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Se analizziamo brevemente i soggetti solitamente coinvolti nella gestione delle emergenze umanitarie, possiamo distinguere tre categorie di base: i Governi, inclusi i loro corpi militari; le organizzazioni intergovernative come le Nazioni Unite, l’Ufficio Aiuti Umanitari e Protezione Civile della Commissione europea (ECHO), la NATO; le organizzazioni non governative internazionali, come la Croce Rossa Internazionale (ICRC), Care, Oxfam, Medici senza Frontiere (MSF) e molte altre.

L’azioni di ognuno di questi soggetti è influenzata da interessi, risorse disponibili, struttura organizzativa e funzioni cui devono adempiere. I Governi, il cui scopo prioritario è la difesa dei propri cittadini e dell’interesse nazionale, possono essere spinti a partecipare volontariamente ad operazioni umanitarie: per preservare interessi razionali o materiali nell’area del conflitto, perché il passato coloniale ha lasciato legami particolari con Stati attualmente in difficoltà, perché fa parte dell’identità nazionale considerare l’aiuto umanitario come una responsabilità morale46, perché hanno bisogno di incassare moneta internazionale

attraverso il pagamento delle truppe militari, perché desiderano risollevare l’immagine del proprio esercito.

                                                                                                               

In generale accade che gli Stati siano interessati a mantenere una certa stabilità nel sistema internazionale.

Talvolta, inoltre, i Governi scelgono di partecipare ad azioni umanitarie pacifiche per soddisfare la richiesta dell’opinione pubblica di “fare qualcosa”, piuttosto che rischiare di trovarsi poi coinvolti in conflitti di dimensioni ben più gravi. Elettori e gruppi di interesse nei Paesi democratici possono chiedere l’attuazione di una politica interventista, ma possono anche far sentire la loro voce per chiedere un disimpegno dal campo internazionale, soprattutto se muoiono molti dei propri soldati. A queste considerazioni vanno aggiunte quelle relative agli interessi degli eserciti che, pur essendo considerati strumenti della società e dei Governi, costituiscono comunque organizzazioni con fini e logiche peculiari.

Le Organizzazioni intergovernative sono istituzioni create da una pluralità di Stati, che le utilizzano spesso come forum per il dibattito internazionale e come occasione per stabilire o riaffermare comuni linee di azione. Sebbene in teoria rappresentino l’interesse collettivo di tutti gli Stati membri, di fatto i Governi riescono a guidarne l’azione gestendo i fondi indispensabili per operare. Naturalmente più queste organizzazioni sono grandi, più diventa complesso armonizzare tutti gli interessi dei membri in esse coinvolti.

Le Ong, invece, sono organizzazioni non statali, private e senza scopo di lucro i cui principi ispiratori e settori di intervento possono variare molto. Molte di quelle che operano a livello internazionale sono single issue, si concentrano cioè sulla tutela o sul miglioramento di un solo aspetto dell’ordine sociale: genere, assistenza umanitaria, sviluppo, diritti umani, ambiente, rafforzamento di altre Ong locali attive nelle aree di crisi47. Un’altra funzione importante delle

Ong è quella di dare voce e solidarietà alle vittime di guerra, denunciando pubblicamente le ingiustizie cui sono sottoposte. La loro attività di comunicazione può assumere forme particolarmente forti o denunciare con toni decisamente più bassi e sottili48.

Uno dei punti forti rispetto all’operato di molte organizzazioni intergovernative, di cui in molti casi le Ong ricalcano le funzioni, è dato dalla loro scarsa burocratizzazione, che le rende                                                                                                                

47  Si tratta di un’azione importante perché nel caso che gli operatori internazionali vengano espulsi dal Paese, come di solito

accade quando le crisi precipitano, gli operatori locali possono continuare a fornire assistenza. Questa pratica ha inoltre dato impulso al fenomeno del Remote Management, che prevede che in caso di emergenza, tutto il personale internazionale espatriato di un’organizzazione possa lasciare il paese affidando la gestione delle attività al personale locale. Naturalmente è ancora aperto il dibattito su quanto questa pratica sia etica nei confronti dei propri collaboratori che rimangono, spesso a rischio della propria vita.

48  Questa contrapposizione è evidente, ad esempio, confrontando la comunicazione di MSF (o di Emergency, per citare un

caso particolarmente noto e visibile in Italia) che preferiscono indire campagne mediatiche di pubblica condanna, con quella dell’ICRC, che sceglie di interfacciarsi solamente con gli Stati e con l’Onu, utilizzando forme quasi esclusivamente diplomatiche di moral suasion.

più veloci e flessibili nell’affrontare nuove crisi. Tuttavia molti osservatori rilevano il rischio che queste organizzazioni passino velocemente da un’emergenza all’altra assumendo atteggiamenti schizofrenici, non considerando i possibili vantaggi che potrebbero derivare dalla collaborazione e ottenendo talvolta il risultato fallimentare di avvantaggiare una delle fazioni in lotta o di prolungare la durata del conflitto49.

Un caso particolare di Ong è certamente l’ICRC, che accetta normalmente denaro dagli Stati e nel cui ufficio direttivo siedono rappresentanti del governo elvetico, riuscendo però a dirigere la sua azione solo sulla base dell’imperativo umanitario. I principi guida cui si attiene strettamente nelle sue attività sono la apoliticità, la neutralità operativa, la legislazione umanitaria internazionale50. Tuttavia anche questa organizzazione ha conosciuto, a partire

dalla fine degli anni Novanta, una crisi di identità in quanto alcuni membri hanno iniziato a dubitare che l’agenda strettamente umanitaria dell’organizzazione potesse essere stata compromessa dall’aver collaborato con le operazioni di pace e di sicurezza di alcuni governi e dell’Onu. Si è così aperta una frattura interna tra quanti ritengono necessario un ritorno alle origini di un umanitarismo politicamente imparziale e neutrale e chi ritiene assolutamente irrealistico il tentativo di mantenere perfettamente distinta la sfera umanitaria da quella politica, nel contesto di guerre ed interventi così complessi.

La discussione è ancora aperta sulla capacità delle Ong di attrarre l’attenzione dei governi su particolari scenari di crisi - soprattutto quelle c.d. “dimenticate” – chiamandoli a intervenire attivamente. In alcuni casi ci sono riuscite, in altri hanno fallito. Un caso particolare di sostegno per le politiche di attivismo umanitario è certamente quello francese, dove molte Ong hanno sostenuto il dovere o il diritto d’intervento da parte dello Stato. Il Governo Mitterrand arrivò addirittura a farne una politica ufficiale della Repubblica, affidando a Bernard Kouchner (fondatore di Medici senza Frontiere, poi di Medici del Mondo) un Ministero dell’azione umanitaria fondato ad hoc.

                                                                                                               

49  Una giornalista molto attiva nell’analizzare le questioni legate al potere di strumentalizzazione degli aiuti è sicuramente

l’olandese Linda Polman, di cui ricordiamo il libro L’industria della solidarietà – Aiuti umanitari nelle zone di guerra, Ed. Bruno Mondadori, 2009.  

50  Per una trattazione più estesa dei sette Principi Fondamentali del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna