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La dottrina Bush della Contro-insorgenza

Negli anni della Presidenza di George W. Bush, il Governo degli Stati Uniti ed i suoi alleati internazionali, si sono impegnati in una campagna globale che è stata descritta in termini politici con il nome di “stabilizzazione”. Più un approccio generale ai problemi che una vera e propria strategia, il concetto di stabilizzazione è il tentativo del potere egemonico di consolidare gli Stati più fragili, al fine di mantenere inalterati l’ordine mondiale e lo status quo delle relazioni di potenza. Nei teatri della “global war on terror” (Afghanistan, Pakistan, e Iraq) così come in altri territori d’interesse (Somalia), gli sforzi di stabilizzazione sono riflessi nell’applicazione pratica della strategia detta della contro-insorgenza. La dottrina della Contro- insorgenza (COIN nel linguaggio tecnico militare) è un modello operativo altamente complesso che recepisce le lezioni apprese nelle passate epoche coloniali ed espansioniste, ma che utilizza metodi non convenzionali al fine ultimo di perseguire efficacemente obiettivi strategici.

Il focus primario di questa strategia non è imperniato sulle forze di terra nemiche – che, data la strapotenza militare americana, sono considerate facilmente azzerabili – ma è incentrato piuttosto sulla popolazione locale delle nazioni di interesse. Si punta a guadagnare prima di tutto il favore dei civili, utilizzando tecniche che massimizzino la possibilità, per le truppe della Coalizione NATO, di vincere le “menti e i cuori” della popolazione che subisce l’occupazione militare. In questo senso, la COIN opera per proteggere, fornire assistenza e buongoverno a tutte le comunità, che a loro volta si spera siano incentivate a marginalizzare le frange estremiste al loro interno, e possibilmente, spingersi addirittura ad imbracciare le armi combattendo al fianco delle forze occupanti.

In definitiva, la COIN è una strategia che lotta per ottenere il sostegno della popolazione. La protezione fisica dei civili, il welfare e il supporto logistico alle necessità delle comunità sono presupposti vitali per il suo successo. E’ risaputo infatti che i programmi di assistenza politica, sociale ed economica siano in grado di fornire migliori risultati nella mitigazione dei problemi

che alimentano i conflitti e favoriscono l’insorgenza di coloro che si sentono oppressi, rispetto ad operazioni militari di tipo convenzionale.

La strategia della COIN prevede di riunire insieme partecipanti provenienti dai più diversi settori, che - accomunati sotto un idem sentire, in vista delle loro competenze professionali – operino per velocizzare il processo di eradicazione del fenomeno del terrorismo globale. E’ così che - quasi da un giorno all’altro - si impone la pretesa di far lavorare fianco a fianco diplomatici, membri del personale militare, politici, operatori umanitari, mercenari, appaltatori della Difesa, rappresentanti tribali e amministratori locali.

In altre parole, nella dottrina della contro-insorgenza la fornitura di aiuti umanitari non è semplicemente supportiva e attenuativa della strategia militare, ma diventa un elemento centrale della stessa! Questo porta inevitabilmente a negare l’opportunità che lo Spazio

Umanitario27 rimanga separato e ben distinto dallo “spazio della guerra”, riducendo

drasticamente le probabilità che l’azione umanitaria si attenga a dei principi operazionali ben precisi, rimanendo scrupolosamente neutrale tra le parti in conflitto. Con la COIN, si arriva invece al punto di mettere in atto meccanismi tali per cui le forze militari multinazionali lavorano per fornire lo stesso tipo di aiuti, allo stesso target di persone di quello delle agenzie umanitarie indipendenti tradizionali! Purtroppo, questa è una mistificazione di ruoli tale, da non poter essere arginata nemmeno se ci si sforza di mantenere distinte e fortemente compartimentalizzate le varie fasi dell’aiuto.

Per fare un esempio, perfino se i Provincial Reconstruction Teams (PRTs)28 in Afghanistan - con

tutte le loro organizzazioni forprofit e apparati ministeriali - si focalizzassero esclusivamente sulla ricostruzione degli edifici danneggiati, secondo programmi di riabilitazione a lungo termine, mentre gli operatori umanitari “tradizionali” si limitassero alla sfera dei soccorsi umanitari d’emergenza, le forze insorgenti29 avrebbero comunque uno scarsissimo incentivo ad

operare una qualsiasi distinzione tra le due parti. Di fronte a questo scenario, l’obiettivo delle

                                                                                                               

27  Per una trattazione più esaustiva del tema dello Spazio umanitario, si legga il Capitolo Terzo.  

28  I PRTs sono gli avamposti della strategia COIN portata avanti dalle truppe NATO della missione multinazionale ISAF

(International Security Assistance Force) in Afghanistan. In particolare sono unità civili-militari che si occupano di fare

“protezione della Forza” attraverso la realizzazione di programmi di cooperazione con la popolazione, finanziati direttamente. Ogni PRT è comandato da un singolo Stato NATO e le disposizioni prevedono che ognuno debba raggruppare al proprio interno membri del personale militare, personale di polizia, delegazioni amministrative provenienti dai vari Ministeri del Governo di appartenenza (solitamente Agricoltura, Interno, Esteri e Giustizia) oltre al dipartimento governativo che si occupa della cooperazione allo sviluppo e che, nel caso italiano, finanzia l’operato di tutte le ONG italiane...

29  Tale termine è stato coniato dalla strategia COIN e, pur non condividendo la scelta di tale appellativo, ho scelto comunque

forze insorgenti sarebbe infatti quello di contrastare gli effetti della “stabilizzazione” propri della COIN ricorrendo ad una strategia molto semplice da capire, che potrebbe essere:

Gli insorgenti possono vincere semplicemente evitando la sconfitta, creando il disordine, organizzando gruppi armati che possano mettere in discussione il monopolio del potere di coazione da parte dello Stato, e quindi disincentivando la popolazione da ogni forma di collaborazione con il governo fantoccio controllato

dal nemico30.

La strategia degli insorgenti è semplice e chiara: sfinire la pubblica opinione sia occidentale che interna, togliere la legittimità ai governi locali e far crollare il consenso interno a quelli occidentali. Attaccando gli agenti di stabilizzazione, essi intendono colpire in un colpo solo sia il governo fantoccio che le forze di sicurezza internazionali.

Se l’aiuto umanitario diventa una delle tante attività militari, allora qualsiasi operatore umanitario – sia che vesta una divisa, sia che non la vesta – diventa un obiettivo militarmente legittimo. E a dire il vero, il confine tra operatori umanitari, attività civili-militari per la ricostruzione e cooperazione governativa allo sviluppo, è molto raramente ben riconoscibile dall’esterno: la maggior parte delle più grandi agenzie umanitarie è impegnata contemporaneamente in un’ampia gamma di programmi di assistenza, che spaziano appunto dagli aiuti umanitari d’emergenza alla cooperazione allo sviluppo finalizzata alla ricostruzione, proprio nello stesso teatro d’operazioni.

Un corollario del problema della coptazione dell’aiuto umanitario per fini politico-militari è inoltre dato dal fatto che diventa impossibile per le ONG spingersi nelle aree ancora sotto il controllo degli insorgenti, determinando de facto l’esclusione dai programmi di assistenza di migliaia di persone residenti nelle “aree calde” dove ancora si combatte.

Il Presidente George W. Bush è tristemente famoso per aver messo in relazione il termine

crociata con la “guerra contro il terrorismo”, presentandola così come la guerra della croce- contro-la-mezzaluna, del Cristianesimo o, in questo caso, della civiltà giudaico-cristiana, contro

l’Islam. In quanto tale, essa si è trasformata in una vera e propria “guerra santa” (jihad) e, almeno metaforicamente, si è tornati a percezioni medievali e protomoderne dello scontro di civiltà31; per qualunque occidentale diventa quindi pericolosissimo, se non impossibile,

muoversi nelle zone sotto il controllo degli insorgenti, figuriamoci convincere gli abitanti dei

                                                                                                               

30  Kilcullen, D. The Accidental Guerilla: Fighting Small Wars in the Midst of a Big One. Oxford: Oxford University Press,

2009. Traduzione mia.  

31  Il riferimento è alla teoria del politologo Samuel P. Huntington The Clash of Civilizations and the Remaking of the World

Order, trad. it. Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta, S. Minucci (a cura di),

villaggi che la propria azione è animata solamente da valori disinteressati di carità umana indipendenti da qualunque forma di condizionamento del proprio governo belligerante... In ultima analisi, ne consegue che il contesto di questo particolare tipo di conflitto è semplicemente sfavorevole a qualsiasi tipo di attività umanitaria serena e indipendente.

In questi e nei futuri conflitti, i civili continueranno a soffrire e a necessitare di assistenza, quindi l’imperativo umanitario è destinato a persistere. Risulta pertanto necessario continuare a lavorare parallelamente, da una parte, con la NATO e la comunità politica internazionale, dall’altra, per rafforzare l’Internazionale umanitaria dai condizionamenti esterni, per far sì di scardinare questa nuova e pericolosa interpretazione dell’intervento umanitario.

Trovo significativo riproporre i suggerimenti dati a questo proposito da Oxfam, una delle più autorevoli organizzazioni umanitarie internazionali, che propone una serie di benchmarks che devono essere osservati all’atto di ipotizzare una missione militare multi-dimensionale32:

• Ogni missione condotta da attori regionali o da coalizioni di stati nazionali deve essere basata su principi di legalità internazionale e preventivamente autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il mandato con il quale si autorizza l’impiego della forza deve sancire esplicitamente la protezione della popolazione civile e tale ordine deve essere incorporato all’interno delle Regole d’Ingaggio (RoE) della forza militare;

• Il processo di preparazione di una missione multi-dimensionale per ciascun paese deve prevedere l’audizione delle Ong già presenti in quel paese, la collaborazione con le organizzazioni chiave, un gruppo che sia il più possibile variegato di stakeholders, le istituzioni della società civile locale e le Nazioni Unite;

• La fornitura di assistenza umanitaria, le organizzazioni del settore e le Ong non dovrebbero mai ed in nessun modo venire incorporate all’interno di tali missioni, specialmente in tutte le situazioni in cui si siano già manifestate urgenti necessità umanitarie o dove i gruppi armati locali percepiscano la missione internazionale come ostile. Le agenzie umanitarie specializzate delle Nazioni Unite non dovrebbero poter essere influenzate dall’agenda politica delle organizzazioni che perseguono fini di stabilizzazione, ed anzi dovrebbero ritirarsi qualora non fossero più in grado di esprimere i loro obiettivi in termini strettamente umanitari;

• I negoziati politici non devono incorporare la fornitura di aiuti umanitari vincolati alle azioni politiche od agli accordi di qualsiasi tipo. Le negoziazioni umanitarie, al contrario, non devono sottostare al controllo dei vertici della Missione bensì sono sotto l’esclusivo potere dell’Emergency Relief Coordinator delle Nazioni Unite o di un altro membro di spicco dell’Internazionale umanitaria;

                                                                                                               

32  Termine con il quale si intendono le operazioni della GWOT, che prevedono un “approccio multicomprensivo” secondo la

definizione data dalla NATO. Fonte: Policy Compendium Note on Multi-Dimensional Military Missions and Humanitarian

• Le missioni multi-dimensionali non devono nemmeno facilitare l’uso inappropriato degli assetti militari in ordine alla distribuzione degli aiuti: le scorte militari, e più in generale tutte le attività CIMIC non devono coinvolgere nessun operatore umanitario, e devono anzi venire progettate cercando di differenziare le attività da quelle già condotte dalle Ong.

Pur consapevole che queste attività da sole non bastino, ritengo che siano degli obiettivi realizzabili e quindi un ottimo punto di partenza su cui iniziare a riflettere.