germania nazista e grazie al supporto dell’Italia fascista, dell’Ungheria, della Romania, dei Paesi Baltici, della Spagna, del Portogallo e di altri regimi autoritari, si iniziò a costituire un “blocco” politico volto a modificare lo status quo e a mettere in discussione i vertici – generalmente francofoni e in misura minore anglofoni – delle istituzioni sportive internazionali. Il tentativo di stabilire un’egemonia nazista sullo sport internazionale e in particolare sul Movimento Olimpico fu portato avanti, sia favorendo la cooptazione di membri formalmente legati ai regimi filo-fascisti all’interno delle organizzazioni sportive, sia attraverso dei veri e propri accordi diplomatici con altri Paesi. Dal 1938 la rivista ufficiale del CIO, la «Revue

olympique», venne fatta propria dalla Germania ed editata in tedesco, «Olympische Rundschau»

sotto la direzione del Segretario aggiunto del CIO, nonché ideologo del partito nazista, Werner Klingeberg520.

Dopo la creazione di un Asse Roma-Berlino a livello diplomatico nel 1936, anche i leader sportivi dei due Paesi, Hans von Tchammer und Osten e Rino Parenti, si incontrarono nel 1939 a Berlino al fine di sviluppare una strategia per creare un nuovo ordine nello sport mondiale521. Un articolo del

gennaio 1941 scritto da Bruno Zauli, futuro Segretario Generale del CONI democratico ma allora membro della FIDAL e Direttore del Servizio Stampa e Propaganda del CONI, descrive perfettamente l’ideologia con cui i Paesi dell’Asse ambivano a costruire un nuovo ordine sportivo internazionale.

La parola d'ordine della maggioranza è demolire. Demolire la vecchia formula, demolire le vecchie strutture dello sport internazionale così com'era in vigore prima del 3 settembre 1939-XVIII. Demolire un sistema che era

519

Cfr., L’inizio dell’internazionale di Parigi, «La Gazzetta dello Sport», 17 novembre 1948, p. 1.

520

Cfr., P. CLASTRES, Neutralité politique, compromissions avec le régime nazi, continuité olympique. Les présidents

successifs du CIO (1925.1972) au défi des Jeux de Berlin, in G. Bensoussan, P. Dietschy, et al. (a cura di), Sport, corps et sociétés de masse, Paris, Armand, 2012, p. 21, e C. POLYCARPE, Le Comité International olympique etre contraintes et enthousiasme (1939-1952), in L. Robène (a cura di), Le sport et la guerre XIX° et XX° siècle, Presse Universitaire de

Rennes, 2012, p. 456.

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tipicamente rappresentato dall'organizzazione nazionale dello sport francese e che la Francia aveva proiettato nel mondo per oltre quant’anni. Ed è la stessa Francia (non quella occupata dalle truppe tedesche, ma quella libera di Vichy) che oggi ci offre un esempio clamoroso di rivolta contro gli antichi metodi. Infatti tutto il vecchio inquadramento dello sport francese è crollato ed è stato sostituito da principi teorici e da nuove realizzazioni pratiche, che oggi è prematuro giudicare, anche se possono apparire ispirate ai criteri già da tempo adottati dalle Nazioni dell’Asse. Ma a noi preme soltanto di rilevare che la Francia ha rinnegato e demolito la sua vecchia struttura sportiva, così come la rinnegano e demoliscono gli altri paesi, che politicamente si orientano verso il nuovo ordine europeo e mondiale. […] Naturalmente il nuovo ordinamento sportivo seguirà in processo di tempo quello politico. È dunque prematuro architettare in merito ipotesi definitive ed attribuire ai dirigenti sportivi dell’Asse propositi concreti, che essi non hanno per ora manifestato. Anzi è bene ripetere ciò che realmente hanno detto fino ad oggi i due capi dello sport italiano e tedesco: (1) L’Italia e la Germania promuoveranno le iniziative per una ricostruzione dello sport internazionale. (2) È necessario che lo sport internazionale sia diretto e rappresentato da autentici tecnici e competenti delle singole materie sportive. (3) È necessario un maggiore spirito di giustizia nelle giurie delle manifestazioni internazionali. […] Infine bisogna demolire il principio “egalitario” delle assemblee internazionali. Non è affatto vero che tutte le Nazioni sono eguali e che contano egualmente sulla direzione dello sport internazionale. Occorre applicare una più alta giustizia sportiva ed assegnare a ciascuno il rango che gli spetta. E questo sarà fatto con formule di giustizia distributiva, che a suo tempo saranno rese note e che saranno senza dubbio di carattere dinamico: cioè ogni paese, ogni federazione avrà un posto pari al proprio rendimento sportivo. Migliorando tale rendimento migliorerà la loro posizione e viceversa522.

Nei primi anni della guerra, poiché «non era possibile che i padroni del mondo non lo fossero anche nello sport»523, la pressione sui vertici delle FSI si fece ancora più forte e, per permettere la

continuità dello sport anche in tempo di guerra, vennero create in alcune discipline come il pugilato e la scherma delle federazioni europee guidate da membri dell’Asse o da esponenti legati ai governi fantoccio dei Paesi occupati. Fra il 1939 e il 1942 ci fu in Europa un’attività sportiva internazionale di tutto rispetto che, oltre ai Paesi dell’Asse, incluse anche quelli neutrali. Tuttavia, man mano che la guerra proseguiva, il futuro dello sport internazionale divenne sempre meno prioritario per i regimi dell’Asse e anche per questo, gran parte delle FSI e il CIO stesso, con la scusa delle ostilità in corso, riuscirono a respingere le pressioni, autoimponendosi un “letargo” fintanto che fosse continuata la guerra.

L’evoluzione dei rapporti in seno al CIO nel corso della guerra e le sue conseguenze possono rappresentare un caso paradigmatico. Dopo l’invasione del Belgio da parte dell’esercito tedesco, il Presidente del CIO Baillet-Latour finì “sotto protezione” del regime nazista. Paradossalmente, quindi, la sua scomparsa avvenuta nel gennaio del 1942 favorì maggiori margini di manovra da parte del CIO, poiché il suo Vice, lo svedese Sigfrid Edström, si trovava in un Paese neutrale. Il peso e l’influenza nazista sul Comitato Olimpico Internazionale raggiunsero l’apice proprio in occasione dei funerali di Baillet-Latour; in quell’occasione infatti le corone più in evidenza dopo quelle del CIO erano quelle di Hitler, di Goebbels, dei vertici militari tedeschi, del

Reichsportführer, del CNO tedesco e dell’ambasciata tedesca in Belgio524. Ancora nel 1944, comunque, quando per esaudire un vecchio desiderio di Pierre de Coubertin fu celebrato il

522 Cit., B. ZAULI, Il nuovo ordine sportivo internazionale all’esame dei suoi ordini costitutivi, «Atletica», 9 gennaio,

1941.

523

Espressione utilizzata da membro francese della FEI Polipont nel commentare il tentativo dei membri dell’Asse di creare una federazione europea della scherma. FEI, Verbale del XXVIII congresso del 23 maggio 1947, Bruxelles.

524

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cinquantenario del CIO, oltre agli svizzeri erano presenti a Losanna solo alcuni esponenti legati all’Asse525.

Una volta assunta la carica, che si andava a sommare a quella di Presidente della International

Amateur Athletics Federation (IAAF), l’attitudine di Edström nei confronti dei due contendenti fu

estremamente cauta, talvolta ambigua, ma giustificò sempre le proprie decisioni richiamandosi al principio dell’apoliticità dello sport. Peraltro l’attività del CIO fu alquanto limitata, visto che fu deciso di non organizzare congressi o cooptare nuovi membri fino a quando la guerra fosse ancora in corso. Di fatto l’unica attività rilevante portata avanti dal Presidente Edstrom fu quella di tenere i contatti con tutti i membri del CIO informandoli della loro salute con delle lettere circolari.

Alla fine dell’estate del 1944, non appena il destino della guerra cambiò in favore degli Alleati, pragmaticamente Edström rafforzò i propri legami con i membri americani e inglesi, specialmente Brundage e Aberdare. Addirittura, nell’autunno 1944, approfittando di un viaggio di lavoro negli Stati Uniti, Edström incontrò Brundage a Boston e Aberdare a Londra e al suo ritorno propose che Brundage diventasse il suo Vicepresidente526. Con la nuova evoluzione dei rapporti geopolitici, il

Comitato Esecutivo divenne sempre più attivo. Si trattava però di un Comitato Esecutivo ridotto, dato che era esclusivamente formato da esponenti di Paesi vincitori o neutrali (Edström, Brundage and Aberdare). Gli altri tre membri – l’italiano Bonacossa, il tedesco Von Halt e il francese Polignac provenienti da Paesi sconfitti o accusati di collaborazionismo – vennero momentaneamente emarginati dalle discussioni più importanti. Si trattò di un’“esclusione silenziosa” dovuta a fattori contingenti come l’arresto di Von Halt e il processo di Polignac, ma rimane il fatto che, seppur con motivazioni diverse, nessuno dei tre partecipò alla prima riunione che si tenne a Londra immediatamente dopo la fine delle ostilità nell’agosto del 1945 (si veda la pagina 109). Definite informalmente le situazioni più spinose, Bonacossa e Polignac furono regolarmente presenti alla prima sessione organizzata dal CIO nel dopoguerra nel settembre del 1946 a Losanna, dove oltretutto vennero confermati membri del Comitato Esecutivo527.

Pur non incidendo sull’aspetto meramente istituzionale, la guerra ebbe inevitabilmente una grande influenza sugli assetti interni del mondo sportivo e non è certo un caso se la questione maggiormente problematica fu quella di come trattare gli sconfitti. Operando una generalizzazione, sembrano emergere due macro-categorie di comportamento: da un lato si possono individuare coloro che volevano riproporre l’atteggiamento punitivo mantenuto dalle istituzioni sportive dopo la Prima Guerra Mondiale, dall’altro coloro che – in nome dell’universalismo e dello spirito di corpo che contraddistingueva le istituzioni sportive internazionali – cercarono di sviluppare un approccio che fosse giustificabile giuridicamente.

525 Cfr., Lettera circolare di Edström ai membri del CIO del 15 agosto 1944, in CIO, L.C. 1942-50. L’italiano Bonacossa si

limitò a inviare un telegramma. Nessuna notizia invece pervenne da Vaccaro e Thaon di Revel. Cfr. anche: KRÜGER, A.;

The unfinished symphony: a history of the Olympic Games from Coubertin to Samaranch, in J. RIORDAN, e A. KRÜGER, The international politics of sport in the 20th Century, London, E & FN, 1999 e LENNARTZ, K.; The Presidency of Sigfrid Edström (1942-1952), in N. Müller (a cura di), The International Olympic Committee. One Hundred years. The Idea, The Presidents, The Achievements, Lausanne, IOC, 1995.

526

Cfr., Lettera circolare di Edström ai membri del CIO del 29 dicembre 1944, in CIO, L.C. 1942-50. L’ufficializzazione di Brundage come vicepresidente avvenne solamente a guerra conclusa CIO, Brund. Arch., Film 24, 0019, Edström.

527 Cfr., Sessione del CIO di Losanna del 3-6 settembre 1946. CIO, Session 1940-49. L’olandese Scharroo invece fu

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Dopo la Prima Guerra Mondiale tutte le istituzioni sportive internazionali avevano portato avanti con motivazioni essenzialmente politiche una esclusione dei vinti, i quali dovettero subire una lunga e rigida quarantena sportiva, che per la Germania fu prolungata addirittura fino al 1924. Questa strategia fu riproposta nelle FSI – fra cui quelle di tennis, pattinaggio su ghiaccio, ginnastica e nuoto – in cui la maggioranza dei membri fece prevalere gli istinti di rivincita, ma venne richiesta senza successo anche in altre FSI da membri provenienti da Paesi particolarmente colpiti dalla guerra528.

Gli strascichi del lungo confilitto bellico comunque facevano sì che anche nelle altre FSI, almeno per la Germania e il Giappone, fosse inevitabile un periodo di «cooling off»529, tuttavia l’apoliticità propria dell’ideologia dei vertici sportivi internazionali impediva che potesse essere accettata una motivazione che fosse esplicitamente politica. Di conseguenza ci si orientò verso un approccio quanto più possibile giuridico che potesse giustificare le esclusioni. Il CIO – poi seguito da diverse FSI – in occasione della prima sessione postbellica a Losanna nel 1946 trovò all’interno dei suoi regolamenti una soluzione d’equilibrio che bilanciasse la volontà punitiva dei vincitori con la tendenza universalita dell’organizzazione, tenendo probabilmente anche conto dello scenario politico che si andava delineando dalle trattative sul trattato di pace in corso in quei mesi a Parigi. Di conseguenza si arrivò alla momentanea esclusione di Germania e Giappone ma non quella dei suoi alleati, Italia compresa (Si veda il capitolo 3). Come ribadì il Segretario Generale del CIO Mayer al Comitato organizzatore (COJO) dei Giochi di Londra:

La regola 9 a pagina 17 dell’edizione inglese delle nostre regole olimpiche afferma chiaramente che solo i Paesi dotati di un Comitato Olimpico Nazionale possono partecipare. Ma d’altra parte una delle regole fondamentali dice a pagina 5 che i Giochi Olimpici assemblano i dilettanti di tutte le Nazioni. C’è una piccola contraddizione ma io penso che dovremmo seguire pagina 17, il che è anche quello che è stato deciso in occasione del nostro ultimo incontro a Losanna. La questione è pertanto di sapere quali Paesi hanno un Comitato Olimpico. La cosa migliore è che voi facciate riferimento […] al nostro bollettino530.

Nella lista fornita dal CIO non erano presenti i CNO di Germania e Giappone. Infatti, malgrado i tentativi portati avanti dai dirigenti tedeschi e giapponesi, mancava un presupposto fondamentale per costituire un CNO: la sovranità territoriale. Insomma la formula elaborata a Losanna per cui senza un CNO non poteva esserci l’invito alle Olimpiadi del 1948, da un lato garantiva una certa coerenza normativa, dall’altro permetteva di tenere fuori i casi politici più spinosi (Germania,