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6. Possibile classificazione delle autorità indipendenti: figure

6.1. Autorità di tipo generalista

Quanto ad a), le autorità di tipo generalista esercitano i loro poteri nei

confronti di tutte le imprese o di altri soggetti pubblici o privati (in modo dunque trasversale).

Le due principali sono l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e il Garante per la protezione dei dati personali.

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La prima fu istituita nel 1990 (l. n. 287 /1990)59, in ritardo rispetto ai principali Paesi europei.

Infatti le ideologie dominanti nel sistema politico italiano tendevano a privilegiare altri valori rispetto a quello della concorrenza.

Secondo le teorie della regolazione più moderne, coessenziale a un mercato ben funzionante è, non solo una disciplina in materia di contratti, responsabilità e tutela giurisdizionale dei diritti, ma anche un insieme di regole volte a sanzionare comportamenti anticoncorrenziali e a prevenire formazione di monopoli.

Le funzioni originarie, e a tutt’oggi principali, dell’Autorità antitrust, che hanno un aggancio costituzionale proprio nell’art. 41 Cost.60 (richiamato dall’ art. 1 l. n. 287/1990), sono quelle relative all’applicazione della disciplina della concorrenza (intese restrittive, abuso di posizione dominante, controllo sulle operazioni di concentrazione di cui rispettivamente agli artt. 2, 3, 6) nei confronti delle imprese, private, ma anche pubbliche, operanti in tutti i mercati.

L’Autorità interpreta le norme in base ai principi dell’ordinamento comunitario, ora europeo, ed applica in modo decentrato (per così dire come braccio esecutivo della Commissione UE) le regole del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in materia di concorrenza (artt. 101 ss.)61.

Ai fini dell’applicazione delle regole in materia di concorrenza, l’Autorità è investita di poteri, paralleli a quelli dell’autorità giudiziaria ordinaria, di accertamento e di repressione delle violazioni (adjudication).

59 Di cui capitolo 2, paragrafo 3. 60 Art. 41 Cost. :

“l’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza , alla libertà , alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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Essi sono esercitati dall’Autorità di propria iniziativa o su denuncia dei soggetti interessati e si sostanziano nella emanazione di provvedimenti inibitori (diffide), ordinatori e sanzionatori molto incisivi (artt. 15 e 19). Essa incarna dunque al massimo grado il carattere della paragiurisdizionalità, cioè “arbitro dei mercati”.

I suoi atti sono impugnabili innanzi al giudice ammnistrativo.

L’Autorità non è invece titolare di poteri di regolazione in senso proprio (rulemaking) tipici di gran parte delle altre autorità indipendenti di settore e in generale non è titolare di poteri di vigilanza su base continuativa sulle imprese.

Gli interventi dell’Autorità sono in gran parte riferiti a comportamenti già posti in essere dalle imprese (cosiddetta regolazione ex post). Ciò a differenza delle autorità di settore alle quali invece la legge attribuisce numerosi strumenti di regolazione ex ante, cioè volti a guidare e conformare i comportamenti delle imprese operanti in certi mercati.

L’Autorità è titolare anche di poteri di advocacy, cioè di segnalazione al parlamento e al governo di distorsioni della concorrenza causate da leggi, regolamenti o atti amministrativi generali e di emanazione, di propria iniziativa, di pareri sulle misure necessarie per rimuoverle o prevenirle (artt. 21 e 22).

Nel corso degli anni, il legislatore ha esteso il campo di azione e rafforzato i poteri dell’Autorità.

Infatti, anzitutto, le sono state attribuite funzioni di tutela dei consumatori in relazione alle pratiche commerciali scorrette, nella cui attuale disciplina, contenuta nel Codice del consumo, id est d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, segnatamente agli artt. 18-27, è compresa la stessa pubblicità ingannevole o comparativa62, che assurga ad illecito amministrativo, rilevabile dalla stessa Autorità Antitrust.

62 M. Giusti,fornisce in Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, cit.,nel capitolo

VIII, pagg. 330 ss., relativo alla tutela pubblica del consumatore e dell’utente, la definizione di pubblicità ingannevole e quella di pubblicità comparativa: “la pubblicità

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Queste funzioni si sostanziano nei poteri, attribuiti alla Autorità Antitrust, di reprimere e vietare, appunto, la pubblicità ingannevole e quella comparativa illecita, rafforzando il ruolo garantista - indipendente e neutrale - a favore degli operatori economici e dei consumatori utenti. Sempre nell’ottica di tutelare il consumatore (dapprima persona fisica, in seguito anche a comprendere le cc.dd. microimprese) all’Autorità sono state affidate competenze in materia di repressione delle pratiche commerciali scorrette e di tutela amministrativa contro le clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori (v. Codice del Consumo)63.

Le funzioni esercitate dall’Autorità Antitrust in materia di pratiche commerciali scorrette hanno visto negli ultimi anni puntati su di esse i riflettori, segnatamente in sede giurisprudenziale: lo dimostrano i

è ingannevole quando in qualsiasi modo induce o può indurre in errore le persone fisiche o giuridiche, cui è rivolta, pregiudicando il l quando in qualsiasi modo o può indurre in errore le eprsone fisiche o giuridiche cui è rivolta, pregiudicando il loro comportamento economico, ovvero, ledendo o potendo ledere, per lo stesso motivo (cioè per il suo mendacio fraudolento), uno o più concorrenti.

Quanto invece alla pubblicità comparativa, non sempre è lecita,anzi spesso non la è. In ogni caso, l’introduzione della tendenziale liceità della pubblicità comparativa è stata voluta dal legislatore comunitario, perché si è ritenuto che, in questo modo, si sarebbe garantita una maggiore trasparenza e informazione sulle caratteristiche dei beni reclamizzati, a tutto vantaggio degli utenti e dei consumatori.

Si ha comparazione diretta quando il confronto avviene con un’impresa o con un prodotto espressamente nominati o individuati o individuabili attraverso inequivoci riferimenti .

Si ha comparazione indiretta se il termine di confronto non viene nominato né è individuabile attraverso espliciti richiami.

Infine, la pubblicità che compie tale tipo di comparazione è lecita quando ha una serie di requisiti, che devono essere tutti compresenti e che sono elencati oggi all’art.4 del d.lgs.145/2007:

a) non vi deve essere ingannevolezza nel messaggio pubblicitario;

b) deve trattarsi di un confronto tra beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o comunque che si propongano gli stessi obiettivi: deve cioè trattarsi di prodotti sostituibili;

c) nell’ambito della comparazione devono essere confrontate, in modo oggettivo, caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, tra cui il prezzo; la comparazione del prezzo, però, è lecita solo quando questo sia caratteristica essenziale del prodotto, in grado da determinare, da sé stesso, il consumatore a contrarre (come per es. nel caso delle tariffe telefoniche), mentre il medesimo confronto, basato sul prezzo, può divenire illecito se applicato in relazione ad altri prodotti,in relazione ai quali sono essenziali altri caratteri come la sicurezza o le prestazioni”.

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ricorsi proposti avverso l’Autorità in questione, volti alla contestazione dei provvedimenti emanati dalla stessa relativi alle pratiche commerciali scorrette, dato che questi provvedimenti possono consistere in notevoli sanzioni pecunarie:si pensi al caso AGCM contro Telecom Italia S.p.A.64 e a quello di AGCM contro Poste Mobile S.p.A.65

Sono state attribuite,poi,alla stessa Autorità,funzioni di verifica di conflitti di interessi relativi ai titolari di cariche di governo,secondo la legge 20 luglio 2004, n. 215.

Tale legge ha per soggetti destinatari il Presidente del Consiglio, i Ministri,i Vice Ministri e i sottosegretari, i commissari straordinari di governo e può essere estesa ai presidenti e agli assessori delle Regioni: tutti costoro debbono astenersi da delibere o atti che li vedano “in situazione di conflitto di interessi”.

Essi non possono ricoprire - durante lo svolgimento dell’incarico - cariche diverse dal mandato parlamentare, quali uffici nello Stato o in enti pubblici anche economici; incarichi o compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di impresa (potendo però restare azionisti di maggioranza di grandi aziende); né esercitare qualsiasi tipo di libera professione o di lavoro autonomo in materie “connesse con la carica” od essere impiegati o dipendenti sia pubblici che privati, senza collocarsi in aspettativa.

La nozione vigente di conflitto di interessi è formulata all’art. 3: sussiste quando il titolare partecipa all’adozione di un atto, anche solo proponendolo o omette un atto dovuto, quando ciò ha un’incidenza “specifica e preferenziale” sul patrimonio proprio o dei congiunti,ovvero delle imprese o società da essi controllate, ma “con danno per l’interesse pubblico”; ambedue condizioni difficili da provare.

64 Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2015, n. 1104. 65 Consiglio di Stato sez.VI, 10/12/2014, n. 6050.

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Gli artt. 5 e 6 stabiliscono funzioni e procedure per l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, chiamata a vigilare senza alcun potenziamento di organico, sul rispetto dei divieti, a rimuovere le situazioni di incompatibilità e a sanzionare le imprese che abbiano tratto vantaggi dai comportamenti vietati, riferendone al Parlamento.

Il 16 novembre 2004, l’AGCM ha adottato un regolamento di attuazione in materia66.

E da ultimo, sono state attribuite all’AGCM funzioni di monitoraggio e di intervento in ordine al rispetto da parte degli enti locali delle regole in materia di apertura alla concorrenza del settore dei servizi pubblici locali (art. 4 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, peraltro dichiarato incostituzionale).

Ma anche in materia propriamente antitrust, l’Autorità ha acquisito nuovi strumenti di azione: poteri di tipo cautelare (cioè di intervento immediato nel caso di urgenza); la facoltà di concludere i procedimenti volti ad accertare illeciti concorrenziali, anziché con una sanzione, con impegni assunti dall’impresa inquisita volti a ripristinare e a garantire per il futuro condizioni di mercato concorrenziale; i cosiddetti programmi di clemenza (leniency programmes) volti a favorire le denunce spontanee anche anonime di cartelli tra imprese aderenti in cambio di un’ esenzione o riduzione delle sanzioni inflitte a carico del denunciante (rispettivamente, artt. 14 bis, 14 ter, e 15, comma 2-bis, l. n. 287/1990, così come modificata dalla l. 4 agosto 2006, n. 248). Da ultimo, all’AGCM è stato attribuito il potere di impugnare innanzi al giudice amministrativo tutti i provvedimenti generali (inclusi i regolamenti) e individuali assunti in violazione delle norme a tutela della concorrenza (art. 21 bis l. n. 287/1990 aggiunto dall’art. 35 d.l. 6 dicembre 2011, n. 201).

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L’interesse pubblico alla tutela della concorrenza giustifica cioè una legittimazione processuale straordinaria, cioè non legata alla titolarità di una situazione giuridica.

Il Garante per la protezione dei dati personali, istituito nel 1996 in attuazione di una direttiva europea (1995/46/CE), è preposto all’applicazione del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) ed esercita i propri poteri sia nei confronti di soggetti privati sia, entro certi limiti, di soggetti pubblici (artt. 18 ss.).

Il Garante costituisce l’esempio forse più rilevante di tutela amministrativa dei diritti soggettivi, tra i quali rientra certamente il diritto alla riservatezza (privacy).

Il Codice, infatti, da un lato, enuncia il principio che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano” (art. 1) di fronte alla costituzione di banche dati, alla elaborazione, all’utilizzo e alla diffusione dei medesimi.

Più specificamente, l’interessato ha diritto a ottenere informazioni circa l’origine dei dati personali, le finalità di trattamento, l’aggiornamento, la rettifica e la cancellazione dei dati, ecc. (art. 7).

Dall’altro, a presidio di questi diritti il Codice prevede, in alternativa, il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria o il ricorso al Garante (art. 145).

La tutela amministrativa dei diritti costituisce un mezzo meno costoso, più rapido ed efficace rispetto alla tutela giurisdizionale, che comunque è garantita in quanto contro i provvedimenti del Garante può essere proposto ricorso in opposizione innanzi al giudice ordinario (art. 152). La giurisdizione del giudice ordinario, anziché del giudice amministrativo, prevista in relazione all’impugnazione degli atti delle altre autorità indipendenti, si giustifica proprio perché la materia della privacy involge essenzialmente diritti soggettivi.

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In caso di accoglimento del ricorso il Garante può ordinare, anche in via cautelare, la cessazione del comportamento illegittimo e indicare tutte le misure necessarie per la tutela del diritto dell’interessato (art. 150)67.

Accanto a poteri di tipo giustiziale, il Garante è titolare di poteri normativi e poteri amministrativi in senso proprio68.

Però, quanto ai primi, ad onor del vero, da tempo, in merito a questo tema si è sollevato un dibattito dottrinario, mai giunto a conclusioni univoche69.

In particolare, la dottrina evidenzia da tempo come il Garante per la protezione dei dati personali  sia interessato da quell'ampio fenomeno che attiene all'esercizio di poteri normativi da parte delle autorità indipendenti.

Pare, infatti, che anche l' Authority qui considerata adotti atti che possono essere qualificati come vere e proprie fonti del diritto.

Diversi studiosi si sono interessati della questione, sia nella vigenza della ormai abrogata l. 31 dicembre 1996, n. 675 sia successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (d'ora in avanti indicato, per brevità, come Codice), senza tuttavia approdare a conclusioni univoche e neppure esaustive rispetto all'attuale contesto normativo di riferimento.

Per quanto riguarda la mancanza di conclusioni univoche, basti considerare che le autorizzazioni generali, citate dalla maggior parte degli autori come caso esemplare dell'esercizio, da parte dell'Authority, di poteri normativi, vengono ancora da taluni autorevolmente ricondotte

67 M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, cit., pagg. 345-346. 68 Ibidem.

69 A. Frosini, Gli atti normativi del Garante per la protezione dei dati personali,in

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al novero degli atti amministrativi generali piuttosto che a quello degli atti normativi.

Ma pur a fronte di un dibattito dottrinario mai giunto a conclusioni univoche, in verità, alcuni studiosi, seppur sulla base di un limitato spettro di indagine, e prescindendo dall’analisi del puntuale del contenuto dei diversi provvedimenti emanati dalle Autorità , hanno a più riprese segnalato l’effettivo esercizio di tali potestà da parte di quest’ultima70.

I poteri normativi consistono soprattutto nel prescrivere misure necessarie al fine di rendere conforme il trattamento dei dati personali alla disciplina legislativa (art.154, comma 1 lett. c).

I poteri amministrativi individuali consistono soprattutto nel rilascio di autorizzazioni al trattamento dei cc.dd. dati sensibili (sanitari, relativi alla religione, razza , convinzioni politiche, alla sfera di sessualità, ecc.,

ex art. 26), nel potere di imporre prescrizioni o divieti (per esempio il

blocco dei trattamenti illeciti), nel potere di irrogare sanzioni amministrative (art. 166).

Infine, il Garante, da un lato, promuove la sottoscrizione di codici di deontologia adottati da varie categorie di operatori chiamati a confrontarsi con questioni relative alla privacy (per es. i giornalisti o gli operatori sanitari) e verifica la conformità dei codici alle norme vigenti (art. 12 , art. 139), assumendo in questo modo un ruolo di coregolatore; dall’altro, emana anche d’ufficio le cc.dd. autorizzazioni generali pubblicate nella Gazzetta Ufficiale volte a disciplinare il trattamento dei dati personali (art. 40).