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Si deve l’introduzione di poteri sanzionatori in capo all’ANAC all’art.19, comma 4, lettera b) del d.l.n.90.

Questa disposizione prevede che “salvo che il fatto costituisca reato,

l’ANAC applica, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n.689, una sanziona amministrativa non inferiore nel minimo a euro 1000 e non superiore nel massimo a euro 10.000, nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l’adozione del piano triennale di prevenzione della corruzione, del programma triennale per la trasparenza e l’integrità e del codice di comportamento”.

Al fine di dare attuazione alla disposizione, de qua, e definire la disciplina del procedimento sanzionatorio, il Consiglio dell’Autorità ha approvato, nella seduta del 9 settembre 2014, uno specifico regolamento124.

Il d.l. n. 90 infatti non contiene alcun riferimento alla disciplina del potere sanzionatorio come invece è avvenuto per un’altra Autorità, cioè, l’ IVASS, in relazione ai procedimenti sanzionatori posti in essere dalla

124 Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità

Nazionale Anticorruzione per l’omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di trasparenza, dei Codici di comportamento, sul sito istituzionale www.anticorruzione.it.

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stessa: art. 326 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, c.d. Codice delle assicurazioni private125.

Più specificamente, appare opportuno incentrare la disamina del potere sanzionatorio in capo all’ANAC su due profili:

a) due definizioni contenute nell’art.1 del regolamento,prima menzionato,che costituiscono (soprattutto la seconda) due elementi chiave nell’esercizio del potere sanzionatorio;

b) fasi procedimentali e i principali istituti del procedimento.

Quanto al primo profilo a), in particolare, anzitutto, l’ANAC si è sforzata di, anzitutto, definire il soggetto obbligato all’adozione dei tre documenti, ovverosia, come risulta ex art. 19, comma 5, lettera b) del d.l. n. 90, il piano triennale di prevenzione della corruzione, il piano triennale per la trasparenza e l’integrità e il codice di comportamento, la cui omissione può essere sanzionata.

Documenti, tra l’altro definiti come “provvedimenti” dall’art.1, comma 1, lettera d) del regolamento126.

La definizione di “soggetto obbligato”, si riviene all’art.1, comma 1, lettera e) del regolamento:

“ l’organo che la legge o l’amministrazione interessata ha individuato

come competente a predisporre,adottare e/o approvare i Provvedimenti, tra i quali,ad esempio, il responsabile della prevenzione della corruzione, il responsabile della trasparenza, i componenti degli organi,monocratici o collegiali, di indirizzo”.

Da questa ultima disposizione ne discende, allora, che l’Autorità demandi all’amministrazione il compito di identificare i soggetti obbligati ed indichi,a titolo esemplificativo, quali possano essere considerati come tali.

125 Cfr. R.Cantone e F.Merloni, (a cura di), La nuova Autorità nazionale

anticorruzione, cit., pag. 85.

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La seconda definizione costituisce una novità ancor più rilevante: si tratta della “omessa adozione” dei provvedimenti, riportata all’art.1. comma 1, lettera g) del regolamento.

Infatti l’Autorità ha ribadito che occorre superare la logica dell’adempimento formale delle norme e, quindi andare oltre la mera adozione degli strumenti previsti; è necessario, invece, che questi ultimi siano effettivamente frutto di un’analisi di un contesto nel quale l’amministrazione opera e contengano misure concrete appositamente tarate sull’amministrazione che le adotta.

Nel dettaglio, il regolamento equipara all’omessa adozione della deliberazione dell’organo competente ad adottare i provvedimenti anche l’adozione di provvedimenti “vuoti”, ossia privi di quegli elementi in gradi di garantire l’effettività della disciplina in materia di anticorruzione e trasparenza.

L’omessa adozione sostanziale degli strumenti può presentare tre forme:l’approvazione di provvedimenti puramente ricognitivi di misure vigenti in materia di prevenzione della corruzione, trasparenza e codici di comportamento; l’approvazione di provvedimenti il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni e quindi privi di misure specifiche da approntare sulla base dell’analisi delle esigenze dell’amministrazione interessata; nonché, infine, l’approvazione di un provvedimento privo di misure per la prevenzione del rischio nei settori più esposti alla corruzione, di un provvedimento privo di misure per la prevenzione del rischio nei settori più esposti alla corruzione, di un provvedimento privo di misure concrete di attuazione degli obblighi di trasparenza o di un codice meramente riproduttivo del codice di comportamento dei dipendenti pubblici adottato con d.P.R. 16 aprile 2013, n.62.

Quanto al profilo b), anzitutto, il regolamento adottato dall’Autorità ,come espressamente previsto all’art.12, comma 1, si pone nel solco dei

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principi e delle disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n.689, recante la disciplina delle sanzioni amministrative127.

Il ricorso ai principi e agli istituti definiti dalla predetta legge appare necessario in quanto il legislatore non si è mai curato di adottare una legge generale in materia di esercizio dei poteri sanzionatori da parte delle a.a.i., che invece sarebbe auspicabile, considerata la peculiare natura delle Autorità128, che le distingue dalle altre pubbliche amministrazioni.

Ed allora ne discende la mancanza di una legge di disciplina dei poteri sanzionatori delle Authorities, il che ha dato luogo all’adozione di regimi sanzionatori differenziati sul piano delle procedure utilizzate: questo ultimo aspetto rende l’idea dell’assenza di un’unitarietà del fenomeno delle autorità indipendenti, ANAC compresa,il che costituisce un ulteriore profilo che, unitamente agli altri già considerati129, dimostra la configurazione delle Authorities come un potenziale modello di amministrazione sui generis.

Però, in realtà, l’adozione di regime sanzionatori differenziati non costituisce l’unico elemento sintomatico dell’assenza di unitarietà del fenomeno delle a.a.i.: decisivo, è apparso da questo punto di vista anche l’espansionismo delle a.a.i130.

127 Sul punto si veda anche F. Manganaro, La corruzione in Italia, in Foro

Amministrativo (Il), fasc.6, 2014, pag. 1861.

128 Di cui capitolo I , con particolare riferimento, tra i vari paragrafi, al paragrafo 2.5. 129 Di cui capitolo II, pag. 68.

130 R.Titomanlio , nel Suo manuale Potestà normativa e funzione di regolazione, cit.,

segnala, al capitolo I, a pag. 22, che “l’espansione del fenomeno delle autorità

amministrative indipendenti è avvenuta secondo due correnti di linee di sviluppo: da un lato vi è stato un ampliamento del numero dei settori, tutti di grande rilievo sociale (dalla borsa, alle assicurazione, dall’esercizio del diritto di sciopero, alla concorrenza, dal trattamento dei dati personali, alle comunicazioni, dai servizi pubblica utilità, agli appalti pubblici, ecc.), dall’altro le diverse autorità amministrative indipendenti hanno progressivamente rivendicato, con l’ampliamento della propria sfera d’azione e attraverso un utilizzo “ampio” dei rispettivi poteri,una sempre maggiore “autonomia”.

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Come espressamente stabilito dall’art. 19, comma 5, lettera b), l’Autorità è competente ad irrogare sanzioni amministrative del tipo “pecuniario” il cui importo, a seconda della fattispecie concreta, può essere fissato entro un intervallo definito dalla norma stessa.

L’Autorità, dunque, è vincolata in ordine all’an, nel senso che, in presenza di casi di omessa adozione dei provvedimenti, è tenuta, in seguito all’accertamento della violazione, all’irrogazione della sanzione, ma è parzialmente libera nel quantum, potendo graduare, seppur all’interno di un range predefinito, l’importo della sanzione. Per quanto attiene ai criteri di quantificazione della sanzione, il regolamento amplia e chiarisce i criteri generali contenuti all’art.11 della legge n. 689 del 1981.

Se, infatti, quest’ultimo faceva riferimento alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione e alla personalità e alle condizioni economiche dell’agente medesimo, l’art. 8 del regolamento, oltre ad adattare i suddetti criteri alle fattispecie sanzionabili ai sensi dell’art. 19, comma 5, lettera b), del d.l. n. 90, aggiunge due ulteriori indici, ossia il numero dei provvedimenti obbligatori omessi e l’eventuale reiterazione di comportamenti analoghi a quelli contestati.

Appare pertanto, probabilmente, difficoltoso, ritenere quello delle a.a.i. “ un modello” unitario e questo può contribuire a suggellare, nei limiti della condivisione, la configurazione delle a.a.i. come un potenziale modello di amministrazione sui generis. Ne discende che il fil rouge che tiene legati insieme , “i soggetti ricompresi sotto la

denominazione di autorità amministrative indipendenti “, (R. Titomanlio), sia

consistente nell’eterogeneità, che, secondo R.Titomanlio,“non costituisce una

<<debolezza >> del modello , giacchè si pone in sintonia con << la spiegazione più profonda del fenomeno delle autorità amministrative indipendenti >> e cioè << il mutamento della concezione delle funzioni amministartive e dei modi del loro esercizio>>.

L’Autore, non a caso, quanto a quest’ultimo aspetto, rinvia all’immagine dell’arcipelago, proposta da A.Predieri in L’erompere delle autorità indipendenti. La possibile difficoltà di ricondurre le a.a.i. ad un modello unitario, altresì, è sostenuta anche da D. Crocco, in Autorità amministrative indipendenti, cit, a pag.12, in cui l’Autore segnala, appunto, che “tali Autorità amministartive indipendenti difettano di

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Come osservato dalla dottrina, si tratta di criteri incompatibili con una visione retributivistica del sistema sanzionatorio, che invece mirano alla rieducazione del sanzionato, inducendolo a non commettere più l’illecito in futuro, come dimostra l’attenzione all’attività posta in essere dal soggetto che ha commesso la violazione, al fine di attenuare le conseguenze dell’infrazione commessa.

Il ricorso a questo criterio in sede di commisurazione della sanzione dimostra innegabilmente che la finalità dell’Autorità non è tanto quella di reprimere le infrazioni commesse quanto piuttosto quella di tutelare l’interesse pubblico.

La potestà sanzionatorio è pertanto usata per imporre alle amministrazioni alcuni comportamenti, al fine di una migliore preservazione dell’interesse pubblico alla prevenzione alla corruzione, della cura l’Autorità è titolare.

D’altronde, all’Autorità sono assegnate, già a partire dalla legge n. 190 del 2012, funzioni di prevenzione della corruzione, che si estrinsecano, tra le altre cose, nell’analisi delle cause e dei fattori della stessa, e nell’individuazione degli interventi che possono favorirne la prevenzione, come disposto all’art.1, comma 2, lettera c), e non, invece, funzioni di repressione a livello penale della corruzione stessa.

Comunque, non si può negare che le sanzioni amministrative pecuniarie che l’Autorità può irrogare siano sanzioni di carattere punitivo ed afflittivo.

In proposito, occorre sottolineare, come queste, pur essendo diverse da quelle penali, siano comminate a fronte di un procedimento che si avvicina all’attività del giudice che valuta il caso concreto in relazione alla fattispecie astratta131.

131 R. Cantone e F. Merloni (a cura di), La nuova Autorità nazionale anticorruzione,

pagg. 87-88. Ibidem, quanto al potere sanzionatorio, si rinvia a quanto statuito dalla Corte di Cassazione, in una risalente pronuncia, in cui essa stessa, relativamente ai criteri di cui all’art.11 legge n. 689 del 1981, ha osservato “come la valutazione per

l’irrogazione della sanzione amministrativa sia simile a quella che compete al giudice penale in ordine alla commissione delle pene inflitte per i reati coerenti con il modello di sanzione punitiva di tipo essenzialmente penalistico adottato dal legislatore”:

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Proprio in ragione della portata afflittiva e punitiva che accomuna le sanzioni amministrative a quelle penali, la legge n. 689 del 1981 ha stabilito che le prime mutuino una serie di garanzie tipiche del diritto penale.

Tanto più quanto dette sanzioni sono irrogate dalle autorità indipendenti, ossia da organismi che, oltre a sanzionare la violazione di un precetto, sono spesso chiamati a stabilirne i contenuti, essendo dotati di ampio potere di regolazione132 in una posizione di estraneità, peraltro rispetto al circuito politico - rappresentativo, oltre che di poteri di vigilanza e controllo.

Nel caso specifico, l’Autorità predispone ed approva il piano nazionale anticorruzione e adotta le linee guida per la predisposizione del programma triennale per la trasparenza e l’integrità, e, al contempo, è chiamata a verificare che le amministrazioni adottino i piani e i programmi e, in caso di mancata adozione, a comminare la relativa sanzione133.

Le garanzie procedurali, segnatamente, quelle di cui art.7, commi 5 e 6134, del regolamento costituiscono in questo caso una fonte succedanea

altresì, sul punto, si fa riferimento a Cass., sez.I, 23 giugno 1987, n. 5489 ed inoltre dello stesso avviso “è anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che,in una celebre

sentenza del 27 settembre 2011(ricorso n. 43509/08 - Menarini Diagnostics Srl c.Italia), ha riconosciuto natura sostanzialmente penale ad una sanzione comminata dall’AGCM.”

132 Per un approfondimento dei poteri di regolazione delle a.a.i. si veda R. Titomanlio,

Potestà normativa e funzione di regolazione, cit.

133 R.Cantone e F. Merloni, (a cura di), La nuova Autorità nazionale anticorruzione,

cit., pag. 89.

134 Art. 7 regolamento adottato dall’ANAC, in data 9 settembre 2014, commi 5 e 6:

“5. Il Consiglio, qualora deliberi l’irrogazione della sanzione, può disporre anche

l’immediata notifica della medesima al soggetto responsabile, assegnando un termine di 30 giorni per eventuali osservazioni e controdeduzioni.

6. Sulla base delle osservazioni eventualmente pervenute e comunque decorso il termine di cui al comma precedente, il Consiglio delibera, dandone adeguata motivazione, il provvedimento di definitiva irrogazione della sanzione determinandone l’importo”.

Inoltre, preme segnalare che il 23/11/2016 l’ANAC ha pubblicato sul proprio sito istituzionale www.anticorruzione.it il nuovo Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, “ai sensi dell’articolo 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013,

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di legittimazione necessaria per bilanciare la mancanza di legittimazione sostanziale in seno al circuito della rappresentatività politica.

Lo strumento di maggior tutela in questo senso è rappresentato dal contradditorio con i soggetti destinatari dell’esercizio del potere sanzionatorio.

A tal proposito, il regolamento prevede almeno due momenti di confronto con il soggetto obbligato all’adozione dei provvedimenti, da svolgersi in due modalità diverse.

Infatti, l’art.4, comma 5, lettere b) e c), stabilisce che nella comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio debbano essere indicati il termine per l’invio di eventuali memorie e documentazione allegata, nonché per eventuali controdeduzioni, e la possibilità di richiedere di essere sentiti in audizione presso l’ufficio competente. L’art.6, comma 2, lettere b) e c), quindi, nel definire i compiti del responsabile del procedimento, precisa che questi può richiedere alle amministrazioni interessate o ai soggetti obbligati di inviare documenti, informazioni o chiarimenti volti a accertare l’effettiva omessa adozione dei provvedimenti e il grado di partecipazione dei diversi soggetti obbligati ai comportamenti omissivi nonché disporre l’audizione dei soggetti obbligati, su loro richiesta.

Il regolamento prevede, dunque, due diverse forme di contraddittorio: da un lato la partecipazione al procedimento mediante l’invio di memorie scritte, sulla scorta di quanto previsto in via generale dall’art.10, comma 1, lettera b), della legge n.241 del 1990, dall’altro, il contradditorio orale, in attuazione del principio sancito all’art. 18 della legge n. 689 del 1981.

Peraltro, l’audizione può essere duplice: una prima volta, infatti può tenersi dinanzi al responsabile del procedimento ed una seconda, invece, dinanzi al Consiglio dell’Autorità.

n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97”, approvato il

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Questa avviene a conclusione della fase istruttoria dopo che il dirigente dell’ufficio competente ha proposto di archiviare il procedimento, di diffidare il soggetto obbligato ad adottare i provvedimenti omessi, o, infine, di irrogare la sanzione, e unicamente nel caso in cui il Consiglio ritenga che essa sia utile a pieno accertamento dei fatti.

Infine, a coronamento del profilo b), appaiono interessanti due ulteriori previsioni contenute nel regolamento.

In primis, la fissazione del termine per la notifica dell’atto di

contestazione degli addebiti in quanto sul punto il regolamento si distacca nettamente dalla legge n. 689 del 1981.

Quest’ultima, infatti, dispone all’art.14, comma 2, che qualora la contestazione non sia immediata, gli estremi della violazione debbano essere notificati agli interessati entro novanta giorni dall’accertamento. Le discipline settoriali che interessano le altre autorità derogano a questo principio stabilendo termini più lunghi, giustificati probabilmente dalla particolare complessità delle fattispecie contestate che richiede un certo lasso di tempo per la contestazione.

Infatti, il termine è fissato in centoventi giorni per l’IVASS, secondo l’art. 326, comma 1, del d.lgs.n.209 del 2005, ed addirittura in centottanta giorni per la CONSOB (art.195, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n.58, quale TUF), e per l’Autorità per l’Energia elettrica il gas e sistema idrico (art.45, comma 5, del d.lgs. 1 giugno 2011, n. 93). Il regolamento adottato dall’Autorità, invece, prevede, all’art.4, comma 3, che l’avvio del procedimento debba aver luogo entro trenta giorni dall’avvenuta conoscenza della presunta omessa adozione dei provvedimenti oggetto dell’esercizio del potere sanzionatorio.

Se un termine così ridotto non desta preoccupazione nel caso in cui l’omessa adozione del provvedimento sia effettivamente tale, qualche problema potrebbe porsi nel caso in cui il provvedimento sia stato adottato, ma si tratti di un adempimento meramente formale, e, quindi, come tale sanzionabile: in tal caso, infatti, è necessario che la

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contestazione della violazione sia maggiormente articolata e di conseguenza richiede tempistiche più lunghe.

Ciò considerato pure che, ai sensi dell’art.14, comma 6, della legge n. 689 del 1981, il termine per la contestazione della violazione ha carattere perentorio e il suo superamento estingue l’obbligazione di pagare la somma dovuta per il soggetto che vi sarebbe tenuto.

In secundis,la “chiusura del ciclo sanzionatorio” con la pubblicazione

del provvedimento di irrogazione della sanzione.

Il regolamento, infatti, all’art.11, comma 4, prevede che concluso il procedimento, il provvedimento sanzionatorio sia pubblicato integralmente sul sito istituzionale dell’Autorità.

Si tratta di una previsione importante perché suscettibile di incidere sul piano dei comportamenti futuri.

La pubblicazione dei provvedimenti sanzionatori, infatti, non è configurabile quale vera e propria sanzione, ma costituisce comunque una sanzione accessoria in quanto comporta conseguenze sul piano reputazionale in termini di immagine e percezione sociale del soggetto sanzionato.

L’effetto deterrente che la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio mira ad indurre si ricollega all’atteggiamento complessivo del sistema sanzionatorio delineato e al ruolo dell’Autorità stessa, che non vuole essere quello di minacciare l’irrogazione della sanzione nei riguardi dei trasgressori quanto quello di indurre i medesimi a comportamenti virtuosi prefigurando loro la possibilità di essere sanzionati135.

135 R. Cantone e F. Merloni , (a cura di), La nuova Autorità nazionale anticorruzione,

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