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alla disciplina della concorrenza. - 4 (Segue) Rapporti tra la disciplina della concorrenza del diritto europeo e quella del diritto italiano. – 5 (Segue) Autorità di controllo e procedimenti di controllo. - 6. Possibile classificazione delle autorità indipendenti: figure principali, relative funzioni. - 6.1. Autorità di tipo generalista. - 6.2. Autorità di tipo settoriale. - 6.3. Banca d’Italia. - 6.4. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB). - 6.5. Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS). - 6.6. Problemi di coordinamento tra le Authorities di settore: cenni. - 6.7. Autorità di regolazione

1. Passaggio dallo Stato imprenditore a quello regolatore

Storicamente si è assistito ad un processo di ascesa e declino dello Stato imprenditore.

Il processo di ascesa si verifica a partire dalla crisi economica degli anni Trenta, provocata dal crollo borsistico del 1929, che provocò fallimenti a catena dei maggiori gruppi finanziari e imprenditoriali e richiese interventi di salvataggio da parte dei pubblici poteri.

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Si accrebbe così la presenza diretta dello Stato nell’economia e si affermò dunque il modello dello “Stato imprenditore” o gestore diretto di aziende di produzione e erogazione di un’ampia gamma di beni e servizi43.

Ed ecco che così si assiste alla progressiva ascesa dello Stato imprenditore, che vede i propri connotati migliori, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta (nazionalizzazione dell’ENEL del 1962): lo Stato interviene nell’economia in modo rilevante, acquistando partecipazioni azionarie di diverse società che svolgevano vari tipi di imprese e le gestisce con l’IRI, quale Istituto per la ricostruzione industriale, presieduto da Alberto Beneduce,manager espertissimo, e creato nel 1933, per sventare il rischio del fallimento incombente soprattutto sulle banche di quell’epoca (si possono addurre come possibili esempi la Banca commerciale, Credito italiano ed il Banco di Roma), a causa del crollo della Borsa di Wall Street del ’29.

L’IRI, si configurava, insomma, come ente di gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato. Si parla, non a caso, di sistema di partecipazioni statali.

Però ad un certo punto si assiste ad una crisi di questo sistema e diversi sono gli elementi di crisi che hanno determinato il declino dello Stato imprenditore:

a) il primo elemento di crisi è costituito dall’entrata in funzione delle Regioni nel 1970; proprio nel 1970, perché fino a quell’anno non si fece la legge elettorale che consentisse la regolazione dello Statuto e l’elezione dei Consigli Regionali;

b) il secondo elemento di crisi sta nel fatto che si inizia ad affermare un’idea diversa, affermatasi soprattutto negli anni Settanta ed Ottanta ,a cui concorse la ripresa di ideologie antistataliste (neoliberismo, mercatismo): non c’è bisogno dello Stato imprenditore per l’esercizio delle attività economiche, ma esso può limitarsi a dettare regole e

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lasciare agire il privato, che non è detto che non riesca ad assicurare fini di utilità generale, il cui fondamento costituzionale si rinviene nell’art. 43 della Costituzione.

Per esempio il servizio postale è pubblico essenziale e quindi originariamente è svolto dallo Stato, in quanto, tra gli altri, anche quelli postali erano soggetti, in base all’art. 43 della Costituzione, a riserva originaria con il d.P.R. 29 Marzo 1973, n. 156, “codice postale e delle telecomunicazioni”, che disponeva all’art.1 che “appartengono in via

esclusiva allo Stato, nei limiti del presente decreto: i servizi di raccolta, trasporto e distribuzione della corrispondenza epistolare”.

Tuttavia, poi, all’ art. 4 stabiliva che “ai servizi previsti dal presente

decreto l’amministrazione può provvedere anche mediante concessione”44.

Ed allora, quello dei servizi postali pare configurarsi come un esempio sintomatico dell’idea, appunto degli anni Settanta ed Ottanta, secondo la quale privato può, poste le condizioni, svolgere l’esercizio di attività economiche;

c) il terzo elemento consiste nell’avvento dell’allora diritto comunitario, attuale diritto dell’Unione Europea, quale nomenclatura affermatasi a partire dal Trattato di Lisbona, approvato nel 2007, entrato in vigore nel 2009.

Diritto questo che nasce come strumento di tutela delle libertà e che si pone come fine, la libertà della concorrenza e quella del mercato, quali principi cardine, assieme al divieto degli aiuti dello Stato alle imprese, che mal si conciliano con un sistema di nazionalizzazione, come era quello italiano, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta e pertanto il diritto europeo ha contribuito, anch’esso alla crisi dello Stato imprenditore;

44 S. Cassese, La nuova costituzione economica , Laterza , Roma - Bari, 2007, pag.

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d) il quarto ed ultimo elemento è relativo al motivo dei costi, id est il sistema delle partecipazioni statali era un “carrozzone”: infatti la presenza diretta ed indiretta dello Stato imprenditore nelle attività economiche e sociali determinò una crescita esponenziale della spesa pubblica.

In molti casi si rese necessario ripianare con fondi erariali i bilanci in perdita di imprese pubbliche gestite in modo non efficiente o gravati di compiti extra aziendali (salvaguardia di livelli di occupazione, politiche di sviluppo delle aree economicamente depresse, ecc.).

Nel lungo periodo ciò determinò una crisi finanziaria dello Stato, vista l’impossibilità di aumentare oltre certi limiti la pressione fiscale e l’indebitamento45.

Pertanto, proprio, a partire dagli anni Ottanta si cambia tendenza: lo Stato imprenditore si ritrae perché non in grado di gestire le imprese e perché i conti non tornano!

C’è bisogno per l’Italia di fare cassa: i soldi sono acquisiti dallo Stato dismettendo le proprie azioni, diventando, così, lo Stato regolatore, ovverosia lo Stato non acquista più le partecipazioni azionarie e le gestisce per il tramite di enti pubblici, ma svolge attività di regolazione delle attività di interesse pubblico, pur non gestendole in prima persona; quindi si registra,storicamente, un passaggio dallo Stato imprenditore a quello regolatore, determinato, come vedremo nel prossimo paragrafo, dalle autorità indipendenti.

2. Privatizzazione e liberalizzazione

Come già detto negli anni Ottanta è avvenuto il passaggio dallo Stato imprenditore a quello regolatore.

Proprio in quegli anni, soprattutto alla fine degli anni Ottanta inizia quello che è noto come processo di privatizzazione, quale processo

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inverso a quello che si era verificato fino a quel momento, ovvero quello di nazionalizzazione: il pubblico potere non interviene nelle attività produttive, bensì si ritira dalle stesse, limitandosi a partecipare al capitale delle S.p.A., anche in minoranza e fino alle dismissione, cioè alla cessione delle quote ai privati, insistendo a controllare e a regolare dall’esterno le attività produttive, perché siano svolte secondo l’interesse pubblico.

Si è distinta una duplice categoria di privatizzazione.

La prima, c.d. “formale”, che segna il passaggio quasi sempre dalla forma giuridica di ente pubblico economico - impresa (magari con la fase preliminare del passaggio da organo - impresa ad ente ancora monopolista, come è accaduto per le ferrovie e le poste negli anni Novanta) alla forma di società per azioni, a capitale totalmente statale; la seconda,che è facoltativa,viene definita privatizzazione “sostanziale”, in forza della quale le quote detenute in toto dallo Stato vengono via via cedute, in tutto o in parte ai soggetti privati46.

M.Clarich descrive la privatizzazione formale come “fredda” e quella sostanziale come “calda”, rendendo così probabilmente più interessante l’argomento della privatizzazione47.

Fenomeni di privatizzazione formale e sostanziale hanno origini lontane, poiché è sempre stato possibile per lo Stato imprenditore disfarsi delle proprie entità produttive (basti pensare che l’IRI era stato creato per :

a) rilevare i crediti della Banca d’Italia verso le banche,ripagandosi con le partecipazioni di quest’ultime nelle società debitrici;

b) per risanare con finanziamenti quelle, tra queste ultime imprese, suscettibili di salvataggio, cedendone poi le azioni ai privati;

c) per liquidare invece quelle totalmente compromesse;

46 M. Giusti, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, cit., pag. 248.

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d) da ultimo,per controllare pubblicamente l’azionariato delle tre più grandi banche italiane del tempo (Banca Commerciale; Credito italiano; Banco di Roma)48.

Anche su impulso della CEE, che pretese un diritto uguale per tutte le imprese degli Stati membri, si ebbero diverse cessioni di imprese ai privati alla metà degli anni ’80 (si ricorda per tutte la vendita dell’Alfa Romeo da Finmeccanica, allora del gruppo IRI alla FIAT), per lo più decise dagli onnipotenti enti di gestione, prescindendo da qualsiasi programma o autorizzazione del Governo.

Ma è dagli anni ’90 che l’abbandono delle attività imprenditoriali da parte del settore pubblico si fa massiccio, anche per perseguire il riequilibrio delle finanze statali derivante dal realizzo di entrate straordinarie con la vendita ai privati delle quote di imprese di proprietà statale49.

In particolare, è con la legge n. 35 del 1992, inattuata, e con la legge n.359 del 1992 (di conversione del decreto legge n. 333), che si ottiene la trasformazione degli enti pubblici economici, degli enti di gestione delle partecipazioni azionarie e delle aziende autonome, tutti quanti in società per azioni, da poter alienare successivamente.

La seconda di queste leggi impose nominativamente di mutare in S.p.A. IRI, ENI, ENEL, e INA; sveltì le procedure dilatorie di privatizzazione degli altri enti pubblici economici, rimettendole alle scelte coattive di una delibera del CIPE (30 dicembre), che prescelse per l’alienazione delle quote l’Offerta Pubblica di Vendita (OPV) o l’asta pubblica o la trattativa privata.

I metodi di vendita appena citati sono astrattamente idonei alla realizzazione di figure diverse di impresa privatizzata.

Tali leggi di privatizzazione, infatti, consentono l’adozione del modello inglese della public company, contraddistinto da un azionariato diffuso

48 M. Giusti, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, cit., pag. 242. 49 Ivi, pag. 249 ss.

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tra numerosissimi sottoscrittori “popolari”, con divieto di rivendita immediata delle azioni aggiudicate,sia pure corretto - ai fini di controllo pubblico - dall’introduzione della c.d. golden share, azione di speciale peso manovrata da un residuo socio di area pubblica, invisa alla UE, ma tollerata per qualche altro grande Stato.

Ciascuno dei tre metodi sopra citati, appositamente adattato, può coniugarsi con il modello delle timide privatizzazioni francesi, detto del “nocciolo duro”, nel quale il venditore pubblico - per garantire l’efficienza e la continuità della produzione nell’impresa - decide di scegliere nel settore un ristretto gruppo stabile di azionisti privati acquirenti, ai quali affida temporaneamente il potere decisionale della gestione ex pubblica.

Il processo di privatizzazione sostanziale è ricco di norme particolari e si inserisce in un più vasto quadro di ritiro del pubblico potere dall’economia, anche al di fuori delle attività strettamente imprenditoriali.

Si ponga mente, ad esempio, all’imponente evenienza delle privatizzazioni immobiliari mediante le quali si cerca di accrescere una

tantum le entrate dello Stato, alienando il colossale patrimonio

immobiliare detenuto dallo stesso e dai restanti enti pubblici nazionali, specie quelli previdenziali (INPS, INAIL).

Dal 1996 ad oggi sono state dettate regole per la cessione di beni immobili, individuando intermediari che attuassero programmi di alienazione anche per gli enti territoriali (legge 127 del 1997).

Con la legge n. 410 del 2001 si è consentito di costituire la S.r.l. Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici (SCIP), alla quale sono stati ceduti immobili del demanio o del patrimonio indisponibile (previamente liberati dai vincoli della contabilità dello Stato), sul valore dei quali- garantito da stime - la società ha emesso obbligazioni collocate sul mercato e con il provento di queste ha remunerato subito il cedente (e

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ovviamente sé stessa), senza attendere la macchinosa e a volte difficoltosa alienazione effettiva dei beni.

La vendita di questi “gioielli di famiglia” (che sono magari poi fortezze abbandonate, palazzi fatiscenti, ecc.) era poi destinata ad esaurirsi nel medio periodo.

Ai sensi del decreto legge n. 207 del 2008, la SCIP è stata posta infatti in liquidazione, ritrasferendo la proprietà degli immobili ai soggetti pubblici che ne erano originariamente proprietari.

Tuttavia il legislatore è tornato di nuovo sulla materia, dapprima con il decreto legge n. 112 del 2008, con cui ha introdotto il c.d. “piano delle alienazioni immobiliari” e successivamente con il decreto legge n. 98 del 2011.

Ulteriori interventi si sono poi avuti sia con il d.l. n.70 del 2011 (c.d. “decreto sviluppo”), che prevede la dismissione di patrimonio immobiliare pubblico quale strumento di promozione e riqualificazione di aree urbane degradate, con la di stabilità per il 2012 (legge n.183 del 2011) ed inoltre con il decreto della spending review del luglio del 2012. Soprattutto nel settore dei servizi, le privatizzazioni sostanziali sono sempre prodromiche alle liberalizzazioni, le quali consistono nell’attuazione di politiche economiche eliminanti dei vincoli ingiustificati alla concorrenza in un determinato settore della produzione e sono realizzate quando le attività di impresa, prima riservate per legge o concesse in esclusiva all’azienda pubblica, passano ad esser affidate effettivamente ai privati , in un libero mercato oggettivamente aperto, anche se regolamentato per tutti gli operatori in esso agenti.

In altri termini, la liberalizzazione del mercato o di un suo segmento consiste nel riconoscimento a tutti i soggetti dell’ordinamento del diritto di impresa privata, che consentirà loro sia di accedere al mercato, sia di permanervi, senza che simile prerogativa resti riservata ad un singolo imprenditore (monopolista) o a pochi (oligopolisti).

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Proprio negli anni ’90 si affermano le autorità indipendenti ed esse stesse appunto costituiscono le nuove tipologie di enti, che sono state appositamente studiate, per svolgere la nuova funzione dello Stato regolatore.

In realtà in questi anni nascono le a.a.i. moderne , visto che basti pensare che già alla fine dell’Ottocento venne istituita una delle più note delle a.a.i., ovverosia la Banca d’Italia.

Proprio l’affermazione di questa eterogenea categoria segna il passaggio, storicamente, dallo Stato imprenditore a quello regolatore e quindi dalla nazionalizzazione alla privatizzazione, prodromica, come si è detto alla liberalizzazione.

Però, è accaduto che non sempre si è operata la pura restituzione al mercato di imprese pubbliche, poiché alla descritta privatizzazione formale non è seguita quella sostanziale, attraverso la cessione ai privati dell’intero capitale azionario detenuto dallo Stato (si pensi all’Ente Ferrovie dello Stato, adesso Ferrovie dello Stato S.p.A.).

Inoltre lo Stato non solo continua ad essere azionista, ma talvolta pure titolare di incisivi poteri pubblici,con la conseguente sottoposizione di tali S.p.A., aventi forma giuridica tipicamente privatistica, ad una disciplina di diritto speciale, sollevando così problemi interpretativi relativi all’identificazione delle società partecipate dallo Stato con il modello societario disciplinato dal codice civile, relativi, in altri termini relativi all’identificazione di tali società con le S.p.A. private o con le società di diritto pubblico.

Pertanto da questi fenomeni di incompiuta privatizzazione sostanziale se ne può evincere che in qualche modo certe attività economiche rimangono in capo allo Stato, ed essendo,però,divenuto lo Stato regolatore,si crea conflitto di interessi e pertanto questo problema come si risolve?

Come può lo Stato nel contempo esercitare attività economiche (che sono ad esso rimaste in capo) ed essere regolatore?

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Con la creazione, appunto, delle autorità indipendenti, quale soggetto terzo ed indipendente che possa vigilare sul regolare svolgimento della concorrenza: vigilare che le imprese si comportino correttamente e che non vi sia indebita prevalenza del soggetto pubblico.

Se fosse lo Stato a vigilare sul mercato, favorirebbe le sue imprese. Non a caso, quella delle a.a.i. è una categoria che rinviene la propria ragion d’essere nel diritto, allora comunitario, attualmente diritto dell’Unione Europea, che impone, appunto, libera concorrenza e libero mercato.

Rebus sic stantibus, lo sforzo fondamentale ed incessante che risulta

necessario compiere, allora, è quello di cercare di apprezzare il ruolo del diritto europeo in relazione all’affermazione delle a.a.i., o, volendo,più ampiamente, in relazione al tema delle a.a.i.: questo è uno sforzo che si cercherà di compiere proprio nel prossimo paragrafo (2.1.).

3. (Segue) Ruolo del diritto europeo nell’affermazione delle autorità indipendenti, con riferimento alla disciplina della concorrenza

Il diritto dell’UE in alcuni casi impone la creazione delle a.a.i. nei singoli paesi: si pensi al caso dell’Autorità garante dell’energia elettrica e del gas e il sistema idrico (AEEGSI).

In altri casi invece tale diritto impone la libertà di mercato e di concorrenza: gli Stati, cioè, devono garantire che ci sia la concorrenza tra le imprese con le attività che le imprese svolgono tra di loro.

Lo Stato deve quindi assicurare che le imprese possano agire liberamente sul mercato e queste ultime lo faranno in due modi: a) non ci deve essere sperequazione a favore delle imprese pubbliche; b) non ci deve essere sperequazione a favore di alcune imprese private a discapito di altre.

Perciò a livello pubblico non ci devono essere aiuti alle imprese da parte dello Stato, fatte salve le deroghe dei Trattati, e nella misura in cui essi

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non siano incompatibili con il mercato interno, arg. ex 107.1 TFUE (ex art.87 TCE)50 e a livello privato le imprese non devono falsare la

concorrenza e tale concorrenza può essere alterata con l’accordo tra le imprese: gli imprenditori dominanti tendono a mettersi d’accordo tra di loro.

Segnatamente si tratta di intese restrittive della concorrenza, vietate dal diritto europeo, ma su questo aspetto avremo modo di tornare.

Proprio le limitazioni agli aiuti statali alle imprese, la disciplina della concorrenza, cui sono dedicati le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante,di cui parleremo, e le libertà di circolazione delle merci, dei lavoratori, dei servizi e dei capitali,costituiscono i tre strumenti per la formazione del mercato unico europeo (o interno,o - secondo la vecchia terminologia - comune), determinata dalla apertura dei mercati nazionali, quale obiettivo primario ed originario già dell’allora CEE, istituita nel 1957.

Perché vi sia concorrenza ci deve essere un soggetto che vigili: lo Stato non è, perché esso avrà interesse a favorire le proprie imprese e pertanto a vigilare ci deve essere un soggetto indipendente dallo Stato e dai soggetti privati: ecco che sulla base di questa necessità nascono le autorità indipendenti.

Si tratta di enti pubblici creati per garantire la concorrenza nel mercato, in settori prima pubblici, ora privati.

Infatti si tratta di autorità che hanno il compito di regolare il mercato e di vigilare che le regole da esse fissate siano rispettate ed anche di irrogare sanzioni; inoltre contro gli atti di tali autorità è ammesso ricorso innanzi al tribunale amministrativo, perché gli atti di tali autorità sono ritenuti amministrativi, perché comunque si tratta di autorità amministrative, seppur sui generis.

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Vi è , in particolare, dottrina, nella persona autorevole di M.Giusti ,che parla, segnatamente, per alcuni tipi di a.a.i. (AEEGSI, AGCOM, Autorità di regolazione dei trasporti), di autorità di regolazione del mercato.

Una regolazione di tale tipo è uno strumento mutuato dall’ordinamento statunitense, nel quale esso si afferma come tecnica sostitutiva del libero mercato, da utilizzare nei confronti delle imprese fornitrici di servizi essenziali, in presenza di cattivo funzionamento del medesimo: la regolazione si presenta come soluzione alternativa all’intervento diretto della mano pubblica nella produzione di servizi, che per la loro rilevanza non possono essere abbandonati a forze di mercato incontrollate. Di fronte al cattivo funzionamento del mercato, il rimedio viene cercato nelle forme di supplenza del mercato stesso, con le quali vengono stabilite condizioni di scambio il più possibile simili a quelle che risulterebbero da un mercato concorrenziale.

Insomma, come è stato autorevolmente sostenuto, la regolazione è un mezzo di promozione di mercati efficienti, quando le misure giuridiche della concorrenza non bastano.

In questo quadro la prescrizione di standards qualitativi e la regolamentazione dei prezzi di servizi sono misure dirette ad evitare abusi in mercati non concorrenziali, e quindi dirette ad ottenere risultati possibilmente corrispondenti a quelli che sarebbero forniti da un mercato funzionante51.

Sotto questo punto di vista che si correla strettamente alla disciplina della concorrenza, molto incisivo appare il ruolo del diritto europeo. Preme, più nello specifico, allora, analizzare la disciplina della concorrenza in ambito europeo, e poi esaminare i rapporti con quella italiana.

Le regole della concorrenza, allora comunitarie, ora del diritto europeo, stabilite ex artt. 101 ss.TFUE (vecchi artt. 81 ss. TCE), hanno un

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particolare rilievo, in quanto contengono sia una disciplina del mercato unico, sia una disciplina di rilevanza nazionale.

Infatti, le disposizioni sono sempre dettate perché non venga impedito,