2.6.1 Il movimento maker, i fab lab e Arduino
La seconda pratica di acquisizione individuata da Bardhi et al., (2014) all'interno del terzo quadrante della classificazione, caratterizzato dall'acquisizione della proprietà del bene senza una transazione mediata dal mercato, è l'auto-produzione. Essa si verifica quando “le pratiche di utilizzo
80 MixMax spiega che chiunque offra beni o servizi ad associazioni o privati ha diritto a 10 crediti ogni tre feedback positivi ricevuti.
e di distribuzione seguono le attività di produzione degli stessi consumatori” (Bardhi et al., 2014). Questo tipo di consumatore può essere definito come un “prosumer” poiché “ha a che fare sia con la produzione che col consumo e vede queste attività come intimamente collegate l'un l'altra ed entrambe necessarie per la sua soddisfazione” (Bardhi et al., 2014). Rientrano in questa categoria, ad esempio, tutte le attività di auto-produzione e di miglioramento di elementi tangibili all'interno della casa come cucinare, riparare elettrodomestici o la propria automobile, curare il proprio giardino o creare oggetti artigianali.
Come sottolinea Ritzer (2013, p. 18), gran parte delle attività di “prosumption” ai giorni nostri avviene tramite Internet, e le nuove tecnologie contribuiranno sempre di più ad aumentare e modificare questa pratica. In particolare, la progressiva e crescente affermazione delle stampanti 3D, in un futuro non troppo prossimo, potrebbe consentire a un numero elevato di maker di produrre un'ampia gamma di prodotti direttamente dalla propria abitazione (Anderson, 2012 citato in Ritzer, 2013).
Make In Italy, la fondazione italiana dei maker e dei fab lab, spiega che il tradizionale movimento del fai-da-te ha visto “un'evoluzione verso una dimensione sociale facilitata da Internet”. Tramite la rete, infatti, “la sperimentazione e la risoluzione di problemi non sono più un fatto personale ma si inseriscono in una o più comunità conoscendo la dimensione della collaborazione” (www.makeinitaly.foundation/makers). Ciò ha dato una spinta fondamentale alla creazione del cosiddetto “movimento maker”81. Per lo sviluppo di quest'ultimo (in Italia come all'estero) si sta dimostrando fondamentale la nascita dei fab lab (fabrication laboratory). Nati negli Stati Uniti da un'idea del prof. Neil Gershenfeld nel 2001, questi ultimi possono essere definiti come dei “laboratori aperti al pubblico82 equipaggiati con macchine per la fabbricazione digitale83” (www.makeinitaly.foundation/makers). Gli individui (e le imprese) possono accedere ad attrezzature (solitamente inaccessibili per i privati), processi e persone per trasformare le proprie idee in prototipi o oggetti finiti.
Queste strutture sono frequentate da appassionati che impiegano il proprio tempo libero, da imprenditori e da ricercatori. Per quanto riguarda le tecnologie di fabbricazione digitale all'interno dei laboratori, in 6 su 7 si trovano le stampanti 3D; mentre in meno della metà dei centri censiti si trovano fresatrici di piccole dimensioni, macchine per il taglio laser e plotter da taglio per vinile
81 Il movimento maker è stato definito come un aggregato di persone “di diversa formazione che condividono l'interesse verso l'apprendimento di capacità tecniche e la loro applicazione creativa al fine di fabbricare oggetti o inventare soluzioni innovative” (www.makeinitaly.foundation/makers).
82 L'accesso può essere gratuito o soggetto al pagamento di un abbonamento (annuale o mensile) o di una tariffa (www.makeinitaly.foundation/wp-content/uploads/2015/02/Censimento_Make_in_Italy.pdf).
83 Per fabbricazione digitale si intende la creazione e la lavorazione di manufatti fisici attraverso macchinari automatici a controllo numerico (www.makeinitaly.foundation/wp-content/uploads/2015/02/Censimento_Make_in_Italy.pdf).
(www.makeinitaly.foundation/wp-content/uploads/2015/02/Censimento_Make_in_Italy.pdf). Tuttavia, i fab lab non si limitano al possesso di macchinari di fabbricazione digitale. Il seguente grafico indica il numero di laboratori che possiedono le dotazioni di altro tipo elencate (Fig. 2.17).
Fig. 2.17. Numero di fab lab italiani possedenti diverse attrezzature non di fabbricazione digitale (fonte:
www.makeinitaly.foundation/wp-content/uploads/2015/02/Censimento_Make_in_Italy.pdf)
In molti dei luoghi analizzati (52 su 70), inoltre, gli utenti possono liberamente utilizzare le schede di prototipazione elettronica per dare vita alle proprie idee. Una delle realtà più diffuse in questo ambito è Arduino, piattaforma open source sviluppata da Gianluca Martino e Massimo Banzi nel 2004 (Maci, 2015). Alla base di questo progetto c'è una scheda a microcontrollore e un ambiente di sviluppo. Arduino può essere utilizzato per sviluppare molti tipi di oggetti interattivi autonomi oppure può essere connesso ad un computer e comunicare con software di vario tipo (www.arduinosrl.it/catalog/index.php).
Un individuo che accede ad un fab lab ed utilizza le attrezzature elencate per costruire un prototipo o un oggetto finito, che poi utilizzerà per proprio conto, è a tutti gli effetti un prosumer. Bardhi et al., (2014) sottolineano che i consumatori ottengono valore dal consumo produttivo principalmente sviluppando competenze e autonomia, oltre a conseguire un valore basato sull'identità.
Gli autori, inoltre, fanno notare che l'auto-produzione è una pratica con cui i consumatori perseguono soddisfazione personale, definizione dell'identità e gestione dei conflitti. Infine, questa attività può essere vista come un mezzo per avere accesso a risorse che non potrebbero essere ottenute in altro modo e per ricavare un valore intrinsecamente legato sia alle attività di produzione, che a quelle di consumo (Carù e Cova, 2009 citato in Bardhi et al., 2014).
2.6.2 Shapeways
Con la crescente attenzione nei confronti delle stampanti 3D, recentemente sono sorti alcuni business che mettono in comunicazione aspiranti designer, desiderosi di utilizzare questa tecnologia per le proprie creazioni, e persone interessate all'acquisto di queste ultime.
Shapeways, definito nel proprio sito il primo marketplace e servizio di stampa 3D al mondo, è un'azienda nata nel 2007, che ha il quartier generale a New York (www.shapeways.com/about?li=footer). Essa si propone da un lato di offrire i propri servizi di stampa 3D ai designer, dall'altro di vendere i prodotti realizzati tramite il proprio sito.
Per stampare un oggetto è sempre necessario un modello in 3D. Poiché quest'ultimo non è di facile realizzazione, Shapeways fornisce degli strumenti per facilitare questo processo come dei tutorial online e un'app per creare in modo semplice oggetti non complessi (es. portachiavi e ciondoli) e, infine, ospita un forum nel quale i clienti possono trovare e assumere modellatori 3D. Sul sito, inoltre, vengono riportati una serie di software popolari che i designer possono utilizzare per creare i propri modelli. Una volta che l'utente ha inviato il proprio file, Shapeways valuta l'effettiva stampabilità del modello e fornisce i prezzi che questo assume in base a più di 50 materiali. Nonostante la maggior parte degli oggetti venga realizzata in plastica leggera (Strickland, 2013)84, infatti, sono disponibili anche molti tipi di metalli e ceramiche. Dopo aver effettuato l'ordine, Shapeways si prende cura di produrre l'oggetto e consegnarlo al designer.
Egli può anche decidere di vendere i propri oggetti. A tal proposito, Shapeways organizza una vetrina virtuale per ogni venditore. Ogni volta che un cliente effettua un ordine, l'azienda si occupa di stampare i prodotti richiesti, si fa carico della spedizione e del customer service. Al designer vanno tutti i guadagni realizzati, meno una tariffa del 3.5% denominata Markup Fee (www.shapeways.com/betashops/faq_s_shops).
Al giugno 2015, Shapeways contava 620.000 utenti, e, dal momento della sua creazione, erano già stati stampati 3,6 milioni di prodotti (Chong, 2015). Come ha dichiarato il CEO e cofondatore dell'azienda Peter Weikmarshausen a Business Insider, molti tipi di persone usufruiscono di questo servizio, spinti da diverse motivazioni. Mentre per qualcuno rimane un hobby, per altri è una fonte di remunerazione alternativa al proprio lavoro, e per altri ancora è un'occasione per diventare dei veri e propri imprenditori (Chong, 2015).
Ai fini del nostro lavoro, occorre notare che questo business non rientra esattamente nel terzo quadrante della classificazione proposta da Bardhi et al., (2014): anche nel caso in cui un utente si serva di Shapeways solo per realizzare un prodotto di cui poi voglia usufruire personalmente, la situazione che si viene a delineare non è quella dell'auto-produzione prima descritta. Al contrario di
quanto può avvenire in un contesto domestico o in un fab lab, infatti, la realizzazione del prodotto viene effettuata da un soggetto esterno (lo staff di Shapeways), mentre il designer può solamente creare il modello 3D iniziale. L'auto-produzione risulta, pertanto, solo parziale.
Tuttavia, il caso è interessante in quanto si tratta di un'altra piattaforma che mette in comunicazione due categorie di persone rappresentanti la domanda e l'offerta: gli ideatori di oggetti e i consumatori. Shapeways, in questo senso, rientra a pieno titolo nel concetto di economia collaborativa proposta da Botsman (2013).
“Un'economia basata sulle reti, distribuite e a loro volta formate da comunità ed
individui interconnessi, in opposizione ad istituzioni centralizzate, che trasforma le modalità con cui noi produciamo, consumiamo, finanziamo ed impariamo” (Botsman,
2013).