Dovendo risalire ai prodromi dello sport italiano, una simbolica data di partenza può essere individuata nel 1763. In quell’anno venne infatti pubblicata a Napoli la traduzione italiana del volume di Jacques Ballexserd: Dissertazione sull’educazione fisica de’ fanciulli. Quest’opera ebbe il merito di rivalutare il corpo da un punto di vista culturale ed educativo, riconnettendolo con le parti considerate più “nobili” della natura umana come l’anima e l’intelletto91. Sulla scia di pensatori come Locke, Rabelais, Montaigne e Rousseau, anche nella Penisola italiana, o per meglio dire nel Regno di Napoli, poté affermarsi l’idea dell’«educabilità del corpo», che si sviluppò secondo due linee: quella igienistica, dell’arte della salute, e quella ginnastica, volta allo sviluppo delle qualità fisiche. Pionieri di questo risorgimento della cultura fisica furono le figure di Antonio Genovesi e Gaetano Filangeri. Proprio sulla spinta della produzione culturale di quest’ultimo, nel 1778 al Real Collegio alla Nuziatella furono introdotti esercizi fisici per i giovani delle classi agiate, poi riproposti, in età napoleonica, anche negli altri collegi reali,assumendo una caratterizzazione ancor più militaresca92.
Con l’eccezione delle elitarie ed avanguardistiche esperienze napoletane, mentre nel resto d’Europa la ginnastica cominciava a godere di un crescente consenso, nelle altre regioni italiane non riusciva ancora ad affermarsi. Al di là di alcune esperienze negli anni Venti, che coinvolsero alcune città del nord come Milano, Modena e Cremona, in cui si ebbero degli esperimenti di ginnastica pedagogica, per vedere l’inizio di un vero e proprio movimento fisico in Italia bisognerà attendere il 1844, quando a Torino fu fondata la più antica società ginnastica d’Italia93.
1.2) La rivoluzione del corpo e i modelli proto-sportivi in Europa
Seppur con un certo ritardo rispetto alle avanguardie europee e con notevoli differenze fra loro, anche gli Stati pre-unitari della Penisola italiana furono attraversati dalla cosiddetta «rivoluzione
91
Cfr. G. BONETTA, Corpo e Nazione. L’educazione ginnastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 43. Con questo non si vuole negare l’importante produzione precedente, che pur rimanendo sostanzialmente sul piano teorico, promosse la pratica fisica dapprima con un evidente legame con l’arte della guerra, successivamente anche con finalità pedagogiche per “l’uomo di corte” e infine come ginnastica medica. Nel Quattrocento Pier Paolo Vegerio, Francesco Filelfo, Leon Battista Alberti, Matteo Palmieri furono assoluti precursori nella promozione della pratica degli esercizi fisici intesi volti alla preparazione militare, mentre Vittorino da Feltre fu il primo a sostenere che l’insegnamento delle opere classiche andasse accompagnato dall’esercizio fisico. Paradigmatico nell’impostare razionalmente il problema dell’educazione bellica dei giovani fu, nel XVI secolo, Niccolò Macchiavelli. Sempre i quegli anni Baldassar Castiglione pubblicò Il Cortegiano (1528) che, alla ginnastica della Milizia per il popolo, contrappose una ginnastica “pedagogica” per l’uomo di corte che fece da apripista a libri specialistici sull’arte del cavalcare, della scherma o di giochi come i celebri Trattato del giuoco della palla (1555) di Antonio Scaino e Discorso
sopra il giuoco del calcio fiorentino di Giovanni de’ Bardi (1580). Nel 1569 il forlivese Girolamo Mercuriale pubblicò
l’Artis Gymnasticae apud antiquos celeberrime, nostris temporibus ignoratae, oggi meglio noto con il titolo della seconda edizione De Arte Gymnastica, recuperando e proponendo dai testi degli antichi greci e romani il concetto di ginnastica medica.
92 Ibidem, pp. 43-7. Sullo sviluppo della Ginnastica nel Regno di Napoli si veda anche: M. DI DONATO, L’educazione fisica a Napoli dal Filangeri al De Sanctis, in «Hermes», n° I 1953, pp. 87-95, M. DI DONATO, Storia dell’educazione fisica e sportiva. Indirizzi fondamentali, Roma, Studium, 1984, pp. 136-7 e L. RUSSI, La democrazia dell’agonismo. Lo sport dalla secolarizzazione alla globalizzazione, n.d. , Roma, 2007, p. 31.
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del corpo»; una rivoluzione che, salvo alcune eccezioni, riguardò sostanzialmente il corpo maschile94. Concezioni igienistiche, salutistiche, pedagogiche e militari e il loro legame con la crescente disponibilità di tempo libero contribuirono a sviluppare in Europa, a cavallo fra il XVII e il XIX secolo, due grandi modelli: quello “anglosassone” e quello “continentale”, i quali nella seconda metà dell’Ottocento entreranno in contatto fra loro fino a che la Prima Guerra Mondiale non decreterà il definitivo successo del primo sul secondo.
In Inghilterra, dove la posizione geografica insulare aveva permesso uno sviluppo storico eccezionale rispetto al resto del continente europeo, si ebbe un’immediata traduzione della «rivoluzione del corpo in rivoluzione sportiva»95. Nel corso del XVIII secolo, in quella che Elias e Dunning hanno definito «prima ondata di sportivizzazione», i giochi si trasformarono in sport moderni e assunsero un carattere pienamente nazionale, attraverso processi di secolarizzazione, razionalizzazione e specializzazione96.
La codificazione di pratiche ludiche popolari ed aristocratiche in attività agonistiche e non costrittive cominciò a diventare un’istituzione, come certifica la celebre frase attribuita al duca di Wellington secondo cui la battaglia di Waterloo fosse stata vinta «on the playing fields of Eton». Fu tuttavia solo nel XIX secolo, nel corso della «seconda ondata di sportivizzazione», in cui nacquero sport di squadra come il calcio e il rugby, che lo sport anglosassone assunse anche una valenza pedagogica. Nel quadro delle riforme delle public school – istituti per la medio-alta borghesia inglese segnati da violenza, nonnismo, abuso d’alcolici e gioco d’azzardo – gli sport furono adottati con successo come strumento pedagogico e di controllo. Determinante risultò la scelta di affidare a un “senior boy” la responsabilità della disciplina di una camerata composta da dieci studenti; questi, a sua volta, diventava il “captain” nei nuovi giochi, che non a caso prevedevano di frequente squadre di undici giocatori (10+1). Nel praticare i giochi sportivi – quasi fossero lo specchio della società – era richiesto l’assoluto rispetto delle regole, ma all’interno delle stesse non era prevista nessuna indulgenza e l’individuo era libero di dare il meglio di sé. Lungi dall’essere una condotta istintiva dei britannici, il codice di regole e comportamenti adottati nelle
public school, oggi genericamente conosciuto come fair play, veniva dunque acquisito solo dopo
esser stato volutamente insegnato. In maniera crescente nella seconda metà del secolo i liceali e gli universitari continuarono per libera scelta a praticare gli sport formando club ed associazioni; lo sport cessò gradualmente di avere uno scopo unicamente educativo per diventare – come certifica l’espressione «sport for sport sake» – esso stesso un obiettivo. Imperniato di valori vittoriani, non
94
Il concetto di «Rivoluzione del corpo» è espresso in G. BONETTA, Il secolo dei ludi. Sport e cultura nella società
contemporanea, Roma, Lancillotto e Nausica, 2000, pp. 5-13 e G. BONETTA, Esercizi ginnici nelle scuole del regno, in A.
Noto e L. Russi (a cura di) Coroginnica. Saggi sulla ginnastica, lo sport e la cultura del corpo (1861-1991), Roma, La Meridiana, 1992. Per una storia “al femminile” si veda: A. TEJA, Educazione fisica al femminile: Dai primi corsi di Torino
di Ginnastica educativa per le maestre (1867) alla ginnastica moderna di Andreina Gotta-Sacco (1904-1988), Roma,
Società Stampa Sportiva, 1995, A. TEJA, Sport al femminile, in A. Lombardo (a cura di), Storia degli sport in Italia 1861-
1960, Roma, Il Vascello, 2004 e A. TEJA, La rivoluzione dello sport femminile, in M. Pascolini (a cura di) Sport e rivoluzione. Il movimento che libera l’uomo, Odradek, 2012, pp. 176-98.
95
Cit. in G. BONETTA, Il secolo dei ludi, cit., p. 27.
96 Sui processi di continuità e trasformazione che segnano il passaggio dai giochi popolari ed aristocratici alla nascita
delle discipline moderne cfr. R. HOLT, Sport and the British. A modern history, Oxford, Claredon Press, 1989 e R.D. MANDELL, Storia culturale dello sport, Roma, Laterza, 1989. Sui processi di sportivizzazione cfr. N. ELIAS – E. DUNNING, Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989, J. MAGUIRE, Global Sport: identities, societies, civilizations, Oxford, Blackwell, 1999 e N. PORRO, Lineamenti di sociologia dello sport, Roma, Carocci, 2001.
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perse tuttavia la sua importante valenza ideologica; infatti, mentre attraverso la pratica sportiva le giovani élites acquisivano strumenti fisici, morali ed etici per strutturarsi come futura classe dirigente dell’Impero, le classi popolari, man mano che imparavano i regolamenti sportivi, apprendevano automaticamente ad accettare il funzionamento dei meccanismi democratici. Inoltre i valori dell’atletismo, fondati sull’aspirazione al miglioramento di se stessi, allo spirito di competizione e all’aspirazione al successo, coincidevano con i valori della gentry britannica, forza motrice della rivoluzione industriale e delle “imprese” capitalistico-coloniali. Commercianti, imprenditori, missionari, maestri, ingegneri, marinai e soldati inglesi contribuirono in maniera decisiva alla diffusione dello sport, tuttavia, specialmente al di fuori del “cerchio imperiale”, ciò non avvenne tramite un processo di “evangelizzazione” bensì per emulazione da parte delle popolazioni indigene97.
Implicazioni geopolitiche impedirono che anche nell’Europa continentale si realizzasse un modello analogo. Se la posizione insulare dell’Inghilterra aveva consentito un predominio della marina sull’esercito e della rule of law sull’assolutismo, la necessità di difendere i propri confini aveva portato gli Stati continentali a sviluppare potenti eserciti terrestri; di conseguenza non sorprende chela «rivoluzione del corpo» assunse una direzione utilitaristica.
Il Continente europeo fu la culla di illustri filosofi e pedagogisti, che nel corso del XVIII e XIX secolo promossero una profonda riflessione sull’utilità di un’educazione in cui, oltre al lavoro intellettuale, fosse prevista anche la cura del corpo98. Con il passaggio dall’Illuminismo cosmopolita al Romanticismo dei nazionalismi, il dibattito sulla ginnastica e le pratiche fisiche spostò la propria attenzione dall’individuo al corpo sociale della nazione, con una conseguente deriva militarista. All’interno di un più generale modello continentale possono comunque essere identificate diverse vie nazionali; in particolare quella francese, quella tedesca e quella svizzera ebbero una notevole influenza sullo sviluppo proto-sportivo italiano.
In Francia, fin da quando il 20 luglio 1789 l’Assemblea del Terzo Stato si riunì nella “Sala della pallacorda”, «Rivoluzione borghese e pratiche fisiche», come ha scritto Luciano Russi, «si m[isero] a camminare insieme, concordando sul concetto di merito»99. Con la Rivoluzione Francese, infatti, il corpo divenne il luogo fisico in cui le distinzioni di nascita si azzerarono in nome dell’egualitarismo (borghese) e dell’esaltazione delle capacità individuali, che contraddistinsero anche il successivo sviluppo dello sport.
Recuperando gli antichi modelli pedagogici spartani e romani Jean Gervais Labene introdusse l’educazione fisica in funzione della preparazione militare del “cittadino-soldato”, sostenuto anche dall’abate Talleyrand, che aveva proposto di dare «all’arte della ginnastica […] lo stesso peso riservatole dall’istruzione degli antichi». Si trattava del resto di una visione condivisa tanto dal
97
Sulle origini e lo sviluppo dello sport britannico cfr. R. HOLT, Sport and the British, cit., J.A. MANGAN, Athleticism in
the Victorian and Edwardian Pubblich School, Frank Cass, London, 2000, N. TRANTER, Sport, economy and society in Britain, 1750-1914, Cambrige, Cambridge University Press, 1988. In italiano cfr. J.A. MANGAN, Il mitico gentleman. Cotton, de Coubertin e le origini del fair play, in «Lancillotto e Nausica», n° 1, 1998.
98
Possono essere citati: Montaigne, Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant, Johann Gottlieb Fichte, Johann Bernhard Basedow, Johann GutsMuths, Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Ludwig Jahn, Pehr Henrik Ling, Peter Heinrich Clias, Francisco Amorós y Ondeano e Adolf Spiess. Cfr. J. ULLMANN, Nel mito di Olimpia: ginnastica, educazione fisica e sport
dall’antichità ad oggi, Roma, Armando, 2004.
99 Cit. in L. RUSSI, La democrazia dell’agonismo, cit., pp. 21-3. Cfr. anche L. RUSSI, La “paume” della rivoluzione, in
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fronte girondino, il quale inserì nei lavori dell’Assemblea Legislativa l’attività fisica tra i fattori che favorivano il perfezionamento del genere umano, quanto dai giacobini, i quali sostennero la centralità dell’educazione del corpo convinti che il vigore di quest’ultimo dovesse essere pari a quello dell’anima100.
Napoleone Bonaparte introdusse gli esercizi marziali all’Università, inaugurando un indirizzo che continuò anche dopo Waterloo. Nel 1817, infatti, il Ministero della Guerra invitò a Parigi il colonnello spagnolo Francesco Amoros y Ondeana, incaricandolo dell’addestramento ginnico dei soldati del genio e, dal 1829 dell’École Militaire de gymnastique, da cui fu sviluppato il modello per la ginnastica insegnata nelle scuole101. La sconfitta di Sedan spinse ad un ripensamento di questo modello a vantaggio di quello prussiano, preferito inizialmente dalle istituzioni repubblicane a quello anglosassone. Per almeno un quarto di secolo, dunque, il modello della ginnastica tedesca declinato sul modello repubblicano e revanchista, sembrò rappresentare una soluzione all’esigenza della nazionalizzazione delle masse102.
In Germania, filosofi come Kant ed Herder, influenzati dalla lettura dell’Émile di Rousseau, svolsero un ruolo di apripista nell’elogio delle virtù dell’esercizio fisico e nel 1804 il governo prussiano aveva inviato a Zurigo dal pedagogista Johann Heinrich Pestalozzi alcuni maestri per approfondire i suoi metodi di educazione fisica. L’esperienza napoleonica e la sconfitta di Jena del 1806 spinsero Johann Gottlieb Fichte ad esporsi a sostegno delle pratiche ginniche, legandole esplicitamente a finalità etico-politiche. Le intenzioni dell’autore dei Discorsi alla nazione tedesca, furono messe in pratica da Friedrich Ludwig Jahn il quale a partire dal 1811 promosse, sulle basi teoriche fissate da Johannes GutsMuths, il movimento dei Turnen, la cui azione può essere sintetizzata dallo slogan: «amare la patria attraverso la ginnastica»103.
Nelle intenzioni di Jahn, includendo nel suo pensiero concetti come quello di “razza”, “nazione” e “religione”, i ginnasti dovevano essere fratelli nel sangue, nell’amor patrio, ma anche in Cristo. Inoltre avevano il compito morale di migliorare il proprio fisico per offrirlo al servizio della rivincita della nazione tedesca; non a caso la capillare diffusione delle associazioni ginniche svolgerà un importante contributo nel rilancio dell’esercito prussiano. Al di là del suo carattere politico- militari, il movimento rappresentò inizialmente una forma di aggregazione e di coesione sociale interclassista con caratteristiche antiautoritarie, liberaleggianti e costituzionaliste, ma dopo il
100
Ibid., pp. 23-5. Cfr., L. ROSSI, Guerrieri anche per gioco, in «Lancillotto e Nausica», n°1-3, 1989, p. 36.
101
Cfr. S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma. Dal Risorgimento al primo conflitto mondiale, Padova, Centro grafico editoriale, 1988, pp. 25-31.
102
Sullo sviluppo delle pratiche utilitaristiche e sportive in Francia dopo il 1970 cfr. P. ARNAUD (a cura di), Les Athlètes
de la République. Gymnastique, Sport et Idéologie Républicaine 1870-1914, Toulouse, Bibliothèque Historique Privat,
1987, P. ARNAUD, Da l’école militaire alla competizione militare, in Coroginnica, cit., pp. 145-61, P. BRIOST – H. DRÉVILLON – P. SERNA, Croiser le fer. Violence et culture de l’épée dans la France moderne, Paris, Champ Vallon, 2002, P. DIETSCHY – P. CLASTRES, Sport, culture et société en France. Du XIX siècle à nos jours, Paris, Hachette, 2006, M. SPIVAK, Les Origines militaires de l’éducation physique en France (1774-1848), Vinciennes, Shat, 1972 e M. SPIVAK, Un
Concept Mythologique de la Troisième Republique: Le Renforcement du Capital Humain de la France, «The
International Journal of the History of Sport», vol. 4, n° 2, sett. 1987.
103
F.L. JAHN – E. EISELEN, Die Deutsche Turnkunst, Berlin, 1816, pp. 236-53, cit. in. D.F.A. ELIA, Lo sport in Italia. Dal
loisir alla pratica, Roma, Carocci, 2009, pp. 33-9. Per un’analisi sulla ginnastica tedesca cfr. G.L. MOSSE, La Nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), Bologna, Il Mulino,
1975, pp. 115-39, A. KRÜGER, Turnen and sport, in Coroginnica, cit., pp. 183-200, S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., pp. 20-5, F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 2-4. e G. BONETTA, Il secolo dei ludi, cit., pp. 29-31.
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1948, a seguito della nascita della Lega ginnastica tedesca, questi aspetti vennero meno. Da quel momento la disciplina e il cameratismo dei ginnasti tedeschi furono indirizzati sempre più verso un ostentato pangermanesimo e un nazionalismo impregnato di xenofobia e intolleranza razziale in cui il riferimento ideologico al Volk era ormai complice delle politiche reazionarie e conservatrici. In ogni caso il modello associazionistico dei Turnen, al pari del tiro a segno e dei cori, fu un autentico pilastro della costruzione identitaria tedesca e, anche in Italia, funse da importante paradigma per lo sviluppo del sistema sportivo e dei processi di costruzione nazionale.
Fra i modelli continentali, che influenzarono lo sviluppo proto-sportivo italiano, si distinse anche quello svizzero. Pur avendo una tradizione nel tiro al bersaglio risalente al XIII secolo, fu solo con la riacquisita indipendenza, in seguito all’occupazione napoleonica, che la Repubblica Elvetica sviluppò concretamente l’idea della “nazione armata”. Società ginnastiche e soprattutto di tiro a segno si diffusero capillarmente nel territorio e dal 1874 i Cantoni dovettero provvedere all’insegnamento di queste due discipline ai giovani in età scolastica104.
In generale, la promozione di pratiche fisiche come gli sport, la ginnastica e le altre discipline utilitaristiche svolsero in Europa un ruolo non secondario nei processi di nazionalizzazione delle borghesie prima e delle masse poi.
1.3) Le pratiche utilitaristiche nella Penisola italiana e il legame col Risorgimento
Queste trasformazioni non passarono inosservate in Italia, anche grazie al contributo di coloro che, costretti all’esilio politico all’estero, si esposero a favore dell’adozione di queste pratiche fisiche. Il «Conciliatore», per esempio, fu uno dei primi giornali che, agli inizi del XIX secolo, prese questa posizione in questo senso. Nell’agosto del 1819 Silvio Pellico, magnificando il sistema educativo inglese, si prodigò in elogi degli esercizi ginnici e dei divertimenti atletici. I richiami al pugilato o alle cavalcate, peraltro, si rivelavano funzionali alla lotta politica della rivista liberale ed indipendentista contro il provincialismo e l’assopimento civile. In seguito il foglio milanese continuò la panoramica delle iniziative europee soffermandosi sui casi danese, tedesco, francese e svizzero105.
Sulla scia anticipatrice del giacobinismo italiano, nel corso del Risorgimento, emerse un nesso evidente fra i processi di nazionalizzazione e l’insediamento di diverse pratiche fisiche proto- sportive. Se già prima della Restaurazione, figure come Matteo Galdi e Girolamo Bocalosi avevano cominciato a inserire l’educazione fisica nei loro progetti di unificazione nazionale, questa concezione verrà in seguito ulteriormente sviluppata sia da Cattaneo che da Pisacane con la teorizzazione della «nazione in armi»106. I miti della “nazione armata” e del “cittadino-soldato”,
104
Cfr. S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma, cit., pp. 32-3.
105 Cfr. S. PELLICO, Degli esercizi ginnastici, e degli effetti che producono, in «il Conciliatore», n° 96, 1° agosto 1819, pp.
289-90, cit. in M. DI DONATO, Storia dell’educazione fisica, cit., pp. 137-8, in G. BONETTA, Corpo e Nazione, cit., p. 52 e riprodotto in «Lancillotto e Nausica», n° 3, 2010, pp. 37-9.
106 Cfr. G. BOCALOSI, Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano, cit. in «Lancillotto e Nausica», n° 3, 2010,
pp. 23-7, G. BOCALOSI, Cittadino anche ginnasta, «Lancillotto e Nausica», n° 2, 1987, pp. 66-9, M. GALDI, Effemeirdi
repubblicane, 1796, tomo II, cit. in «Lancillotto e Nausica», n° 3, 2010, pp. 24-7, S. GIUNTINI, Sport scuola e caserma,
cit., p. 12, L. RUSSI, La democrazia dell’agonismo, cit., p. 32 e A. TEJA, Educazione e addestramento militare, in
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diffusi in tutta l’Europa dagli eserciti napoleonici, avevano contribuito a conferire all’educazione fisica, sia pur in funzione militare, un indirizzo decisamente democratico107.
Diversi furono i protagonisti del Risorgimento italiano che sostennero questo legame. Dalle colonne della fiorentina «Antologia» di Gian Pietro Vieusseux, Niccolò Tommaseo, in un’ampia analisi di tipo socio-politico, segnalò l’arretratezza della cultura fisica italiana, sostenendo i benefici sociali e collettivi di una pratica diffusa della ginnastica108. Massimo D’Azeglio parlò dell’esercizio fisico come una «ginnastica morale» e lo stesso Mazzini si dichiarò invece sostenitore della «ginnastica come parte integrante del processo educativo giovanile»109. Persino Giacomo Leopardi in un passo dello Zibaldone sostenne che «gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il vigore del corpo non erano solamente utili alla guerra o a eccitar l’amore della gloria, ma contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor dell’animo, il coraggio, le illusioni, l’entusiasmo che non saranno mai in un corpo debole […] insomma quelle cose che cagionano la grandezza dell’eroismo delle nazioni»110.
Proprio l’enfasi posta su obiettivi politici fece sì che, nell’Italia pre-unitaria, la «rivoluzione del corpo» assumesse un carattere strumentale, mettendo in secondo piano gli aspetti competitivi. Si affermarono dunque quelle pratiche utilitaristiche e costrittive come il tiro, la scherma, l’equitazione e la ginnastica, che, più di altre, risentivano di un’impostazione militare e di uno spirito nazionalistico.
Nell’Europa continentale l’educazione fisica e la ginnastica erano diventate elementi essenziali della preparazione militare, nonché un presupposto imprescindibile per la costituzione di forti eserciti nazionali; di conseguenza anche la cultura monarchica sabauda guardò con favore a queste pratiche fisiche utilitaristiche. La ginnastica si affermò come il primo attore riconoscibile nel nascente sistema sportivo italiano, inizialmente con scopi esclusivamente militari, in seguito con finalità civiche.
Anche se la ginnastica napoletana aveva rappresentato fino all’unificazione un’avanguardia